Giovanni Mazzaferro
Il Libro dell'Arte di Cennino Cennini (1821-1950): un esempio di diffusione della cultura italiana nel mondo. Parte seconda
estratto da
Zibaldone. Estudios italianos de la Torre del Virrey vol III, numero 1, gennaio 2015
Taddeo Gaddi, Ultima Cena, Albero della Croce e quattro scene di miracoli. Firenze, Cenacolo di Santa Croce |
Questo saggio è stato pubblicato sul numero 1, gennaio 2015 della rivista online Zibaldone. Estudios italianos de la Torre del Virrey. E' consultabile anche in formato pdf cliccando qui:
Per gentile concessione dell'editore lo riproduciamo ora su Letteratura artistica, diviso in tre parti, fornendone anche la traduzione inglese
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La prima traduzione tedesca (1871). Ci
sono molte cose da dire sulla prima traduzione in lingua tedesca del Libro dell’Arte, operata da Albert Ilg
nel 1871. [20]
Cominciamo da quelle banali: a) si tratta della prima traduzione condotta
sull’edizione Milanesi, e quindi sostanzialmente completa; b) con l’edizione
Ilg, Cennino diventa disponibile (in un tempo relativamente breve: 50 anni) in
tutti gli idiomi europei fondamentali (o, meglio, in tutte quelle lingue che
potevano esercitare influssi culturali importanti sul resto del continente).
Frontespizio dell'edizione Ilg (1871) |
La traduzione di Ilg viene considerata negli
anni a seguire di ottima fattura. Tuttavia, se si esce dall’aspetto meramente
linguistico, e si considera invece il commento che l’accompagna, si deve notare
che si tratta della prima versione in cui compaiono giudizi certo non benevoli
sull’operato dell’artista di Colle Val d’Elsa. [21] Il grande ‘merito’ di
Cennino – ci dice Ilg – è quello di essere un uomo che guarda all’indietro e
non in avanti; è di essere un artista obsoleto, testimone di una civiltà –
quella giottesca – che è morente. Il mondo sta cambiando: a Padova o a Firenze
che fosse, Cennino doveva conoscere generazioni di artisti che già erano
attenti al nascente umanesimo, ma non ne fa nessun cenno, ed anzi, si rivolge
nostalgicamente al passato. Per nostra fortuna, sia chiaro. Perché in questo
modo ci permette di conoscere le tecniche artistiche dei maestri del Trecento.
In merito vanno dette due cose: innanzi tutto Ilg usa un lessico che sarebbe
stato impensabile anche solo fino a qualche anno prima. Parlare di cesura fra
Medioevo e Rinascimento è un aspetto che deriva direttamente dalle opere di
Burckhardt, [22]
che non erano ancora comparse sino all’edizione Milanesi. Ilg rilegge cioè
Cennino alla luce di una periodizzazione nuova e non formalizzata se non
qualche anno prima. Se mi è concesso, vorrei poi dire che interpretare Cennino
come uomo del passato non è – di per sé – elemento sufficiente per
caratterizzare Ilg rispetto a chi aveva fornito prima, o fornirà dopo,
traduzioni della sua opera. Mi spiego meglio: Cennino è visto da tutti come
uomo del passato (semmai Ilg – ma anche altri prima di lui [23] – lo vede come uomo del
passato che guarda all’indietro). Il problema è capire quale deve essere
l’atteggiamento dell’interprete nei confronti di quel passato: Cennino è
l’espressione di un’arte che vogliamo recuperare? Se sì, la vogliamo recuperare
solo da un punto di vista tecnico? O anche – e più ambiziosamente – sotto un
profilo spirituale? È qui che il giudizio di Ilg è nettissimo e sprezzante (ed
è lontano anni luce, ad esempio, da tutte le traduzioni dei primi decenni del
Novecento). L’arte di Cennino non va recuperata; le pratiche che Cennino
suggerisce nel suo manoscritto (ad esempio, il lungo apprendistato di 12 anni
presso un solo maestro) sono del tutto deleterie e comportano la perdita
dell’individualità artistica e la stagnazione e poi la morte dell’arte. Non
credo sia un caso se, nonostante l’indiscussa qualità della traduzione,
qualcuno (Jan Verkade) avverta la necessità, in un clima culturale
completamente mutato (nel 1916), di produrre una nuova edizione in lingua
tedesca che invece ricalibri il giudizio sull’artista senese.
