Francesco Mazzaferro
I Diari di Paul Klee
Parte Seconda: musica, poesia, eros e astrazione
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Fig. 7) Una pagina dei Diari, con i paragrafi 926l e 926m dal Diario III (Viaggio in Tunisia) |
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Viene naturale immaginare un volume di memorie come una sequenza lineare di
avvenimenti che cominciano dall’infanzia e s’interrompono solo con la morte.
Ovviamente, anche nel caso dei Diari
di Klee, un aspetto di linearità cronologica esiste: i quattro quaderni occupano
vent’ anni della sua vita (dal 1819 al 1918). Sarebbe però profondamente
sbagliato considerare il testo come una semplice cronaca biografica della vita
di un pittore, scritta senza che vi siano un quadro unico, una serie di motivi
conduttori ed una comunanza di temi che emergono ovunque in filigrana. I Diari hanno in realtà un loro rigore
interno che si basa (i) sull’uso metrico, musicale della lingua, (ii) sul ruolo
ritmico della poesia come elemento ricorrente nella musicalità del testo, (iii)
su un erotismo pervasivo, come elemento originario comune e (iv) su
un’atmosfera di rigorosa astrazione intellettuale, dove ogni fatto della vita
deve essere sempre rapportato a temi fondamentali, originari e trascendenti. Si
possono così considerare i Diari alla
stregua di una delle immagini pittoriche di Klee, dove l’alternanza di segni (i
punti, le linee, gli spazi e le superfici) e colori in un quadro compositivo
stringente crea un equilibrio tra forme e abbinamenti cromatici. Sono gli
elementi visivi della composizione. Allo stesso modo, a mio parere, dai Diari emergono quattro elementi motori:
musica, poesia, eros ed astrazione.
Musica
Il semplice dato biografico non è però sufficiente a qualificare il ruolo
della musica per Klee. Tutto è musica nel suo diario. In primo luogo la
scrittura. Giulio Carlo Argan lo riconosce immediatamente, quando fa
riferimento al “ritmo” dei Diari [27]. Bisogna ricordare – da questo punto di
vista – che un musicista non solo legge e vede la musica, ma che essa diviene
in lui un linguaggio dominante su quello della parola. E non vi è dubbio che il
tempo, la durata ed il ritmo sono per Klee concetti che non si applicano solo alla musica, ma anche alla prosa, alla poesia e alla pittura.
Nel Klee scrittore dei Diari, la
musica domina il testo. In primo luogo da un punto di vista strutturale: le
pagine dei quattro quaderni che compongono il testo sono suddivise in circa
mille paragrafi a numerazione continua. Si tratta di una scelta intenzionale.
La scansione in paragrafi va letta come elemento strutturale e fondante dei Diari, nella logica di una partitura,
dove la scrittura musicale si divide in battute.
Ma la stessa prosa del diario ha una sua musicalità ritmica, con passaggi
che non possono che ricordare i diversi andamenti della partitura. Spesso,
interi paragrafi appaiono come se stessimo leggendo poesia in prosa: sono
infatti basati su una struttura ritmica omogenea, fatta di unità di medesima
lunghezza, legate tra loro linearmente, senza alcuna subordinazione. Un
appassionato di musica di quel tempo avrebbe parlato di Sprachgesang, oggi si parlerebbe di rap. A variare sono l’estensione di queste unità di base del
periodo e la loro velocità. Vi sono pagine accelerate, in cui le unità di base
sono brevi e tutto, dalla punteggiatura al ritmo, ricordano l’andamento di un prestissimo, ed altre in cui le unità di
base sono più lunghe esattamente di un terzo, la successione più composta, ed
il cui andamento sembra dunque un andante.
Ecco due esempi: il paragrafo 279 sull’arrivo di Klee e del suo compagno di
viaggio Haller a Genova è un prestissimo,
il paragrafo 389 sull’arrivo di Klee a Napoli è un andante.
GENOVA
“Arrivo a Genova di notte. Il mare
al chiaro di luna. Aria meravigliosa. Atmosfera solenne.
Abbruttito come bestia da soma dalle
infinite impressioni. Per la prima volta il mare di notte, contemplato da un
promontorio. Il porto immenso, i giganteschi piroscafi, gli emigranti e gli
scaricatori. La grande città meridionale.
Avevo un’idea vaga del mare, ma non
della vita in un porto. Vagoni, minacciose gru a vapore, carichi di merce,
uomini lungo argini di solida muratura, scavalcanti funi. Evitare i barcaioli:
‹La città, il porto!›, ‹Le navi da guerra americane›, ‹I fari! ›, ‹Il mare!›.
