Francesco Mazzaferro
I Diari di Paul Klee
Parte Prima: il successo editoriale
[Versione originale: aprile-giugno 2015 - Nuova versione: aprile 2019]
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Fig. 1) La versione italiana dei Diari pubblicata da Abscondita nel 2012 |
Un’opera d’arte…
Paul Klee (1879-1940) scrive: “Il diario non è un’opera d’arte, ma un’opera
del tempo” [1]. Mi permetto rispettosamente di dissentire: i quattro Diari di Paul Klee, uno dei maggiori
successi editoriali della letteratura artistica del ventesimo secolo, sono di
per loro, un’opera d’arte, sia pure un’opera d’arte letteraria. Basta leggere
le pagine in cui l’autore descrive la profonda impressione che fecero su di lui
Genova, città moderna ed operosa, e Napoli, decadente ma carica di un grande
passato, per rendersi conto delle sue qualità letterarie. Del resto Klee è un
uomo di letture sterminate: poco rimane della narrativa – sia a lui
contemporanea sia dei classici ripubblicati in quegli anni – che egli non legga
e commenti. L’elenco delle opere che dice di aver letto nei Diari occupa tre fitte pagine in un
prezioso allegato dell’edizione Kiepenheuer pubblicata a Lipsia nel 1980. Klee
è anche un uomo di lettere: vi sono molti indizi, sparsi nelle 400 pagine dei Diari, che lasciano trasparire la sua
intenzione di scrivere una vera e propria autobiografia, secondo il modello di quella del drammaturgo ottocentesco Franz Grillparzer [2], che cita e considera un
modello da seguire per chiunque voglia cimentarsi nell’impresa.
Ho preso in mano i Diari più
volte. L’ho fatto per la prima volta sei mesi fa – un acquisto quasi casuale,
durante un viaggio – in una recente edizione tascabile in francese: ne sono
stato conquistato come fossero un romanzo, ed in pochi giorni li ho
trangugiati. Poi li ho letti nell’edizione in tedesco del 1957, scoprendo che
lo stile originale è straordinariamente diverso, molto spigoloso, pieno di
espressioni derivate dallo svizzero tedesco, rese in un linguaggio molto aspro
che, come scrive Dieter Schmidt [3], ricorda per alcuni aspetti Bertold Brecht;
si tratta peraltro di una trascrizione già molto edulcorata del manoscritto
originale (scritto in un’ortografia tedesca straordinariamente antica, non più
vigente da decenni all’epoca in cui lo scritto fu pubblicato). Infine nella
recente versione italiana, molto elegante, del 2012, che ho invece consumato
con cura, stando attento ai particolari, e cercando di identificare i temi che
potessero ispirare questa recensione. È da questa edizione che sono tratte le citazioni,
quando non altrimenti segnalato.
Anzitutto, ho voluto leggere i Diari
come opera autonoma, al di là della produzione artistica, seguendo quattro temi
conduttori, che tra loro si aggrovigliano: musica, poesia, eros e astrazione. Sono questi i quattro aspetti sui quali
centrerò l’attenzione del lettore nella seconda parte di questa nota.
I Diari sono anche una
straordinaria testimonianza della maturazione artistica di uno dei tre grandi
pittori dell’avanguardia europea dell’epoca (con Picasso e Kandinsky). Man mano
che si avanza nella loro lettura, si nota la trasformazione graduale, ma
incessante del testo che da cronaca commentata assume l’aspetto di una
riflessione teorica sull’arte. Sarà questo il tema della terza parte della
recensione. Che cosa ci dicono i Diari
sulla produzione artistica di Klee fino al 1918, e sulle tappe che lo
porteranno a creare uno stile assolutamente unico? E che cosa ci dicono su di
lui come autore di letteratura artistica? Se ne ricava l’immagine di un artista
lucidamente conscio di tutte le opportunità e di tutti i limiti delle proprie
sperimentazioni estetiche. Il confronto tra le pagine dei Diari con i primi tre studi monografici pubblicati su Klee nel 1920
(a cui – come diremo – Klee stesso contribuì attivamente, fornendo agli autori sunti dei
Diari, e consentendo la riproduzione
di parte di essi) ci consente di discutere le differenze e le analogie tra
l’immagine che Klee ha di sé ed il giudizio della critica del tempo. L’epistolario
di Klee mostra che l’artista tenta di controllare la sua immagine e che
sostanzialmente riesce a farlo, anche se il rapporto con i critici d’arte non è mai facile.