Frontespizio dell'edizione Herringham (1899) |
Trent’anni dopo: la seconda edizione inglese. La tentazione di
stabilire un parallelo fra Mary Philadelphia Merrifield (autrice della prima
traduzione inglese) e Christiana Herringham, che si sobbarca la fatica della
seconda edizione, pubblicata nel 1899, è assai forte. [24]
Entrambe donne ed
entrambe capaci di ritagliarsi un ruolo di primo piano in una società
fortemente maschilista. Ciò detto (ed aggiunto che, ovviamente, l’edizione
Herringham trova la sua ragion d’essere nel fatto di essere condotta su quella
Milanesi, ovvero sul testo integrale del manoscritto), credo che le
similitudini terminino qui. Nell’esaminare il trattato cenniniano Merrifield è
mossa soprattutto dall’interesse per l’affresco; Herringham per la tempera.
Merrifield è una ‘patriota dell’arte’; opera la traduzione nell’interesse
dell’arte inglese, nel momento in cui si pone il problema di Westminster, ma ha
come ideale estetico le opere del classicismo italiano, in particolare di
quello veneto; Herringham nutre invece un interesse romantico e spirituale per
Cennino. Merrifield sente innanzi tutto l’esigenza di marcare le distanze dalla
pittura del Trecento, la pittura di un mondo che non esiste più, imbevuto di
una religiosità quasi idolatra, in cui non compaiono le mezze tinte e i
chiaro-scuri del cromatismo veneziano; ne studia (proto)scientificamente i
magnifici pigmenti ad uso e vantaggio degli artisti moderni. Herringham, quel
mondo, lo sente vicino: sente innanzi tutto ‘moderno’ l’ammonimento di Cennino
a vestirsi di amore, timore, ubbidienza e perseveranza, e a mettersi sotto la
guida di un solo maestro per imparare a dipingere. Merrifield ha come stella
polare Eastlake; Herringham agisce sotto l’influenza di Ruskin. Non crede
affatto che lo studio dei pigmenti e delle ricette – che pure conduce con
un’acribia di cui le verrà dato ampiamente atto - possa portare a miglioramenti
se non capendo che bisogna innanzi tutto cambiare l’approccio con cui il
pittore vive la propria opera. Siamo a fine secolo, e il tema dello spirituale
dell’arte, del sacerdozio artistico sta esplodendo fragorosamente in tutta
Europa. Christiana non è una pittrice professionista, ma un’accanita copista. Per
decenni si confronta quotidianamente con le opere degli antichi maestri presso
la National Gallery e studia la tecnica della tempera. [25] Nel 1901, due anni dopo
la pubblicazione di Cennino, è fra le fondatrici (e sicuramente la principale
finanziatrice) della Society of Painters
in Tempera. L’interesse della Società non è di tipo antiquario; si ritiene
che la tempera, proprio perché tecnicamente più difficile dell’olio, possa
portare a un nuovo modo di dipingere, più consapevole, più elevato, più bello.
Cennino non è più l’ultimo dei Giotteschi; è il primo dei moderni.
Il mito di Cennino nell’Europa dell’Art Nouveau. Fra 1911 e 1916 escono tre nuove edizioni del Libro dell’Arte: la prima, francese, con
prefazione di Auguste Renoir (1911), la seconda, italiana, curata da Renzo Simi
(1913), la terza, in tedesco, commentata da Jan Verkade (1914-1916).
