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giovedì 22 gennaio 2015

Scritti di artisti tedeschi del XX secolo - Max Klinger, 'Pittura e disegno'. Parte prima: Il contesto


Max Klinger  
Malerei und Zeichnung (Pittura e disegno)
Parte Prima: Il Contesto

(Recensione di Francesco Mazzaferro)

[Versione originale: gennaio 2015 - nuova versione: aprile 2019]

Fig. 1) Max Klinger, Pittura e disegno, La prima edizione del 1891, stampata da Reusche a Lipsia. Fonte: http://daten.digitale-sammlungen.de/~db/0007/bsb00079784/images/index.html?seite=5&fip=193.174.98.30

Pittura e disegno di Max Klinger (1857-1920) è un testo che discute del ruolo delle arti grafiche in rapporto alla pittura, anche in funzione della discussione estetica tra naturalisti e neo-idealisti in Germania a cavallo fra Otto e Novecento. Si tratta di un pamphlet di meno di cinquantina di pagine che il pittore, scultore e incisore tedesco pubblicò nel 1891, all’età di 34 anni, ad uso privato di colleghi ed amici [1]. All’autore era ben chiaro che si trattava di un testo a tesi, e che tali tesi poteva essere considerata ‘arbitraria o al più parziale’ [2]. Il diario [3] e l’epistolario [4] di Klinger rivelano che egli aveva già messo per iscritto alcune pagine sull’argomento nel 1883, a 26 anni, e che una prima stesura del pamphlet era stata completata nel 1885. Si tratta dunque di riflessioni giovanili, pubblicate quando l’artista non era ancora all’apice della sua carriera.

Se inseriamo comunque questo titolo del 1891 tra gli scritti degli artisti tedeschi del ventesimo secolo è perché il testo conobbe una straordinaria fortuna editoriale nel corso del primo quarto del Novecento. Dal 1891 in poi, infatti, fu pubblicato altre otto volte prima della seconda guerra mondiale, anche nell’ambito della collana della Biblioteca Insel (Insel Bücherei) del famoso editore Insel di Lipsia, destinata ad una larghissima distribuzione. Nel secondo dopoguerra successe qualcosa di difficile interpretazione: in Germania orientale l’interesse continuò senza interruzioni (con edizioni nel 1950, 1978, 1980 e 1985, tutte a Lipsia, da parte del ramo orientale statalizzato degli editori Insel e Reclam), mentre in Germania occidentale il testo di Klinger non fu più disponibile sul mercato per decenni. L’interesse per Pittura e disegno riemerse in Germania occidentale, ed anche al di fuori della Germania, a partire dagli anni Ottanta: anche in Italia, dove due traduzioni comparvero nel 1995 e nel 1996, e, più di recente, nel mondo inglese, con una traduzione del 2005.

Quali furono le ragioni della fortuna dello scritto nel primo quarto del Novecento, e dell’andamento discontinuo tra Germania occidentale ed orientale nel dopoguerra? Vi sono molti aspetti non chiariti e molti punti interessanti cui dobbiamo cercare di rispondere. Primo: a partire dalla seconda metà degli anni venti il testo continuò ad essere oggetto di lettura nella Germania di Weimar, nonostante l’interesse per l’arte di Max Klinger fosse ormai in declino. Secondo, l’imbarazzo del dopoguerra nei confronti del testo di Klinger in Germania occidentale fu forse dovuto ad un equivoco: gli venne imputato di essere stato oggetto di apprezzamento da parte della critica nazionalista, di non essere stato classificato dai teorici nazisti come artista degenerato, e anzi di esser stato da loro visto come artista ‘proto-nazista’ [5]. Ebbene, è molto dubbio che Klinger fosse nazionalista, mentre altri artisti molto celebrati nel dopoguerra (Corinth, Nolde) lo erano stati. Terzo, il successo editoriale prima della guerra (ed in Germania orientale, anche nei decenni seguenti) non significa che vi fosse uno specifico interesse critico sullo scritto. Se infatti la pubblicazione attirò commenti diversi – collezionando elogi e stroncature – e molti saggi monografici su Klinger inclusero qualche pagina tratta da Pittura e disegno, in quegli anni il testo fu oggetto di studi specifici solo da parte di Ferdinand Avenarius. Quest’ultimo fu autore del saggio “Klinger come poeta” [6], pubblicato nel 1917 e ben altre sei volte fino al 1923. Solo nel tardo Novecento si moltiplicarono gli articoli di storici dell’arte e studiosi di estetica, spesso non tedeschi. Quarto, se all’inizio del ventesimo secolo il testo di Klinger contribuì alla rinascita dell’interesse per la grafica in Germania (in linea con quanto era già successo in Francia ed Inghilterra a partire dal 1850), solo alcuni incisori e disegnatori della generazione successiva (in particolare Käthe Kollovitz, Alfred Kubin, Georg Kolbe e Paula Modersohn-Becker) fecero riferimento diretto a Klinger ed al suo pamphlet, e molti dei maggiori protagonisti di quella rinascita (gli espressionisti del gruppo del Ponte, Emil Nolde, Paul Klee, Max Beckmann) mostrarono freddezza o addirittura espressero disaccordo con le tesi in esso contenute. Quinto, l’interesse italiano per Klinger deriva da una magistrale laudatio di Giorgio de Chirico del 1920, che lo definì “artista moderno per eccellenza”, ma anche dall’interesse che l’artista tedesco ebbe per l’Italia: grande moderno classico, Klinger fu forse più compreso da de Chirico, della cui arte metafisica fu ispiratore, che dall’avanguardia tedesca. Il testo italiano di de Chirico divenne negli anni Ottanta uno degli scritti principali a supporto della riscoperta di Klinger nella Germania contemporanea.


