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mercoledì 15 aprile 2015

Scritti di artisti tedeschi del XX secolo - Paul Klee. I Diari. Parte Prima: il successo editoriale


Francesco Mazzaferro
I Diari di Paul Klee 
Parte Prima: il successo editoriale


[Versione originale: aprile-giugno 2015 - Nuova versione: aprile 2019]


Fig. 1) La versione italiana dei Diari pubblicata da Abscondita nel 2012


Un’opera d’arte…

Paul Klee (1879-1940) scrive: “Il diario non è un’opera d’arte, ma un’opera del tempo” [1]. Mi permetto rispettosamente di dissentire: i quattro Diari di Paul Klee, uno dei maggiori successi editoriali della letteratura artistica del ventesimo secolo, sono di per loro, un’opera d’arte, sia pure un’opera d’arte letteraria. Basta leggere le pagine in cui l’autore descrive la profonda impressione che fecero su di lui Genova, città moderna ed operosa, e Napoli, decadente ma carica di un grande passato, per rendersi conto delle sue qualità letterarie. Del resto Klee è un uomo di letture sterminate: poco rimane della narrativa – sia a lui contemporanea sia dei classici ripubblicati in quegli anni – che egli non legga e commenti. L’elenco delle opere che dice di aver letto nei Diari occupa tre fitte pagine in un prezioso allegato dell’edizione Kiepenheuer pubblicata a Lipsia nel 1980. Klee è anche un uomo di lettere: vi sono molti indizi, sparsi nelle 400 pagine dei Diari, che lasciano trasparire la sua intenzione di scrivere una vera e propria autobiografia, secondo il modello di quella del drammaturgo ottocentesco Franz Grillparzer [2], che cita e considera un modello da seguire per chiunque voglia cimentarsi nell’impresa.

Ho preso in mano i Diari più volte. L’ho fatto per la prima volta sei mesi fa – un acquisto quasi casuale, durante un viaggio – in una recente edizione tascabile in francese: ne sono stato conquistato come fossero un romanzo, ed in pochi giorni li ho trangugiati. Poi li ho letti nell’edizione in tedesco del 1957, scoprendo che lo stile originale è straordinariamente diverso, molto spigoloso, pieno di espressioni derivate dallo svizzero tedesco, rese in un linguaggio molto aspro che, come scrive Dieter Schmidt [3], ricorda per alcuni aspetti Bertold Brecht; si tratta peraltro di una trascrizione già molto edulcorata del manoscritto originale (scritto in un’ortografia tedesca straordinariamente antica, non più vigente da decenni all’epoca in cui lo scritto fu pubblicato). Infine nella recente versione italiana, molto elegante, del 2012, che ho invece consumato con cura, stando attento ai particolari, e cercando di identificare i temi che potessero ispirare questa recensione. È da questa edizione che sono tratte le citazioni, quando non altrimenti segnalato.

Anzitutto, ho voluto leggere i Diari come opera autonoma, al di là della produzione artistica, seguendo quattro temi conduttori, che tra loro si aggrovigliano: musica, poesia, eros e astrazione. Sono questi i quattro aspetti sui quali centrerò l’attenzione del lettore nella seconda parte di questa nota.

I Diari sono anche una straordinaria testimonianza della maturazione artistica di uno dei tre grandi pittori dell’avanguardia europea dell’epoca (con Picasso e Kandinsky). Man mano che si avanza nella loro lettura, si nota la trasformazione graduale, ma incessante del testo che da cronaca commentata assume l’aspetto di una riflessione teorica sull’arte. Sarà questo il tema della terza parte della recensione. Che cosa ci dicono i Diari sulla produzione artistica di Klee fino al 1918, e sulle tappe che lo porteranno a creare uno stile assolutamente unico? E che cosa ci dicono su di lui come autore di letteratura artistica? Se ne ricava l’immagine di un artista lucidamente conscio di tutte le opportunità e di tutti i limiti delle proprie sperimentazioni estetiche. Il confronto tra le pagine dei Diari con i primi tre studi monografici pubblicati su Klee nel 1920 (a cui – come diremo – Klee stesso contribuì attivamente, fornendo agli autori sunti dei Diari, e consentendo la riproduzione di parte di essi) ci consente di discutere le differenze e le analogie tra l’immagine che Klee ha di sé ed il giudizio della critica del tempo. L’epistolario di Klee mostra che l’artista tenta di controllare la sua immagine e che sostanzialmente riesce a farlo, anche se il rapporto con i critici d’arte non è mai facile.