Sedersi sui grossi cavi di ferro. Clima insolito. Piroscafi da Liverpool,
Marsiglia, Brema, dalla Spagna, dalla Grecia, dall’America. Ispirano rispetto
per la vastità del mondo. Centinaia di vapori accanto a innumerevoli velieri,
rimorchiatori. E soprattutto la gente. Là le figure più strane, col fez. Qui,
sugli argini, emigranti, italiani del Sud, accampati, raggruppati a spirale al
sole come lumache, gesticolare scimmiesco, madri con lattanti al petto. I
bambini più grandicelli giocano, bisticciano. Un vivandiere si fa largo con un
recipiente fumante – frutti di
mare [nota: in italiano nel testo]. Acre odore d’olio bollente. Poi gli
scaricatori di carbone, imponenti, ben proporzionati, il torso nudo, agili e
flessuosi, discendono dal battello, percorrendo una lunga passerella, il carico
sulla schiena (in testa un fazzoletto), raggiungono il molo e poi il magazzino,
per la pesatura. E, liberati dal loro fardello, risalgono a bordo, per un’altra
passerella, dove li attende un’altra cesta piena. In un perpetuo circuito,
bruniti dal sole, neri di carbone, selvaggi, sprezzanti. Laggiù un pescatore.
L’acqua ripugnante non può ospitare nulla di buono. Non pesca nulla, e neppure
gli altri. Gli arnesi: una corda, con un sasso attaccato, una zampa di gallina,
un mollusco.
Sugli argini case e magazzini. Un
mondo a sé. Noi semplici oziosi. Eppure fatichiamo, almeno con le gambe.”
NAPOLI
“In confronto a Genova, Napoli è
indolente, sudicia e malata. In confronto a Napoli, Genova è unilaterale.
Napoli ha il più grande splendore accanto alla più grande miseria: vita del
porto, passeggiate del porto, passeggiate sul corso, teatro dell’opera di alto
livello, perfino un pezzo di Roma: il Museo Nazionale. Accanto la natura
paradisiaca, impareggiabile. Il mare di Genova più possente, ma anche più
monotono. Qui un vero golfo, inquadrato da strane montagne e chiuso da isole
caratteristiche. E questo spettacolo posso ammirarlo dal balcone della mia
camera. Giace ai miei piedi, come un gigantesco anfiteatro, la città meravigliosa
con il suo gigantesco brusio. A sinistra la città vecchia con il porto e il
Vesuvio, a destra la moderna Villa Nazionale e Posillipo. Tutt’intorno alla
casa giardini di un verde tenero, dalle forme fantastiche, e miriadi di fiori.
Salita del Petrajo, Villa de Rosa 48, Pensione Haase, Napoli: così si chiama
questa favolosa vedetta panoramica. Il mare è meravigliosamente azzurro e
calmo. La città, un quadro di mutevoli macchie: facciate di case, nella luce e
nell’oscurità, strade bianche, strisce di parchi di un verde cupo. Al cospetto
di un tale spettacolo si pensa alla tentazione di Cristo. Ci si inebria di
felicità, si è librati tra sfere risplendenti, divenute il centro del mondo. Ma
anche si lavora, non tutto è solenne festa come quest’ora. Giù al porto, un
mondo inquietante di un tono totalmente diverso da quello della canzone Santa
Lucia. Sono esseri umani, codesti? Spaventosamente miseri, malati, giacciono al
sole, pidocchiosi, cenciosi, seminudi. Un orrore assetato di sapere, privo di
ogni carità, mi attira verso di loro. Voluttà dell’anima artistica nel
lasciarsi infettare così. Sorrido nel mio sdegno, perché so che la mia arte
esige tutto questo come stimolo. I suoi fiori appassiranno sino al sommo
potenziamento. Possa venire il giorno della prova. Poter conciliare gli
opposti! Esprimere la molteplicità con una sola parola!”
Musica, arte e letteratura. L’analisi dei Diari ci rivela un’impressionante tavola di concordanze
stilistiche. L’edizione critica del 1988 contiene un’eccezionale indice dei
brani musicali suonati da Klee e da lui menzionati nei Diari, sia quelli che suona per diletto (è qui che si rivelano le
preferenze personali) sia quelli che sono parte della sua attività
concertistica professionale (spesso con annotazioni in tono autocritico), in
modo tale da poter tracciare un quadro complessivo del suo universo musicale e
confrontarlo con quello pittorico. Ecco che cosa se ne ricava.
In primo luogo, alla sua chiara avversione in pittura per qualsiasi monumentalità
dell’arte corrisponde la sua insofferenza per le forme dilatate della partitura
sinfonica dei decenni precedenti. Klee rigetta chiaramente Mahler e Bruckner (“Non è questa la strada che la musica deve
prendere, se non in modo del tutto transitorio”) [28]; gli piacciono
certamente le opere di Wagner, ma non ne scrive con il fanatico entusiasmo
consueto nella sua epoca; infine, aggiunge di non gradire come viene suonato
l’ultimo movimento della Nona di Beethoven, quello che è amplificato dall’Inno alla gioia di Schiller, e dice di
poterlo godere solamente se ne legge la musica ed immagina la sonorità (“Non
amo ascoltare l’ultimo movimento, preferisco rappresentarmelo. In realtà
difetta sempre della giusta intonazione” [29]). Allo stesso modo non è
ammaliato da Michelangelo pittore o da San Pietro. L’arte è dunque prima di
tutto compostezza, ordine e misura.
