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venerdì 17 aprile 2015

Scritti di artisti tedeschi del XX secolo - Paul Klee. I Diari. Parte Seconda: musica, poesia, eros e astrazione


Francesco Mazzaferro
Diari di Paul Klee 
Parte Seconda: musica, poesia, eros e astrazione

[Versione originale: aprile-giugno 2015 - Nuova versione: aprile 2019]

Fig. 7) Una pagina dei Diari, con i paragrafi 926l e 926m dal Diario III (Viaggio in Tunisia)

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Viene naturale immaginare un volume di memorie come una sequenza lineare di avvenimenti che cominciano dall’infanzia e s’interrompono solo con la morte. Ovviamente, anche nel caso dei Diari di Klee, un aspetto di linearità cronologica esiste: i quattro quaderni occupano vent’ anni della sua vita (dal 1819 al 1918). Sarebbe però profondamente sbagliato considerare il testo come una semplice cronaca biografica della vita di un pittore, scritta senza che vi siano un quadro unico, una serie di motivi conduttori ed una comunanza di temi che emergono ovunque in filigrana. I Diari hanno in realtà un loro rigore interno che si basa (i) sull’uso metrico, musicale della lingua, (ii) sul ruolo ritmico della poesia come elemento ricorrente nella musicalità del testo, (iii) su un erotismo pervasivo, come elemento originario comune e (iv) su un’atmosfera di rigorosa astrazione intellettuale, dove ogni fatto della vita deve essere sempre rapportato a temi fondamentali, originari e trascendenti. Si possono così considerare i Diari alla stregua di una delle immagini pittoriche di Klee, dove l’alternanza di segni (i punti, le linee, gli spazi e le superfici) e colori in un quadro compositivo stringente crea un equilibrio tra forme e abbinamenti cromatici. Sono gli elementi visivi della composizione. Allo stesso modo, a mio parere, dai Diari emergono quattro elementi motori: musica, poesia, eros ed astrazione.


Musica

Musicista, figlio di musicisti e sposato ad una musicista, Klee non può vivere senza il suo violino. Riesce addirittura a suonarlo durante gli anni della guerra, anche nei momenti difficili in cui (a causa degli avvenimenti) dice di provare “una grande avversione a dipingere” [25]. Lungo tutti gli anni coperti dal diario è sempre membro, come violinista, di quartetti o quintetti, alcuni costituiti in occasione di concerti pubblici ed altri semplicemente costituiti da amici che vogliono dilettarsi a suonare, per esempio a Monaco; è membro stabile di orchestre sinfoniche a Berna, e con esse va in tournée in altre città svizzere; ovunque viaggi, si reca a sentire concerti e rappresentazioni d’opera, ricavandone impressioni precise e dandoci il proprio resoconto personale sul valore di direttori d’orchestra, orchestre, cantanti e solisti (molto divertenti le pagine in cui racconta come Pablo Casals, forse il più grande violoncellista di tutti i tempi, debba assumere di fatto la funzione di direttore della sua orchestra nel corso di un concerto con musiche di Haydin a Berna, posto che il vero direttore era incapace di dare dal podio i tempi in forma esatta [26]).

Il semplice dato biografico non è però sufficiente a qualificare il ruolo della musica per Klee. Tutto è musica nel suo diario. In primo luogo la scrittura. Giulio Carlo Argan lo riconosce immediatamente, quando fa riferimento al “ritmo” dei Diari [27]. Bisogna ricordare – da questo punto di vista – che un musicista non solo legge e vede la musica, ma che essa diviene in lui un linguaggio dominante su quello della parola. E non vi è dubbio che il tempo, la durata ed il ritmo sono per Klee concetti che non si applicano solo alla musica, ma anche alla prosa, alla poesia e alla pittura.

Nel Klee scrittore dei Diari, la musica domina il testo. In primo luogo da un punto di vista strutturale: le pagine dei quattro quaderni che compongono il testo sono suddivise in circa mille paragrafi a numerazione continua. Si tratta di una scelta intenzionale. La scansione in paragrafi va letta come elemento strutturale e fondante dei Diari, nella logica di una partitura, dove la scrittura musicale si divide in battute.

Ma la stessa prosa del diario ha una sua musicalità ritmica, con passaggi che non possono che ricordare i diversi andamenti della partitura. Spesso, interi paragrafi appaiono come se stessimo leggendo poesia in prosa: sono infatti basati su una struttura ritmica omogenea, fatta di unità di medesima lunghezza, legate tra loro linearmente, senza alcuna subordinazione. Un appassionato di musica di quel tempo avrebbe parlato di Sprachgesang, oggi si parlerebbe di rap. A variare sono l’estensione di queste unità di base del periodo e la loro velocità. Vi sono pagine accelerate, in cui le unità di base sono brevi e tutto, dalla punteggiatura al ritmo, ricordano l’andamento di un prestissimo, ed altre in cui le unità di base sono più lunghe esattamente di un terzo, la successione più composta, ed il cui andamento sembra dunque un andante. Ecco due esempi: il paragrafo 279 sull’arrivo di Klee e del suo compagno di viaggio Haller a Genova è un prestissimo, il paragrafo 389 sull’arrivo di Klee a Napoli è un andante.