La quarta ed ultima parte di questa nota sarà dedicata al rapporto di Klee con alcune nazioni europee. In primo luogo con la Svizzera (dove nasce da straniero, essendo cittadino dell’impero tedesco, vive con la famiglia la prima parte della sua vita e ritorna – in sostanza in esilio – dopo la presa del potere dei nazisti). Klee riuscirà ad acquisire la cittadinanza svizzera solamente pochi mesi prima della morte: oggi si sa [4] che la cittadinanza gli fu a lungo rifiutata da un ottuso funzionario svizzero, probabilmente nazistoide, che sosteneva che la sua arte rivelasse la presenza di problemi psichici nella persona e che la sua integrazione in Svizzera avrebbe perciò potuto creare problemi al mondo dell’arte locale. Poi, in secondo luogo, il rapporto con la Germania, dove studia, si sposa, si integra nei circoli artistici e per la quale combatte nella prima guerra mondiale (ed il figlio Felix nella seconda). A Monaco di Baviera Klee prima si avvicina alla prima Secessione, poi crea il gruppo Sema con Alfred Kubin; quindi fa la conoscenza di Vasilij Kandinskij e Franc Marc, ed entra a far parte del Cavaliere azzurro (Blaue Reiter) e della seconda Secessione, divenendo uno dei punti di riferimento dell’avanguardia pittorica moderna tedesca ed europea. Da ultimo l’incontro con l’Italia, verso la cui arte Klee ha un atteggiamento articolato. Viene in Italia tra il 1901 ed il 1902, con il Cicerone di Burckhardt in mano, ma le sue reazioni sono molto differenti da quelle entusiastiche dello scopritore svizzero del Rinascimento. Non s’innamora di Roma, ma – come si è già detto – ha una vera e propria esaltazione per la modernità di Genova e la decadenza di Napoli. Firenze è per lui certamente il luogo dell’armonia delle belle arti, ma anche la città dell’amore mercenario e delle tentazioni sessuali. Dappertutto in Italia Klee visita sale di concerto e teatri (belle le pagine sulla Duse e sulla Bella Otero). Rifiuta l’arte monumentale classico-romana e quella cinquecentesca (con l’eccezione di Leonardo), condanna il barocco, ma scopre l’arte paleocristiana, quella bizantina, il romanico ed il gotico (soprattutto i mosaici, i bassorilievi e l’architettura) e – molto selettivamente – il Quattrocento (Donatello, Mantegna, Botticelli). Sembra quasi s’innamori degli stili della cosiddetta storia dell’arte italiana ‘minore’, più in linea con la sua concezione di un’arte basata su essenzialità, compostezza e coerenza interiore. Preferisce Santa Sabina a San Pietro. Il viaggio nella penisola, in realtà, non lo appaga intimamente: se da un lato afferma di aver scoperto in Italia il ruolo dell’architettura per la rappresentazione pittorica (fondamentale per lo sviluppo successivo della sua teoria costruttivista della pittura), torna dall’Italia con il sentimento di essere l’epigono di un’arte passata che mai potrà rivivere. Come era stato il caso di altri artisti su cui ho già avuto modo di scrivere (Hofer, Pechstein), durante il suo viaggio nel 1901-1902 il giovane Klee mostra totale incomprensione per l’arte italiana di quegli anni, e considera solamente la Francia e la Svizzera come interlocutori privilegiati della Germania per l’elaborazione dell’arte contemporanea in Europa. Tuttavia, cambia più tardi idea, nel 1913, quando i futuristi – specialmente Carrà, ma anche Boccioni e Severini – si impongono anche a Monaco.

… ed un successo editoriale

I Diari sono pubblicati postumi a cura del figlio Felix (1907-1990), nel 1957, presso l’editore DuMont di Colonia [5] (la casa editrice di tutta l’arte moderna e contemporanea, nella Germania Occidentale del dopoguerra), al termine di una fastidiosa querelle giudiziaria sorta tra il figlio (tornato dalla prigionia russa) e la Fondazione Klee di Berna (che, alla morte della moglie di Klee, nel 1946, ed in assenza del figlio, ha comunque il merito storico di evitare la dispersione del patrimonio numericamente enorme dell’artista). L’accordo che ne consegue crea la base per una collaborazione fruttuosa; la Fondazione Paul Klee (cambia la ragione sociale dopo l’accordo) avrà una funzione benemerita anche nel campo dello studio degli scritti, promuovendone la revisione critica.

