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lunedì 25 maggio 2015

Scritti di artisti tedeschi del XX secolo - Paul Klee. I Diari. Parte Terza: Klee secessionista e neoimpressionista


Francesco Mazzaferro
Diari di Paul Klee 

Parte Terza: Klee secessionista e neoimpressionista 

[Versione originale: aprile-giugno 2015 - Nuova versione: aprile 2019]




Fig. 10) La prima edizione dei Diari di Klee, pubblicata in tedesco da DuMont nel 1957

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Nei post precedenti ho cercato di analizzare le ragioni del successo editoriale mondiale dei Diari di Paul Klee e di capire perché essi siano stati pubblicati postumi nel 1957, nonostante fossero pronti già nel 1920-1921. In seguito ho fornito la mia lettura dei Diari come testo letterario di genere autobiografico, analizzando quattro temi centrali: musica, poesia, erotismo ed astrazione. Mi pongo adesso l’obiettivo di analizzare i Diari come testo di fonti di storia dell’arte. Che cosa ci dicono i Diari sulla creazione artistica di Klee e sulla sua idea d’arte?

È un tema difficile, che richiede un percorso a tappe.

La prima tappa (propedeutica alle altre) consente di spiegare come i Diari non siano solamente uno strumento del ricordo, ma anche un vero e proprio dispositivo di costruzione dell’identità artistica.  Più che al passato, i Diari si rivolgono al futuro. Un interessante parallelo con le memorie di Emil Nolde, un altro dei grandi autori di letteratura artistica nel mondo di lingua tedesca di quei tempi, chiarisce come questa caratteristica sia propria di entrambi gli artisti e tipica del mondo tedesco di quegli anni, tenuto a confrontarsi con tragedie e traumi che costringono gli artisti ad una gestione attiva delle proprie memorie.

A questo proposito cercherò di fornire una lettura accurata del testo che possa non soltanto documentare quel che Klee racconta delle fasi della sua progressiva maturazione artistica, ma anche identificare – con l’aiuto degli studi di filologi e critici dell’arte – le modalità con cui l’artista usa i Diari al fine di disegnare un’immagine di sé del tutto orientata al suo pensiero estetico dei primi anni venti. Vi sono nei Diari riferimenti che sono effettivamente contemporanei alla data cui fanno capo, cioè appartengono effettivamente al vissuto di quegli anni. Tali elementi sono fra l’altro testimoniati dalla sincronicità dei temi e degli eventi dei Diari con quelli menzionati nell’enorme corpus delle lettere indirizzate alla famiglia, raccolte e pubblicate dal figlio Felix Klee nel 1979 per i tipi di DuMont (1346 pagine). Le lettere alla moglie Lily, per esempio, contengono centinaia e centinaia di pagine di riflessione su arte, musica e poesia e sono molto probabilmente la base di cui Klee si è servito per compilare i Diari. Vi sono però anche delle notazioni dei Diari che hanno un carattere retrospettivo, dunque rivelano punti di vista e riflessioni posteriori ai tempi in cui sono inseriti e spesso intendono reinterpretare il passato. La cronologia dei Diari gioca appunto sulla presenza di aspetti sincronici e diacronici.

Fig. 11) Il primo dei due volumi contenenti le lettere di klee alla famiglia


Differenzierò quattro fasi del fare artistico di Klee tra 1900 e 1920: (i) la secessione ed il simbolismo; (ii) il neo-impressionismo; (iii) l’espressionismo; (iv) il costruttivismo. Non si prenderà invece in considerazione ogni sviluppo successivo al 1920-1921, data in cui si concluse la stesura dei Diari.

Cercheremo infine di misurare la reale efficacia dell’operazione posta in essere da Klee a fini autorappresentativi, confrontando i Diari con le tre monografie che furono pubblicate sull’artista nel 1920-1921 e che ne avviarono il successo critico fino a renderlo una delle star globali dell’arte contemporanea, prima della persecuzione nazista. Una lettura strumentale dei Diari come strumento di affermazione dell’immagine pubblica dell’artista, che nulla toglie al loro valore, ma spiega il ruolo della letteratura artistica nel secolo scorso.


Scritti biografici come strumento di costruzione dell’identità artistica: il parallelo Klee-Nolde

Ogni opera autobiografica è la rilettura di una vita. Nel caso dei Diari di Paul Klee, ultimati tra il 1913 (al più presto) ed il 1920-1921, ovvero in una fase in cui il pittore  ha raggiunto la piena maturità artistica e si è ormai inserito nella scena dell’avanguardia artistica europea, il testo non ha solamente l’obiettivo di un confronto critico con il passato, ma anche quello della vera e propria costruzione – quasi a tavolino – della nuova identità artistica del pittore.  Questa è la prospettiva in cui si devono leggere i Diari: non solamente nella logica passiva del ricordo, ma anche in quella attiva della costruzione identitaria. E quest’ultima non dipende solamente dalla scrittura, ma anche dalla sapiente gestione di ciò che viene o non viene pubblicato, delle revisioni e dell’intervento diretto presso critici e saggisti, da parte dell’autore.

È un punto comune ai testi biografici di molti artisti, specialmente di quelli la cui storia personale non è solamente caratterizzata dai tormenti dell’evoluzione dello stile verso un linguaggi innovativo, ma anche da una difficile interazione del vissuto con avvenimenti storici complessi e a volte tragici. Per un paese come la Germania, che nella prima metà del 1900 perde due guerre mondiali e la democrazia, è una situazione frequente. Un breve esame parallelo tra gli scritti biografici di Klee e di Nolde può aiutare ad identificare come gli scritti autobiografici servano agli artisti non solamente a spiegare la propria arte, ma anche a gestire il loro rapporto con la storia e a stabilirne un’immagine condivisa e rassicurante, che permetta loro di consolidare il successo. Vediamo gli elementi comuni tra gli scritti autobiografici dei due.

Primo, entrambi gli artisti sentono – come elemento centrale delle loro autobiografie – la necessità di spiegare la nascita del loro linguaggio artistico come un’improvvisa rivelazione, una scoperta fulminea e quasi inattesa. Per Klee il passaggio fondamentale nei Diari è del 16 aprile 1914, durante il viaggio in Tunisia: “Abbandono il lavoro. L’ambiente mi penetra con tanta dolcezza che, anche senza sforzarmi, un senso di sicurezza sempre più mi pervade. Il colore mi possiede. Non ho bisogno di tentare di afferrarlo. Mi possiede per sempre, lo so. Ecco il senso di quest’ora felice: il colore e io siamo una cosa sola. Sono pittore.” [71] Per Nolde, le pagine di riferimento sono quelle nel secondo volume delle memorie, intitolate Jahre der Kämpfe (Gli anni delle battaglie). Siamo nel 1906: “Era a metà dell’estate. I colori dei fiori mi attiravano in modo irresistibile ed in modo quasi improvviso mi trovai a dipingere. Ne nacquero i miei primi piccoli quadri di giardini.” [72]

Il topos della scoperta improvvisa e quasi inaspettata del nuovo linguaggio personale è utile ad entrambi. Sia Klee sia Nolde debbono infatti chiarire ai loro contemporanei le ragioni per le quali riuscirono ad elaborare uno stile personale solamente in una fase ormai avanzata della loro vita, e l’immagine della rivelazione improvvisa permette loro di essere molto selettivi quando debbono descrivere il lungo e tormentato percorso precedente. Le memorie sono, sia per Klee sia per Nolde il racconto di un’improvvisa metamorfosi, che si realizza dopo un’incubazione lunghissima. Oggi la storiografia dell’arte pone in dubbio questa tesi “rivelatoria” e cerca di identificare, per entrambi, le fonti di ispirazione che hanno permesso loro – dialetticamente – di identificare il loro linguaggio sbalorditivamente innovativo.