La quarta ed ultima parte di questa nota sarà dedicata al rapporto di Klee con
alcune nazioni europee. In primo luogo con la Svizzera (dove nasce da
straniero, essendo cittadino dell’impero tedesco, vive con la famiglia la prima
parte della sua vita e ritorna – in sostanza in esilio – dopo la presa del
potere dei nazisti). Klee riuscirà ad acquisire la cittadinanza svizzera
solamente pochi mesi prima della morte: oggi si sa [4] che la cittadinanza gli
fu a lungo rifiutata da un ottuso funzionario svizzero, probabilmente nazistoide,
che sosteneva che la sua arte rivelasse la presenza di problemi psichici nella
persona e che la sua integrazione in Svizzera avrebbe perciò potuto creare
problemi al mondo dell’arte locale. Poi, in secondo luogo, il rapporto con la
Germania, dove studia, si sposa, si integra nei circoli artistici e per la
quale combatte nella prima guerra mondiale (ed il figlio Felix nella seconda).
A Monaco di Baviera Klee prima si avvicina alla prima Secessione, poi crea il
gruppo Sema con Alfred Kubin; quindi
fa la conoscenza di Vasilij Kandinskij e Franc Marc, ed entra a far parte del Cavaliere azzurro (Blaue Reiter) e della seconda Secessione, divenendo uno dei punti
di riferimento dell’avanguardia pittorica moderna tedesca ed europea. Da ultimo
l’incontro con l’Italia, verso la cui arte Klee ha un atteggiamento articolato.
Viene in Italia tra il 1901 ed il 1902, con il Cicerone di Burckhardt in mano, ma le sue reazioni sono molto
differenti da quelle entusiastiche dello scopritore svizzero del Rinascimento. Non
s’innamora di Roma, ma – come si è già detto – ha una vera e propria
esaltazione per la modernità di Genova e la decadenza di Napoli. Firenze è per
lui certamente il luogo dell’armonia delle belle arti, ma anche la città
dell’amore mercenario e delle tentazioni sessuali. Dappertutto in Italia Klee
visita sale di concerto e teatri (belle le pagine sulla Duse e sulla Bella Otero). Rifiuta l’arte monumentale
classico-romana e quella cinquecentesca (con l’eccezione di Leonardo), condanna
il barocco, ma scopre l’arte paleocristiana, quella bizantina, il romanico ed
il gotico (soprattutto i mosaici, i bassorilievi e l’architettura) e – molto
selettivamente – il Quattrocento (Donatello, Mantegna, Botticelli). Sembra
quasi s’innamori degli stili della cosiddetta storia dell’arte italiana
‘minore’, più in linea con la sua concezione di un’arte basata su essenzialità,
compostezza e coerenza interiore. Preferisce Santa Sabina a San Pietro. Il
viaggio nella penisola, in realtà, non lo appaga intimamente: se da un lato
afferma di aver scoperto in Italia il ruolo dell’architettura per la
rappresentazione pittorica (fondamentale per lo sviluppo successivo della sua
teoria costruttivista della pittura), torna dall’Italia con il sentimento di
essere l’epigono di un’arte passata che mai potrà rivivere. Come era stato il
caso di altri artisti su cui ho già avuto modo di scrivere (Hofer, Pechstein),
durante il suo viaggio nel 1901-1902 il giovane Klee mostra totale
incomprensione per l’arte italiana di quegli anni, e considera solamente la
Francia e la Svizzera come interlocutori privilegiati della Germania per
l’elaborazione dell’arte contemporanea in Europa. Tuttavia, cambia più tardi
idea, nel 1913, quando i futuristi – specialmente Carrà, ma anche Boccioni e
Severini – si impongono anche a Monaco.
… ed un successo editoriale
I Diari sono pubblicati postumi a
cura del figlio Felix (1907-1990), nel 1957, presso l’editore DuMont di Colonia
[5] (la casa editrice di tutta l’arte moderna e contemporanea, nella Germania
Occidentale del dopoguerra), al termine di una fastidiosa querelle giudiziaria sorta tra il figlio (tornato dalla prigionia
russa) e la Fondazione Klee di Berna (che, alla morte della moglie di Klee, nel
1946, ed in assenza del figlio, ha comunque il merito storico di evitare la
dispersione del patrimonio numericamente enorme dell’artista). L’accordo che ne
consegue crea la base per una collaborazione fruttuosa; la Fondazione Paul Klee
(cambia la ragione sociale dopo l’accordo) avrà una funzione benemerita anche
nel campo dello studio degli scritti, promuovendone la revisione critica.
Il successo editoriale è straordinario: all’edizione originaria del 1957
seguono ristampe, sempre a cura della DuMont di Colonia, nel 1960, 1961, 1964,
1979, 1988, 1995 e 2006. È del 1980 un’edizione a Lipsia, nella Repubblica
Democratica Tedesca, a cura dell’editore Kiepenheuer, con un’interessante
postfazione di Diether Schmidt [6]. Nel 2007 compare una nuova edizione della
DuMont di Colonia, questa volta a cura del nipote, Alexander Klee. La storia
editoriale in tedesco si può fregiare anche di una notevolissima edizione
critica del 1988 [7], pubblicata dalla Fondazione Paul Klee, a cura di Wolfgang
Kersten, titolare della cattedra di arte moderna e contemporanea a Zurigo.