Il successo editoriale è straordinario: all’edizione originaria del 1957 seguono ristampe, sempre a cura della DuMont di Colonia, nel 1960, 1961, 1964, 1979, 1988, 1995 e 2006. È del 1980 un’edizione a Lipsia, nella Repubblica Democratica Tedesca, a cura dell’editore Kiepenheuer, con un’interessante postfazione di Diether Schmidt [6]. Nel 2007 compare una nuova edizione della DuMont di Colonia, questa volta a cura del nipote, Alexander Klee. La storia editoriale in tedesco si può fregiare anche di una notevolissima edizione critica del 1988 [7], pubblicata dalla Fondazione Paul Klee, a cura di Wolfgang Kersten, titolare della cattedra di arte moderna e contemporanea a Zurigo.

Subito dopo la pubblicazione in tedesco nel 1957, i Diari sono tradotti in francese (1959), italiano e giapponese (1960), inglese (1964) e spagnolo (1970). Di tutte e cinque le edizioni originarie disponibili in queste lingue, le ristampe successive sono regolari, fino ai giorni nostri. Ad esse si aggiungono una nuova traduzione in spagnolo (1987), le nuove versioni in portoghese (1990, con un’edizione in Brasile) ed in cinese (1997) e nuove traduzioni in giapponese (2004 e 2009) ed in italiano (2012).

Fig. 2) La prima edizione in italiano dei Diari (1960)

Dei Diari di Klee esistono due versioni in italiano. La prima – per le edizioni Il Saggiatore – è prodotta nel 1960 da Alfredo Foelkel [8] ed arricchita da una bella prefazione di Giulio Carlo Argan; seguono in questa forma altre quattro ristampe nel 1974, 1984, 1990 e 1995 (ed in forma elettronica, una nel 2004). La seconda edizione – più recente (2012) - è opera di Angelica Tizzo per la casa editrice Abscondita [9]. Al testo segue una postfazione di Elena Pontiggia, una delle maggiori esperte italiane dell’arte del Novecento. La traduzione della Tizzo ha il merito di basarsi sulla versione critica tedesca del 1988. Si tratta indubbiamente di una traduzione molto solida.

La prima edizione francese (1959) è opera di Pierre Klossowski (1905-2001), un filosofo francese di origine polacca, ampiamente inserito nel mondo dell’arte: suo fratello è il pittore Balthus (1908-2001).[10] Nel caso francese passa qualche decennio prima che l’edizione del 1959 sia ristampata, sette volte, a partire dal 1982 (1984, 1986, 1992, 1995, 1999, 2004), sempre a cura dell’editore Grasset di Parigi. 



Fig. 3) L'edizione francese del 1959

L’edizione francese ha alcune caratteristiche particolari. In primo luogo, non include la suddivisione del testo originale di Klee in un migliaio di paragrafi numerati (che invece compare in tutte le altre versioni nazionali). In secondo luogo, non presenta “certi frammenti, di interesse strettamente locale”, che sono stati esclusi “per facilitare la lettura al pubblico francese. La loro assenza non pregiudica in alcun modo né il pensiero dello scrittore né l’opera del grande artista.” [11] L’intento – centrato in pieno – è quello di produrre un testo che si possa leggere tutto d’un fiato, come un romanzo autobiografico.


Non è qui il caso di citare le altre traduzioni. Rimandiamo all’apposita nota [12]. Quel che è certo è che ci troviamo di fronte a un clamoroso successo editoriale globale, di fronte al quale la prima domanda che ci si pone è: quali sono le ragioni per le quali Klee compone i Diari, senza pubblicarli mai in vita? Si può dire senza dubbio e col senno di poi (dato l’ottimo esito in tutte le maggiori lingue del mondo della pubblicazione a partire dal 1957 fino ad oggi) che Klee sottostima il potenziale interesse del pubblico. Ma la mancanza di autostima non può essere certo la ragione fondamentale di una simile scelta.


I motivi per cui Klee scrisse i Diari

“I diari di Paul Klee introdurranno il lettore nel mondo misterioso, strano e singolare del ‘pittore’ Klee. Le sue quotidiane annotazioni autobiografiche non erano certo destinate alla pubblicazione: mio padre, durante la sua vita, non aveva consentito a nessuno, neanche a me, di prendere visione di quanto lo riguardava intimamente.” [13] Così scrive il figlio Felix Klee, all’apertura della sua breve nota introduttiva ai Diari, pubblicati nel 1957, molto dopo la scomparsa del padre.