Secondo: entrambi hanno lunghissimi (e infruttuosi) tirocini alle loro spalle; anzi, in loro la scoperta della vena artistica non è un fatto che appartiene alla gioventù.  Nei loro scritti autobiografici si possono dunque reclamare ‘giovani artisti’, il termine che allora si usava per riferirsi agli autori del rinnovamento delle arti, ma non sono più ‘artisti giovani’. Le loro memorie hanno pagine parallele sulle difficoltà familiari (come riuscire ad arrivare alla fine del mese senza vendere le loro opere d’arte), sul contatto e sul rapporto complesso con artisti più giovani di loro (che li ammirano come innovatori, ma al tempo stesso rimangono esponenti di una generazione diversa), sul ruolo importante che incontri casuali con collezionisti e critici d’arte della Repubblica di Weimar hanno nell’orientare la loro produzione artistica, nel bene e nel male.

Klee è del 1879 e termina la sistemazione dei Diari tra i 34 (1913) ed i 40-41 anni (1920-1921); Nolde è del 1867: scopre il suo stile artistico alla fine del primo quinquennio del nuovo secolo, anch’egli quando ha quarant’anni, dopo una lunga esperienza professionale in Svizzera (un altro parallelo tra i due, che spiega come entrambi concepiscano immagini allegoriche umanizzate – sia pur diversissime – di montagne alpine; le memorie di entrambi si compiacciono anche di ricordare passeggiate alpine). L’apice del successo di Nolde nella Repubblica di Weimar è però del 1927, quando è ormai sessantenne, con la mostra retrospettiva di Dresda (in quell’occasione Klee – anch’egli all’apice del successo – scrive su di lui una famosissima pagina, definendolo il ‘demonio della sua regione’, in questo caso la Germania del Nord, una definizione ancora oggi molto popolare su Nolde). Nel 1931 Nolde pubblica il primo volume delle sue memorie (Das eigene LebenLa mia vita), quand’ormai è sessantaquattrenne, ottenendo un discreto successo editoriale.

Terzo: sia pur nell’ovvia necessità di narrare (e rielaborare) gli eventi del passato, in realtà sono le esigenze del presente a guidare la penna dei due autori. Infatti con i loro scritti essi intendono soprattutto consolidare la propria affermazione artistica, negli anni della maturità. Per Klee, questo avviene nel 1920-1921, poco prima di avviare l’esperienza alla Bauhaus a Weimar, quando ha ormai superato ogni incertezza ed identificato un proprio linguaggio pittorico, dopo varie esperienze che lo hanno portato dalla secessione al simbolismo, dal neo-impressionismo all’espressionismo, contatti con cubismo, orfismo e dada, per finire con il costruttivismo. Per Nolde, la necessità di rafforzare il successo artistico con gli scritti biografici si manifesta nel 1931-1934, quando gli sembra possibile, dopo tanti tentativi mancati, poter veder la nascita in Germania di un’arte moderna nazionale, depurata dall’influsso della classicità e dell’arte francese, una nuova arte di cui si vuol proporre come artista di riferimento.

Quarto: per entrambi la pubblicazione delle memorie è un parto assai complesso: Klee decide nel 1920-1921 – come si è già spiegato in un precedente post – di non pubblicare i Diari ormai pronti per le stampe. Non è da escludere che la decisione di non procedere alla pubblicazione sia dovuta ai fatti del 1919, che vedono Klee sostenere il tentativo insurrezionale sovietico a Monaco, due anni dopo la rivoluzione d’ottobre in Russia. Difatti, i ricordi si interrompono poco prima; rimangono inediti per un lungo periodo, che comprendono l’esilio in Svizzera dal 1933 a causa della presa del potere nazista e la diagnosi di una rara malattia inguaribile diagnosticata nel 1935, che lo porta alla morte relativamente giovane nel 1940, a sessantun anni. I Diari vedranno la luce solamente ad opera del figlio nel 1957.

Ancora più complessa la genesi delle memorie di Nolde. Una buona metà di esse viene già scritta e pubblicata negli anni immediatamente precedenti e seguenti la presa del potere nazista. In particolare il secondo volume delle memorie (il già citato Jahre der Kämpfe), pubblicato nel 1934, ha lo scopo evidente di proporsi alla guida di una nuova arte moderna nazionale e nazionalista in Germania, con il sostegno del nuovo regime. Con suo grande stupore, però, dopo un acceso dibattito interno deciso da Hitler in persona, i nazisti decidono di censurare stilisticamente Nolde come ‘artista degenerato’. I suoi dipinti sono ritirati dai musei. Anche i due volumi dell’autobiografia sono proibiti e sequestrati; Nolde può dunque completare – ma non pubblicare – il terzo volume delle memorie dall’esilio interno nel villaggio di Seebüll, ai confini con la Danimarca (prova a inviarne copie dattiloscritte ad amici, ma esse sono subito individuate e sequestrate dalla Gestapo) e completa clandestinamente i materiali pronti per l’ultimo volume nel 1942, nel pieno corso della Seconda Guerra Mondiale. Alla fine della guerra, ovviamente, le memorie di Nolde non possono più essere pubblicate, dal momento che l’artista le ha in realtà completate nel tentativo di riscattarsi da quel che lui considera un fraintendimento da parte dei nazisti, per pubblicarle dopo la loro sperata vittoria. Inizia così una lunga fase di pulitura del testo che Nolde stesso avvia nel 1949 a 82 anni e i suoi eredi continuano nel 1957  e terminano solamente nel 1967 (con la pubblicazione, secondo criteri molto contestati in termini filologici, di quattro volumi). Successivamente (1976) questi ultimi vengono condensati in un unico tomo (Mein LebenLa mia vita): è l’occasione per la Fondazione Nolde per praticarvi una nuova ‘normalizzazione’ in senso anti-nazista, che dovrebbe far davvero gridare allo scandalo. In conclusione, le memorie servono a costruire immagini successive e addirittura divergenti dell’identità artistica di Nolde, seguendo l’evoluzione degli avvenimenti politici.

Infine, anche al momento della pubblicazione dei due testi nella Germania del dopoguerra, i paralleli nella gestione degli scritti autobiografici sono importanti: sia i Diari di Klee sia le memorie di Nolde sono pubblicati dello stesso editore (DuMont di Colonia). Lo stesso anno, nel 1957, appaiono per la prima volta il testo di Klee e il volume principale (in versione emendata) delle memorie di Nolde. Per i tipi dello stesso editore DuMont, i medesimi critici d’arte tedeschi (Will Grohmann 1887-1968 e Werner Haftmann 1912 –1999) promuovono Klee e Nolde in Germania ed all’estero come paladini dell’arte della nuova Germania postbellica, che si collega alle avanguardie della Repubblica di Weimar e costituisce parte integrante del movimento d’arte astratta allora dominante nel mondo occidentale. Klee e Nolde sono rappresentati in modo importante, alla Biennale di Venezia nel 1948, alla prima edizione di Documenta a Kassel nel 1955 ed alla mostra German Art of the 20th Century al MoMa di New York, nel 1957. È lì che nasce il mito globale dell’espressionismo tedesco, e Klee e Nolde sono tra i paladini di tale mito.