[26] E qui
potremmo finire, se non che proprio queste tre edizioni sono la chiara
dimostrazione (oserei dire che sono una dimostrazione matura, nel senso che si
manifestano a ridosso o addirittura nel corso della grande tragedia della
guerra) di cosa è successo in tutta Europa dall’ultimo decennio del XIX secolo
in poi. In realtà credo che esista una prova visuale di quanto appena detto,
precedente di qualche anno rispetto alle tre traduzioni appena citate. Si trova
in Ungheria, presso l’Accademia Musicale di Budapest, dove, nel 1907, Aladár
Körösfói-Kriesch, uno degli artisti di punta dell’Art Nouveau ungherese, realizza un magnifico ciclo di affreschi
intitolato Pellegrinaggio alla sorgente
dell’arte. Senza dilungarmi, l’affresco principale mostra due file di
personaggi che si recano appunto ad abbeverarsi ad una simbolica fontana da cui
sgorga la sorgente dell’arte. Sulla fontana, l’artista sente il bisogno di
scrivere: “La mia gratitudine a Cennino
Cennini, il mio tributo ai Maestri di Siena”. [27]
Aladár Körösfói-Kriesch , Pellegrinaggio alla Sorgente dell'Arte (affresco), Budapest, Accademia Musicale Franz Liszt, 1907 © Nóra Mészöly |
L’esplosione dell’Art Nouveau in Europa, la nascita delle Secessioni nelle loro varie
declinazioni nazionali, il superamento del naturalismo, l’antipositivismo, l’attenzione
a simbolismo, sintetismo, spiritualità dell’arte sono un fenomeno universale.
Ne è un aspetto tutt’altro che secondario anche la riscoperta non solo delle
tecniche, ma anche delle modalità di creazione delle opere medievali. Esattamente
come nel caso della Herringham, Cennino diventa un autore ‘moderno’, col suo
richiamo all’umiltà, all’obbedienza, alla perseveranza. Se fino a metà
dell’Ottocento l’esperienza dell’artista straniero in Italia era rivolta ai
Carracci, a Raffaello, al colorismo veneziano, ora si viene in pellegrinaggio a
vedere i grandi cicli degli affreschi di Giotto ad Assisi e degli altri maestri
toscani del Medio-Evo.
Tutti quelli appena accennati sono temi
facilmente riscontrabili nelle nuove traduzioni di Cennino. Renzo Simi pubblica
la terza edizione italiana nel 1913. [28] È figlio di Filadelfo Simi, artista liberty la
cui scuola internazionale, aperta a Firenze da fine Ottocento, andrebbe
studiata a fondo se annovera fra i suoi allievi Telemaco Signorini e Giovanni
Fattori da un lato, ma dall’altro tutta una serie di artisti stranieri
particolarmente attenti alla cultura quattrocentesca italiana (sono provate, ad
esempio, frequentazioni di Filadelfo Simi con artisti finlandesi che, tornati
in patria, inaugurano la locale scuola di pittura a fresco). [29]
Filadelfo Simi, Un riflesso, Roma, Galleria d'Arte Moderna |
La versione di Renzo è
semplicemente la sua tesi di laurea, poi riadattata. Dobbiamo dire, innanzi
tutto, che l’edizione Simi è di gran lunga la più fortunata di tutte quelle
stampate, vuoi per le numerose riedizioni italiane vuoi perché la maggior parte
delle successive traduzioni si basa su questa. Da un punto di vista editoriale,
l’operazione di Simi è molto semplice: libera l’opera da ogni eccessivo
apparato di note a commento e cerca di restituire un linguaggio più moderno e
comprensibile al lettore. Vale la pena riportare ampi stralci dalle tre pagine
iniziali della prefazione, in cui Simi si occupa della poetica di Cennino:
“Il tempo,
come il mare, se molte cose distrugge, altre solamente le nasconde; un giorno
poi le ridona agli uomini, più care e più preziose: il carbone si è fatto
diamante…
L’amore
dell’esotico e l’amore del contrasto ci attirano verso ciò che è più lontano da
noi: la generazione presente, critica irreligiosa e positiva, adora la candida
espressione d’una fede perduta, come la donna nell’età matura è sedotta
dall’inesperta innocenza dei giovanetti. Si va ad Assisi come in
pellegrinaggio…
Il
contrasto assoluto fra l’arte d’oggi e d’allora spiega questa passione. L’arte
d’allora è impersonale, e principalmente per questo grandiosa. Povera di mezzi,
semplice per natura e per necessità, segue formule consacrate dall’uso e se ne
contenta…
Va
naturalmente congiunta alla impersonalità la generalità. Non ritratti, ma
simboli o tipi; non un dolore, ma il dolore; non il dettaglio particolare, ma
le linee di costruzione; non la profonda ricerca moderna del colore, ma un tono
unito, col suo chiaro e il suo scuro…
Di tutte
queste cose, il Cennini scrive con molta precisione, molta minuzia e molto
amore. Il suo libro, documento prezioso per la storia della tecnica, è sopra
tutto, per noi, un commento poetico a quella spirituale semplicità dei
primitivi che male da molti si volle imitare; poiché l’acqua del fiume corre
dalla sorgente alla foce, ogni stagione ha un suo carattere di bellezza e la
vita dell’uomo una sola infanzia.” [30]
Cennino nel mito. Cennino come San Francesco.