Subito dopo la pubblicazione in tedesco nel 1957, i Diari sono tradotti in francese (1959), italiano e giapponese
(1960), inglese (1964) e spagnolo (1970). Di tutte e cinque le edizioni
originarie disponibili in queste lingue, le ristampe successive sono regolari,
fino ai giorni nostri. Ad esse si aggiungono una nuova traduzione in spagnolo
(1987), le nuove versioni in portoghese (1990, con un’edizione in Brasile) ed
in cinese (1997) e nuove traduzioni in giapponese (2004 e 2009) ed in italiano
(2012).
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Fig. 2) La prima edizione in italiano dei Diari (1960) |
Dei Diari di Klee esistono due
versioni in italiano. La prima – per le edizioni Il Saggiatore – è prodotta nel
1960 da Alfredo Foelkel [8] ed arricchita da una bella prefazione di Giulio
Carlo Argan; seguono in questa forma altre quattro ristampe nel 1974, 1984,
1990 e 1995 (ed in forma elettronica, una nel 2004). La seconda edizione – più
recente (2012) - è opera di Angelica Tizzo per la casa editrice Abscondita [9].
Al testo segue una postfazione di Elena Pontiggia, una delle maggiori esperte
italiane dell’arte del Novecento. La traduzione della Tizzo ha il merito di
basarsi sulla versione critica tedesca del 1988. Si tratta indubbiamente di una
traduzione molto solida.
La prima edizione francese (1959) è opera di Pierre Klossowski (1905-2001),
un filosofo francese di origine polacca, ampiamente inserito nel mondo
dell’arte: suo fratello è il pittore Balthus (1908-2001).[10] Nel caso francese
passa qualche decennio prima che l’edizione del 1959 sia ristampata, sette
volte, a partire dal 1982 (1984, 1986, 1992, 1995, 1999, 2004), sempre a cura
dell’editore Grasset di Parigi.
L’edizione francese ha alcune caratteristiche particolari. In primo luogo,
non include la suddivisione del testo originale di Klee in un migliaio di
paragrafi numerati (che invece compare in tutte le altre versioni nazionali).
In secondo luogo, non presenta “certi frammenti, di interesse strettamente
locale”, che sono stati esclusi “per facilitare la lettura al pubblico
francese. La loro assenza non pregiudica in alcun modo né il pensiero dello
scrittore né l’opera del grande artista.” [11] L’intento – centrato in pieno –
è quello di produrre un testo che si possa leggere tutto d’un fiato, come un
romanzo autobiografico.
Non è qui il caso di citare le altre traduzioni. Rimandiamo all’apposita
nota [12]. Quel che è certo è che ci troviamo di fronte a un clamoroso successo
editoriale globale, di fronte al quale la prima domanda che ci si pone è: quali
sono le ragioni per le quali Klee compone i Diari,
senza pubblicarli mai in vita? Si può dire senza dubbio e col senno di poi
(dato l’ottimo esito in tutte le maggiori lingue del mondo della pubblicazione
a partire dal 1957 fino ad oggi) che Klee sottostima il potenziale interesse
del pubblico. Ma la mancanza di autostima non può essere certo la ragione
fondamentale di una simile scelta.
I motivi per cui Klee scrisse i Diari
“I diari di Paul Klee introdurranno il lettore nel mondo misterioso, strano
e singolare del ‘pittore’ Klee. Le sue quotidiane annotazioni autobiografiche
non erano certo destinate alla pubblicazione: mio padre, durante la sua vita,
non aveva consentito a nessuno, neanche a me, di prendere visione di quanto lo
riguardava intimamente.” [13] Così scrive il figlio Felix Klee, all’apertura
della sua breve nota introduttiva ai Diari,
pubblicati nel 1957, molto dopo la scomparsa del padre.
Le memorie di Klee coprono vent’anni della sua vita, dal 1898 al 1918. Oggi la
tesi del figlio Felix – secondo cui i Diari
non erano destinati alla pubblicazione, ma unicamente alla meditazione intima
dell’artista – non è più accettata. La
ricerca filologica di Christian Geelhaar (autore anche di un’edizione critica
di tutti gli altri scritti di Klee, comparsa nel 1976) ha ormai stabilito che
la stesura dei Diari non è
contemporanea agli eventi. Ovviamente, Klee tiene nota degli avvenimenti della
sua vita lungo tutto l’arco degli anni 1898-1918, ma la versione finale non è
il risultato di notazioni prese di getto (né potrebbe esserlo, se si tiene
conto delle qualità letterarie mostrate nel testo). In un saggio pubblicato nel
1979, nel catalogo di una mostra alla Lenbachhaus di Monaco sui primi lavori
dell’artista [14] tenutasi a cent’anni dalla nascita, lo studioso si chiede,
fin dal titolo, se si tratti di un “Diario intimo o autobiografia”. Egli riesce
a provare, anche operando comparazioni con la calligrafia dell’epistolario, che
i testi vengono rivisti più volte (a partire dal 1904) e che tra il 1913 ed il
1921 Klee prepara una versione manoscritta finale dei primi tre diari, quasi
certamente destinata alla pubblicazione di un’autobiografia.