Vi sono però almeno due importanti differenze tra i due. La prima è di natura politica. Klee  (che ha comunque iniziato giovanissimo i suoi studi con Heinrich Knirr, il futuro ritrattista ufficiale di Adolf Hitler) non mostra alcuna esaltazione nazionalista o razziale. Nolde è invece chiaramente nazista ed antisemita, e se i suoi testi fossero stati conosciuti dal pubblico nel dopoguerra nella forma originale avrebbero generato sconcerto. Forse anche per questo motivo la Fondazione Nolde di Seebüll – che ha tutte le carte pronte – ritarda a lungo la pubblicazione degli scritti disponibili ed impedisce per decenni ogni analisi critica delle memorie, fin di recente (un’edizione critica non esiste ancora; le lettere degli anni 1930-1940 non sono mai state pubblicate; non si sa neppure quale documentazione sia ancora disponibile), mentre la Fondazione Paul Klee di Berna promuove nei decenni seguenti la pubblicazione di tutti gli archivi, un’edizione critica di tutti i testi ed una vivace riflessione critica non solamente sui Diari e sugli altri testi, ma anche sulla loro gestione da parte della Fondazione stessa. 

La seconda differenza riguarda il mondo delle idee entro il quale gli artisti si muovono. Klee è uomo raffinatissimo, di vaste letture, e capace di interagire tra culture diverse; in lui l’istintiva capacità creativa si associa con il desiderio di creare un linguaggio ed un sistema estetico innovatori, con chiari riferimenti a musica e filosofia, letteratura e poesia. Nolde è invece uomo di scarsissime letture (si gloria di aver letto un solo libro nella vita) e privo di capacità teoriche; crea le sue opere in uno stato quasi ipnotico, di trance, al di fuori di ogni sistema teorico.

In conclusione, gli scritti autobiografici di Klee e Nolde (che molto probabilmente non conobbero reciprocamente i testi l’uno dell’altro) attraverso un’accorta regia, presentano un’immagine emendata di vita ed arte mirante a rinsaldare il successo dell’artista, guidando il lettore attraverso le molte traversie di vicende personali complesse, di evoluzioni stilistiche molto lente ed incerte e di eventi storici assolutamente drammatici.   


Paul Klee come costruttore della propria identità artistica.


Quando ci si riferisce ai Diari come opera di costruzione (e non solamente di rilettura) dell’identità storica dell’artista Paul Klee, non si intende dire che egli abbia manipolato i Diari per nascondere il proprio passato, anche se rimane irrisolta la questione delle motivazioni reali di molte scelte del pittore, prima fra tutte quella della mancata pubblicazione. Invece, è abbastanza credibile che i Diari offrano un’immagine del pittore del tutto in funzione delle convinzioni estetiche che egli ebbe negli anni del costruttivismo, quando furono rivisti ed ultimati. Del resto, i Diari sono disseminati di paragrafi retrospettivi – molto probabilmente scritti durante la stesura finale del 1920-1921 – in cui Klee si propone esplicitamente di trarre alcune conclusioni estetiche generali per il futuro dalle esperienze del passato (a mio parere, i paragrafi 63,170, 411, 429, 527, 781-782, 831, 840, 842, 899 922 926k, 926 o, 928, 950, 951, 1008, 1081).

L’identità intellettuale costruita nei Diari (Klee come uomo distante dalla storia e dagli uomini, occupato a cercare una chiave di lettura atemporale del mondo, immerso nell’elaborazione di una grammatica dei segni che a lui solo è propria) ovviamente rappresenta la conclusione di un lungo percorso. Pittore molto colto, egli si confronta del resto sempre con l’arte, la critica e l’estetica del suo tempo, e cerca sempre sintesi innovative tra posizioni diverse. Il suo percorso artistico è caratterizzato da molte diversioni e variazioni, sia sulle tecniche sia sulle preferenze estetiche. I Diari, come noi li conosciamo oggi, sono ricordi molto selettivi, sia nell’esame delle proprie opere sia nella narrazione dell’interazione con altri artisti, critici e collezionisti, e sono probabilmente il risultato di un continuo ripensamento, avviato all’inizio degli anni dieci dello scorso secolo, su come presentarsi al pubblico che li avrebbe letti per la prima volta. 

Si capisce dunque perché Cathrin Kligsöhr-Leroy, spiegando la complessità dell’identità artistica del pittore al lettore in una recente pubblicazione, parli di “Tagebuch als Selbstinszenierung” (Diario come messa in scena di se stesso): “Non si riesce a dare risposta a queste complesse domande sulla personalità di Paul Klee. Anche con l’aiuto dei Diari avviati nel 1898, poiché in queste notazioni che hanno un effetto privato, che egli raccolse durante vent’anni, Paul Klee puntò ad un’autorappresentazione definita per una successiva pubblicazione” [73]. È forse il tema principale del volume su Klee di Michele Dantini [74]: “Klee espone la propria vicenda in modo mirato e selettivo, adottando le prospettive di pubblico e critica modernisti, preparandosi a divenire argomento di questa o quella monografia di orientamento ‘spirituale’: via i décadents del periodo della formazione, via i maestri tedesco-romani; ampio risalto concesso invece a van Gogh, a Cézanne, all’incontro con Kandinsky” [75]. Abbiamo visto in un precedente post anche un’intuizione di Giulio Carlo Argan nel 1960 nella stessa direzione: ““Il diario (...) è un’opera letteraria autonoma, con una sua costruzione che non ripete affatto la successione uniforme dei fogli del calendario. V’è una scelta accuratamente studiata dei ricordi, una concatenazione dei fatti secondo una predisposta e osservata tematica (…)”. [76]

È solamente a partire dal 1979 – con le tre mostre per il centenario della nascita – che la critica si rende conto di quanto Klee sia riuscito, anche con l’intervento diretto presso critici e curatori di mostre, a controllare la propria immagine. Agli anni descritti nei Diari è dedicata la mostra di Monaco di Baviera, sorretta da un poderoso catalogo (con contributi importanti di Christian Geelhaar, Marcel Franciscono, Jürgen Glaesemer e Otto Karl Werckmeister), che si interroga per la prima volta su quanto l’immagine prevalente di Klee sia anche conseguenza di una lettura acritica dei Diari e degli altri scritti [77]. Nell’introduzione si legge: “Infatti, non si può far a meno di notare in qual misura la letteratura interpretativa – saggi, monografie, ecc… - abbia assunto ad unico criterio interpretativo l’immagine che Klee stesso ha proposto della sua persona e del suo itinerario artistico" [78]. Si scopre così che i Diari stessi, lungi dal precisare il rapporto tra Klee ed il suo tempo, alimentano “la leggenda, che diviene un vero e proprio luogo comune, del creatore che ha prodotto tutto da se stesso e che ha elaborato il suo stile e i suoi temi senza influssi esterni degni di essere citati.” [79] È un topos che Klee stesso rafforza: “Il pensiero di dover vivere in un’epoca di epigoni mi è quasi intollerabile. In Italia mi ero arreso a una simile prospettiva. Ora cerco di astrarmi da tutto questo e di costruire modestamente, da autodidatta, senza guardarmi attorno.” [80]