Le memorie di Klee coprono vent’anni della sua vita, dal 1898 al 1918. Oggi la tesi del figlio Felix – secondo cui i Diari non erano destinati alla pubblicazione, ma unicamente alla meditazione intima dell’artista –  non è più accettata. La ricerca filologica di Christian Geelhaar (autore anche di un’edizione critica di tutti gli altri scritti di Klee, comparsa nel 1976) ha ormai stabilito che la stesura dei Diari non è contemporanea agli eventi. Ovviamente, Klee tiene nota degli avvenimenti della sua vita lungo tutto l’arco degli anni 1898-1918, ma la versione finale non è il risultato di notazioni prese di getto (né potrebbe esserlo, se si tiene conto delle qualità letterarie mostrate nel testo). In un saggio pubblicato nel 1979, nel catalogo di una mostra alla Lenbachhaus di Monaco sui primi lavori dell’artista [14] tenutasi a cent’anni dalla nascita, lo studioso si chiede, fin dal titolo, se si tratti di un “Diario intimo o autobiografia”. Egli riesce a provare, anche operando comparazioni con la calligrafia dell’epistolario, che i testi vengono rivisti più volte (a partire dal 1904) e che tra il 1913 ed il 1921 Klee prepara una versione manoscritta finale dei primi tre diari, quasi certamente destinata alla pubblicazione di un’autobiografia.

Il primo diario (che copre la vita fin dalla nascita, ma in realtà si concentra sugli anni 1898-1901) è concluso, secondo Geelhaar, non prima del 1913, quando Klee è già membro del Cavaliere azzurro. Il secondo, dedicato ai sei mesi in Italia con cui Klee completa gli studi accademici, a cavallo tra 1901-1902, è rivisto e terminato nel 1914-1915 (e dunque nei mesi di guerra, durante i quali Klee è arruolato, ma lavora nella logistica dell’aereonautica militare, a Monaco ed in altre località vicine, tutte ben lontane dal fronte). Il terzo diario (sugli anni che vanno dal 1902 al 1916, fino all’arruolamento come soldato nella prima guerra mondiale) è concluso non prima dell’autunno 1921, quando Klee lavora già a Weimar alla Bauhaus. Solamente il quarto diario (che comprende gli anni di guerra 1916-1918) non viene più rivisto, anche perché Geelhaar scopre che grandissima parte di esso è semplicemente costituito dalla trascrizione di lettere inviate da svariate caserme ai famigliari durante la guerra.

A riprova che Klee stia pensando ad un’autobiografia, Geelhaar cita il testo di una lettera a Wilhem Hausenstein (letterato e critico d’arte, che su di lui scriverà un romanzo/monografia nel 1920), contenuta nell’archivio della Fondazione Klee, in cui Paul dice di aver cominciato a cercare un editore, sempre nel 1920. [15] Il fatto tuttavia che quella lettera non sia mai stata inviata conferma che l’artista cambia di frequente avviso in quei mesi. La redazione dei Diari si conclude infatti senza alcuna pubblicazione. Klee non lascia alcuna spiegazione esplicita della ragione per la quale un manoscritto così importante, che copre vent’anni della sua vita, non viene dato alle stampe.

Riassumendo, Klee sicuramente compila regolarmente un brogliaccio tra il 1898 ed il 1918, ma i testi dei Diari così come pubblicati nel 1957 appartengono tutti a fasi in cui il pittore è già al centro dell’avanguardia tedesca ed europea, o come membro del gruppo espressionista Cavaliere Azzurro (Blaue Reiter) con Kandinskij e Marc (Diario I) oppure come esponente della Bauhaus. Dunque, la scrittura dei diari va al di là della pura narrativa biografica, e si spiega sia come racconto della propria evoluzione umana e artistica sia come strumento di esposizione delle proprie posizioni estetiche. Va detto che Giulio Carlo Argan, nell’introduzione alla prima edizione italiana del 1960, vede giusto, ben prima che l’analisi filologica giunga alle medesime conclusioni: “Il diario (...) è un’opera letteraria autonoma, con una sua costruzione che non ripete affatto la successione uniforme dei fogli del calendario. V’è una scelta accuratamente studiata dei ricordi, una concatenazione dei fatti secondo una predisposta e osservata tematica (…)” [16]  


I motivi per cui Klee non pubblicò i Diari

Wolfgang Kersten, l’autore dell’edizione critica dei Diari nel 1988, ritiene che vi sia una correlazione diretta tra lo sviluppo artistico e la scelta dello strumento scritto con cui Klee discute e documenta la propria arte. Con il passaggio da Monaco alla Bauhaus di Weimar, nel 1921 - egli scrive - Paul Klee volge dall’espressionismo al costruttivismo. L’espressionismo, un movimento artistico per sua natura narrativo, è concettualmente in linea con gli strumenti delle memorie e dell’autobiografia; il costruttivismo è invece basato su una concezione più sistematica e atemporale dell’arte, e dunque necessita dell’uso di strumenti teorici meno legati alla biografia. [17] Della stessa opinione l’Argan: “(…) si spiega perché il diario s’interrompa proprio quando incomincia la fase della più impegnativa e costruttiva ricerca pittorica, come se ormai la determinazione e la vivificazione dell’immagine non avessero più bisogno del riscontro e del sostegno biografico.” [18]