Per una lettura moderna di Pittura e disegno

Come già detto, nel corso del 1919 (un anno prima della morte dell’artista) Pittura e disegno veniva ripubblicato per l’ennesima volta nell’ambito della collana Biblioteca Insel. Si trattava della sua consacrazione e della possibilità di essere fruito da un pubblico di massa, vista la diffusione della collana medesima. Rileggere il testo a cento anni di distanza consente un’interpretazione più attuale di quanto si sia tentato finora.


Fig. 2) La seconda edizione, pubblicata dal Verlag von Authur Georgi a Lipsia nel 1895

Emerge in primo luogo come quello di Klinger sia stato un tentativo di allargare gli spazi di libertà dell’artista, consentendogli di adottare tecniche diverse per perseguire varie finalità: in una fase di contrasti feroci tra naturalisti e neo-idealisti, tra chi privilegiava forma o contenuto, tra chi s’ispirava alla tradizione francese o a quella tedesca, Klinger dichiarava che entrambe le opzioni erano possibili, a patto che all’artista fossero chiare le diversità dei linguaggi artistici, imposte dal differente mezzo tecnico. Dunque, un testo che legittima la sperimentazione degli stili, ammettendo sia un approccio basato sul perseguimento di pura bellezza formale (l’art pour l’art) sia la sperimentazione concettuale, e riservando il primo alla pittura ed il secondo al disegno.

Una seconda prospettiva non dovrebbe essere ignorata. Klinger si pone anche il problema di come poter conseguire l’obiettivo dell’unità dell’arte, seguendo i dettami della Gesamtkunst (l’arte totale). La mostra della Secessione viennese del 1902 fu interamente dedicata a Beethoven. Klinger (che amava visceralmente la disciplina al punto da produrre un numero esorbitante di opere dedicate ai grandi dell’Ottocento musicale) partecipò con una statua policroma del grande compositore, realizzata con dieci materiali diversi. L’opera è legata all’idea della Raumkunst, l’arte spaziale, e – spostandoci ai giorni nostri –  al concetto odierno di installazione.

La statua di Beethoven non piacque a molti critici, che ne parlarono come di un monumento al kitsch (oggi sarebbe considerata una statua iconica post-moderna e batterebbe tutti i record alle aste). Rodin la vide e disse che nulla aveva a che fare con la scultura. Il fatto che Beethoven fosse rappresentato nudo fece scandalo. Fatto sta che della statua si conservò una visione separata dal resto della mostra, e Klinger sembrò essere l’esponente di una monumentalità passatista. È un’idea profondamente errata: si vedano le foto originali dell’ambiente http://www.secession.at/beethovenfries/1902_d.html ed il bellissimo catalogo della mostra http://secession.nyarc.org/omeka/items/show/55). Non si creda che si sia trattato di un tentativo estemporaneo: Klinger iniziò a lavorare al suo Beethoven a Parigi nel 1885. In quegli anni si stava cimentando per la prima volta con il problema dell’arte spaziale (Raumkunst) e della specializzazione tra pittura e disegno, nella composizione del ciclo di affreschi per la villa di uno dei suoi maggiori collezionisti e mecenati, il giurista berlinese Julius Albers, per una sua villa appena fuori città. Nelle lettere che l’artista indirizza, fra il 1883 e il 1885, appunto ad Albers compaiono tutti i temi estetici della modernità klingeriana.

Vi è poi una terza chiave di lettura di Pittura e disegno, quella che de Chirico colse benissimo nella sua laudatio del 1920: il fortissimo legame col mondo classico (che aveva conseguito l’unità delle arti) come elemento di riferimento per una nuova sintesi da parte degli artisti contemporanei. Si pensi al ruolo fondamentale che gioca nell’arte di Klinger la scultura policroma, vero e proprio tentativo di recuperare il significato originale della statuaria greca antica. Si veda il Cristo sull’Olimpo, a cui Klinger lavorò sette anni [7]. L’opera è stato spesso letta come un’altra delle bizzarrie dell’artista, ma in realtà ha precisi obiettivi: descrive in modo simbolico la complessità dell’identità moderna (vi è una chiara citazione nietzschiana del Cristo-Dioniso). In termini iconografici la scena si svolge quasi esclusivamente in senso lineare ed orizzontale, quasi su un solo piano, giocando sulla successione statuaria delle figure ed eliminando gli aspetti prospettici. La profondità viene prodotta dal gioco dell’incarnato del nudo sul colore delle figure vestite. La narrativa pittorica è inoltre combinata con fregio e scultura, nel tentativo di ottenere gli stessi effetti di arte totale descritti in Pittura e disegno (qualcosa non visibile nella figura in basso).

Fig. 3) La terza edizione del 1899, anch'essa pubblicata dal Verlag von Authur Georgi a Lipsia
Nel 1897 Gauguin dipinge il quadro “Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?”. È un’opera realizzata in un luogo molto distante, a Tahiti, ma ciò nonostante molto simile, sia in termini di contenuto e di forma, alla poetica klingeriana: la ricerca d’identità tra culture diverse, l’impiego di simboli e la lettura orizzontale del narrato, superando le regole rigide della prospettiva.