In secondo luogo, al suo interesse per un’arte lineare e concisa, tutta
raccolta entro un sistema coerente di segni (si pensi all’interesse per l’arte
paleocristiana), coincide la chiara preferenza per lo strumentalismo barocco,
per la sua essenza matematica, segnata da un sistema armonico certo e chiuso.
Va qui detto che, se Klee odia il barocco visivo di Bernini, e il suo continuo
desiderio di stupire, per le ragioni opposte adora il barocco musicale,
matematico e geometrico, di Bach (le cantate, le passioni, gli oratori, i
concerti).
Vi è molta attinenza tra la scoperta del ruolo centrale della struttura
architettonica intrinsecamente presente in ogni immagine (e dunque in ogni
quadro), l’amore per la geometria del contrappunto in una partitura e
l’astrazione nell’arte figurativa. “Laggiù
[nota dell’editore: in Italia] ho compreso – io che ero vicinissimo all’arte
astratta – il carattere architettonico dell’arte figurativa (oggi direi il
costruttivo).” [32]. E viceversa, vi è una piena corrispondenza tra una
partitura di Bach, nella sua coerenza architettonica e nella sua economia di
strumenti tonali, da un lato e – dall’altro lato – l’idea dell’economia
nell’uso degli strumenti lessicali e pittorici, nel quadro di sistemi coerenti
ed universali. Ancora una volta: arte come economia strutturale degli strumenti.
Arte come essenzialità. Scrive ancora Klee:
“Come l’uomo, anche il quadro ha
scheletro, ha muscoli, ha pelle. Si può così parlare di una sua specifica
anatomia. Un quadro il cui soggetto sia un ‘uomo nudo’ non può essere dipinto
secondo l’anatomia umana, ma secondo quella del quadro. Per prima cosa si erige
un’impalcatura per l’opera da dipingere. Di quanto si possa allontanarsi da
essa, è facoltativo. Iniziando dall’impalcatura si può produrre un effetto
pittorico più profondo di quello possibile partendo dalla sola superficie.
Ai libri, alle federazioni di
parole, preferisco usare una sola parola animatrice. Naturalmente essa esige
che qualcuno l’ascolti. È necessario che i molteplici intervalli inerenti a
questa singola parola siano almeno percepibili nello stato onirico.
Un libro si compone di parole e di
caratteri separati, accumulati in misura sufficiente per fornire un senso. Solo
il giornalista di professione può dilapidare in questo modo il suo tempo. Uno
spirito nobile lavora all’essenzialità della parola, non alla sua molteplicità.
Oltre agli elementi strutturali del
dipinto ho studiato le tonalità della natura, mediante l’applicazione per
strati successivi di acquarello nero diluito. Ogni singolo strato deve
asciugare perfettamente. In tal modo si forma una proporzione matematica di
chiaroscuro. Socchiudendo gli occhi si valuta più facilmente la misura delle
immagini in natura.” [33]
In terzo luogo, la passione nell’arte visiva per un segno incisivo e
nervoso (si vedano le righe nei Diari sul
San Sebastiano di Donatello, letto come un’opera gotica, quasi come se si
trattasse di un Grünewald del rinascimento italiano [34]) e il suo disappunto
per Raffaello [35] (da lui considerato, come anche nelle pagine delle memorie
di Emil Nolde, il tipo antitetico per un pittore dell‘Europa settentrionale)
sono gli stessi sentimenti che decretano la preferenza per la musica d’archi di
Beethoven, e la sua capacità di raggiungere effetti tonali vicini alla
dissonanza, e forse anche lo scetticismo verso il Deutsches Requiem di Brahms (“non
posso condividere la predilezione di tanti melomani per quest’opera” [36]).
Da ultimo, però, è evidente anche l’incomprensione di Klee per la musica
sinfonica contemporanea, compresa quella di chiave espressionista, come il Pierrot Lunaire di Arnold Schönberg [37]
del 1912, definito con il termine tedesco “toll”,
che oggi è divenuto un aggettivo d’apprezzamento, ma in quegli anni indica
disapprovazione per effetto di mancanza di logica interna: tradotto in italiano
come ‘stravagante’ e ‘pazzo’ nelle versioni del 2012 e del 1960, extravagant nella versione francese e mad in quella inglese. È un passaggio
importante dei Diari: siamo in quello
stesso paragrafo 916 in cui Klee esalta i futuristi italiani, cita passaggi del
manifesto futurista e (nell’edizione critica del 1988) fa riferimento a Nolde.
Dunque, grande interesse per l’innovazione dell’arte visiva, ma conservazione delle
strutture armoniche musicali. Non a caso, la più moderna delle opere liriche
che gli piacciono (“la più bella opera
dopo la morte di Wagner” [38]) è il Pelleas
et Mélisande di Debussy del 1902, composta dieci anni prima del Pierrot Lunaire, una partitura molto
innovativa e di estrema bellezza, ma ancora pienamente tonale.