Quell’immagine di Klee come artista geniale ed isolato, impossibile da incasellare in alcun movimento della propria epoca e scopritore del linguaggio dell’arte contemporanea, è ancora centrale nella retrospettiva del 1970, sempre a Monaco [81], tutta dedicata allo studio delle corrispondenze tra l’opera pittorica ed il pensiero estetico dell’artista, secondo una logica avviata con le prime retrospettive del dopoguerra a Berna (1940) e Basilea (1941). Nove anni dopo, il messaggio della mostra celebrativa del centenario è ben diverso: “Una quantità di particolari finora sconosciuti o di dettagli finora inosservati viene qui presa in considerazione e potrebbe modificare l’immagine di Paul Klee come pittore. Egli appare – è questo il risultato  – aver interagito in modo molto più ampio e diretto con l’ambiente artistico e culturale a lui contemporaneo di quanto si sia pensato fino ad oggi e viene spiegato sempre meno come caso speciale ed isolato, ma – sia pur nell’intera originalità dei suoi lavori – come esponente tipico di una specifica cultura europea occidentale, se si riflette sulle sue manifestazioni in termini di immagini e parole.” [82]

  
La dualità dei Diari e la dualità dell’arte di Klee

Fig. 12) Il saggio di Michele Dantini su Paul Klee (1999). In copertina, Ragazza con bambola (1905)


Alla duplice natura dei Diari corrisponde anche una dualità nell’arte di Klee che Michele Dantini – fine conoscitore del pensiero estetico tedesco di quei decenni (si pensi ai suoi studi su Malerei und Zeichnung – Pittura e disegno – di Klinger) – riconosce immediatamente nel suo saggio su Klee: è la contrapposizione tra naturalismo e realismo (o meglio ancora, in termini più moderni, tra arte spontanea ed arte concettuale), tra creazione come riflesso romantico dell’ispirazione o come traduzione di un sistema elaborato di pensiero, tra arte come riflesso di ‘veggenza’ (si pensi alla tradizione tedesca dei pittori-profeti) e all’arte come ‘ordine canonico’ [83]. Il superamento di tale dualità è tema costante, fin dagli inizi secessionisti (si esprime allora nel tentativo di “combinare la satira e l’ideale o il bello”), [84] attraverso la fase neo-impressionista (con il tentativo di una ‘pittura attraverso il disegno’) ed infine nella fase costruttivista dal 1915-1918, come ricerca di equilibrio tra astrazione e figurativo.

In alcune pagine dei Diari il tema della dualità è espresso in termini programmatici.  Così, in una paragrafo ‘retrospettivo’ egli scrive: “La meta prossima e al tempo stesso remota consiste ora nel fondere, o almeno nell’armonizzare, la pittura architettonica con quella poetica” [85]. E aggiunge, quanto alla pittura architettonica: “oggi direi il costruttivo” [86]. Il costruttivo ha per lui una forte radice classica: “In Italia ho compreso – io che ero vicinissimo all’arte astratta – il carattere architettonico dell’arte figurativa.” [87] Più precisamente, la fonte è “l’antichità greco-romana (Physis) con una concezione oggettiva orientata verso il mondo e di gravitazione musicale”[88]. L’elemento architettonico nella pittura ha una fondamentale importanza per comprendere che anche la natura è costituita da un sistema intrinseco di regole matematiche: “L’aver acquisito in Italia la comprensione delle opere architettoniche mi è stato di grande aiuto. Sebbene si tratti di costruzioni erette per uno scopo utilitaristico, l’arte è qui di una purezza più uniforme rispetto ad altre creazioni artistiche. La loro organizzazione spaziale rappresentò per me uno dei più fecondi insegnamenti, da un punto di vista puramente formale, intendo, poiché vedo le cose con estrema semplicità.” [89]

L’altro termine della dualità, la pittura poetica, ha origine nel “cristianesimo (Psychè) di concezione soggettiva, orientata verso la trascendenza e di gravitazione musicale.” [90] La dualità dunque non è solamente propria dei Diari e dello stile di Klee, ma ha per lui natura esistenziale.

Il risultato ultimo – in Klee – è quello di una pittura che al tempo stesso vuol essere il risultato di una creazione prettamente intuitiva e l’espressione di un preciso linguaggio visuale codificato dall’artista. È un arte in cui l’aspetto concettuale astratto è in realtà lo strumento per leggere la realtà più profonda della natura, e dunque in essa l’abbandono dell’effetto figurativo non è mai assoluto. Klee punta dunque a preservare un equilibrio che fa di lui uno dei meno radicali tra gli astratti ed uno dei più sistematici tra i creativi.

Questo equilibrio è un risultato cui l’artista arriva attraverso molte tappe, che sono qui enumerate ovviamente in modo molto semplificato: (i) la partecipazione al mondo della secessione monacense e all’arte simbolista, come studente e giovane pittore, fino al 1908-1909; (ii) la fase neo impressionista, tra il 1908 ed il 1910; (iii) la fase espressionista, tra il 1910 ed il 1915; e l’inizio, tra il 1915 ed il 1918, del (iv) costruttivismo.


Klee secessionista e simbolista (1902-1908)

Tornato a Berna dall’Italia al termine del periodo di studi, Klee è soprattutto sicuro delle proprie insufficienze tecniche e delle lacune della propria preparazione: “Voglio fare tutto quel che non ho ancora fatto” [91]. “A ciò che un tempo mi era estraneo, ossia a tutta la tecnica nel mio mestiere, comincio a dedicarmi ora con i miei mezzi, almeno provo. Divengo apparentemente insignificante e concreto, assolutamente privo di poesia e slancio. Concepisco un piccolo motivo e tento una rappresentazione sommaria” [92]. La ricerca di piccole dimensioni e il rifiuto della prospettiva sono conseguenza logica della sua antipatia per ogni arte monumentale, e l’interesse – chiaro nelle preferenze manifestate durante il soggiorno italiano – per il mosaico ed il bassorilievo: “Proietto sulla superficie, vale a dire che l’essenziale deve sempre divenire visibile, anche se questo non sarebbe possibile in natura, la cui struttura non si presta a un simile stile in rilievo. Inoltre la mancanza di scorci vi gioca un ruolo essenziale. (…) Ho infatti scoperto un mio dominio piccolissimo ma incontrastato: un genere particolare della rappresentazione tridimensionale sulla superficie. (…) Io sono il mio stile. [93] Lo strumento è la matita, il genere il disegno.

L’interesse per il piccolo e l’avversione per lo scorcio spiegano perché Klee non si avvii lungo la strada della scuola di Lovis Corinth, allora popolarissimo, tutta incentrata su una pittura monumentale classicheggiante come base dello sviluppo dell’arte moderna tedesca. Invece, è evidente l’influsso dell’estetica idealista di Fiedler, della sua Ideenkunst, che risolve l’arte sulla base dei criteri della forma.

Nel mondo di lingua tedesca in cui Klee cresce come giovane artista, ha grande successo il pensiero estetico di Max Klinger, teorizzato in Malerei und Zeichnung (Pittura e disegno), secondo il quale alla pittura compete la rappresentazione fedele e gioiosa della natura, mentre al disegno è assegnato il compito dell’arte concettuale. Il disegno è in grado al tempo stesso di scoprire la tragedia del mondo ma anche di identificarne i significati più profondi. È il mondo della poesia e della musica, della tragedia e dell’opera, quello che è più vicino all’animo di Paul Klee.