GENOVA
“Arrivo a Genova di notte. Il mare al chiaro di luna. Aria meravigliosa. Atmosfera solenne.
Abbruttito come bestia da soma dalle infinite impressioni. Per la prima volta il mare di notte, contemplato da un promontorio. Il porto immenso, i giganteschi piroscafi, gli emigranti e gli scaricatori. La grande città meridionale.
Avevo un’idea vaga del mare, ma non della vita in un porto. Vagoni, minacciose gru a vapore, carichi di merce, uomini lungo argini di solida muratura, scavalcanti funi. Evitare i barcaioli: ‹La città, il porto!›, ‹Le navi da guerra americane›, ‹I fari! ›, ‹Il mare!›. Sedersi sui grossi cavi di ferro. Clima insolito. Piroscafi da Liverpool, Marsiglia, Brema, dalla Spagna, dalla Grecia, dall’America. Ispirano rispetto per la vastità del mondo. Centinaia di vapori accanto a innumerevoli velieri, rimorchiatori. E soprattutto la gente. Là le figure più strane, col fez. Qui, sugli argini, emigranti, italiani del Sud, accampati, raggruppati a spirale al sole come lumache, gesticolare scimmiesco, madri con lattanti al petto. I bambini più grandicelli giocano, bisticciano. Un vivandiere si fa largo con un recipiente fumante – frutti di mare [nota: in italiano nel testo]. Acre odore d’olio bollente. Poi gli scaricatori di carbone, imponenti, ben proporzionati, il torso nudo, agili e flessuosi, discendono dal battello, percorrendo una lunga passerella, il carico sulla schiena (in testa un fazzoletto), raggiungono il molo e poi il magazzino, per la pesatura. E, liberati dal loro fardello, risalgono a bordo, per un’altra passerella, dove li attende un’altra cesta piena. In un perpetuo circuito, bruniti dal sole, neri di carbone, selvaggi, sprezzanti. Laggiù un pescatore. L’acqua ripugnante non può ospitare nulla di buono. Non pesca nulla, e neppure gli altri. Gli arnesi: una corda, con un sasso attaccato, una zampa di gallina, un mollusco.
Sugli argini case e magazzini. Un mondo a sé. Noi semplici oziosi. Eppure fatichiamo, almeno con le gambe.”

NAPOLI
In confronto a Genova, Napoli è indolente, sudicia e malata. In confronto a Napoli, Genova è unilaterale. Napoli ha il più grande splendore accanto alla più grande miseria: vita del porto, passeggiate del porto, passeggiate sul corso, teatro dell’opera di alto livello, perfino un pezzo di Roma: il Museo Nazionale. Accanto la natura paradisiaca, impareggiabile. Il mare di Genova più possente, ma anche più monotono. Qui un vero golfo, inquadrato da strane montagne e chiuso da isole caratteristiche. E questo spettacolo posso ammirarlo dal balcone della mia camera. Giace ai miei piedi, come un gigantesco anfiteatro, la città meravigliosa con il suo gigantesco brusio. A sinistra la città vecchia con il porto e il Vesuvio, a destra la moderna Villa Nazionale e Posillipo. Tutt’intorno alla casa giardini di un verde tenero, dalle forme fantastiche, e miriadi di fiori. Salita del Petrajo, Villa de Rosa 48, Pensione Haase, Napoli: così si chiama questa favolosa vedetta panoramica. Il mare è meravigliosamente azzurro e calmo. La città, un quadro di mutevoli macchie: facciate di case, nella luce e nell’oscurità, strade bianche, strisce di parchi di un verde cupo. Al cospetto di un tale spettacolo si pensa alla tentazione di Cristo. Ci si inebria di felicità, si è librati tra sfere risplendenti, divenute il centro del mondo. Ma anche si lavora, non tutto è solenne festa come quest’ora. Giù al porto, un mondo inquietante di un tono totalmente diverso da quello della canzone Santa Lucia. Sono esseri umani, codesti? Spaventosamente miseri, malati, giacciono al sole, pidocchiosi, cenciosi, seminudi. Un orrore assetato di sapere, privo di ogni carità, mi attira verso di loro. Voluttà dell’anima artistica nel lasciarsi infettare così. Sorrido nel mio sdegno, perché so che la mia arte esige tutto questo come stimolo. I suoi fiori appassiranno sino al sommo potenziamento. Possa venire il giorno della prova. Poter conciliare gli opposti! Esprimere la molteplicità con una sola parola!

Musica, arte e letteratura. L’analisi dei Diari ci rivela un’impressionante tavola di concordanze stilistiche. L’edizione critica del 1988 contiene un’eccezionale indice dei brani musicali suonati da Klee e da lui menzionati nei Diari, sia quelli che suona per diletto (è qui che si rivelano le preferenze personali) sia quelli che sono parte della sua attività concertistica professionale (spesso con annotazioni in tono autocritico), in modo tale da poter tracciare un quadro complessivo del suo universo musicale e confrontarlo con quello pittorico. Ecco che cosa se ne ricava.