“Riflessioni alla finestra aperta
della tesoreria [nota dell’editore: della caserma]. Tutto il transitorio è solo un simbolo. Quel che vediamo è una
proposta, una possibilità, un espediente. La verità si cela invisibile alla
base di tutte le cose. Dal punto di vista cromatico, quel che ci affascina non
è l’illuminazione, ma la luce. La luce e l’ombra formano il mondo grafico. Più
ricca fenomenicamente di un giorno assolato, è la chiarità diffusa di un cielo
lievemente velato. Sottili nebbie poco prima che risplenda l’astro. Dipingere
tutto questo è arduo perché l’istante fugge. Deve penetrare nell’anima.
La forma deve fondersi con la
concezione del mondo.
Il semplice movimento ci sembra
banale. L’elemento temporale va eliminato. Ieri e oggi come simultaneità. La
polifonia nella musica può rispondere in una certa misura a questa esigenza. Un
quintetto del Don Giovanni è più vicino al nostro spirito che il
movimento epico del Tristano. Mozart
e Bach sono più moderni del XIX secolo. Se nella musica l’elemento temporale
potesse venir superato da un movimento a ritroso che penetrasse sino alla
coscienza, sarebbe concepibile una seconda fioritura.” [39]
Se dunque il tentativo è quello di annullare la dipendenza della musica dal
tempo, la pittura offre uno strumento straordinario: ciò che Klee chiama
‘pittura polifonica’. “La pittura
polifonica supera in tal senso la musica, in cui il temporale è più dello
spaziale. Il concetto di simultaneità vi si manifesta con maggiore ricchezza.”
[40] Sono già gli elementi che saranno al centro della sua riflessione alla
Bauhaus.
Poesia
Se la prosa dei Diari è dominata
dalla musica e dalla sua metrica, non è un caso che essi ospitino un centinaio di liriche, ovvero gran parte della sua
produzione poetica, che il figlio Felix pubblica nel 1960 con l’editore Arche
di Zurigo, e che da allora vede ben dieci tra ristampe e nuove edizioni in tedesco,
con la più recente nel 2013 [41]. In italiano le poesie sono tradotte nel 1979
da Guanda, grazie ad uno scrittore di grande spessore come Giorgio Manacorda, e
poi ripubblicate da Nuova Guanda nel 1995 ed infine da Abscondita nel 2000, con
il contributo aggiuntivo di Ursula Bavaj.[42] Non esistono, almeno a mia
conoscenza, altre traduzioni complete delle poesie di Klee. Nel mondo
anglosassone val la pena però di ricordare gli studi su Klee del grande
linguista russo-americano Roman Jakobson [43] ed un’estesa monografia su Paul
Klee come poeta/pittore di Kathryn Porter Aichele. [44]
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Fig. 8) L'edizione italiana (2000) delle Poesie di Klee, con una postfazione di Giorgio Manacorda |
I Diari documentano come Klee,
fin da giovane, s’indirizzi indifferentemente verso musica, pittura,
scrittura, poesia, filosofia, disegno (e
persino scultura), e in fondo li veda come aspetti complementari di un’unica
arte. Ecco alcuni passaggi che documentano le sue considerazioni.
“La musica è per me come una donna
stregata dall’amore.
Avrò la gloria come pittore?
Oppur come scrittore, o come poeta lirico moderno? Infauste fantasie.
Così rimango senza vocazione e perdo tempo.” [45]
Avrò la gloria come pittore?
Oppur come scrittore, o come poeta lirico moderno? Infauste fantasie.
Così rimango senza vocazione e perdo tempo.” [45]
“Mi rafforzo sempre più nell’opinione
che la pittura sia la mia vera vocazione. All’infuori di essa, solo la parola
mi affascina. Forse un giorno, giunto a piena maturità, me ne servirò.”
[46]
“Ventun anni compiuti! Della mia forza
vitale non ho mai dubitato. Ma come andrà con l’arte che ho scelto? In
definitiva, esser poeta, la coscienza di esserlo, non dovrebbe ostacolare
l’arte figurativa. E se dovessi decidermi per la poesia, solo Dio sa cos’altro
vorrei fare. In me certamente ondeggia un mare, perché sono sensibile.
L’irrimediabile è sentire con tanta intensità che ovunque imperversa la
tempesta, e da nessuna parte vi è un nume che domini il caos.“ [47]
“Nella primavera di questo 1901
stabilii il seguente programma: al primo posto, l’arte della vita; poi, in
quanto occupazioni ideali, l’arte poetica e la filosofia; in quanto occupazione
materiale, l’arte plastica; infine, in mancanza di una rendita, l’arte del
disegno (illustrazione).” [48]
“Tensione filosofica. Orientamento
ottimistico. L’unica remora è che dedicandomi troppo alla filosofia e alla
creazione poetica possa esser distolto dal compito essenziale.” [49]
Nella sua monografia la Porter Aichele sottolinea che Klee – se paragonato
agli altri poeti pittori (in tedesco, Dichtermaler)
della sua generazione (come l’espressionista Kandinskij o i surrealisti Arp e
Breton, o i futuristi italiani) tende a fare un uso ancora tradizionale della
poesia, almeno negli anni dei Diari
(diverrà molto più sperimentale, anche come poeta, negli anni della Bauhaus,
componendo i cosiddetti Schriftbilder,
le immagini composte di scritture, che fondono pittura e poesia). Manacorda
compara le sue liriche a quelle del poeta maledetto Georg Trakl (1887-1914),
uno dei maestri dell’espressionismo letterario di lingua tedesca, famoso per il
continuo uso di contrasti cromatici violenti: nulla di ciò in Klee.