Il primo diario (che copre la vita fin dalla nascita, ma in realtà si
concentra sugli anni 1898-1901) è concluso, secondo Geelhaar, non prima del 1913, quando Klee è già
membro del Cavaliere azzurro. Il
secondo, dedicato ai sei mesi in Italia con cui Klee completa gli studi
accademici, a cavallo tra 1901-1902, è rivisto e terminato nel 1914-1915 (e
dunque nei mesi di guerra, durante i quali Klee è arruolato, ma lavora nella
logistica dell’aereonautica militare, a Monaco ed in altre località vicine,
tutte ben lontane dal fronte). Il terzo diario (sugli anni che vanno dal 1902
al 1916, fino all’arruolamento come soldato nella prima guerra mondiale) è concluso
non prima dell’autunno 1921, quando Klee lavora già a Weimar alla Bauhaus.
Solamente il quarto diario (che comprende gli anni di guerra 1916-1918) non
viene più rivisto, anche perché Geelhaar scopre che grandissima parte di esso è
semplicemente costituito dalla trascrizione di lettere inviate da svariate
caserme ai famigliari durante la guerra.
A riprova che Klee stia pensando ad
un’autobiografia, Geelhaar cita il testo di una lettera a Wilhem Hausenstein
(letterato e critico d’arte, che su di lui scriverà un romanzo/monografia nel
1920), contenuta nell’archivio della Fondazione Klee, in cui Paul dice di aver
cominciato a cercare un editore, sempre nel 1920. [15] Il fatto tuttavia che
quella lettera non sia mai stata inviata conferma che l’artista cambia di
frequente avviso in quei mesi. La redazione dei Diari si conclude infatti senza alcuna pubblicazione. Klee non
lascia alcuna spiegazione esplicita della ragione per la quale un manoscritto
così importante, che copre vent’anni della sua vita, non viene dato alle
stampe.
Riassumendo, Klee sicuramente compila regolarmente un brogliaccio tra il 1898
ed il 1918, ma i testi dei Diari così come
pubblicati nel 1957 appartengono tutti a fasi in cui il pittore è già al centro
dell’avanguardia tedesca ed europea, o come membro del gruppo espressionista Cavaliere Azzurro (Blaue Reiter) con Kandinskij e Marc (Diario I) oppure come
esponente della Bauhaus. Dunque, la scrittura dei diari va al di là della pura
narrativa biografica, e si spiega sia come racconto della propria evoluzione
umana e artistica sia come strumento di esposizione delle proprie posizioni estetiche.
Va detto che Giulio Carlo Argan, nell’introduzione alla prima edizione italiana
del 1960, vede giusto, ben prima che l’analisi filologica giunga alle medesime
conclusioni: “Il diario (...) è un’opera letteraria autonoma, con una sua
costruzione che non ripete affatto la successione uniforme dei fogli del
calendario. V’è una scelta accuratamente studiata dei ricordi, una
concatenazione dei fatti secondo una predisposta e osservata tematica (…)” [16]
I motivi per cui Klee non pubblicò i
Diari
Wolfgang Kersten, l’autore dell’edizione critica dei Diari nel 1988, ritiene che vi sia una correlazione diretta tra lo
sviluppo artistico e la scelta dello strumento scritto con cui Klee discute e
documenta la propria arte. Con il passaggio da Monaco alla Bauhaus di Weimar,
nel 1921 - egli scrive - Paul Klee volge dall’espressionismo al costruttivismo.
L’espressionismo, un movimento artistico per sua natura narrativo, è
concettualmente in linea con gli strumenti delle memorie e dell’autobiografia;
il costruttivismo è invece basato su una concezione più sistematica e
atemporale dell’arte, e dunque necessita dell’uso di strumenti teorici meno
legati alla biografia. [17] Della stessa opinione l’Argan: “(…) si spiega
perché il diario s’interrompa proprio quando incomincia la fase della più
impegnativa e costruttiva ricerca pittorica, come se ormai la determinazione e
la vivificazione dell’immagine non avessero più bisogno del riscontro e del
sostegno biografico.” [18]
Questa tesi è importante per la letteratura artistica in generale: vi è
dunque una corrispondenza tra stili pittorici e generi letterari che non può
essere sottovalutata. Alla stagione dell’espressionismo (e dell’arte figurativa
contemporanea) corrisponde la narrativa dei diari, delle memorie e delle autobiografie.