Questo senso della narrativa orizzontale, lineare, classica, tutta in primo piano, in cui la scansione delle figure è pura alternanza di forma e colore, è tipica dell’arte monumentale di Klinger. Si pensi ancora alla Fioritura della cultura greca (fig.4) l’enorme affresco che decorava l’Aula magna dell’Università di Lipsia fino ai bombardamenti della guerra: la foto in basso, tratta da una pubblicazione del 1909 che ho acquistato sul mercato antiquario, è a mia conoscenza l’unica foto a colori disponibile sul web; l’ho tratta da una pubblicazione del 1909 di Paul Schumann [8]. Oppure si pensi a Lavoro,benessere, bellezza un affresco per il municipio di Chemnitz - vi è anche qualcosa di pompeiano nei gesti delle figure in primo piano – la cui realizzazione impegnò l’ultimo decennio di vita dell’artista. Klinger vi applicò la tecnica del fregio classico, dipinto con tratti scultorei, ad intervalli regolari, anche qui su un solo piano.

Fig. 4) Max Klinger, La fioritura della cultura greca, Affresco nell’Aula magna dell’Università di Lipsia
(20 metri di lunghezza e 6 di altezza, distrutto durante la Seconda guerra mondiale), 1909

È questa la lettura di Pittura e disegno che dobbiamo adottare oggi: quella di un consapevole tentativo di Klinger di perseguire una mediazione tra moderno ed antico. In quegli anni, sia pur seguendo certamente linguaggi differenti, fu lo stesso Cézanne a ricercarelo stesso risultato, attraverso una narrativa ugualmente basata sulla disposizione di figure lungo linee orizzontali e perpendicolari, combinando la geometrizzazione dello spazio con una riproposizione di schemi neo-classicisti.

Quest’interpretazione consente anche di considerare il testo di Klinger come uno dei primissimi tentativi di pittori moderni nell’intera Europa volto a recuperare un rapporto diretto con l’arte classica anche in termini teorici. Penso non solamente alla Germania (il riferimento al manuale di Lovis Corinth Apprendere la pittura del 1908, già recensito in questo blog, è ovvio) ma anche alla Francia (gli scritti teorici di Maurice Denis, soprattutto “Définition du néo-traditionnisme” del 1890 e “De Gauguin e de Van Gogh au classicisme” del 1909, appena ripubblicati [9]). Quel che è comune a questi autori è la frequentazione che tutti loro ebbero di Parigi e di Roma.

Vi sono invece due letture sbagliate di Pittura e disegno, che spesso hanno contraddistinto la prospettiva critica dei contemporanei. La prima è l’idea di interpretare il testo esclusivamente come mero commento ausiliario all’opera grafica di Klinger, non capendo che lo scritto aveva una valenza più generale, una sua autonomia e non si occupava solo di disegno. Come peraltro avremo modo di vedere, spesso Klinger non si atteneva strettamente a una precettistica che imponesse la rigida divisione fra generi e tecniche.

La seconda è che Pittura e disegno fosse un’ode alla germanicità dell’arte. Purtroppo, nell’età del nazionalismo che stava conducendo alla prima guerra mondiale, quasi tutta la critica tedesca finì per chiudersi in quell’angolo. Per Klinger fu una trappola: come già detto, quindici anni dopo il nazismo lo celebrò al tempo stesso in cui condannava altre forme di arte moderna come “arte degenerata”, e questo segnò per decenni la reputazione dell’artista, del tutto incolpevole.

Se si evitano questi due errori, diviene facile scoprire che Pittura e disegno – promuovendo l’apertura di nuovi spazi di libertà agli artisti – fu letto probabilmente in funzione di ciò che conteneva effettivamente di più rivoluzionario: la teorizzazione di un’arte concettuale e metafisica, che nello scritto di Klinger doveva essere l’area demandata solamente al disegno (ma che praticò anche nella pittura; non a caso lo si considera pittore simbolista).

La generazione immediatamente successiva a quella di Klinger (mi riferisco agli artisti di quel variegato movimento che è stato l’espressionismo tedesco) può forse aver evitato di ammettere (in gran parte per ragioni ideologiche) il debito che contrasse nei suoi confronti. Ma siamo di fronte al tipico atteggiamento dell’adolescente che rifiuta il padre, per poi riscoprirlo nella successiva età della maturità. Le vicissitudini degli anni trenta, ed in particolare la persecuzione dell’avanguardia subita ad opera del nazismo, impediranno però che gli artisti successivi ritrovassero la distanza necessaria per ricostruire una linea di continuità con il loro passato.

Fig. 5) La quarta edizione, datata 1913, pubblicata dall'editore Thieme Verlag a Lipsia

Max Klinger, un tedesco moderno

Max Klinger é stato uno degli artisti tedeschi più colti. In lui si coglie il dialogo con tutte le belle arti (fu pittore, scultore e disegnatore), con la musica (soprattutto Beethoven, Brahms – di cui fu amico -, Schumann, Wagner; egli stesso fu musicologo e buon pianista) e con la filosofia (Lessing, Nietzsche, Schopenhauer; di quest’ultimo scrisse che la lettura quotidiana delle sue opere aveva accompagnato la sua maturazione artistica). Partecipò attivamente al rinnovamento dell’arte tedesca, sin dalla costituzione a Berlino, nel 1892, del Gruppo degli Undici, da parte di Walter Leistikow; con lui e con i tre maggiori impressionisti tedeschi, Max Lieberman, Lovis Corinth and Max Slevogt, aderì alla Secessione di Berlino nel 1899, pur non essendo impressionista. Aderì, sia pure come membro corrispondente, anche alla Secessione di Monaco e a quella di Vienna. Ebbe fin dall’epoca della sua formazione intensi contatti con artisti all’estero, prima in Scandinavia e Belgio e poi in Francia, e passò lunghi periodi della sua vita in Francia ed in Italia.