In primo luogo, alla sua chiara avversione in pittura per qualsiasi monumentalità dell’arte corrisponde la sua insofferenza per le forme dilatate della partitura sinfonica dei decenni precedenti. Klee rigetta chiaramente Mahler e Bruckner (“Non è questa la strada che la musica deve prendere, se non in modo del tutto transitorio”) [28]; gli piacciono certamente le opere di Wagner, ma non ne scrive con il fanatico entusiasmo consueto nella sua epoca; infine, aggiunge di non gradire come viene suonato l’ultimo movimento della Nona di Beethoven, quello che è amplificato dall’Inno alla gioia di Schiller, e dice di poterlo godere solamente se ne legge la musica ed immagina la sonorità (“Non amo ascoltare l’ultimo movimento, preferisco rappresentarmelo. In realtà difetta sempre della giusta intonazione” [29]). Allo stesso modo non è ammaliato da Michelangelo pittore o da San Pietro. L’arte è dunque prima di tutto compostezza, ordine e misura.

In secondo luogo, al suo interesse per un’arte lineare e concisa, tutta raccolta entro un sistema coerente di segni (si pensi all’interesse per l’arte paleocristiana), coincide la chiara preferenza per lo strumentalismo barocco, per la sua essenza matematica, segnata da un sistema armonico certo e chiuso. Va qui detto che, se Klee odia il barocco visivo di Bernini, e il suo continuo desiderio di stupire, per le ragioni opposte adora il barocco musicale, matematico e geometrico, di Bach (le cantate, le passioni, gli oratori, i concerti).

Riflettendo sulla propria gioventù e sull’incertezza della scelta sul futuro, Klee scrive nel novembre 1897: “Il mio crescente amore per la musica sempre più m’inquieta. Non mi capisco. Eseguo sonate di Bach, cos’è mai Böcklin al confronto? Mi fa sorridere.” [30] E, molti anni dopo, nel pieno della grande guerra: “Le mie cognizioni si sono approfondite grazie alle frequenti esecuzioni di Bach. Mai ho vissuto Bach con tanta intensità, mai mi sono tenuto tanto all’unisono con lui. Quale concentrazione, quale estremo arricchimento in solitudine!” [31]


Vi è molta attinenza tra la scoperta del ruolo centrale della struttura architettonica intrinsecamente presente in ogni immagine (e dunque in ogni quadro), l’amore per la geometria del contrappunto in una partitura e l’astrazione nell’arte figurativa. “Laggiù [nota dell’editore: in Italia] ho compreso – io che ero vicinissimo all’arte astratta – il carattere architettonico dell’arte figurativa (oggi direi il costruttivo).” [32]. E viceversa, vi è una piena corrispondenza tra una partitura di Bach, nella sua coerenza architettonica e nella sua economia di strumenti tonali, da un lato e – dall’altro lato – l’idea dell’economia nell’uso degli strumenti lessicali e pittorici, nel quadro di sistemi coerenti ed universali. Ancora una volta: arte come economia strutturale degli strumenti. Arte come essenzialità. Scrive ancora Klee:

Come l’uomo, anche il quadro ha scheletro, ha muscoli, ha pelle. Si può così parlare di una sua specifica anatomia. Un quadro il cui soggetto sia un ‘uomo nudo’ non può essere dipinto secondo l’anatomia umana, ma secondo quella del quadro. Per prima cosa si erige un’impalcatura per l’opera da dipingere. Di quanto si possa allontanarsi da essa, è facoltativo. Iniziando dall’impalcatura si può produrre un effetto pittorico più profondo di quello possibile partendo dalla sola superficie.

Ai libri, alle federazioni di parole, preferisco usare una sola parola animatrice. Naturalmente essa esige che qualcuno l’ascolti. È necessario che i molteplici intervalli inerenti a questa singola parola siano almeno percepibili nello stato onirico.

Un libro si compone di parole e di caratteri separati, accumulati in misura sufficiente per fornire un senso. Solo il giornalista di professione può dilapidare in questo modo il suo tempo. Uno spirito nobile lavora all’essenzialità della parola, non alla sua molteplicità.

Oltre agli elementi strutturali del dipinto ho studiato le tonalità della natura, mediante l’applicazione per strati successivi di acquarello nero diluito. Ogni singolo strato deve asciugare perfettamente. In tal modo si forma una proporzione matematica di chiaroscuro. Socchiudendo gli occhi si valuta più facilmente la misura delle immagini in natura.” [33]

In terzo luogo, la passione nell’arte visiva per un segno incisivo e nervoso (si vedano le righe nei Diari sul San Sebastiano di Donatello, letto come un’opera gotica, quasi come se si trattasse di un Grünewald del rinascimento italiano [34]) e il suo disappunto per Raffaello [35] (da lui considerato, come anche nelle pagine delle memorie di Emil Nolde, il tipo antitetico per un pittore dell‘Europa settentrionale) sono gli stessi sentimenti che decretano la preferenza per la musica d’archi di Beethoven, e la sua capacità di raggiungere effetti tonali vicini alla dissonanza, e forse anche lo scetticismo verso il Deutsches Requiem di Brahms (“non posso condividere la predilezione di tanti melomani per quest’opera” [36]).