Alla stagione dell’astrazione nelle sue diverse forme corrispondono invece
meglio i manifesti, i saggi e le trattazioni teoriche. Essendo una figura di
transito tra le due correnti artistiche, Klee segna il passaggio dalla prima
alla seconda forma di letteratura artistica.
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Fig. 4) Il catalogo della mostra di Monaco alla Galleria Goltz, nel 1920 |
Va detto che una tesi molto meno “teorica” e assai più prosaica si è andata
diffondendo negli anni più recenti, dopo la già citata mostra di Monaco del
1979 per il centenario della nascita, dedicata a suoi primi lavori. In poche
parole, la tesi è che Klee ritiri il progetto della biografia, già molto
avanzato nel 1920-1921, al fine di gestire al meglio – e forse di manipolare –
la propria immagine presso pubblico, curatori di mostre e commercianti d’arte,
nei mesi in cui per la prima volta il destino gli arride. Si tratta della
stessa opinione manifestata dallo storico dell’arte Otto Karl Werckmeister
(1934-) nel suo volume “The making of
Paul Klee's career, 1914-1920” [19] Vediamo cosa sarebbe successo.
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Fig. 5) La pubblicazione tascabile di Hermann von Wedderkorp su Paul Klee nella collana "Giovane arte" (1920) |
Due tentativi falliti di imporsi sulla scena artistica (il primo nel quadro
della prima secessione monacense, al ritorno dal viaggio in Italia; il secondo
al momento dell’ingresso dell’artista nei gruppi espressionisti e nella seconda
secessione monacense, tra il 1911 ed il 1914) conducono la famiglia Klee quasi
alla rovina economica e la rendono dipendente dall’attività della moglie come
insegnante di piano. L’artista preparebbe perciò la pubblicazione dei Diari, sperando che gli consentano di
acquisire la notorietà che non ha ancora ottenuto con incisioni, litografie ed
acquarelli.
Siamo negli anni immediatamente successivi alla prima guerra mondiale, in
una fase di gravissima crisi politica ed economica. In quell’epoca di estremo
disordine, Klee si associa al tentativo rivoluzionario di instaurare un soviet
a Monaco nel 1919 (entra a far parte nell’aprile di quell’anno del Comitato
d’azione degli artisti rivoluzionari) e ne nasconde a casa propria i promotori
per proteggerli dalla violentissima repressione (muoiono ad un migliaio di persone
e vengono incarcerate diverse migliaia di cittadini monacensi); poi si rifugia
in Svizzera. Infine ritorna a Monaco alla ricerca di riconoscimento artistico e
successo commerciale. Certamente è ben cosciente dei rischi dei suoi tempi e sa
che quella sarà la sua ultima occasione.
Il pittore ha già quarant’anni quando – nel bel mezzo di questa situazione
di estrema instabilità – gli si apre improvvisamente la possibilità di
consolidare tutti i suoi sforzi di acquisire un posto rilevante nella scena
dell’arte contemporanea europea. La celeberrima iperinflazione della Repubblica
di Weimar ha infatti un effetto sorprendente sulla vita degli artisti di quegli
anni (ne parla anche Lovis Corinth, nelle sue Memorie): per difendere il valore del denaro nei tempi in cui
l’acquisto di una razione normale di beni alimentari costa ormai milioni di
marchi, la borghesia si affretta a comprare, anzi ad accaparrarsi, opere d’arte
contemporanea come bene rifugio. Improvvisamente i pittori che prima della
guerra hanno difficoltà a sfamare le loro famiglie si trovano a dover far
fronte a un’enorme richiesta di nuove commissioni.
Si tiene così nel maggio 1920 alla galleria Goltz di Monaco (uno dei centri dell’avanguardia di Monaco, laddove, nel 1912, si era tenuta la seconda mostra del Il Cavaliere Azzurro) la prima mostra
retrospettiva di Klee, organizzata da Paul Westheim (futuro autore
dell’antologia di fonti di storia dell’arte della Repubblica di Weimar). Il
successo dipende anche dal modo in cui Klee è presentato al pubblico: un mistico
dell’astrazione, legato a doppio filo ad un’interpretazione astorica del mondo.
Mi si permetta di pensare male: questo è anche un modo per far dimenticare che qualche mese prima era stato parte del tentativo rivoluzionario sovietico. Del resto, nulla scrive di quell’episodio nei Diari, che terminano con la conclusione della Prima Guerra Mondiale, ma sono scritti dopo gli eventi rivoluzionari a Monaco. Anzi, egli riporta nei Diari il senso della propria preoccupazione, temendo che avvenimenti rivoluzionari violenti si possano materializzare alla sconfitta della Germania [20].