Per il pubblico italiano, che ben lo conosce [10]. Klinger fu soprattutto uno dei tedeschi più appassionati d’arte italiana. Anzi, uno dei cosiddetti “tedeschi romani”: sulle orme dei grandi della generazione precedente, Arnold Böcklin (1827-1901), Anselm Feuerbach (1829-1880) e Hans von Marées (1837-1887), visse infatti a Roma tra il 1888 ed il 1893. Viaggiò moltissimo nel nostro paese; per conto del Deutscher Künstlerbund (l’Associazione tedesca degli artisti creata da Walter Leistikow nel 1903 per ampliare all’intera Germania il disegno riformatore della Secessione Berlinese) acquistò a Firenze la Villa Romana, sede che continua anche oggi ad accogliere artisti tedeschi in Italia (i primi vincitori della borsa di studio furono Max Beckmann e Käthe Kollwitz).


Alla sua morte, nel 1920, un giovane Giorgio de Chirico – allora trentaduenne – compose una laudatio rimasta memorabile, anche nel mondo tedesco. Il testo fu pubblicato originariamente nella rivista d’arte e letteratura “Il convegno”. “Fu pittore, scultore, acquafortista, filosofo, scrittore musico e poeta. Lasciò un libro di pensieri sul disegno e la pittura. Scrisse numerosi saggi e studii sull’arte antica e moderna. (…) Klinger è stato l’artista moderno per eccellenza. Moderno non nel senso che si dà oggi a questa parola ma nel senso di uomo cosciente, che sente l’eredità di secoli e secoli d’arte e di pensiero, che vede chiaramente nel passato, nel presente e in se stesso.” [11]


Max Klinger, un tedesco nazionalista?

Il giudizio di de Chirico colpisce perché – già nel 1920 – egli colse nella modernità, sia pur inserita in una sostanziale continuità con il passato, una delle caratteristiche di Klinger. Ed è proprio delle scorse settimane la pubblicazione di un’ampia monografia di Marsha Morton su “Max Klinger e la cultura guglielmina. Sulla soglia del modernismo tedesco” [12], che documenta con molta attenzione la natura rivoluzionaria dell’arte (ed in particolare della produzione grafica) di Klinger rispetto a tutti i dogmi della Germania di fine Ottocento. La Morton aveva già pubblicato nel 1995 un saggio su “Pittura e Disegno”; si tratta di un testo che ci è stato di grande aiuto per capire la storia ed il contesto del pamphlet [13].

Klinger fu popolarissimo nei suoi anni e fu oggetto di vero e proprio culto, come ben spiegato davvero bene da Elizabeth Pendleton Streicher [14]. Nei primi anni del Novecento era normale paragonarlo a Michelangelo e Leonardo, Beethoven e Wagner e definirlo il più grande artista del suo tempo [15]. Nell’anno di pubblicazione di Pittura e disegno, il 1891, due grandi mostre a lui dedicate si erano tenute a Monaco; l’anno precedente Wilhelm Bode, il direttore della Galleria Nazionale di Berlino (oggi chiamato Bode Museum), aveva definito lui e i suoi colleghi pittori svizzeri-tedeschi Geyger e Stauffer-Bern [16] “rinnovatori della grafica tedesca”.

Tuttavia, spesso il tono degli apprezzamenti era influenzato dal nazionalismo imperante in quegli anni: così, pur essendo un grande intellettuale aperto al mondo ed ovviamente influenzato da altre culture, fu definito come “il più tedesco degli artisti tedeschi” dal pittore impressionista tedesco Lovis Corinth, che a lui dedicò il “Discorso sull’arte tedesca” tenuto agli studenti dell’università di Berlino nel gennaio 1914. Il testo dell’orazione di Corinth, pubblicato a Lipsia nel marzo 1914, era un inno al nazionalismo come criterio di analisi dell’arte. “Si discute e si sente affermare che l’arte sia internazionale. Sono pochi – ed io fra essi – a dire che l’arte è invece al massimo grado nazionale. Io credo che, così come lingue e persone di sé e per sé sono ognuna differente nella loro razza, così anche l’occupazione più nobile degli uomini – ed essa è senza dubbio l’arte – debba essere caratterizzata a seconda della nazione” [17].

Pochi anni dopo lo storico dell’arte Willy Pastor (1867-1933), autore nel 1918 di una monografia di trecento pagine su Klinger [18], e critico di aperte simpatie per il movimento intellettuale nazionalista ed anti-modernista tedesco “Völkische Bewegung” (Movimento popolare), usò questi termini sulla Pietà, uno dei più importanti dipinti di età romana di Klinger, perduto nei bombardamenti di Dresda (fig.6): “Un altro capolavoro in questo spirito, anche se di tipo diverso, è la Pietà di Klinger. È un’opera ‘chiara e fredda’, per usare i termini pieni di orgoglio di Hindenburg, parole che anche a questo dipinto si potrebbero applicare.” [19] È un lessico da guerra, che si spiega con la cronologia: la Prima Guerra Mondiale non era ancora finita. Se l’opera conteneva un’evidente citazione della predella con il Cristo morto di Holbein a Basilea (fig.7), presentava anche chiare influenze italiane (indiscutibilmente mantegnesche (fig.8). Di Mantegna Klinger scrive in una lettera del 1885 ad Albers [20] che era uno dei pochissimi pittori che veramente lo interessassero), un paese che – in quel momento – era pur in guerra contro la Germania. Pastor coglie deliberatamente anche nel lessico gli accenti tedeschi, tralasciando quelli italiani.