Questa tesi è importante per la letteratura artistica in generale: vi è dunque una corrispondenza tra stili pittorici e generi letterari che non può essere sottovalutata. Alla stagione dell’espressionismo (e dell’arte figurativa contemporanea) corrisponde la narrativa dei diari, delle memorie e delle autobiografie. Alla stagione dell’astrazione nelle sue diverse forme corrispondono invece meglio i manifesti, i saggi e le trattazioni teoriche. Essendo una figura di transito tra le due correnti artistiche, Klee segna il passaggio dalla prima alla seconda forma di letteratura artistica.

Fig. 4) Il catalogo della mostra di Monaco alla Galleria Goltz, nel 1920

Va detto che una tesi molto meno “teorica” e assai più prosaica si è andata diffondendo negli anni più recenti, dopo la già citata mostra di Monaco del 1979 per il centenario della nascita, dedicata a suoi primi lavori. In poche parole, la tesi è che Klee ritiri il progetto della biografia, già molto avanzato nel 1920-1921, al fine di gestire al meglio – e forse di manipolare – la propria immagine presso pubblico, curatori di mostre e commercianti d’arte, nei mesi in cui per la prima volta il destino gli arride. Si tratta della stessa opinione manifestata dallo storico dell’arte Otto Karl Werckmeister (1934-) nel suo volume “The making of Paul Klee's career, 1914-1920” [19] Vediamo cosa sarebbe successo.

Fig. 5) La pubblicazione tascabile di Hermann von Wedderkorp su Paul Klee nella collana "Giovane arte" (1920)


Due tentativi falliti di imporsi sulla scena artistica (il primo nel quadro della prima secessione monacense, al ritorno dal viaggio in Italia; il secondo al momento dell’ingresso dell’artista nei gruppi espressionisti e nella seconda secessione monacense, tra il 1911 ed il 1914) conducono la famiglia Klee quasi alla rovina economica e la rendono dipendente dall’attività della moglie come insegnante di piano. L’artista preparebbe perciò la pubblicazione dei Diari, sperando che gli consentano di acquisire la notorietà che non ha ancora ottenuto con incisioni, litografie ed acquarelli.

Siamo negli anni immediatamente successivi alla prima guerra mondiale, in una fase di gravissima crisi politica ed economica. In quell’epoca di estremo disordine, Klee si associa al tentativo rivoluzionario di instaurare un soviet a Monaco nel 1919 (entra a far parte nell’aprile di quell’anno del Comitato d’azione degli artisti rivoluzionari) e ne nasconde a casa propria i promotori per proteggerli dalla violentissima repressione (muoiono ad un migliaio di persone e vengono incarcerate diverse migliaia di cittadini monacensi); poi si rifugia in Svizzera. Infine ritorna a Monaco alla ricerca di riconoscimento artistico e successo commerciale. Certamente è ben cosciente dei rischi dei suoi tempi e sa che quella sarà la sua ultima occasione.

Il pittore ha già quarant’anni quando – nel bel mezzo di questa situazione di estrema instabilità – gli si apre improvvisamente la possibilità di consolidare tutti i suoi sforzi di acquisire un posto rilevante nella scena dell’arte contemporanea europea. La celeberrima iperinflazione della Repubblica di Weimar ha infatti un effetto sorprendente sulla vita degli artisti di quegli anni (ne parla anche Lovis Corinth, nelle sue Memorie): per difendere il valore del denaro nei tempi in cui l’acquisto di una razione normale di beni alimentari costa ormai milioni di marchi, la borghesia si affretta a comprare, anzi ad accaparrarsi, opere d’arte contemporanea come bene rifugio. Improvvisamente i pittori che prima della guerra hanno difficoltà a sfamare le loro famiglie si trovano a dover far fronte a un’enorme richiesta di nuove commissioni.

Si tiene così nel maggio 1920 alla galleria Goltz di Monaco (uno dei centri dell’avanguardia di Monaco, laddove, nel 1912, si era tenuta la seconda mostra del Il Cavaliere Azzurro) la prima mostra retrospettiva di Klee, organizzata da Paul Westheim (futuro autore dell’antologia di fonti di storia dell’arte della Repubblica di Weimar). Il successo dipende anche dal modo in cui Klee è presentato al pubblico: un mistico dell’astrazione, legato a doppio filo ad un’interpretazione astorica del mondo.