Non importa che, nella realtà delle cose, si sappia da un pezzo (dall’edizione
Milanesi) che l’artista di Colle Val d’Elsa non era un frate. Qui stiamo
parlando di sacerdozio nell’arte. L’arte è una religione. Scriveva già
Segantini nel 1891: “l’arte deve
rimpiazzare il vuoto lasciato in noi dalle religioni; l’arte dell’avvenire
dovrà apparire come scienza dello spirito, essendo l’opera d’arte rivelazione
di esso… Letteratura, musica, pittura non più serve o prostitute, ma signore
potenti e gentili formeranno la trinità dello spirito: per esse sarà religione
e musa la evoluzione cosmica, guida la scienza, fonte d’ispirazione il
sentimento alto e sereno della natura”. [31]
La copertina dell'edizione Verkade (1916) |
È appena evidente che dal sacerdozio nell’arte a
‘sacerdozio ed arte’ il passaggio può essere molto breve. È il caso
dell’olandese Jan Verkade, protestante convertitosi al cattolicesimo, che
incarna questi valori così profondamente da farsi monaco e vivere al servizio
del monastero di Beuron, uno dei grandi centri artistici che, a cavallo fra
Ottocento e Novecento, cercano di rinnovare l’arte sacra in senso moderno.
[32] Verkade è
l’autore della seconda traduzione tedesca di Cennino, già completata nel 1914,
ma pubblicata solo nel corso della guerra. [33] Se torniamo con la mente a
quello che l’autore della prima traduzione nella medesima lingua (Albert Ilg)
scriveva in merito a Cennino (ultimo dei Giotteschi, uomo che viveva fuori dai
tempi con lo sguardo rivolto al passato) ci rendiamo conto dell’abisso
culturale che separa le due versioni. Scrive Verkade nella sua prefazione: “se qualcuno mi chiedesse quale sia il
vantaggio di quest’opera [n.d.r il Libro dell’Arte], risponderei
che consiste fondamentalmente in una migliore comprensione di quell’arte – che
oggi è divenuta nuovamente a noi così cara – i cui eroi furono Giotto, i Memmi,
Lorenzetti e l’Orcagna. Attraverso il trattato di Cennino – all’apparenza così
arido – fluisce lo stesso, meraviglioso spirito che ci colpisce nell’opera di
quei maestri. È lo spirito della venerazione e della pietà, dell’amore e
dell’entusiasmo, che – ingenuo, ma devoto nella fede – cerca di plasmare
immagini che siano chiaro specchio della sua forza e della sua delicatezza
quasi non riconosciuta. Il libro ci porta più vicini a questo spirito, che non
appartiene più ai nostri tempi… La nuova direzione verso cui si indirizzerà la
pittura sarà di natura spirituale. E tuttavia, la pittura fino ad oggi è stata
supportata dalle tecniche dell’età del naturalismo. Potranno forse i pittori
del Trecento e il maestro delle loro tecniche [n.d.r. Cennino Cennini] aiutarci
a sviluppare modi di espressione a noi più consoni?”