Fig. 6) Max Klinger, Pietá, 1889 (già a Dresda, andato distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale)
 Foto da Kirstein, Gustav - Die Welt Max Klingers, Berlin, Furche Verlag, 1917 https://archive.org/stream/dieweltmaxklinge00kirsuoft#page/n41/mode/2up

Fig. 7) Hans Holbein il Giovane, Cristo morto nella tomba (1521)

 
Fig. 8) Mantegna, Cristo morto (1475-1478 ca.)

Ma la lettura “nazionalista” della pittura di Klinger si spiega anche con una categorizzazione più profonda che è tipica di quel tempo e che il sociologo Norbert Elias ha descritto magistralmente anni dopo nelle sue opere, in particolare nel saggio sul “Processo di civilizzazione”: l’idea, presente sia in Francia sia in Germania, che i due paesi seguissero modelli di cultura completamente diversi, ed anzi opposti, e che dunque la loro opposizione politica e militare riflettesse un diverso senso delle norme sociali: la ‘civilizzazione’ in Francia (legata al rispetto di norme collettive di buon comportamento) e la ‘cultura’ in Germania (legata al rispetto di principi filosofici su ciò che è bene per sé). Seguendo questa logica, l’arte francese veniva legata al concetto dell’“arte per l’arte” e quella tedesca invece all’arte di ispirazione filosofica. Da parte francese, questo teorema era stato confermato in due saggi di Baudelaire: “L'Art philosophique” e le “Notes diverses sur L'Art philosophique” del 1868, in cui attaccava Peter von Cornelius (1783-1867) e gli artisti tedeschi contemporanei per la loro arte filosofica che “cercava di sostituire i libri ed era divenuta una rivale della stampa nell’insegnamento di storia, morale e filosofia.” [21]

Paul Kühn (1866-1912), autore di un’altra monografia su Klinger nel 1907, applica simmetricamente gli stessi argomenti di Baudelaire, ma da visuale tedesca, confrontando i due maggiori dipinti romani di Klinger (la Pietà e la Crocefissione) con quelli del precedente periodo parigino (ad esempio, il Giudizio di Paride). “Abbandonando il mondo ellenistico della bellezza dell’epoca parigina, Klinger ci conduce con questi due dipinti alla sfera di un’umanità spiritualmente purificata. A Parigi gioia dei sensi, qui energia mentale e spirituale, la potenza del modo di vivere tedesco ed una serie di volti caratteristici, fortemente caratterizzati individualmente, una monumentalizzazione della bellezza spirituale, che diviene pura e matura per mezzo dei dolori e delle esperienze di vita più dure. Sono i lavori ‘più tedeschi’ di Klinger; li dobbiamo porre a fianco degli Apostoli di Dürer e della Pietà di Grünewald. L’influsso di Mantegna e dei fiorentini del Quattrocento ha fatto bene ai due dipinti, rafforzandoli e precisando il senso delle forme.” [22]

Di questa definizione ‘nazionalista’ di Klinger rimase traccia nelle generazioni successive, dopo la sua morte. I teorici nazisti, per esempio, si appropriarono assai presto della sua memoria, facendo riferimento al suo stile (percepito in linea con la tradizione tedesca) come ‘ariano’, nonostante egli abbia condiviso molte imprese artistiche nella sua vita con grandi intellettuali ebrei (Max Liebermann e i Cassirer, ad esempio). Sul piano ideologico Klinger fu assimilato esclusivamente all’area di riferimento intellettuale utilizzata dal nazismo: il romanticismo, il wagnerismo, Nietzsche. Si tralasciarono il realismo francese, il simbolismo secessionista, l’influsso di Darwin e Freud e molti altri fattori considerati non omogenei alle teorie del regime.

Del resto, il nazismo si appropriò anche dei grandi spiriti tedeschi del cosmopolitismo: Kant, Lessing, Schiller e Goethe. Nel caso di Klinger, possiamo dire che si tratta di uno dei pochi esempi di arte moderna che il regime non bolla come degenerata, ma che anzi promuove. Così, mentre nel 1937 si apriva l’infame serie di mostre sull’arte degenerata, a Lipsia – la sua città natale - si teneva una retrospettiva su Klinger. L’artista si trovò improvvisamente contrapposto (non poteva certo immaginarlo durante la sua vita) a colleghi come Liebermann (con cui aveva collaborato strettamente), Corinth (da cui era stato definito come ‘il più tedesco dei tedeschi’) e Beckmann (che per primo era stato ospitato nella Villa Romana come vincitore di una borsa di studio).


Fig. 9) Il catalogo della retrospettiva dedicata a Klinger  a Lipsia,
nel centenario del Museo delle Belle Arti

Dopo la guerra si produsse una situazione assai particolare. Klinger continuò a beneficiare in Italia dell’elogio modernista di de Chirico. Anche in Germania Orientale Klinger non sembrò incontrare problemi: una prima retrospettiva gli fu dedicata all’Accademia delle Belle Arti di Berlino nel 1957, nel centenario della nascita. In Germania Occidentale, invece, per decenni su di lui si preferì tacere o parlare in modo assai prudente. L’artista comparato solo a Michelangelo cinquant’anni prima scomparse completamente dalle coordinate della critica d’arte tedesca. Si accettò anzi la tesi che non appartenesse all’arte tedesca del ventesimo secolo.