Da ultimo, però, è evidente anche l’incomprensione di Klee per la musica sinfonica contemporanea, compresa quella di chiave espressionista, come il Pierrot Lunaire di Arnold Schönberg [37] del 1912, definito con il termine tedesco “toll”, che oggi è divenuto un aggettivo d’apprezzamento, ma in quegli anni indica disapprovazione per effetto di mancanza di logica interna: tradotto in italiano come ‘stravagante’ e ‘pazzo’ nelle versioni del 2012 e del 1960, extravagant nella versione francese e mad in quella inglese. È un passaggio importante dei Diari: siamo in quello stesso paragrafo 916 in cui Klee esalta i futuristi italiani, cita passaggi del manifesto futurista e (nell’edizione critica del 1988) fa riferimento a Nolde. Dunque, grande interesse per l’innovazione dell’arte visiva, ma conservazione delle strutture armoniche musicali. Non a caso, la più moderna delle opere liriche che gli piacciono (“la più bella opera dopo la morte di Wagner” [38]) è il Pelleas et Mélisande di Debussy del 1902, composta dieci anni prima del Pierrot Lunaire, una partitura molto innovativa e di estrema bellezza, ma ancora pienamente tonale.

Per Klee la musica è un linguaggio antico ed universale, e per molti versi cosmico, che non deve essere inflazionato e stravolto, ma rivelato nel suo ordine omnicomprensivo. Negli stessi anni in cui la cultura tedesca persegue l’arte totale, ovvero la Gesamtkunst, di Nietzsche e Wagner (si pensi, in quegli anni, all’opera scultorea di Max Klinger, tutta tesa a celebrare in senso eroico il romanticismo musicale tedesco), Klee sembra percorrere una strada parallela, ma diversa: l’incontro tra le arti non avviene per via di esaltazione emotiva, tramite un’esplosione romantica, ma è segnato da un comune ritorno alle origini del linguaggio artistico, da un’intima riflessione sugli elementi fondanti e sugli aspetti unificanti delle varie espressioni dell’animo umano. Ecco uno dei passaggi fondamentali dei Diari, del luglio 1917, in piena guerra:


Riflessioni alla finestra aperta della tesoreria [nota dell’editore: della caserma]. Tutto il transitorio è solo un simbolo. Quel che vediamo è una proposta, una possibilità, un espediente. La verità si cela invisibile alla base di tutte le cose. Dal punto di vista cromatico, quel che ci affascina non è l’illuminazione, ma la luce. La luce e l’ombra formano il mondo grafico. Più ricca fenomenicamente di un giorno assolato, è la chiarità diffusa di un cielo lievemente velato. Sottili nebbie poco prima che risplenda l’astro. Dipingere tutto questo è arduo perché l’istante fugge. Deve penetrare nell’anima.
La forma deve fondersi con la concezione del mondo.
Il semplice movimento ci sembra banale. L’elemento temporale va eliminato. Ieri e oggi come simultaneità. La polifonia nella musica può rispondere in una certa misura a questa esigenza. Un quintetto del Don Giovanni è più vicino al nostro spirito che il movimento epico del Tristano. Mozart e Bach sono più moderni del XIX secolo. Se nella musica l’elemento temporale potesse venir superato da un movimento a ritroso che penetrasse sino alla coscienza, sarebbe concepibile una seconda fioritura.” [39]  

Se dunque il tentativo è quello di annullare la dipendenza della musica dal tempo, la pittura offre uno strumento straordinario: ciò che Klee chiama ‘pittura polifonica’. “La pittura polifonica supera in tal senso la musica, in cui il temporale è più dello spaziale. Il concetto di simultaneità vi si manifesta con maggiore ricchezza.” [40] Sono già gli elementi che saranno al centro della sua riflessione alla Bauhaus.


Poesia

Se la prosa dei Diari è dominata dalla musica e dalla sua metrica, non è un caso che essi ospitino un centinaio di liriche, ovvero gran parte della sua produzione poetica, che il figlio Felix pubblica nel 1960 con l’editore Arche di Zurigo, e che da allora vede ben dieci tra ristampe e nuove edizioni in tedesco, con la più recente nel 2013 [41]. In italiano le poesie sono tradotte nel 1979 da Guanda, grazie ad uno scrittore di grande spessore come Giorgio Manacorda, e poi ripubblicate da Nuova Guanda nel 1995 ed infine da Abscondita nel 2000, con il contributo aggiuntivo di Ursula Bavaj.[42] Non esistono, almeno a mia conoscenza, altre traduzioni complete delle poesie di Klee. Nel mondo anglosassone val la pena però di ricordare gli studi su Klee del grande linguista russo-americano Roman Jakobson [43] ed un’estesa monografia su Paul Klee come poeta/pittore di Kathryn Porter Aichele. [44]


Fig. 8) L'edizione italiana (2000) delle Poesie di Klee, con una postfazione di Giorgio Manacorda

I Diari documentano come Klee, fin da giovane, s’indirizzi indifferentemente verso musica, pittura, scrittura, poesia, filosofia, disegno (e persino scultura), e in fondo li veda come aspetti complementari di un’unica arte. Ecco alcuni passaggi che documentano le sue considerazioni.