Scrive Manacorda: “Se nei Diari la
sua attenzione è rivolta ai meccanismi e non ai colori che li rivestono, a
maggior ragione nella sua poesia non compaiono colori. Eppure un pittore poeta
d’ambito espressionista lasciava pensare che il colore potesse trovare una
vasta utilizzazione nel momento della scrittura. Nei poeti espressionisti l’uso
del colore in funzione metaforica è continuo e perfino, in certi casi,
dominante. […] Con l’unica eccezione del verde, (…) la cromaticità delle poesie
di Klee si limita a tonalità di chiaroscuro: ‘hell’ [chiaro], ‘klar’ [chiaro],
‘blass’ [pallido], ‘schwarz’ [nero]. La penombra e i netti contrasti tra la
luce ed il buio rinviano a mondi interiori dove buio, luce e penombra
significano qualcosa di più dell’illuminazione ambientale. Non si tratta di
valenze cromatiche ma metaforiche: si descrivono paesaggi astratti (interiori)
più che paesaggi reali (esterni). Si ha la sensazione che nelle poesie Klee
tendesse all’astratta precisione, all’immaterialità leggendaria e alla
spontaneità ‘automatica’ cui tendeva nel disegno. Tutta la sua opera di pittore
è segnata da questa tendenza all’astrazione mitica e archetipica.” [50]
Facendo riferimento ad un famoso articolo del critico d’arte americano
Clement Greenberg del 1941 [51] e alla sua definizione del disegno di Klee come
“temporale o musicale”, Manacorda identifica i “valori ritmici” (“tempo spazio
musica”) come gli elementi centrali della poesia di Klee. [52]
Insomma, per Klee la poesia è strumento di comprensione intima della vera
essenza della natura, e tale comprensione passa attraverso il superamento delle
differenze tra arte spaziale (le belle arti) ed arte temporale (la musica), ma
anche tra esistenza terrena ed esistenza metafisica. La poesia è una forma
intermedia tra mondi diversi, per la sua capacità di evocare – in forma
rarefatta – pensieri, immagini e suoni.
Leggiamo insieme alcuni versi a cui Klee affida la definizione della
creazione artistica, come attività divina, che lo pone al di là del mondo
terreno. Il compito dell’artista non è quello di identificare le proporzioni
naturali, ma di avere un rapporto profondo, e quasi religioso, con la natura,
alla scoperta dell’essenza del mondo
- I -
Io sono Dio
Tanta divinità
Si è accumulata in me
Che non posso morire
La mia
testa brucia da scoppiare
Uno dei mondi
Che nasconde
Deve nascere
Ma prima di creare
Devo
soffrire [53]
- II -
Cosa fa l’artista?
Crea forme e spazi!
Ma come li crea?
Scegliendo proporzioni…
Crea forme e spazi!
Ma come li crea?
Scegliendo proporzioni…
Oh satira,
pena degli intellettuali [54]
pena degli intellettuali [54]
- III -
Io sono Dio?
Ho accumulato in me tante cose
grandi che la mia testa
arde e si spacca. Deve
contenere un eccesso di forza.
Volete – ma ne siete degni? – che lei
sia partorita per voi?
(A parte) Anche loro non erano degni
di colui che avevano crocifisso.
Più
realisticamente: il genio
vive in una serra, ma
infrangibile e gravida d’idee.
Delirando crolla dopo ogni nascita
e con le mani afferra
chi passa davanti alla finestra.
L’artiglio del demone attacca,
il pugno di ferro spacca.
Altrimenti saresti un modello,
ride tra i denti radi, per me
sei materia per i miei lavori.
Ti spiaccico al muro
di vetro e ci resti appiccicato
magma proiettato…
vive in una serra, ma
infrangibile e gravida d’idee.
Delirando crolla dopo ogni nascita
e con le mani afferra
chi passa davanti alla finestra.
L’artiglio del demone attacca,
il pugno di ferro spacca.
Altrimenti saresti un modello,
ride tra i denti radi, per me
sei materia per i miei lavori.
Ti spiaccico al muro
di vetro e ci resti appiccicato
magma proiettato…
Poi vengono gli amici dell’arte
e con distacco osservano l’opera sanguinante.
e con distacco osservano l’opera sanguinante.
Poi arrivano i fotografi.
ARTE NUOVA scrivono sui giornali.
E le riviste specializzate
le danno un nome che finisce in ISMO. [55]
ARTE NUOVA scrivono sui giornali.