Quando, ad esempio, la Germania presentò nel 1957 la prima grande mostra sull’arte tedesca del Novecento al Museum of Modern Art di New York – mostra importantissima per l’accettazione dell’arte tedesca negli Stati Uniti ad un decennio dalla fine della guerra, da cui derivò anche vivo interesse dei collezionisti americani per l’arte tedesca – una sezione importante fu dedicata alla grafica, una dei punti forti dell’espressionismo. Ora, è sicuro che prima di Pittura e disegno l’interesse per la grafica in Germania era molto ridotto, e che solo dopo divenne una delle aree più care alla sperimentazione. Nel catalogo di New York si riconobbe, in qualche modo, che all’origine della rinascita della grafica tedesca, all’inizio del 1900, vi doveva essere Klinger, ma lo si fece in modo prudente e quasi imbarazzato, facendo riferimento alla sua persona solo in termini di capacità tecniche:  “In Germania l’estesa rinascita di interesse verso la grafica non arrivò che alla fine della prima decade del ventesimo secolo quando, a Dresda, il primo gruppo di Espressionisti [nota dell’editore: Il Ponte, Die Brücke] ritornò all’incisione su legno, il metodo con cui la storia della grafica era iniziato. Quattro pittori della generazione precedente [nota dell’editore: Klinger, Liebermann, Slevogt e Corinth] avevano operato frequentemente come incisori all’acquaforte e litografi. Oggi, il mondo allucinato degli incubi silenziosi di Max Klinger sembra superato, ma la sua abilità tecnica come incisore su metallo stupì i suoi contemporanei e certamente influenzò i primi lavori di Paul Klee.” [23]


La riscoperta di Klinger negli ultimi decenni

Nel nostro tempo il giudizio di De Chirico su Klinger come “artista moderno per eccellenza” è ormai largamente condiviso. Le mostre nel cinquantenario della morte (nel 1970, a Lipsia nella Germania orientale; a Brema in quella occidentale) hanno permesso di riscoprire le sue affinità col surrealismo (Dalí, Ernst), ed il giudizio di de Chirico ha contribuito a rilanciarne l’immagine anche in Germania. Negli anni ‘80 le mostre si sono moltiplicate (Monaco, Vienna, Kiel, Hildesheim). Nel 1992 si tenne allo Städel di Francoforte una grande retrospettiva, con un bel catalogo. Dopo l’unificazione del 1989, Lipsia continuò ad ospitare importanti mostre a lui dedicate, nel 1995, nel 2007 e nel 2011 e divenne il maggior centro di studi su Klinger, insieme alla vicina Naumburg, la cittadina dove Klinger aveva vissuto l’ultima parte della sua vita e dove la sua casa è stata trasformata in museo [24]. Nel 2002 venne creata l’Associazione degli amici di Max Klinger [25], che nel 2008 ha pubblicato, fra l’altro, una bibliografia completa, all’interno di un volume intitolato “Max Klinger. Le vie di una rivalutazione” [26]. Nel 2011 è stato creato il Klinger Forum [27]. Oggi Klinger è stato giustamente ricollocato nell’alveo principale dell’arte tedesca e viene visto, insieme a Corinth ed agli artisti della sua generazione, come uno dei padri nobili dell’arte moderna dell’epoca di Weimar, e come uno dei grandi ispiratori dell’avanguardia surrealista. Al tempo stesso, è reputato erede della tradizione tedesca pittorica dell’ottocento, oggi molto rivalutata. Alla mostra retrospettiva di Francoforte del 1992, per esempio, si pose l’accento sulla volontà dell’artista di celebrare – nella pittura, nella scultura e nel disegno – i grandi della cultura musicale dell’Ottocento e di rappresentare in chiave neo-romantica i miti e le iconografie classiche, e dunque non lo si lesse come il primo dei moderni, ma come l’ultimo degli antichi.


Un tedesco cosmopolita

A mio parere la definizione di Klinger come il pittore “più tedesco” e dei quadri romani come delle opere “più tedesche”, è una deformazione ingiustificata - attraverso un cannocchiale nazionalista – di quel che Klinger pensava. L’interpretazione di Klinger come campione dell’arte ariana è poi assolutamente pretestuosa, e Klinger mai se la sarebbe immaginata; non vi è un solo argomento anti-semita nei suoi scritti, in un mondo dove era facile trovarli (si pensi alle memorie di Nolde). Anzi, la penultima pagina di Pittura e disegno contiene una frase chiarissima sull’assenza di ogni logica razzista: “La nostra forma esterna non è cambiata da migliaia di anni, e le nostre particolarità di natura etnica hanno così poco significato da dover essere accennate solo con grande discrezione.”[28]
Non vi è alcun dubbio che egli condividesse con gli altri artisti del suo tempo il progetto del rafforzamento dell’arte tedesca, nella Germania appena riunificata da qualche decennio, e che la sua visione dell’arte riflettesse (come ovvio, in quell’epoca) l’idea dell’esistenza naturale di scuole artistiche nazionali. D’altro lato è assolutamente evidente che egli si trasferì a Parigi nel 1888 mosso da un enorme interesse per la cultura del paese, non solo nel campo delle arti visive, ma anche della letteratura (ad esempio, il naturalismo francese) e della cultura in generale. A dimostrarne la visione internazionale, durante gli anni della formazione Klinger appartenne ad un circolo di artisti e letterati scandinavi presenti in Germania (fra cui Christian Krohg, con cui studiò a Karlsruhe; sarà il futuro maestro di Edvard Munch) con cui si dilettava a leggere la letteratura francese ancor prima che fosse tradotta in tedesco [29]. Nel diario le sue pagine parigine dell’ottobre 1883 rivelano curiosità e capacità critica: assistiamo qui, ad esempio, alla scoperta “di un cinquantenne sconosciuto in Germania, di cui alcune delle prime opere potrebbero essere scambiate con Menzel: Degas” [30].