La musica è per me come una donna stregata dall’amore.
Avrò la gloria come pittore?
Oppur come scrittore, o come poeta lirico moderno? Infauste fantasie.
Così rimango senza vocazione e perdo tempo
.” [45]

Mi rafforzo sempre più nell’opinione che la pittura sia la mia vera vocazione. All’infuori di essa, solo la parola mi affascina. Forse un giorno, giunto a piena maturità, me ne servirò.” [46]

Ventun anni compiuti! Della mia forza vitale non ho mai dubitato. Ma come andrà con l’arte che ho scelto? In definitiva, esser poeta, la coscienza di esserlo, non dovrebbe ostacolare l’arte figurativa. E se dovessi decidermi per la poesia, solo Dio sa cos’altro vorrei fare. In me certamente ondeggia un mare, perché sono sensibile. L’irrimediabile è sentire con tanta intensità che ovunque imperversa la tempesta, e da nessuna parte vi è un nume che domini il caos.“ [47]

“Nella primavera di questo 1901 stabilii il seguente programma: al primo posto, l’arte della vita; poi, in quanto occupazioni ideali, l’arte poetica e la filosofia; in quanto occupazione materiale, l’arte plastica; infine, in mancanza di una rendita, l’arte del disegno (illustrazione).” [48]

“Tensione filosofica. Orientamento ottimistico. L’unica remora è che dedicandomi troppo alla filosofia e alla creazione poetica possa esser distolto dal compito essenziale.” [49]


Fig. 9) La monografia su Paul Klee come poeta e pittore scritta da Kathryn Porter Aichele (2006)

Nella sua monografia la Porter Aichele sottolinea che Klee – se paragonato agli altri poeti pittori (in tedesco, Dichtermaler) della sua generazione (come l’espressionista Kandinskij o i surrealisti Arp e Breton, o i futuristi italiani) tende a fare un uso ancora tradizionale della poesia, almeno negli anni dei Diari (diverrà molto più sperimentale, anche come poeta, negli anni della Bauhaus, componendo i cosiddetti Schriftbilder, le immagini composte di scritture, che fondono pittura e poesia). Manacorda compara le sue liriche a quelle del poeta maledetto Georg Trakl (1887-1914), uno dei maestri dell’espressionismo letterario di lingua tedesca, famoso per il continuo uso di contrasti cromatici violenti: nulla di ciò in Klee.

Scrive Manacorda: “Se nei Diari la sua attenzione è rivolta ai meccanismi e non ai colori che li rivestono, a maggior ragione nella sua poesia non compaiono colori. Eppure un pittore poeta d’ambito espressionista lasciava pensare che il colore potesse trovare una vasta utilizzazione nel momento della scrittura. Nei poeti espressionisti l’uso del colore in funzione metaforica è continuo e perfino, in certi casi, dominante. […] Con l’unica eccezione del verde, (…) la cromaticità delle poesie di Klee si limita a tonalità di chiaroscuro: ‘hell’ [chiaro], ‘klar’ [chiaro], ‘blass’ [pallido], ‘schwarz’ [nero]. La penombra e i netti contrasti tra la luce ed il buio rinviano a mondi interiori dove buio, luce e penombra significano qualcosa di più dell’illuminazione ambientale. Non si tratta di valenze cromatiche ma metaforiche: si descrivono paesaggi astratti (interiori) più che paesaggi reali (esterni). Si ha la sensazione che nelle poesie Klee tendesse all’astratta precisione, all’immaterialità leggendaria e alla spontaneità ‘automatica’ cui tendeva nel disegno. Tutta la sua opera di pittore è segnata da questa tendenza all’astrazione mitica e archetipica.” [50]

Facendo riferimento ad un famoso articolo del critico d’arte americano Clement Greenberg del 1941 [51] e alla sua definizione del disegno di Klee come “temporale o musicale”, Manacorda identifica i “valori ritmici” (“tempo spazio musica”) come gli elementi centrali della poesia di Klee. [52]

Insomma, per Klee la poesia è strumento di comprensione intima della vera essenza della natura, e tale comprensione passa attraverso il superamento delle differenze tra arte spaziale (le belle arti) ed arte temporale (la musica), ma anche tra esistenza terrena ed esistenza metafisica. La poesia è una forma intermedia tra mondi diversi, per la sua capacità di evocare – in forma rarefatta – pensieri, immagini e suoni.

Leggiamo insieme alcuni versi a cui Klee affida la definizione della creazione artistica, come attività  divina, che lo pone al di là del mondo terreno. Il compito dell’artista non è quello di identificare le proporzioni naturali, ma di avere un rapporto profondo, e quasi religioso, con la natura, alla scoperta dell’essenza del mondo

- I - 

Io sono Dio
Tanta divinità
Si è accumulata in me
Che non posso morire
La mia testa brucia da scoppiare
Uno dei mondi
Che nasconde
Deve nascere
Ma prima di creare
Devo soffrire [53]

- II - 

Cosa fa l’artista?
Crea forme e spazi!
Ma come li crea?
Scegliendo proporzioni…
Oh satira,
pena degli intellettuali
[54]