Mi si permetta di pensare male: questo è anche un modo per far dimenticare che qualche mese prima era stato parte del tentativo rivoluzionario sovietico. Del resto, nulla scrive di quell’episodio nei Diari, che terminano con la conclusione della Prima Guerra Mondiale, ma sono scritti dopo gli eventi rivoluzionari a Monaco. Anzi, egli riporta nei Diari il senso della propria preoccupazione, temendo che avvenimenti rivoluzionari violenti si possano materializzare alla sconfitta della Germania [20].
Klee si assicura che questa immagine ‘atemporale’ sia effettivamente quella
che di lui viene fornita, e passa alla galleria Goltz una nota biografica
autografa (un riassunto dei Diari non
ancora pubblicati), che viene pubblicata nel catalogo. Sempre nel 1920, come
accennato, vengono pubblicate anche le prime tre monografie su Klee. Ne sono
autori Hermann von Wedderkorp [21], Leopold Zahn [22] e Wilhelm Hausenstein
[23]. Per essere sicuro che i tre autori diano un’immagine a lui gradita della
sua persona, l’artista prepara anche per loro, come si è già detto, tre brevi
sunti dei Diari. Insomma, nel momento
in cui la fortuna sembra arridere al pittore, Klee usa i futuri Diari – non ancora pubblicati – come
fonte d’informazione per definire e gestire la propria immagine.
Dunque sicuramente non si può parlare di un diario ‘segreto’, come invece
farà il figlio Felix Klee nella propria prefazione alla pubblicazione del 1957,
dal momento che l’opinione pubblica è informata della sua esistenza. L’edizione originale della monografia di Zahn
si apre addirittura con una fotografia di una pagina autografa dei Diari, e quattro pagine di citazioni del
periodo compreso tra il 1902 ed il 1905. L’originale delle quattro pagine,
compilato a mano da Klee per Zahn, è incluso nell’edizione critica dei Diari del 1988.
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Fig. 6) La monografia di Wilhelm Hausenstein su Paul Klee |
Perché dunque i Diari non vengono
pubblicati nel 1920 (o negli anni seguenti), se servono come strumento di
promozione per mostre e biografie quell’anno? Possibile che Klee ne abbia
bloccato la lavorazione per estrarne materiali da utilizzare per l’attività
didattica che s’accingeva ad intraprendere. Sempre nel 1920, infatti, Walter
Gropius invita Paul Klee a Weimar come professore alla Bauhaus e quest’ultimo
assume l’incarico a partire dal 1921.
È inoltre probabile, sulla base di quanto già detto prima, che in quei mesi
per lui cruciali Klee cambi idea e sacrifichi del tutto i Diari, per poter coltivare e cavalcare fino in fondo il mito della
propria ‘astoricità’. Non volendo rischiare di rivelare alcun elemento
‘biografico’ (recente o passato) che possa creare dubbi e ripensamenti
sull’immagine che di lui viene costruita, ripone il testo in un cassetto. I
nuovi termini di riferimento dei propri scritti divengono ‘spiritualizzazione’,
‘smaterializzazione’ e percezione di ‘entità immaginarie’, tutti termini che
veicolano un senso di distacco dalla vita terrena.
Questi termini ‘astorici’ sono quelli che Klee usa nel breve saggio “Confessione creatrice” del 1920: “L’arte
non ripete le cose visibili, ma rende visibile.” [24] Il mito dell’astrazione
di Klee sia nel mondo terreno sia in quello dell’arte viene riproposto nel
dopoguerra dai promotori dell’astrazione nella critica d’arte della Germania
Federale (le monografie di Grohmann del 1954 e di Haftmann del 1957) e non
viene intaccato dalla pubblicazione dei Diari
nel 1957. Le cose cambiano nel 1979, quando l’analisi dei filologi permette una
nuova valutazione degli scritti. I centenari servono anche a rimettere in
discussione le verità più consolidate.
Non è da ultimo impossibile che gli avvenimenti drammatici del 1919
rappresentino per Klee una cesura che rende impossibile continuare a scrivere
la propria biografia: come spiegare alla ricca borghesia illuminata di Weimar,
che si affretta a comprarne le opere, e ai grandi mercanti d’arte americani,
che contribuiscono a creare il suo mito oltre oceano, che egli è stato parte
attiva del tentativo insurrezionale sovietico contro la repubblica e la
democrazia? Meglio soprassedere.