Verkade scrive a guerra scoppiata, ma in realtà
è un artista la cui biografia testimonia come la cultura europea abbia comuni
radici che saranno poi sepolte sotto milioni di morti. Si è formato in Francia,
ha aderito ai Nabis, e presso i Nabis ha conosciuto un giovane Maurice
Denis, uno dei personaggi di maggior spicco della cultura e del cattolicesimo
francese della prima metà del Novecento, nel bene e nel male. [34] È Maurice Denis, che
probabilmente ha letto Cennino già prima del 1909, a progettare una nuova
edizione francese dell’opera. Il trattato viene ristampato nel 1911;
costituisce in qualche modo un unicum,
per due motivi: a) non viene preparata, come in tutti i casi dopo l’edizione
Milanesi, una nuova versione basata sull’interpolazione dei due manoscritti
fiorentini, ma si prende la prima edizione francese (quella di Victor Mottez,
basata sul testimone vaticano) e la si completa coi capitoli mancanti, a cura
del figlio, Henri Mottez, anch’egli pittore (da un punto di vista filologico
l’operazione è del tutto opinabile; è vero che vengono colmate le lacune, ma il
testo vaticano, essendo molto tardo, è pieno zeppo di errori di trascrizione
che non vengono corretti); b) si chiede e si ottiene ad Auguste Renoir di
inserire una prefazione in forma di lettera ad Henri. Diciamo subito che la presenza
delle prefazione di Renoir rende quest’edizione particolarmente famosa, e non
solo in Francia. Non sono pochi i casi di traduzioni basate sulla versione
francese, anche se scorretta, proprio per via del testo di Renoir. [35]
La copertina della seconda edizione francese, con prefazione di Auguste Renoir |
Come noto, solo i primi vent’anni della carriera
artistica di Renoir sono quelli dell’impressionismo; poi c’è una frattura,
provocata dal senso di insoddisfazione, e la pittura dell’artista francese vira
nettamente verso uno stile più classico ed attento alla pittura del Quattrocento
italiano. È del 1883, stando ad un colloquio fra Renoir e Ambroise Vollard,
[36] l’incontro
con il trattato di Cennino Cennini. Quello che è certo è che fu un rapporto
molto intenso. Questa è la testimonianza di una visita a Renoir fatta da
Camille Mauclair, scrittore ed amico dell’artista:
“Da molto tempo questo maestro – che aveva in
precedenza firmato delicatissimi capolavori di una sensualità ben equilibrata –
non produceva altro che immagini di donne nude sovrappeso, deformate
dall’elefantiasi, imbrattate di un rosso violaceo, appesantite in corpi enormi
con piccole teste in cima, con bocche à la femme fatale, nasi piatti ed
occhi bovini; e sono pitture tuttavia vendute a prezzi altissimi ed apprezzate
per rispetto dell’autore (…). Trovai quest’uomo, anziano e sofferente
completamente ipnotizzato da una lettura, di cui parlava con entusiasmo ingenuo
e commovente. ‘Un italiano del XIV secolo. È incredibile quello che sapevano
quegli uomini. Oggi la gente non conosce più nulla. Io vi sto imparando cose su
cui avevo dubbi.. So quello che ancora mi manca, non posso crederci… l’ho solo
preso in prestito’. Davvero colpito dalla sua modestia, diedi un’occhiata al
libro. Era il piccolo trattato di pittura del buon e mediocre Cennino Cennini.”
[37]
Ma torniamo all’edizione del 1911: nasce
anch’essa nel filone del cattolicesimo europeo. Ma se quella di Verkade sembra
essere la ricerca di nuove forme di espressione per l’arte sacra, Renoir dà
voce all’ala conservatrice del cattolicesimo francese, venata di un profondo
pessimismo (e negli anni destinata a compromettersi coi movimenti fascisti
transalpini): quello di Renoir è un mondo che si chiude a riccio in se stesso e
a cui manca prospettiva. Se naturalmente la lettera introduttiva loda il lavoro
di Cennino, l’artista si sofferma anche
sulle cause della decadenza della pittura nella sua epoca, e ne identifica tre:
a) la perdita del sentimento religioso (lo splendore passato della cultura
cattolica era alla base del fiorire delle arti), rimpiazzato da razionalismo e
tecnologia; b) l’emancipazione
dell’artista da tradizioni condivise, che avevano in precedenza preservato la
base culturale di fondo per la produzione di lavori d’arte collettivi (si pensi
alle cattedrali); c) la specializzazione del lavoro e la divisione del lavoro
nella produzione industriale, che aveva fortemente ridotto l’importanza dei
mestieri artigianali nella creazione materiale, sostituendo il lavoro creativo
manuale con la produzione alienata di massa. E, quel che è peggio, Renoir dubita
fortemente che questi valori e che lo spirito degli antichi maestri possano mai
essere recuperati.