- III -

Io sono Dio?
Ho accumulato in me tante cose
grandi che la mia testa
arde e si spacca. Deve
contenere un eccesso di forza.
Volete – ma ne siete degni? – che lei
sia partorita per voi?
(A parte) Anche loro  non erano degni
di colui che avevano crocifisso.
Più realisticamente: il genio
vive in una serra, ma
infrangibile e gravida d’idee.
Delirando crolla dopo ogni nascita
e con le mani afferra
chi passa davanti alla finestra.
L’artiglio del demone attacca,
il pugno di ferro spacca.
Altrimenti saresti un modello,
ride tra i denti radi, per me
sei materia per i miei lavori.
Ti spiaccico al muro
di vetro e ci resti appiccicato
magma proiettato…

Poi vengono gli amici dell’arte
e con distacco osservano l’opera sanguinante.
Poi arrivano i fotografi.
ARTE NUOVA scrivono sui giornali.
E le riviste specializzate
le danno un nome che finisce in ISMO.
[55]


- IV - 

Io sto all’erta
io non sono qui
io sono nella profondità…
sono lontano…
io sono tanto lontano…
Io ardo con i morti
[56]

I quattro componimenti poetici sulla creazione artistica appena citati raccolgono cronologicamente, nei Diari, un periodo tra il maggio 1901 (paragrafo 155) e l’aprile 1914 (paragrafo 931). Si tratta comunque di temi centrali nel pensiero teorico di Klee sull’arte. È facile pensare che si tratti in realtà di composizioni liriche dei primissimi anni 1920, inserite nel testo dei Diari per cadenzarne la lettura, come se si trattasse del coro in una tragedia greca o in un’opera lirica.

Sul ruolo della poesia per Klee, conclude Andrea Galgano, in un recente saggio sul “Linguaggio poetico di Paul Klee”:  “La parola acquista un potere descrittivo che ha il compito di completare e precisare le impressioni; la continua oscillazione tra poesia e arte figurativa e musicale determina il motivo potente e fragile di una vicinanza che possa formalizzare il vissuto e il mistero indicibile. […] La profonda parentela tra la pagina dipinta e quella scritta non contiene solo la fissazione di uno spazio, ma la stessa sospensione dell’oggetto determina la perdita dello spessore esistenziale. […] L’acuta sensibilità, che unisce la profondità chiaroscurale alla miniatura verbale e il concetto grammaticale alla geometria della visione, permette l’organizzazione del movimento creativo in relazioni logiche che costituiscono il senso profondo e complesso di visibile e in-visibile, di domanda e di enigma: ‘Nel mondo terreno non mi si può afferrare perché io abito altrettanto bene tra i morti come i non nati. Più vicino del consueto al cuore della creazione ancora troppo poco vicino’. La fine ha trovato l’inizio.” [57] I versi finali, che Klee scrive per la monografia su di lui di Leopold Zahn del 1920, sono quelli che sono stati apposti nel 1940 come epigrafe sulla sua tomba.


Eros


Se Klee aspira – nella sua attività creatrice – ad elevarsi al di sopra del mondo degli uomini, e paga anzi il prezzo di una sostanziale incapacità emotiva a provare una qualsiasi forma di empatia verso il resto del genere umano, la forza naturale della sessualità lo trattiene a terra, e deve essere perciò vinta. È però una battaglia difficile, che solo il matrimonio permetterà di superare.

Mentre i Diari sono spesso stati analizzati da storici dell’arte, rimane limitata la riflessione su quel che essi ci dicono sul mondo emotivo di Klee. I critici d’arte considerano alla stregua di curiosità quel che l’artista riferisce su stesso, come bambino, giovane adolescente e adulto, riducendo il tutto ad aspetti episodici. In effetti, l’artista ha una personalità complessa, ed il lettore dei Diari lo deve accettare, nel bene e nel male, se non vuole ignorare alcuni aspetti oscuri.

Ecco che cosa scrive Klee sulla propria mancanza di empatia, che pone a paragone con l’arte e la personalità eccezionalmente calorosa di Franz Marc.

 “Marc è più umano, ama con più calore, con maggiore intensità. (…) Io cerco soltanto di relazionarmi a Dio, e se sono in armonia con Dio non voglio supporre che gli altri non siano in armonia con me; questo è affar loro.   (…) Il mio ardore somiglia più a quello dei morti o dei non nati. Non mi stupisce ch’egli fosse amato più di me. I suoi nobili sentimenti gli conquistavano il cuore di molti. Era un autentico membro della razza umana, non una creatura neutra. Ricordo il suo sorriso quando al mio sguardo sfuggivano elementi terreni.
L’arte è una creazione, il suo valore rimane immutato.
Il senso appassionato dell’umano probabilmente manca alla mia arte. Io non amo di un terreno amore né gli animali né la totalità degli esseri. Non mi chino sino a loro, né li elevo a me. Mi fondo piuttosto nel tutto e così mi pongo su un piano di fraternità con il prossimo, con tutto quanto di terreno mi circonda. In me l’idea del terrestre cede di fronte all’idea dell’universale. Il mio amore è lontano e religioso.
[…]
Sono calore? O gelo? Non è più il caso di porsi simili domande quando si è andati oltre l’incandescenza. E poiché non sono molti quelli che vi giungono, rari sono coloro che l’avvertono. Non v’è sentimento, per quanto nobile, che mi accomuni ai più. L’uomo della mia opera non è specie, ma punto cosmico, Il mio occhio terreno vede troppo lontano e così le cose più belle gli sfuggono. ‘Non è in grado di vedere neppure le cose più belle’ dicono spesso di me.
Arte è sinonimo di creazione. Neppure Dio si è curato dell’attualità contingente.” [58]

A questa difficoltà delle relazioni interpersonali corrisponde però un forte orientamento all’erotismo, fin dai ricordi d’infanzia, poi sublimato – nell’epoca della maturità – in un interesse per la forma artistica.