Mi si permetta di pensare male: questo è anche un modo per far dimenticare che qualche mese prima era stato parte del tentativo rivoluzionario sovietico. Del resto, nulla scrive di quell’episodio nei Diari, che terminano con la conclusione della Prima Guerra Mondiale, ma sono scritti dopo gli eventi rivoluzionari a Monaco. Anzi, egli riporta nei Diari il senso della propria preoccupazione, temendo che avvenimenti rivoluzionari violenti si possano materializzare alla sconfitta della Germania [20].

Klee si assicura che questa immagine ‘atemporale’ sia effettivamente quella che di lui viene fornita, e passa alla galleria Goltz una nota biografica autografa (un riassunto dei Diari non ancora pubblicati), che viene pubblicata nel catalogo. Sempre nel 1920, come accennato, vengono pubblicate anche le prime tre monografie su Klee. Ne sono autori Hermann von Wedderkorp [21], Leopold Zahn [22] e Wilhelm Hausenstein [23]. Per essere sicuro che i tre autori diano un’immagine a lui gradita della sua persona, l’artista prepara anche per loro, come si è già detto, tre brevi sunti dei Diari. Insomma, nel momento in cui la fortuna sembra arridere al pittore, Klee usa i futuri Diari – non ancora pubblicati – come fonte d’informazione per definire e gestire la propria immagine.

Dunque sicuramente non si può parlare di un diario ‘segreto’, come invece farà il figlio Felix Klee nella propria prefazione alla pubblicazione del 1957, dal momento che l’opinione pubblica è informata della sua esistenza.  L’edizione originale della monografia di Zahn si apre addirittura con una fotografia di una pagina autografa dei Diari, e quattro pagine di citazioni del periodo compreso tra il 1902 ed il 1905. L’originale delle quattro pagine, compilato a mano da Klee per Zahn, è incluso nell’edizione critica dei Diari del 1988.

Fig. 6) La monografia di Wilhelm Hausenstein su Paul Klee


Perché dunque i Diari non vengono pubblicati nel 1920 (o negli anni seguenti), se servono come strumento di promozione per mostre e biografie quell’anno? Possibile che Klee ne abbia bloccato la lavorazione per estrarne materiali da utilizzare per l’attività didattica che s’accingeva ad intraprendere. Sempre nel 1920, infatti, Walter Gropius invita Paul Klee a Weimar come professore alla Bauhaus e quest’ultimo assume l’incarico a partire dal 1921.

È inoltre probabile, sulla base di quanto già detto prima, che in quei mesi per lui cruciali Klee cambi idea e sacrifichi del tutto i Diari, per poter coltivare e cavalcare fino in fondo il mito della propria ‘astoricità’. Non volendo rischiare di rivelare alcun elemento ‘biografico’ (recente o passato) che possa creare dubbi e ripensamenti sull’immagine che di lui viene costruita, ripone il testo in un cassetto. I nuovi termini di riferimento dei propri scritti divengono ‘spiritualizzazione’, ‘smaterializzazione’ e percezione di ‘entità immaginarie’, tutti termini che veicolano un senso di distacco dalla vita terrena.

Questi termini ‘astorici’ sono quelli che Klee usa nel breve saggio “Confessione creatrice” del 1920: “L’arte non ripete le cose visibili, ma rende visibile.” [24] Il mito dell’astrazione di Klee sia nel mondo terreno sia in quello dell’arte viene riproposto nel dopoguerra dai promotori dell’astrazione nella critica d’arte della Germania Federale (le monografie di Grohmann del 1954 e di Haftmann del 1957) e non viene intaccato dalla pubblicazione dei Diari nel 1957. Le cose cambiano nel 1979, quando l’analisi dei filologi permette una nuova valutazione degli scritti. I centenari servono anche a rimettere in discussione le verità più consolidate.

Non è da ultimo impossibile che gli avvenimenti drammatici del 1919 rappresentino per Klee una cesura che rende impossibile continuare a scrivere la propria biografia: come spiegare alla ricca borghesia illuminata di Weimar, che si affretta a comprarne le opere, e ai grandi mercanti d’arte americani, che contribuiscono a creare il suo mito oltre oceano, che egli è stato parte attiva del tentativo insurrezionale sovietico contro la repubblica e la democrazia? Meglio soprassedere.