Per la verità, il giovane Klee rigetta esplicitamente l’estetica di Klinger nei Diari [94] ed ancor più nelle Lettere ai familiari [95], ma paradossalmente tutta la sua attività estetica della gioventù si esplicita ancora solamente nel quadro del disegno, il genere che deve a Klinger – come artista e teorico dell’arte – il successo in Germania. Si pensi alla serie di incisioni di Klee Inventionen (Invenzioni), che egli numera come Opus I, proprio seguendo l’esempio di Klinger, composte a Berna tra il 1903 ed il 1905 al suo ritorno da tre anni di permanenza a Monaco e sei mesi in Italia. La creazione di serie di incisioni è un genere che in quegli anni assicura il successo artistico ed economico a molti artisti tedeschi (si veda il mio post sulla fortuna dell’estetica klingeriana in Germania). Ma non a Klee.

Il tentativo di Klee è quello di usare il disegno per combinare due generi (pittura e satira) che, in quegli anni, appartengono a due universi diversi. È un tentativo generoso ma senza speranze. Se infatti nascono in quel periodo a Monaco esperienze di disegno ad altissimo livello (si pensi al periodico satirico Simplicissimus e alla rivista Jugend, da cui deriva il celeberrimo termine Jugendstil), Klee non vi è mai accettato. La satira è ancora segnata da un confine invisibile tra pittura e caricatura. Contaminare pittura ufficiale e generi considerati minori è inconcepibile. La Pop Art ancora non esiste.

Fig. 13) La copertina di un numero del 1903 della rivista Simplicissimus


Klee stesso, dopo qualche anno, scrive in una lettera alla moglie il 12 giugno 1906, riflettendo sul suo insuccesso: “Le mie incisioni hanno […] l’errore di essere elaborate come immagine e di aver al tempo stesso il significato di epigramma. È l’unione di pittura pura con grafica pura. […] Adesso il mio compito è la divisione di arte e grafica e lo sviluppo completo di entrambi i campi. L’arte pura si è già rivolta all’impressionismo e la grafica sta per farlo.” [96]

Quello del disegno a sfondo satirico è un genere molto diffuso alla fine del secolo (si pensi al belga Félicien Rops e, tra coloro che frequentano Monaco negli stessi anni degli studi di Klee, all’italiano Alberto Martini, iconograficamente vicino a Klee [97]). Come scrive all’amico Hans Bloesch nel 1898, Klee originariamente aspira a divenire un satirico, non un pittore: “Sai quel che provvisoriamente voglio diventare in questo momento: un pittore? No. Un semplice e comune disegnatore. Ma uno mordace. Vorrei ridicolizzare l’umanità, nulla di meno. E ciò con i mezzi più semplici, in bianco e nero. Al tempo stesso - oh blasfemia - vorrei attaccare Nostro Signore in modo adeguato.” [98] I Diari contengono numerosi titoli di disegni composti prima del viaggio in Italia (1901-1902), tutti distrutti dall’artista, probabilmente dopo il ritorno dal viaggio. Dopo qualche anno, la satira in fondo non lo appaga: “purtroppo il senso poetico ha subìto in me un profondo mutamento. La lirica delicata è divenuta satira amara, protesta. Purché rimanga te stesso, mi grida astutamente una voce interiore.” [99]

Perché affidarsi solamente al disegno ed evitare la pittura, se si tenta una sintesi così complessa tra generi? Perché rinunciare al colore, che è l’elemento innovativo dell’arte contemporanea che sta nascendo in quegli anni (Nolde, Kandinsky, Kircher, Marc)? Ed ancora: Perché rinunciare al colore, se egli studia con artisti di riferimento per la pittura monacense e tedesca di quegli anni? Infatti, è allievo di disegno con il ritrattista e paesaggista Heinrich Knirr, studia pittura con Franz von Stuck, il dominatore della secessione di Monaco. Produce nel 1900 – giovanissimo, prima ancora prima di partire per l’Italia - paesaggi simbolisti sulla valle del fiume Aare nello stile di Walter Leistikow, pittore di genere di grandissimo successo per le sue vedute paesaggistiche nel Brandeburgo e attorno a Berlino. Nel 1903 intensifica gli sforzi sul colore, ma non è appagato: “Seri studi di tonalità sul nudo e su teste. Soltanto a scopo di esercizio e di formazione. Rigorosa determinazione dei valori tonali dell’acquarello. Lieve aggiunta di colore a olio, per legare meglio. Risultati poco brillanti, quasi nulla di essenziale da sperare da ciò. Questo mese di febbraio è consacrato al colore. Molti nudi dipinto dal vero, e persino un ritratto di mia sorella.” [100] Anzi, è decisamente sconfortato, e il disegno è un mezzo per superare quel che lui definisce, nel testo tedesco, come una depressione, e nella versione italiana di Angela Tizzo ‘insuccessi’: “Verso la fine del mese preparo alcune incisioni, dopo aver preliminarmente eseguito i disegni appropriati. Non intendo specializzarmi in questo genere. Ma gli insuccessi nella pittura richiamano a gran voce una ripetizione, con sia pur piccole riuscite. Attualmente sono un pittore assai fiacco, ma in compenso ho grandi potenzialità nel disegno.” [101]

La scelta a favore del disegno e la rinuncia al colore possono essere spiegate sia con ragioni tecniche sia di gusto. Consideriamo la combinazione dei fattori.

In primo luogo, Klee non è sicuro di sé sull’uso del colore. Senza dubbio, l’insegnamento impartitogli da parte di von Stuck non lo soddisfa: “Essere alunno di Stuck veniva considerato un privilegio. In realtà non fu così favorevole. Anziché affidarmi a lui con piena fiducia, lo feci con mille dubbi e pregiudizi. Nel colore progredivo con pena. E poiché nella mia padronanza della forma prevaleva il tono sentimentale, cercavo di approfittare almeno di questa. E in effetti, quanto a forma, da Stuck si poteva imparar molto. Ma nel campo del colore la mancanza non era solo mia. Un analogo giudizio lo diede più tardi Kandinskij, nella sua monografia su questa scuola.” [102] “Stuck mi consiglia di dedicarmi alla scultura; se poi volessi riprendere a dipingere mi sarebbero sempre utili le cognizioni acquisite. Questo dimostra che egli non comprende nulla del mondo del colore” [103].

Klee ha difficoltà con la pittura ad olio, e forse per questo motivo decide di assegnare un ruolo ausiliario al colore. Inoltre ha incertezze nella resa dell’anatomia. “Lavoro a tempera, per evitare ogni tecnica difficile. Procedo con circospezione, una cosa dopo l’altra. Per una testa due o tre giorni, per un braccio o per una gamba un giorno, per i piedi un giorno, per i lombi un giorno, e un giorno per i ritocchi. (…) Per me il colore serve solo a decorare l’impressione plastica. Fra breve proverò a convertire direttamente la natura nel mio attuale patrimonio pittorico” [104]. Sulle difficoltà tecniche del giovane Klee rimando all’analisi nel catalogo monacense del 1979 [105].