Le mie prime impressioni, così precoci, della bellezza di qualche fanciulla, furono estremamente intense. Mi rammaricavo di non essere io stesso una fanciulla e di non poter portare quelle incantevoli mutande bianche ricamate. (Tre-quattro anni”) [59]

“Una notte vidi in sogno gli organi genitali della domestica, rappresentati da quattro piccoli sessi maschili, somiglianti vagamente alle mammelle di una mucca. (Avevo due o tre anni.)” [60]

Alcuni miei disegni pornografici caddero casualmente tra le mani di mia madre. Una donna col ventre pieno di bambini, un’altra con una smisurata scollatura. La mamma ebbe il torto di considerare la cosa dal lato morale e mi rimproverò aspramente. Il disegno della scollatura si ispirava a un balletto visto a teatro: una ninfa alquanto prosperosa si curvava verso una fragola, e m’era parso di inabissarmi in una valle profonda fra colline tondeggianti. Fui colto da uno spavento mortale. (Undici-dodici anni.)” [61]

Immaginavo volto e genitali femminili come poli corrispondenti e nella mia immaginazione vedevo fanciulle piangenti con il sesso in lacrime.” [62]



Sarebbe davvero molto facile comporre una lunga lista di riferimenti ai tormenti giovanili.   Valgono per tutti una lirica nei Diari ed un passaggio dal viaggio in Italia. Vi sono alcuni elementi di ambiguità.

Sensualità
è la docilità della carne
ad una violenza più alta.
Occhi accecati dai colori.
orecchie immerse nel suono.
Nasi in profumi.
Così anche gli organi dell’amore.
[63]


Non desterà meraviglia se ora mi accingo a narrare di una fanciulla di circa undici anni. Eravamo seduti nella nostra graziosa trattoria da Sorgin, quando, come sempre, entrarono dei musici [nota: in italiano nel testo], accordando mandolino e chitarra. Il primo pezzo, benché un po’ stonato, fu suonato con molto sentimento. Verso la fine, la fanciulla, ch’era entrata senza dare nell’occhio, aveva all’inizio richiamato l’attenzione con qualche gesto incerto, e all’accordo finale si fece avanti con disinvoltura.
Sapevamo bene cosa ci attendeva; una scena (e quale scena!). Ho avuto modo di ammirare un’infinità di esibizioni artistiche, ma nulla di così originale. Una creatura di razza, non precisamente bella, e anche la sua voce mancava di perfezione. Ma in lei la bellezza era tutta concentrata nella genuinità dell’espressione. Si intuiva che la fanciulla anticipava con talento quello che avrebbe potuto vivere più tardi, e che i sentimenti più forti sono quelli primitivi. L’avvenire è sopito nell’essere umano e deve solo destarsi. Perciò quella bambina già conosceva l’Eros, di cui potemmo ammirare tutto il repertorio, dal piccolo couplet alla scena appassionata e a quella tragica. Al meridionale riesce facile recitare la commedia poiché il suo atteggiamento di ogni giorno è tanto più vivace e colorato del nostro. Così quella fanciulla poté mostrarsi com’era realmente. Procurandoci un modo di gioire della natura stessa.” [64]  


Sono degli anni immediatamente seguenti il viaggio in Italia alcune incisioni a chiaro riferimento erotico (La vergine sul ramo; La donna e l’animale).


“La bestia insita nell’uomo insegue la donna, che non si mostra del tutto insensibile. Rapporti della donna con l’animalità. Una piccola messa a nudo della psiche femminile. Accertamento di una verità che ama velarsi di fronte al mondo esteriore.” [65]

“Per quanto riguarda Donna e bestia, la donna era troppo indisponente nel primo stadio della composizione. In seguito le ho tolto quell‘espressione di disgusto. Sul significato del ‘laido’ delle mie figure si potrebbero scrivere lunghe dissertazioni.” [66]

Pur subendo la forza della sessualità come energia terrena, che gli impedisce di raggiungere piena capacitá creatrice,  Klee sente infine la necessità di sublimarla. Ecco che la ‘forma assoluta’ diviene per lui lo strumento per elevarsi al di sopra dei bisogni terreni. Scrive sul 1901, quando è ancora giovanissimo: “Per essere sceso talvolta molto in basso, in questi tre anni ho sentito anche il desiderio e la capacità di purificarmi. Molti progetti lo attestano. Da ultimo, non manca neppure il bisogno della forma assoluta. In tal modo comincia a ristabilirsi l’equilibrio. Che con esso abbia coinciso il mio fidanzamento è del tutto logico.” [67]


Astrazione

Tutto quel che si è detto conduce all’idea dell’astrazione: non però nella forma di un’evasione dalla realtà, ma al contrario di un tentativo di cogliere la realtà sottesa – costituita da un sistema universale, da una legge omnicomprensiva – rendendola visibile. 