Klee come scrittore d’arte dopo i Diari

Alla fine della prima guerra mondiale, all’inizio del 1919, Klee cessa le annotazioni biografiche. Nel 1920 lavora ancora alla pubblicazione dei Diari, ma decide di rinunciarvi. Inizia in parallelo un’intensa produzione teorica, quasi come a marcare il passaggio definitivo dalla narrazione (e dalla poesia) alla saggistica. Quella fase – prima a Weimar, poi a Dessau ed infine a Düsseldorf – dura dall’inizio degli anni venti alla metà degli anni trenta. Gli eventi drammatici tra il 1933 (deve fuggire dalla Germania alla presa del potere dei nazisti) ed il 1935 (gli viene diagnosticata una malattia mortale, la sclerosi sistemica progressiva) decretano poi una seconda cesura: cessa ogni attività letteraria, mentre prosegue solo quella artistica: Klee non scriverà più nulla – neppure saggi o articoli – ma continuerà a disegnare e dipingere fin all’anno della morte (1940).

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NOTE

[1] Tutte le citazioni dei Diari si riferiscono al numero di paragrafi, nell’edizione italiana del 2012. Klee, Paul. Diari 1898-1918. Traduzione di Angelica Tizzo. Con uno scritto di Elena Pontiggia, Carte d’artisti 147, Milano, Abscondita, 2012. La citazione è al paragrafo 170

[2] Paragrafo 553 . L’Autobiografia di Franz Grillparzer uscì nel 1870. Un’edizione italiana è disponibile dal 1979 per i tipi di Guanda, con la traduzione di Ervino Pocar.

[3] Schmidt, Diether – Paul Klee und seine Tagebücher (Paul Klee e i suoi Diari), in: Klee, Paul – Tagebücher 1898-1918, Kiepenheuer, Leipzig, 1980, pagine 369-388). La citazione è a pagina 382.

[4] Nicole Aeby, Un artista bernese, ma non svizzero, 21 aprile 2005. Vedi: 

[5] Tagebücher von Paul Klee 1898-1918, Herausgegeben und eingeleitet von [a cura e con introduzione di] Felix Klee, Colonia, Verlag M.DuMont Schauberg, 1957, pagine 423

[6] Klee, Paul – Tagebücher 1898-1918, Lipsia, Kiepenheuer, 1980

[7] Klee, Paul – Tagebücher 1898-1918. Textkritische Neuedition (Nuova edizione critica). A cura della Fondazione Paul Klee e del Kunstmuseum di Berna, Verlag Gerd Hatje e Verlag Arthur Niggli, 1988, pagine 591

[8] Klee, Paul – Diari 1898-1918. Prefazione di Giulio Carlo Argan. Traduzione di Alfredo Foelkel. Con una nota di Felix Klee, Milano, Il Saggiatore, 1960. Di Alfredo Foelkel esiste anche la traduzione del viaggio in Tunisia di August Macke e la versione italiana di numerosi autori di lirica tedesca.

[9] Vedi nota 1. Per la stessa collezione ‘Carte d’artista’ la Tizzo ha anche pubblicato traduzioni di scritti di Mondrian e Wölflin.

[10] Klee, Paul – Journal. Traduzione di Pierre Klossowski, Bernard Grasset, Éditeur, 1959, p. 327. Al traduttore francese, Pierre Klossowski (1905-2001), un filosofo francese di origine polacca, si deve oltre alla versione dei Diari di Klee nella lingua d’oltralpe, anche la traduzione di grandi classici della letteratura tedesca (Hölderlin, Kafka) e latina (Svetonio), ma anche e soprattutto una serie di scritti su Nietzsche e su de Sade. Klossowski influenza alcuni dei grandi mâitres-à-penser  francesi (Jacques Lacan, Raymond Aron, Jean-Paul Sartre). All’epoca della pubblicazione, Klossowski è conosciuto in Francia allo stesso modo di Klee.

[11] Klee, Paul – Journal (citato), p. 6.