In termine di giusto, poi, Paul non ama affatto il mondo della pittura classica, sia essa italiana e tedesca. Mentre parte per l’Italia proclama nei suoi Diari il suo disinteresse per l’umanesimo [106]. Corregge quest’affermazione dopo il viaggio, ma – almeno in termini di pittura contemporanea – l’unico risultato dell’esperienza italiana è una riconciliazione sia pure indiretta, con gli artisti tedeschi dei decenni precedenti (i cosiddetti tedeschi romani) che vi avevano lasciato le loro tracce artistiche (Von Marées, Feuerbach, Hildebrand). È a Napoli che scopre al tempo stesso il “colore decorativo” dell’arte pompeiana e gli affreschi di von Marées.  “Nel Museo Nazionale mi ha soprattutto affascinato la raccolta delle pitture pompeiane. Entrando, un‘emozione intensissima mi ha colto. Pitture dell’antichità, in parte meravigliosamente conservate. Quest’arte mi è davvero così vicina! Avevo intuito quel modo di trattare le silhoutte. Il colore decorativo. Le sento come cosa mia. È per me che tutto questo fu dipinto, riportato alla luce. Mi sento più forte.” [107] “Al piano di sopra, nella Biblioteca, gli affreschi di Hans von Marées. Ancora sei mesi fa il suo genere mi sarebbe stato del tutto estraneo, ora mi riconosco in loro. La loro comprensione mi nasce dal cuore.” [108]

Infine, Klee è ben cosciente dei rischi commerciali della pittura, in una situazione in cui il pubblico non lo segue. Dunque (in linea con quanto Klinger spiega assai bene in Malerei und Zeichnung) le incisioni e le altre tecniche di stampa sono spesso utilizzate per esprimere visioni innovative anche perché, dal punto di vista finanziario, sono assai meno onerose per gli acquirenti e offrono la possibilità di essere vendute a più persone.

Sarebbe però un errore considerare che quello di Klee – con la sua serie Invenzioni - non sia un tentativo meditato e riflettuto di produrre un genere d’arte compiuto. Se il disegno satirico è anche un punto di fuga dagli insuccessi della pittura – soprattutto dall’incapacità di inserirsi nelle grandi correnti dell’arte contemporanea – presenta comunque il vantaggio di essere ai suoi occhi un genere artistico completo, che egli è pronto a difendere. “Sono ormai al punto di poter comprendere la grande civiltà antica e il Rinascimento. Solo con il nostro tempo non riesco a stabilire una relazione artistica. E voler creare qualcosa di inattuale mi appare sospetto. Profondo smarrimento. È questo il motivo per cui la satira domina in me. M’accadrà un giorno di dissolvermi totalmente in essa. Non sarò mai un realizzatore? Comunque, saprò difendermi come una belva [109] “. “Anche un artista satirico ama esser libero e indipendente.” [110]

Il 5 Novembre 1898 scrive al padre [111] che le sue caricature satiriche sono non semplicemente moderne, ma del tutto originali. Nei Diari, commenta a proposito della satira: “La satira non dev’essere l’espressione di un eccesso di risentimento, ma deve nascere dal ricordo di ciò che è superiore. Uomo ridicolo, Dio divino. Oppure deve esprimere l’odio per i melmosi bassifondi dell'animo umano, suscitato dal pensiero delle altezze a cui può giungere l’uomo” [112].


Fig. 14) La copertina di un numero del 1903 della rivista Jugend
Fonte: http://digi.uni-heidelberg,de/diglit/jugend1903_1/0008


La serie delle Invenzioni – caricature satiriche di alto livello pittorico – manifesta una completezza di contenuti e di forma che i suoi contemporanei non riescono a percepire.

Dal primo punto di vista, i disegni della serie Invenzioni sono prodotti del loro tempo, con la scoperta delle malattie della personalità della neonata psichiatria (si pensi al Perseo ed al Comico). Dantini definisce la serie di incisioni come “Studi di isteria” [113]. La deformazione del corpo, lungi dall’essere semplicemente caricaturale, rivela temi molto importanti (la bisessualità di certe figure, la voluta ambiguità sessuale di certe posizioni) che più tardi saranno pienamente sviluppati dagli espressionisti (si pensi a Schiele e Kokoschka). Dal punto di vista formale ed iconografico, Dantini nota poi che i disegni rappresentano un incrocio tra i modelli iconografici più apprezzati dell’arte italiana (il mosaico, il tardo romano, il paleocristiano, il gotico) e quelli simbolisti-secessionisti (Böcklin, Hodler, Stuck) (si pensi alla Vergine sull’albero, alla Vecchia Fenice ed a Perseo). Come scrive Marcel Franciscono, Klee si pone in contemporanea l’obiettivo di risolvere due problemi formali: “Primo, come dare una struttura artistica generale alla concentrazione di dettagli spigolosi, tutti descritti in forma minuta? (…) Come conciliare tale struttura generale (quel che fa dell’immagine un’opera d’arte) con la natura epigrammatica dei suoi scherzi?” [114] Klee tenta di risolvere questi problemi con il disegno. Un tentativo così ardito di sintesi tra generi e stili che i contemporanei finiranno per non capirlo.

Ecco che cosa Klee scrive nei Diari sul Perseo: ”Finalmente si è proceduto alla stampa, e ne sono soddisfatto. Questo nuovo Perseo ha ucciso ‘Tristezza’, il mostro funesto, mozzandogli la testa. L’azione è resa fisionomicamente dai tratti del volto dell’uomo, che dovrebbe rifletterla. All’immediata espressione di dolore si aggiunge, secondo elemento, un riso, che finisce col predominare. Visto così, il puro dolore viene reso assurdo nella testa Gorgona, posta al margine. La sua espressione è piuttosto stupida, essendo privata della sua nobiltà e dell’ornamento dei serpenti, di cui sopravvivono solo ridicole vestigia. La farsa ha il sopravvento sul dolore (raffinato supplemento al comico).“ [115]

La serie Invenzioni viene prodotta nel 1903-1905 a Berna, dove l'artista vive ancora con la famiglia d’origine. Già nell’agosto 1905 scrive: “Considero le incisioni come la prima fase della mia attività, ormai conclusa. Le vedo già in prospettiva, appartenenti alla storia della mia esistenza.” [116] Se vuole avere futuro, deve uscire dall'ambito provinciale della capitale svizzera, dove guadagna come musicista professionista nell'orchestra sinfonica. Il luogo di riferimento continua ad essere Monaco, dove ha studiato per tre anni, la sede della prima secessione dal 1898 e la città dei 5000 pittori, come spesso viene chiamata. Nella capitale bavarese Klee si trasferisce nel 1906.  Lo stesso anno si sposa con la pianista monacense Lily Stumpf. È la moglie a mantenere la famiglia, con concerti e lezioni di piano. Lui bada al figlio Felix, nato nel 1907, e sbriga le vicende domestiche (nei Diari questa situazione, assai strana per l’epoca e durata per anni, non è menzionata esplicitamente). In campo artistico la secessione non offre però grandi perspettive, e a Monaco Klee è isolato.  Le incisioni, presentate con l’appoggio del nome di von Stuck, già respinte nel 1900 dalla rivista Jugend [117], non vengono accolte dalla rivista  Simplicissimus nel 1906. Klee commenta: il direttore “mi ha comunicato che, pur apprezzando i miei disegni, avrebbe voluto lavori che meglio si addicessero al ‘Simplicissimus’. Poiché non sono un virtuoso dell’illustrazione, né intendo diventarlo, sono stato così costretto ad abbandonare la prospettiva, favorevole dal punto di vista finanziario, di collaborare con quella rivista” [118]. La serie delle Invenzioni viene esposta, su raccomandazione ancora di von Stuck, alla mostra della secessione nel 1906 a Monaco. Klee spera nel successo (è una fase di grande rinnovamento dell’arte tedesca; nello stesso anno, a Dresda, viene lanciato l’espressionismo con Die Brücke, cui egli non fa però mai riferimento). Non funziona: per pudore, i Diari menzionano unicamente: “Se ora volgo lo sguardo al passato, devo rilevare che alla Mostra della Secessione le mie incisioni ottennero un maggiore successo che (…) a Francoforte sul Meno” [119], dove – ahimè – aveva venduto un solo quadro.  Due anni dopo suoi disegni sono esposti alle mostre della secessione, sia a Monaco sia a Berlino nel 1908. È nuovamente un insuccesso, che segna forse per sempre il fallimento di anni di sperimentazione secessionista e simbolista.