E le riviste specializzate
le danno un nome che finisce in ISMO. [55]
- IV -
Io sto all’erta
io non sono qui
io sono nella profondità…
sono lontano…
io sono tanto lontano…
Io ardo con i morti [56]
I quattro componimenti poetici sulla creazione artistica appena citati
raccolgono cronologicamente, nei Diari,
un periodo tra il maggio 1901 (paragrafo 155) e l’aprile 1914 (paragrafo 931).
Si tratta comunque di temi centrali nel pensiero teorico di Klee sull’arte. È
facile pensare che si tratti in realtà di composizioni liriche dei primissimi
anni 1920, inserite nel testo dei Diari
per cadenzarne la lettura, come se si trattasse del coro in una tragedia greca
o in un’opera lirica.
Sul ruolo della poesia per Klee, conclude Andrea Galgano, in un recente
saggio sul “Linguaggio poetico di Paul Klee”:
“La parola acquista un potere
descrittivo che ha il compito di completare e precisare le impressioni; la
continua oscillazione tra poesia e arte figurativa e musicale determina il
motivo potente e fragile di una vicinanza che possa formalizzare il vissuto e
il mistero indicibile. […] La profonda parentela tra la pagina dipinta e quella
scritta non contiene solo la fissazione di uno spazio, ma la stessa sospensione
dell’oggetto determina la perdita dello spessore esistenziale. […] L’acuta
sensibilità, che unisce la profondità chiaroscurale alla miniatura verbale e il
concetto grammaticale alla geometria della visione, permette l’organizzazione
del movimento creativo in relazioni logiche che costituiscono il senso profondo
e complesso di visibile e in-visibile, di domanda e di enigma: ‘Nel mondo
terreno non mi si può afferrare perché io abito altrettanto bene tra i morti
come i non nati. Più vicino del consueto al cuore della creazione ancora troppo
poco vicino’. La fine ha trovato
l’inizio.” [57] I versi finali, che Klee scrive per la monografia su di lui
di Leopold Zahn del 1920, sono quelli che sono stati apposti nel 1940 come
epigrafe sulla sua tomba.
Eros
Se Klee aspira – nella sua attività creatrice – ad elevarsi al di sopra del mondo degli uomini, e paga anzi il prezzo di una sostanziale incapacità emotiva a provare una qualsiasi forma di empatia verso il resto del genere umano, la forza naturale della sessualità lo trattiene a terra, e deve essere perciò vinta. È però una battaglia difficile, che solo il matrimonio permetterà di superare.
Mentre i Diari sono spesso stati
analizzati da storici dell’arte, rimane limitata la riflessione su quel che
essi ci dicono sul mondo emotivo di Klee. I critici d’arte considerano alla
stregua di curiosità quel che l’artista riferisce su stesso, come bambino,
giovane adolescente e adulto, riducendo il tutto ad aspetti episodici. In
effetti, l’artista ha una personalità complessa, ed il lettore dei Diari lo deve accettare, nel bene e nel
male, se non vuole ignorare alcuni aspetti oscuri.
Ecco che cosa scrive Klee sulla propria mancanza di empatia, che pone a
paragone con l’arte e la personalità eccezionalmente calorosa di Franz Marc.
“Marc
è più umano, ama con più calore, con maggiore intensità. (…) Io cerco soltanto
di relazionarmi a Dio, e se sono in armonia con Dio non voglio supporre che gli
altri non siano in armonia con me; questo è affar loro. (…) Il mio ardore somiglia più a quello dei
morti o dei non nati. Non mi stupisce ch’egli fosse amato più di me. I suoi
nobili sentimenti gli conquistavano il cuore di molti. Era un autentico membro
della razza umana, non una creatura neutra. Ricordo il suo sorriso quando al
mio sguardo sfuggivano elementi terreni.
L’arte è una creazione, il suo
valore rimane immutato.
Il senso appassionato dell’umano
probabilmente manca alla mia arte. Io non amo di un terreno amore né gli
animali né la totalità degli esseri. Non mi chino sino a loro, né li elevo a
me. Mi fondo piuttosto nel tutto e così mi pongo su un piano di fraternità con
il prossimo, con tutto quanto di terreno mi circonda. In me l’idea del
terrestre cede di fronte all’idea dell’universale. Il mio amore è lontano e
religioso.
[…]
Sono calore? O gelo? Non è più il
caso di porsi simili domande quando si è andati oltre l’incandescenza. E poiché
non sono molti quelli che vi giungono, rari sono coloro che l’avvertono. Non
v’è sentimento, per quanto nobile, che mi accomuni ai più. L’uomo della mia
opera non è specie, ma punto cosmico, Il mio occhio terreno vede troppo lontano
e così le cose più belle gli sfuggono. ‘Non è in grado di vedere neppure le
cose più belle’ dicono spesso di me.
Arte è sinonimo di creazione.