[12] Hanno origine in America sia la traduzione inglese sia quella spagnola. L’edizione inglese compare a Berkeley nel 1964 (seguono tre ristampe, nel 1968, 1973 e 1992); alla traduzione collettiva lavorano Pierre B. Schneider da Parigi e R.Y. Zachary e Max Knight all’University of California Press. Il primo – sul quale non sono riuscito a trovare alcuna informazione – produce una traduzione completa. I due secondi la sistemano: essi sono i curatori di moltissime pubblicazioni artistiche di Berkeley. Quanto alla versione spagnola, si conta una prima edizione messicana, per i tipi delle Ediciones Era di Città del Messico. Il curatore è Jas Reuter, curiosamente autore di numerosi testi sulla cultura popolare messicana. A partire dal 1987 la stessa traduzione di Reuter viene pubblicata dall’editore madrileno Alianza (seguono ristampe nel 1993 e nel 1998).
La prima traduzione giapponese, del 1960, è di Minoru Nanbara (1930-2013), professore di letteratura tedesca all’università di Tokio. Di lui viene ancora oggi utilizzato un dizionario tedesco-giapponese uscito per la prima volta nel 1972. Comparsa nel 2004, la seconda traduzione giapponese di Fumiko Takahashi (1970-), del Goethe Institut di Tokio, si basa ancora sull’edizione del 1957, mentre la terza (sempre della Takahashi) nel 2009 è intitolata “Nuova edizione critica dei Diari” e viene condotta sull’edizione critica del 1988 (viene inoltre riportato un saggio di Wolfgang Kersten).
La prima edizione cinese, intitolata “Diari di Paul Klee, maestro espressionista”, è stata pubblicata a Taiwan nel 1997, a cura di Yǔ Yún. Nel 2011 la medesima versione è stata pubblicata nella Repubblica Popolare Cinese da Chu Chen Books, la casa editrice dell’Università di Chongqing. La traduzione è avvenuta dalla versione in inglese dell’University of California Press (edizione del 1968).

[13] Citazione tratta dalla prima versione italiana del 1960 (e non inclusa nella seconda versione del 2012). Klee, Paul – Diari 1898-1918. Prefazione di Giulio Carlo Argan (citato), p. 1.

[14] Paul Klee. Das Frühwerk 1883-1922 (I primi lavori 1883-1922), Städtische Galerie im Lenbachhaus, München, 1979. La mostra si tiene tra il 12 dicembre 1979 ed il 2 marzo 1980. Nel 1979 sono organizzate tre grandi mostre retrospettive per il centenario, in Svizzera e nella Germania Federale Tedesca: una a Monaco per gli anni 1883-1922, una a Colonia per gli anni 1922-1933 ed una Berna per gli anni 1933-1940. La ragione è che l’enorme produzione di Klee (9.000 pezzi) è distribuita tra Monaco (gli anni del Cavaliere Azzurro), la Renania (da dove dovette scappare alla presa del potere di nazisti, dato che il suo ultimo luogo di residenza in Germania fu Düsseldorf) e la Svizzera, dove concluse la vita e la Fondazione Klee venne creata alla sua morte. Non vi è invece alcuna mostra nelle città della Bauhaus (Weimar e Dessau), nonostante Klee vi trascorra dieci anni, perché nella Repubblica Democratica Tedesca l’arte di Klee è tacciata di ‘formalismo’ e di fatto avversata. Tuttavia, come già menzionato, compare a Lipsia una versione dei Diari nel 1980.

[15] Das Frühwerk, 1883-1922 (citato) p. 258

[16] Klee, Paul – Diari 1898-1918. Prefazione di Giulio Carlo Argan (citato), p. IX

[17] Klee, Paul – Tagebücher 1898-1918 (citato). La citazione è alla nota 24 a pagina 590

[18] Klee, Paul – Diari 1898-1918. Prefazione di Giulio Carlo Argan (citato), p. IX

[20] Paragrafo 1130

[21] Von Wedderkop, Hermann – Paul Klee, Mit einer Biographie des Künstlers, einem farbigen Titelbild und 52 Abbildungen [Paul Klee, Con una biografia dell’artista, un titolo a colori e 52 immagini], collezione ‘Junge Kunst’ [Giovane arte], Lipsia, von Klinkhardr e Biermann editore, 68 pagine.

[22] Zahn, Leopold – Paul Klee. Leben / Werk / Geist [Paul Klee. Vita / Lavoro / Spirito], Gustav Kiepenheuer editore, Potsdam, 1920, pagine 87

[23] Hausenstein, Wilhelm - Kairuan oder Eine Geschichte vom Maler Klee und von der Kunst dieses Zeitalters [Kairuan o Una Storia del pittore Klee e sull’arte di quest’epoca], Monaco, Kurt Wolff, 1921. Ho letto l’edizione pubblicata nel 2014 (edizioni Klinkhardt e Bierman di Monaco), e arricchita da un’introduzione di Peter Härtling ed un saggio di Michael Haerdter. Di Wilhelm Hausenstein, scrittore e letterato, perseguitato dai nazisti, si deve dire che fu personalità di cultura talmente eccezionale, e di orientamento così fortemente europeo, che Konrad Adenauer lo scelse come primo console generale e poi come primo ambasciatore della Repubblica Federale Tedesca in Francia nel 1950.

[24] Klee, Paul - Creative Confession and other writings - Tate Publishing, London, 2013, 32 pagine.

2 commenti:

  1. i miei complimenti per il blog in generale e per codesto studio in particolare, poi scriverò una mail per ulteriori considerazioni, saluti
    r.m.

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