Di questa fase resta il ruolo fondamentale del segno, in senso sia semantico sia estetico. Klee ritiene che far semplice uso del disegno per ritrarre la natura sia infatti impossibile: proprio per la sua capacità di creare segni, l’artista crea la natura ed è ad essa superiore, non la riproduce: “Nell’arte figurativa ‘pura’ le cose – scrive già nel luglio 1905 – non sono così semplici come afferma il dogma. Un disegno finisce con il non essere più tale, per quanto indipendente sia la esecuzione. È un simbolo, e quanto più le linee immaginarie di proiezione raggiungono dimensioni superiori, tanto meglio. In questo senso non sarò mai un artista puro, come esige il dogma. Noi, creature superiori, siamo, anche meccanicamente, compiuti figli di Dio, e in noi l’anima e lo spirito attingono superiori dimensioni.” [120]


Klee neo-impressionista (1908-1910)

Il passaggio dalla Secessione al neo-impressionismo è graduale ed è caratterizzato da un nuovo interesse per la natura. Klee non cambia tuttavia totalmente genere e non abbandona il disegno per la pittura ad olio: sperimenta invece una via di mezzo, che non separa, ma fonde, pittura e disegno: Dantini parla di una singolare “pittura attraverso il disegno” e scrive: “Lo attraggono la dimensione grafologica del segno, la processualità della forma, le tecniche di alterazione del modello, in definitiva lo ‘stile’ in opposizione alla ‘natura’ – Whistler e i maestri giapponesi sono per lui riferimenti senz’altro più significativi poniamo di Monet.” [121] Il naturalismo di Klee deve dunque essere qualificato. Dantini continua: “Si propone di ridurre questo o quel frammento di paesaggio a una ‘geroglifica’ ornamentale – lo ammette lui stesso -, disegna con tratto spezzato e febbrile, quasi in lotta con la clessidra, pratica accentuati disequilibri compositivi e interpreta il segno, pur nella sua labilità, come strumento strutturale autonomo.” [122]


L’avvicinamento all’impressionismo stesso è lento e prudente. L’incontro non è immediato: nel 1904 – mentre sta terminando la serie grafica delle Invenzioni – riceve in regalo dal collega Karl Hofer un libro su William Blake e numerose fotografie di opere di Goya dalla moglie. Commenta senza alcun entusiasmo: “Mi è stata necessaria molta costrizione e buona volontà, in assenza di un reale impulso, per aprirmi a questi aspetti dell’arte moderna. Forse troppo a lungo sono rimasto privo di qualsiasi contatto con essa!” [123] Nel giugno 1905 Klee decide di riparare e si reca per un breve soggiorno di due settimane a Parigi.

A Parigi Klee si lascia incuriosire – ma non conquistare – dal mondo figurativo degli impressionisti (Monet, Manet, Renoir, Sisley, Renoir) e non ha alcun contatto coi post-impressionisti. In realtà il suo interesse è ancora per la generazione loro precedente: Whistler, Puvis de Chauvannes, Millet, Corot. Del resto, già nel 1902 non aveva parlato dell’impressionismo con molto entusiasmo: “Ho redatto alcune note didattiche sull’arte. Con precisi argomenti teorici ho portato sullo stesso piano la pittura rigorosa e quella impressionista”. [124] Ed ancora nell’aprile 1905 scrive: “L’aspetto frammentario tipico di molte opere impressioniste è una conseguenza della fedeltà dell’ispirazione. Se essa si spegne, bisogna interrompere l’opera.” [125] Per la verità, anche nel 1905 egli non si rende conto che quel che vede in Francia è già frutto del passato e che la vulcanica Parigi sta producendo un’esplosione modernista [126].

Al viaggio a Parigi del 1905 Klee dedica solo poche pagine nei Diari, ma il confronto con l’impressionismo – anche se tardivo – è comunque importante. Se prima ha tentato una sintesi tra arte antica e mondo della secessione, basata sul disegno come elemento concettuale dell'arte, il contatto con l'impressionismo gli impone il tema della natura. Torniamo dunque alla dualità originaria tra naturalismo e realismo, tipica del mondo germanico di qualche anno prima: Klee si sta spostando dall’ambito del realismo (idealismo) a quello del naturalismo, dal concettuale al bello. Tuttavia, non aderisce mai alle scuole di impressionismo tedesco (alla Liebermann, Slevogt e Corinth). A Monaco scopre in quegli anni – grazie al disegnatore svizzero Ernst Sonderegger, che ha contatti con il Gruppo dei XX di Bruxelles – l’arte di Ensor nel 1906 e di Van Gogh nel 1907, e solamente successivamente, vede esposte le opere dei post-espressionisti francesi (Bonnard, Vuillard) nel 1908.

Di Van Gogh Klee apprezza moltissimo le lettere. “Van Gogh mi è congeniale. ‘Vincent’ nelle sue lettere. La natura non è forse così trascurabile. Non è il caso, dopo tutto, di parlare dell’odore della terra, è troppo particolare. Le parole per definirlo, penso, sono troppo particolari . È stupefacente che all’inizio Van Gogh sia umanamente così nobile e meno valido come pittore, e che il meraviglioso artista dell’ultimo periodo sia umanamente così segnato. Si dovrebbe poter trovare uno stato intermedio fra questi estremi, e allora varrebbe la pena far di tutto per essere se stessi così” [127]. Sulla pittura manifesta invece riserve: “Il suo pathos mi è estraneo, soprattutto nella mia fase attuale, ma nessun dubbio che sia un genio. Patetico fino alla morbosità, questa natura minacciata può riuscire pericolosa per chiunque non sappia considerarla nel suo insieme. Un cervello soffre per il fuoco di un astro. Si libera nella sua opera poco prima della catastrofe. Un’azione profondamente tragica, di un tragico autentico, il tragico della natura, tragico esemplare.  Come non esser presi dal terrore?” [128]

È forse tentato dal colore di Van Gogh, ma non vuole porlo al centro della sua creazione: “Talvolta mi affascina la risonanza del colore ma, preso alla sprovvista, non ho la capacità di trattenerla.” [129] Invece – come vedremo – questa pur breve fase si caratterizza per un’alternanza di sviluppi: “Oscillo tra la sobrietà degli ultimi studi tonali dal vero che ho realizzato febbrilmente nei sobborghi, munito di cavalletto e cartelle, e il genere fantastico alla Ensor.” [130] Sono tutti sviluppi di una ricerca di uno stile proprio: “Trova un proprio stile colui che non può fare altrimenti, ossia che non può non farlo. La via allo stile: gnôthi seautón.” [131] Sulla tonalità, esulta: “Ho imparato a distinguere fra tonalità (con o senza colori) e cromatismo. L’ho capito.” [132] Ciò significa che l’interpretazione della pittura neo-impressionista è tutta affidata a variazioni tonali monocromatiche (o al massimo al bianco ed al nero) e non al contrasto tra colori. “Il cambiamento si è poi prodotto in modo brutale; durante l’estate 1907 mi sono consacrato interamente alla natura e su questi studi ho basato, nel successivo periodo 1907-1908, i paesaggi in bianco e nero dipinti su vetro.” [133] Ed infine: “… ho studiato le tonalità della natura, mediante l’applicazione per strati successivi di acquarello nero diluito. Ogni singolo strato deve asciugare perfettamente. In tal modo si forma una proporzione matematica di chiaroscuro.” [134]