Neppure Dio si è curato dell’attualità contingente.” [58]
A questa difficoltà delle relazioni interpersonali corrisponde però un
forte orientamento all’erotismo, fin dai ricordi d’infanzia, poi sublimato –
nell’epoca della maturità – in un interesse per la forma artistica.
“Le mie prime impressioni, così
precoci, della bellezza di qualche fanciulla, furono estremamente intense. Mi
rammaricavo di non essere io stesso una fanciulla e di non poter portare quelle
incantevoli mutande bianche ricamate. (Tre-quattro anni”) [59]
“Una notte vidi in sogno gli organi
genitali della domestica, rappresentati da quattro piccoli sessi maschili,
somiglianti vagamente alle mammelle di una mucca. (Avevo due o tre anni.)” [60]
“Alcuni miei disegni pornografici
caddero casualmente tra le mani di mia madre. Una donna col ventre pieno di
bambini, un’altra con una smisurata scollatura. La mamma ebbe il torto di
considerare la cosa dal lato morale e mi rimproverò aspramente. Il disegno
della scollatura si ispirava a un balletto visto a teatro: una ninfa alquanto
prosperosa si curvava verso una fragola, e m’era parso di inabissarmi in una
valle profonda fra colline tondeggianti. Fui colto da uno spavento mortale.
(Undici-dodici anni.)” [61]
“Immaginavo volto e genitali
femminili come poli corrispondenti e nella mia immaginazione vedevo fanciulle
piangenti con il sesso in lacrime.” [62]
Sarebbe davvero molto facile comporre una lunga lista di riferimenti ai
tormenti giovanili. Valgono per tutti
una lirica nei Diari ed un passaggio dal viaggio in Italia. Vi sono alcuni
elementi di ambiguità.
Sensualità
è la docilità della carne
ad una violenza più alta.
è la docilità della carne
ad una violenza più alta.
Occhi accecati dai colori.
orecchie immerse nel suono.
Nasi in profumi.
Così anche gli organi dell’amore. [63]
orecchie immerse nel suono.
Nasi in profumi.
Così anche gli organi dell’amore. [63]
“Non desterà meraviglia se ora mi
accingo a narrare di una fanciulla di circa undici anni. Eravamo seduti nella
nostra graziosa trattoria da Sorgin, quando, come sempre, entrarono dei musici
[nota: in italiano nel testo], accordando
mandolino e chitarra. Il primo pezzo, benché un po’ stonato, fu suonato con
molto sentimento. Verso la fine, la fanciulla, ch’era entrata senza dare
nell’occhio, aveva all’inizio richiamato l’attenzione con qualche gesto
incerto, e all’accordo finale si fece avanti con disinvoltura.
Sapevamo bene cosa ci attendeva; una
scena (e quale scena!). Ho avuto modo di ammirare un’infinità di esibizioni
artistiche, ma nulla di così originale. Una creatura di razza, non precisamente
bella, e anche la sua voce mancava di perfezione. Ma in lei la bellezza era
tutta concentrata nella genuinità dell’espressione. Si intuiva che la fanciulla
anticipava con talento quello che avrebbe potuto vivere più tardi, e che i
sentimenti più forti sono quelli primitivi. L’avvenire è sopito nell’essere
umano e deve solo destarsi. Perciò quella bambina già conosceva l’Eros, di cui
potemmo ammirare tutto il repertorio, dal piccolo couplet alla scena
appassionata e a quella tragica. Al meridionale riesce facile recitare la
commedia poiché il suo atteggiamento di ogni giorno è tanto più vivace e
colorato del nostro. Così quella fanciulla poté mostrarsi com’era realmente.
Procurandoci un modo di gioire della natura stessa.” [64]
“La bestia insita nell’uomo insegue
la donna, che non si mostra del tutto insensibile. Rapporti della donna con
l’animalità. Una piccola messa a nudo della psiche femminile. Accertamento di
una verità che ama velarsi di fronte al mondo esteriore.” [65]
“Per quanto riguarda Donna e bestia,
la donna era troppo indisponente nel primo stadio della composizione. In
seguito le ho tolto quell‘espressione di disgusto. Sul significato del ‘laido’
delle mie figure si potrebbero scrivere lunghe dissertazioni.” [66]
Pur subendo la forza della sessualità come energia terrena, che gli
impedisce di raggiungere piena capacitá creatrice, Klee sente infine la necessità di sublimarla.
Ecco che la ‘forma assoluta’ diviene per lui lo strumento per elevarsi al di
sopra dei bisogni terreni. Scrive sul 1901, quando è ancora giovanissimo: “Per essere sceso talvolta molto in basso, in
questi tre anni ho sentito anche il desiderio e la capacità di purificarmi.
Molti progetti lo attestano. Da ultimo, non manca neppure il bisogno della
forma assoluta. In tal modo comincia a ristabilirsi l’equilibrio. Che con esso
abbia coinciso il mio fidanzamento è del tutto logico.” [67]
Astrazione
Tutto quel che si è detto conduce all’idea dell’astrazione: non però nella
forma di un’evasione dalla realtà, ma al contrario di un tentativo di cogliere
la realtà sottesa – costituita da un sistema universale, da una legge
omnicomprensiva – rendendola visibile.