Klee come scrittore d’arte dopo i Diari
Alla fine della prima guerra mondiale, all’inizio del 1919, Klee cessa le
annotazioni biografiche. Nel 1920 lavora ancora alla pubblicazione dei Diari, ma decide di rinunciarvi. Inizia
in parallelo un’intensa produzione teorica, quasi come a marcare il passaggio
definitivo dalla narrazione (e dalla poesia) alla saggistica. Quella fase –
prima a Weimar, poi a Dessau ed infine a Düsseldorf – dura dall’inizio degli
anni venti alla metà degli anni trenta. Gli eventi drammatici tra il 1933 (deve
fuggire dalla Germania alla presa del potere dei nazisti) ed il 1935 (gli viene
diagnosticata una malattia mortale, la sclerosi sistemica progressiva)
decretano poi una seconda cesura: cessa ogni attività letteraria, mentre
prosegue solo quella artistica: Klee non scriverà più nulla – neppure saggi o
articoli – ma continuerà a disegnare e dipingere fin all’anno della morte
(1940).
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NOTE
[1] Tutte le citazioni
dei Diari si riferiscono al numero di paragrafi, nell’edizione italiana del
2012. Klee, Paul. Diari 1898-1918. Traduzione di Angelica Tizzo. Con uno
scritto di Elena Pontiggia, Carte d’artisti 147, Milano, Abscondita, 2012. La
citazione è al paragrafo 170
[2] Paragrafo 553 . L’Autobiografia di Franz Grillparzer uscì nel 1870.
Un’edizione italiana è disponibile dal 1979 per i tipi di Guanda, con la
traduzione di Ervino Pocar.
[3] Schmidt, Diether
– Paul Klee und seine Tagebücher
(Paul Klee e i suoi Diari), in: Klee, Paul – Tagebücher 1898-1918, Kiepenheuer, Leipzig, 1980, pagine 369-388). La
citazione è a pagina 382.
[4] Nicole Aeby, Un
artista bernese, ma non svizzero, 21 aprile 2005. Vedi:
[5] Tagebücher von Paul Klee 1898-1918,
Herausgegeben und eingeleitet von [a cura e con introduzione di] Felix
Klee, Colonia, Verlag M.DuMont Schauberg, 1957, pagine 423
[6] Klee, Paul – Tagebücher 1898-1918, Lipsia, Kiepenheuer, 1980
[7] Klee, Paul – Tagebücher
1898-1918. Textkritische Neuedition (Nuova edizione critica). A cura della
Fondazione Paul Klee e del Kunstmuseum di Berna, Verlag Gerd Hatje e Verlag
Arthur Niggli, 1988, pagine 591
[8] Klee, Paul – Diari 1898-1918. Prefazione di Giulio Carlo Argan. Traduzione
di Alfredo Foelkel. Con una nota di Felix Klee, Milano, Il Saggiatore, 1960. Di
Alfredo Foelkel esiste anche la traduzione del viaggio in Tunisia di August
Macke e la versione italiana di numerosi autori di lirica tedesca.
[9] Vedi nota 1. Per la stessa collezione ‘Carte
d’artista’ la Tizzo ha anche pubblicato traduzioni di scritti di Mondrian e
Wölflin.
[10] Klee, Paul – Journal. Traduzione di Pierre Klossowski, Bernard Grasset, Éditeur, 1959, p. 327. Al traduttore francese, Pierre Klossowski
(1905-2001), un filosofo francese di origine polacca, si deve oltre alla
versione dei Diari di Klee nella
lingua d’oltralpe, anche la traduzione di grandi classici della letteratura
tedesca (Hölderlin, Kafka) e latina (Svetonio), ma anche e soprattutto una
serie di scritti su Nietzsche e su de Sade. Klossowski influenza alcuni dei
grandi mâitres-à-penser francesi
(Jacques Lacan, Raymond Aron, Jean-Paul Sartre). All’epoca della pubblicazione,
Klossowski è conosciuto in Francia allo stesso modo di Klee.
[11] Klee, Paul –
Journal (citato), p. 6.
[12] Hanno origine
in America sia la traduzione inglese sia quella spagnola. L’edizione inglese
compare a Berkeley nel 1964 (seguono tre ristampe, nel 1968, 1973 e 1992); alla
traduzione collettiva lavorano Pierre B. Schneider da Parigi e R.Y. Zachary e
Max Knight all’University of California Press. Il primo – sul quale non sono
riuscito a trovare alcuna informazione – produce una traduzione completa. I due
secondi la sistemano: essi sono i curatori di moltissime pubblicazioni
artistiche di Berkeley. Quanto alla versione spagnola, si conta una prima
edizione messicana, per i tipi delle Ediciones
Era di Città del Messico. Il curatore è Jas Reuter, curiosamente autore di
numerosi testi sulla cultura popolare messicana. A partire dal 1987 la stessa
traduzione di Reuter viene pubblicata dall’editore madrileno Alianza (seguono ristampe nel 1993 e nel
1998).
La prima traduzione
giapponese, del 1960, è di Minoru Nanbara (1930-2013), professore di
letteratura tedesca all’università di Tokio. Di lui viene ancora oggi
utilizzato un dizionario tedesco-giapponese uscito per la prima volta nel 1972.