Considerazioni sull’arte del ritratto. Nel mio caso, si potrà negare la verità del mio specchio. Ma non è mia intenzione riflettere la superficie (la qual cosa si ottiene con la fotografia), bensì penetrare nell’intimo. So riflettere persino i reconditi moti del cuore. Scrivo parole sulla fronte e attorno agli angoli della bocca. I miei volti sono più veri di quelli reali.” [68]

Il mio iniziale disorientamento di fronte alla natura si spiega col fatto che si comincia con lo scorgerne soltanto le ultimi ramificazioni, senza poter raggiungere i rami né risalire alla radice. Ma una volta che uno se ne sia reso conto, può riconoscere anche nella più lontana fogliolina la manifestazione dell’unica legge che regola il tutto, e trarne vantaggio.” [69]

La legge che governa lo spazio, questo dovrebbe essere il titolo appropriato di uno dei miei futuri quadri.“ [70]



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NOTE

[25] Tutti i riferimenti ai Diari sono tratti dall’edizione italiana del 2012, pubblicata da Ascondita. La traduzione è di Angelica Tizzo. Per ogni citazione è riportato il numero del paragrafo 982.

[26] Paragrafo 597

[27] Klee, Paul – Diari 1898-1918, Il Saggiatore, 1960. Citazione a pagina IX. “V’è, soprattutto, un ritmo, spesso scandito dall’inserto non casuale di brevi componimenti poetici, benché lasciati allo stato d’abbozzo, come schizzi a margine”.

[28] Paragrafo 817

[29] Paragrafo 804

[30] Paragrafo 52

[31] Paragrafo 1124

[32] Paragrafo 429. È evidente che questo è un commento molto posteriore al 1902, anno a cui si riferisce il paragrafo. Sappiamo che il Diario III fu ultimato nel 1920-1921. La traduzione di Foelkel nel 1960 è: “In Italia ho compreso l’architettonica dell’arte figurativa (oggi direi il costruttivo). Ero allora vicinissimo all’arte astratta”.

[33] Paragrafo 840

[34] Paragrafo 406 “Donatello è stato l’attrattiva principale. La perfezione stilistica della statua del Battista. Che il gotico sapesse farmi vibrare ben più intensamente dell’arte antica e del barocco, non l’avevo ancora compreso con tanta chiarezza.

[35] Paragrafo 285: “Gli affreschi di Raffaello [le Stanze di Raffaello] hanno sostenuto la prova, ma non senza la mia volontá di farglierla sostenere.” Paragrafo 293: “Raffaello è più difficile da apprezzare. Strappato premeturamente a un immenso anelito. Potenzialità indiscutibili, realizzazione caratterizzata da una puerilità d’apprendista.” Paragrafi 645/49: “Raffaello mi lascia indifferente”.

[36] Paragrafo 499

[37] Paragrafo 916

[38] Paragrafo 847

[39] Paragrafo 1081

[40] Paragrafo 1081

[41] Klee, Paul – Gedichte [Poesie]. A cura di Felix Klee, Zurich-Hamburg, Arche Paradies, 2013, p. 139

[42] Klee, Paul – Poesie. A cura di Giorgio Manacorda. Traduzione di Ursula Bavaj e Giorgio Manacorda, Milano, abscondita, 2000, 241 pagine.

[43] Jakobson, Roman – On the Verbal Art of William Blake and Other Poet-Painters, in Lingustic Inquiry, 1970. Jakobson, Roman - Hölderlin, Klee, Brecht. Zur Wortkunst dreier Gedichte [Sulla ricchezza lessicale di tre poesie]. Introduzione di Elmar Holenstein, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1976, 127 pagine

[44] Aichele, Kathryn Porter – Paul Klee, poet/painter, Rochestery, Camden House, 225 pagine

[45] Paragrafo 67

[46] Paragrafo 93

[47] Paragrafo 121

[48] Paragrafo 137

[49] Paragrafo 175

[50] Klee, Paul – Poesie (citato), pagine 197 e 200.

[51] Greenberg, Clement – Saggio su Klee, in: Paul Klee. Preistoria del visibile. A cura di Claudio Fontana, 1996, Silvana Editoriale, pp. 13-19

[52] Klee, Paul – Poesie (citato), pagina 201.

[53] Paragrafo 155

[54] Paragrafo 599

[55] Paragrafo 690

[56] Paragrafo 931


[58] Paragrafo 1008

[59] Paragrafo 6

[60] Paragrafo 8

[61] Paragrafo 34

[62] Paragrafo 35

[63] Paragrafo 364

[64] Paragrafo 323

[65] Paragrafo 513

[66] Paragrafo 618

[67] Paragrafo 170

[68] Paragrafo 136

[69] Paragrafo 536

[70] Paragrafo 681

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