Le pagine del diario rivelano anche che (nel corso del soggiorno parigino) fu personalmente vittima di una serie di antipatiche angherie anti-prussiane (analogamente a quanto successe a Corinth, Nolde e Leistikow, che ne parlarono nelle loro memorie). I francesi operavano una stupida rappresaglia su singoli individui per la vittoria tedesca su Napoleone III e per l’annessione all’Impero tedesco di Alsazia e Lorena.

In una lettera al critico e filosofo danese Georg Brandes (1842 –1927) – uno dei molti intellettuali scandinavi residenti a Berlino in quegli anni – Klinger ammise che i torti subiti a Parigi ne avevano fortemente diminuito le simpatie per la Francia e che neppure gli impressionisti francesi lo affascinavano più di tanto. S’interrogò anzi con preoccupazione se non stesse divenendo uno sciovinista. Fece questa confessione ad una personalità della cultura europea molto legata alla Francia, non ad un noto rappresentante della cultura nazionalista tedesca, quasi come fosse gli chiedesse di correggerlo.

Ecco ciò che scrive:

Parigi, 13 Maggio 1884

Distinto Dottor (G. Brandes),

(…) Parigi è meravigliosa in questo periodo dell’anno. Ciò nonostante, vedo in realtà poche cose. Nessun amico e seduttore (Verführer) disturbano la mia inclinazione ad essere un eremita, e così mi posso seppellire nel mio atelier. Il germanico (Der Germane) rinasce in me. Le ultime novità della letteratura francese non mi hanno appassionato. Ho trovato oscene e convenzionali “Therese Raquin” di Zola e “Una vita” di Maupassant. In Naïs Micoulin e Mademoiselle Fifi dei medesimi autori ci sono cose che – se uno mai le accettasse – allora ti permetterebbero di poter stringere fraternamente la mano ad un qualsiasi lenone. Le "Lettere" di Flaubert mi hanno sbalordito: dietro a quest’ autore così controllato si cela invece un uomo introverso e permaloso (ein jammernde Ajar). La stessa Salomé mi è sembrata come la madre di questa pittura sanguinaria che oggi è così di moda. E anche i nuovi pittori francesi mi sembrano freddi, lo stesso modo di essere delle persone per strada, nel parlare, questa tendenza a mettersi in posa e a torcere gli occhi non mi piacciono affatto. Mi chiedo spesso – e non ho ancora capito bene se sia vero oppure no – se non cominci ad insinuarsi in me un silente sciovinismo. Comunque, la città e la lattuga sono incomparabili e per il momento mi basta. Fin quando occhi e stomaco sono ben serviti, si è ricchi (…) [31].

Sono le parole di un uomo profondamente deluso, che in un’occasione apostrofa i francesi come “anti-prussiani” [32] ed in un’altra sembra polemizzare con il poeta Laforgue (un poeta francese che viveva a Berlino, che l’artista tedesco conosceva bene e che scrisse di Klinger in Francia in termini estremamente elogiativi, considerandolo un genio [33]) che definisce la Francia come “nazione di pittori” [34]. E tuttavia non mi sembra di aver trovato traccia di un nazionalismo aggressivo (a differenza di altri pittori tedeschi e francesi) nei suoi scritti. Vi è anzi un episodio importante in senso contrario. Molti anni dopo, nel 1911, il pittore tedesco Carl Vinnen (1863 – 1922) promosse una “Protesta degli artisti tedeschi” contro l’influenza negativa esercitata dall’arte francese su quella tedesca. In quell’occasione menzionò Leibl, Thoma, Klinger e Böcklin come esempi di grandi artisti che, pur essendosi  recati a Parigi per qualche anno per motivi di studio, si erano conservati veri tedeschi [35]. Klinger però non aderì alla protesta, anche se non firmò neppure il contromanifesto promosso da Paul Cassirer [36]. Ma gli autori del contromanifesto rilevarono più volte – a loro sostegno – l’assenza della firma di Klinger sul manifesto nazionalista.

Anche negli anni della Prima Guerra Mondiale non sembra vi sia evidenza che Klinger si sia impegnato in forme di propaganda bellica, come sarebbe stato per lui assai facile, data la sua popolarità in quegli anni. Invece (non potendo più viaggiare attraverso l’Europa) si ritirò a Naumburg, una cittadina di provincia dove aveva allestito un nuovo studio. Da lì continuò a scrivere ad amici e colleghi. Il suo epistolario, pubblicato postumo nel 1924, raccoglie le lettere fino al 1919, data in cui fu colpito da un ictus che lo porterà, un anno dopo, alla morte. È vero, egli esulta alla notizia della caduta di Anversa e fantastica su un prossima invasione da là fino all’Inghilterra [37]. Eppure, poco dopo, il 7 dicembre 1915, cita in una lettera l’attivista pacifista tedesca Bertha von Suttner, premio Nobel per la pace, ed il suo scritto famoso “Giù le armi”, il manifesto del pacifismo europeo [38]. Dunque, spera nella conclusione della guerra. Insomma, non mi sembra di aver trovato nulla che indicasse un violento proposito pangermanico.