“Considerazioni sull’arte del
ritratto. Nel mio caso, si potrà negare la verità del mio specchio. Ma non è
mia intenzione riflettere la superficie (la qual cosa si ottiene con la
fotografia), bensì penetrare nell’intimo. So riflettere persino i reconditi
moti del cuore. Scrivo parole sulla fronte e attorno agli angoli della bocca. I
miei volti sono più veri di quelli reali.” [68]
“Il mio iniziale disorientamento di
fronte alla natura si spiega col fatto che si comincia con lo scorgerne
soltanto le ultimi ramificazioni, senza poter raggiungere i rami né risalire
alla radice. Ma una volta che uno se ne sia reso conto, può riconoscere anche
nella più lontana fogliolina la manifestazione dell’unica legge che regola il
tutto, e trarne vantaggio.” [69]
“La legge che governa lo spazio,
questo dovrebbe essere il titolo appropriato di uno dei miei futuri quadri.“ [70]
Fine della Parte Seconda
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NOTE
[70] Paragrafo 681
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NOTE
[25] Tutti i
riferimenti ai Diari sono tratti dall’edizione italiana del 2012, pubblicata da
Ascondita. La traduzione è di Angelica Tizzo. Per ogni citazione è riportato il
numero del paragrafo 982.
[26] Paragrafo 597
[27] Klee, Paul –
Diari 1898-1918, Il Saggiatore, 1960. Citazione a pagina IX. “V’è, soprattutto,
un ritmo, spesso scandito dall’inserto non casuale di brevi componimenti
poetici, benché lasciati allo stato d’abbozzo, come schizzi a margine”.
[28] Paragrafo 817
[29] Paragrafo 804
[30] Paragrafo 52
[31] Paragrafo 1124
[32] Paragrafo 429.
È evidente che questo è un commento molto posteriore al 1902, anno a cui si
riferisce il paragrafo. Sappiamo che il Diario III fu ultimato nel 1920-1921.
La traduzione di Foelkel nel 1960 è: “In Italia ho compreso l’architettonica
dell’arte figurativa (oggi direi il costruttivo). Ero allora vicinissimo
all’arte astratta”.
[33] Paragrafo 840
[34] Paragrafo 406
“Donatello è stato l’attrattiva principale. La perfezione stilistica della
statua del Battista. Che il gotico sapesse farmi vibrare ben più intensamente
dell’arte antica e del barocco, non l’avevo ancora compreso con tanta
chiarezza.“
[35] Paragrafo 285:
“Gli affreschi di Raffaello [le Stanze di Raffaello] hanno sostenuto la prova,
ma non senza la mia volontá di farglierla sostenere.” Paragrafo 293: “Raffaello
è più difficile da apprezzare. Strappato premeturamente a un immenso anelito.
Potenzialità indiscutibili, realizzazione caratterizzata da una puerilità
d’apprendista.” Paragrafi 645/49: “Raffaello mi lascia indifferente”.
[36] Paragrafo 499
[37] Paragrafo 916
[38] Paragrafo 847
[39] Paragrafo 1081
[40] Paragrafo 1081
[41] Klee, Paul – Gedichte [Poesie]. A cura di Felix Klee,
Zurich-Hamburg, Arche Paradies, 2013, p. 139
[42] Klee, Paul –
Poesie. A cura di Giorgio Manacorda. Traduzione di Ursula Bavaj e Giorgio
Manacorda, Milano, abscondita, 2000, 241 pagine.
[43] Jakobson, Roman – On the Verbal
Art of William Blake and Other Poet-Painters, in Lingustic Inquiry, 1970. Jakobson, Roman - Hölderlin, Klee, Brecht. Zur
Wortkunst dreier Gedichte [Sulla ricchezza lessicale di tre poesie]. Introduzione di Elmar Holenstein, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1976,
127 pagine
[44] Aichele, Kathryn Porter – Paul
Klee, poet/painter, Rochestery, Camden House, 225 pagine
[45] Paragrafo 67
[46] Paragrafo 93
[47] Paragrafo 121
[48] Paragrafo 137
[49] Paragrafo 175
[50] Klee, Paul –
Poesie (citato), pagine 197 e 200.
[51] Greenberg,
Clement – Saggio su Klee, in: Paul Klee. Preistoria del visibile. A cura di
Claudio Fontana, 1996, Silvana Editoriale, pp. 13-19
[52] Klee, Paul –
Poesie (citato), pagina 201.
[53] Paragrafo 155
[54] Paragrafo 599
[55] Paragrafo 690
[56] Paragrafo 931
[58] Paragrafo 1008
[59] Paragrafo 6
[60] Paragrafo 8
[61] Paragrafo 34
[62] Paragrafo 35
[63] Paragrafo 364
[64] Paragrafo 323
[65] Paragrafo 513
[66] Paragrafo 618
[67] Paragrafo 170
[68] Paragrafo 136
[69] Paragrafo 536
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