Ecco – per esempio – che cosa scrive della pittura su vetro: “Il balcone, su vetro, 1908 …. un lavoro che è riuscito bene e rivela una particolare freschezza di forma. Questo quadro l’avevo già visto alcuni giorni prima dal balcone della cucina, il mio unico modo per uscire. In seguito sono riuscito a liberarmi da ogni dettaglio casuale di questo frammento di ‘natura’, sia nel disegno che nella tonalità, per renderne soltanto l’aspetto tipico, secondo una genesi formale ponderata. Sono ormai realmente uscito dal groviglio? Il balcone della cucina, il terreno incolto, la Hohenzollernstrasse. Prospettiva di un recluso, in molteplici direzioni.” [135]

Tuttavia, Klee coglie presto i limiti di quest’esperienza: “La pittura naturalistica, a cui mi dedico di continuo in vista di un orientamento e di un apprendimento rigorosi, ha soprattutto lo svantaggio di non offrire alcuno sblocco alla mia capacità di produzione lineare. Nel naturalismo non vi sono, per così dire, linee in quanto tali, poiché esse hanno l’unica funzione di delimitare macchie tonali o di colore.” [136] Ed invece, Klee non sarebbe Klee – fin dall’avvio della sua esperienza artistica – se alla linea non fosse assegnato il ruolo di un “elemento pittorico autonomo”. Ed è egli stesso ad indicare – in una pagina dal chiaro carattere retrospettivo – il successivo sviluppo della sua arte in senso espressionista: “Un’opera d’arte supera il naturalismo quando la linea appare come elemento pittorico autonomo, come nei disegni e nei dipinti di Van Gogh e nell’opera grafica di Ensor. In quest’ultimo la giustapposizione delle linee è notevole nelle sue figurazioni grafiche.” [137]

Mi si rivela così, in senso generale, una via verso un ambito che si addice alla mia linea. Posso finalmente uscire dal vicolo cieco dell’ornamento, in cui mi ero perduto nel 1907! Fortificato dai miei studi sulla natura, potrò osare di entrare nuovamente sul mio terreno originario dell’improvvisazione psichica. Vincolato qui solo in modo del tutto indiretto a impressioni della natura, potrò arrischiarmi nuovamente a rappresentare ciò che ossessiona l’anima. A esprimere esperienze vissute suscettibili, nella cieca notte, di trasformarsi in linee. Qui da gran tempo giace sepolta una possibilità creatrice nuova che solo il timore dell’isolamento mi aveva indotto ad abbandonare. In tal modo la mia pura personalità potrà esprimersi con una libertà più grande.” [138]


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NOTE

[71] Tutti i testi dei Diari sono tratti dall’edizione italiana del 2012. Klee Paul – Diari 1898-1918. Traduzione di Angelica Tizzo. Con un uno scritto di Elena Pontiggia, Milano, Abscondita, 2012, pp. 389. Citazione dal paragrafo 926 o.

[72] Nolde, Emil – Jahre der Kämpfe (Anni delle battaglie), Berlin, Rembrandt Verlag, 1934, pp.262. Citazione a pagina 93.

[73] Paul Klee. Con un contributo di Cathrin Klingsöhr-Leroy, Monaco, Klinkhardt & Biermann, 2012, 72 pagine. Citazione a pagina 11.

[74] Dantini, Michele, Klee, Milano, Jaca Books, 1999, 224 pagine. La citazione è a pagina 8.

[75] Dantini, Michele, Klee, (citato), p. 8

[76] Klee, Paul – Diari 1898-1918. Prefazione di G. C. Argan. Traduzione di Alfredo Foelkel. Con una nota di Felix Klee, Milano, Il Saggiatore, 1960, xix più 427 pagine. La citazione è a pagina ix.

[77] Paul Klee. Das Frühwerk 1883-1922 (I primi lavori 1888-1922), Monaco, Städtische Galerie im Lenbachhaus, 1979, pp. 555.

[78] Paul Klee. Das Frühwerk 1883-1922 (citato), p. 10.

[79] Paul Klee. Das Frühwerk 1883-1922 (citato), p. 13.

[80] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 430.

[81] Paul Klee 18979-1940, Monaco, Haus der Kunst (Casa dell’arte), 10 ottobre 1970 – 3 gennaio 1971. 67 pagine di testo e 233 figure fuori testo.

[82] Paul Klee. Das Frühwerk 1883-1922 (citato), p. 13.

[83] Dantini, Michele, Klee, (citato), p. 9.

[84] Paul Klee. Das Frühwerk 1883-1922 (citato), p. 37.

[85] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 429.

[86] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 429.

[87] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 429.

[88] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 430.

[89] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 536.

[90] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 430.

[91] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 453.

[92] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 425.

[93] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 425.

[94] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 733.

[95] Klee, Paul – Briefe and die Familie (Lettere alla famiglia), DuMont, 1979. Si vedano i seguenti passaggi: “Knirr vuole far di me in tutti i modi un Klinger. Trovo che sia una maledizione” (p.35). “Il Beethoven di Klinger è uno scandalo. Io odio questo arrivista brutale. Egli sta a pennello con la vuota secessione viennese.” (p.239)

[96] Citato in Paul Klee. Das Frühwerk 1883-1922 (citato), p. 50.

[97] Paul Klee. Das Frühwerk 1883-1922 (citato), p. 34.

[98] Das Frühwerk 1883-1922 (citato), p. 47.

[99] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 429.

[100] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 485.

[101] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 512.

[102] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 122.

[103] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 140.

[104] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 374.

[105] Paul Klee. Das Frühwerk 1883-1922 (citato), p. 39-44.

[106] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 171.

[107] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 391.

[108] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 390.

[109] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 294.

[110] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 341.

[111] Citato in Paul Klee. Das Frühwerk 1883-1922 (citato), p. 47.

[112] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 420.

[113] Paul Klee. Das Frühwerk 1883-1922 (citato), p. 39-44.

[114] Paul Klee. Das Frühwerk 1883-1922 (citato), p. 53.

[115] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 582.

[116] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 693.

[117] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 122.

[118] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 779.

[119] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 781-782.

[120] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 660.

[121] Dantini, Michele, Klee, (citato), p. 13.

[122] Dantini, Michele, Klee, (citato), p. 13.

[123] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 578. 

[124] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 416.

[125] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 615.

[126] Di diversa opinione Marcel Franciscono, che ritiene di vedere influenze di Picasso e Cezanne nell’ allegoria “Pessimismo simbolico della montagna” del 1904. Si veda Paul Klee. Das Frühwerk 1883-1922 (citato), p. 55.

[127] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 808.

[128] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 816.

[129] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 808.

[130] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 798.

[131] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 825.

[132] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 811.

[133] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 831.

[134] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 840.

[135] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 813a.

[136] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 842.

[137] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 842

[138] Klee Paul – Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 842.

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