Comparsa nel 2004, la seconda traduzione giapponese di Fumiko Takahashi
(1970-), del Goethe Institut di Tokio, si basa ancora sull’edizione del 1957,
mentre la terza (sempre della Takahashi) nel 2009 è intitolata “Nuova edizione
critica dei Diari” e viene condotta sull’edizione critica del 1988 (viene
inoltre riportato un saggio di Wolfgang Kersten).
La prima edizione
cinese, intitolata “Diari di Paul Klee, maestro espressionista”, è stata
pubblicata a Taiwan nel 1997, a cura di Yǔ Yún. Nel 2011 la medesima versione è
stata pubblicata nella Repubblica Popolare Cinese da Chu Chen Books, la casa
editrice dell’Università di Chongqing. La traduzione è avvenuta dalla versione
in inglese dell’University of California
Press (edizione del 1968).
[13] Citazione
tratta dalla prima versione italiana del 1960 (e non inclusa nella seconda
versione del 2012). Klee, Paul – Diari 1898-1918. Prefazione di Giulio Carlo
Argan (citato), p. 1.
[14] Paul Klee. Das Frühwerk 1883-1922
(I primi lavori 1883-1922), Städtische Galerie im Lenbachhaus, München, 1979.
La mostra si tiene tra il 12 dicembre 1979 ed il 2 marzo 1980. Nel 1979 sono
organizzate tre grandi mostre retrospettive per il centenario, in Svizzera e
nella Germania Federale Tedesca: una a Monaco per gli anni 1883-1922, una a
Colonia per gli anni 1922-1933 ed una Berna per gli anni 1933-1940. La ragione
è che l’enorme produzione di Klee (9.000 pezzi) è distribuita tra Monaco (gli
anni del Cavaliere Azzurro), la
Renania (da dove dovette scappare alla presa del potere di nazisti, dato che il
suo ultimo luogo di residenza in Germania fu Düsseldorf) e la Svizzera, dove
concluse la vita e la Fondazione Klee venne creata alla sua morte. Non vi è invece
alcuna mostra nelle città della Bauhaus (Weimar e Dessau), nonostante Klee vi
trascorra dieci anni, perché nella Repubblica Democratica Tedesca l’arte di
Klee è tacciata di ‘formalismo’ e di fatto avversata. Tuttavia, come già
menzionato, compare a Lipsia una versione dei Diari nel 1980.
[15] Das Frühwerk, 1883-1922 (citato) p. 258
[16] Klee, Paul – Diari 1898-1918. Prefazione di Giulio Carlo Argan (citato), p.
IX
[17] Klee, Paul – Tagebücher 1898-1918
(citato). La citazione è alla nota 24 a pagina 590
[18] Klee, Paul – Diari 1898-1918. Prefazione di Giulio Carlo Argan (citato), p.
IX
[19] Werckmeister, Otto Karl - The making of Paul Klee's career,
1914-1920, Chicago, University of Chicago Press, 1989. Vedi anche:
[20] Paragrafo 1130
[21] Von Wedderkop,
Hermann – Paul Klee, Mit einer Biographie
des Künstlers, einem farbigen Titelbild und 52 Abbildungen [Paul Klee, Con
una biografia dell’artista, un titolo a colori e 52 immagini], collezione ‘Junge
Kunst’ [Giovane arte], Lipsia, von Klinkhardr e Biermann editore, 68
pagine.
[22] Zahn, Leopold – Paul Klee. Leben / Werk / Geist [Paul
Klee. Vita / Lavoro / Spirito],
Gustav Kiepenheuer editore, Potsdam, 1920, pagine 87
[23] Hausenstein,
Wilhelm - Kairuan oder Eine Geschichte
vom Maler Klee und von der Kunst dieses Zeitalters [Kairuan o Una Storia
del pittore Klee e sull’arte di quest’epoca], Monaco, Kurt Wolff, 1921. Ho
letto l’edizione pubblicata nel 2014 (edizioni Klinkhardt e Bierman di
Monaco), e arricchita da un’introduzione di Peter Härtling ed un saggio di
Michael Haerdter. Di Wilhelm Hausenstein, scrittore e letterato, perseguitato
dai nazisti, si deve dire che fu personalità di cultura talmente eccezionale, e
di orientamento così fortemente europeo, che Konrad Adenauer lo scelse come
primo console generale e poi come primo ambasciatore della Repubblica Federale
Tedesca in Francia nel 1950.
[24] Klee, Paul - Creative Confession and other writings - Tate Publishing, London, 2013,
32 pagine.
i miei complimenti per il blog in generale e per codesto studio in particolare, poi scriverò una mail per ulteriori considerazioni, saluti
RispondiEliminar.m.
Grazie mille! Giovanni Mazzaferro
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