Fine Seconda Parte
NOTE
[20]
C. Cennini, Das Buch von der Kunst oder
Tractat der Malerei des Cennino Cennini da Colle di Valdelsa, ed. A. Ilg,
Vienna, 1871.
[21]
Si rimanda a F. Mazzaferro, Albert Ilg e Julius von Schlosser: due modi
diversi di interpretare Cennino Cennini nell’Austria-Ungheria del 1871 e del
1914.
[22]
J. Burckhardt, Die
Kultur der Renaissance in Italien, Schweighauser editore Basilea, 1860.
[23]
Un esempio può essere quello di Lord Lindsay, che nel
secondo volume dei suoi Sketches of the
History of Christian Art (John Murray editore, Londra, 1847) definisce il
trattato come “this dying legacy of the man who, in his amiable but blind
idolatry of the past, might be fitly styled the Last of the Giotteschi” (p.
306).
[24]
C. Cennini, The
Book of the Art of Cennino Cennini. A Contemporary Practical Treatise on
Quattrocento Painting Translated from the Italian, with Notes on Mediaeval Art
Methods, ed. C. Herringham, Londra, 1899.
[25]
Si veda M. Lago, Christiana
Herringham and the Edwardian Art Scene, Londra, 1996.
[26] In materia va senz’altro
consultato Margherita d’Ayala Valva, Gli
“scopi pratici moderni” del Libro dell’arte di Cennino Cennini: le edizioni
primonovecentesche di Herringham, Renoir, Simi e Verkade in Paragone/Arte 64 Novembre 2005.
[27] Sull’argomento si veda G.
Mazzaferro, ‘La
mia gratitudine a Cennino Cennini, il mio tributo ai Maestri di Siena’: il mito
di Cennino Cennini e un affresco Art Nouveau a Budapest.
[28] C. Cennini, Il Libro dell’Arte, ed. R. Simi,
Lanciano, 1913.
[29] Si veda la tesi di
dottorato di ricerca di Maria Stella Bottai, “Perché vai in Italia?” – Artisti finlandesi in Italia e la rinascita
della pittura murale in Finlandia tra Otto e Novecento, Università degli
Studi La Sapienza, Dipartimento di Storia dell’arte a.a. 2008-2009.
[30] C. Cennini, Il Libro dell’Arte, ed. R. Simi, cit.,
pp. 5-6.
[31] Citazione da Fernando
Mazzocca, Dai Preraffaelliti ai
futuristi. Liberty, uno stile per l’Italia moderna, in Liberty. Uno stile per l’Italia moderna, ed. F. Mazzocca, Milano,
2014, p. 33.
[32]
Si rimanda a Francesco Mazzaferro, Jan Verkade, Cennino Cennini e la ricerca
dell’arte spirituale durante la Prima guerra mondiale.
[33]
C. Cennini, Des Cennino Cennini
Handbuchlein der Kunst, ed. Willibrord Verkade, Strasburgo, 1916.
[34] Francesco Mazzaferro, Jan Verkade, Cennino Cennini…, cit.
[35] C. Cennini, Le Livre de l’Art ou Traité de la Peinture
par Cennino Cennini. Nouvelle édition augmentée de dix-sept chapitres nouvellement
traduits, précédés d’une lettre d’A. Renoir.
Ed. H.
Mottez, Parigi, 1911.
[36] Citazione da Una conversazione con Ambroise Vollard
in Pierre-Auguste Renoir, Lettere e
scritti, a cura di Elena Pontiggia, Abscondita editore, Milano, 2001, p.
73.
[37]
F. Mazzaferro, Jan Verkade, Cennino
Cennini…, cit.
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