1918-1920 furono anni terribili per la Germania. Il mondo di Klinger va a pezzi. Uno dei suoi ultimi lavori era stato l’affresco Lavoro, benessere, bellezza, concluso nel 1918. Un messaggio molto ottimistico, di cui nulla si stava però materializzando. La collezione di lettere di Max Klinger pubblicate dall’amico Hans Wolfgang Singer nel 1924 mostra l’ultima lettera del 23 Novembre 1919, scritta di fatto con degli scarabocchi (l'artista è semiparalizzato). Ebbene anche nelle lettere di questi anni terribili non ho trovato nulla che possa giustificare l’ostracismo ideologico in cui cadde. Gli studi continuano. Dal punto di vista delle fonti di storia dell’arte, si annuncia la prossima pubblicazione dell’epistolario (6300 lettere in DVD e 370 lettere in un volume) a cura di Renate Hartleb. L’edizione di Singer conteneva solamente 175 lettere. Dunque, potremmo ben presto comprendere meglio  il significato degli eventi su cui l’artista scrisse in quegli anni.

Fig. 10) L'ultima pagina dell'epistolario di Max Klinger, pubblicato da Hans Wolfgang Singer nel 1924

In un certo senso, io penso che Klinger avesse creato – forse inconsciamente – un’estetica franco-tedesca. Alla pittura affidava le caratteristiche naturalistiche che prevalevano nella cultura francese, ed al disegno quelle idealistiche della cultura tedesca [39]. Fu un tentativo forse troppo avanzato per quei tempi e che non fu compreso. Una delle maggiore studiose di Pittura e disegno, Elizabeth Pendleton Streicher, ha anzi notato che pochi dei contemporanei riuscirono a comprendere la posizione estetica molto complessa dell’artista, che fu per questo motivo esposto a critiche contradditorie. “Siccome Klinger non poteva essere collocato precisamente in un campo o nell’altro, egli servì come una pedina utile nelle guerre di insulti tra critici di quei giorni, quando artisti, critici, direttori di musei, mercanti e collezionisti discussero i meriti relativi delle tradizioni tedesche, della nuova pittura francese, dell’utilità delle accademie, delle aspirazioni dei vari gruppi secessionisti e del desiderio di un’identità artistica nazionale. L’arte di Klinger sembra aver sempre attirato reazioni contraddittorie, dalle critiche di chi lo identificava come un rivoluzionario responsabile del declino della morale di quei tempi ai panegirici di chi vedeva in lui un genio nella tradizione del rinascimento che rappresentava la salvezza dell’arte tedesca. In una sinergia paradossale alla fine del diciannovesimo secolo, queste due posizioni sono venute a convergere nel mito di Klinger come un genio neoromantico incompreso.” [40]

Proprio per cercare di ‘quantificare’ quello che gli economisti chiamano home bias, la tendenza a sposare prima di tutto una visione domestica nazionale, ho fatto un semplice esercizio, servendomi dell’indice analitico dell’edizione italiana curata da Michele Dantini, ed ho cercato di catalogare per nazionalità gli artisti citati in Pittura e disegno. Non può certo sorprendere che la maggioranza relativa degli artisti citati (undici su diciannove) sia tedesca. Gli artisti di riferimento sono però Albrecht Dürer e Francisco Goya, citati ciascuno cinque volte; Raffaello Sanzio, con quattro citazioni e Luca Signorelli, Rembrandt e Menzel, ciascuno con due citazioni. È vero, non vi sono gli impressionisti francesi, ma nemmeno quelli tedeschi [41]. Si può anzi osservare che, con l’eccezione del tedesco Menzel e dell’inglese Richard Caton Woodville, non vi siano citazioni di artisti contemporanei. Dunque, la tesi di de Chirico su un modello di modernità basato sulla continuità con il passato è avvalorata.

Un’ultima osservazione. A partire dal 1905 Klinger spese enormi energie per la Villa Romana a Firenze. Il suo era un progetto volto ad assicurare un dialogo permanente tra arte moderna tedesca e classicità italiana, e ad affermare - tramite esso – l’universalità dell’arte. Klinger si batté per fare in modo che il progetto non morisse all’ingresso dell’Italia nella prima guerra mondiale, nel 1915, come nemica della Germania. La corrispondenza mostra quanto la Villa Romana sia rimasta il progetto centrale della sua attività di promotore del dialogo tra artisti fino alla sua scomparsa.


Fine parte prima


NOTE 

[1] Klinger, Max – Malerei und Zeichnung, Lipsia, Reusche, 1891, p.46  La versione digitale é visibile a http://daten.digitale-sammlungen.de/~db/0007/bsb00079784/images/

[2] Tutte le citazioni in italiano sono tratte dalla traduzione di Michele Dantini: Klinger, Max - Pittura e disegno, a cura di Michele Dantini con un saggio di Giorgio de Chirico, Segrate, Nike, 1988. La citazione è a pagina 37. Il libro non é più disponibile sul mercato, ma il testo può essere scaricato da Internet. Si veda https://www.academia.edu/9438236/Michele_Dantini_a_cura_di_Max_Klinger_Pittura_e_disegno

[3] Klinger, Max – Gedanken und Bilder aus der Werkstatt des werdenden Meisters (Pensieri ed immagini dalla bottega del maestro nei suoi anni di formazione), a cura di H Heyne, Lipsia, Koehler & Amelang, 1925, p. 115. Per un vero colpo di fortuna, ne ho potuto acquistare una copia originale in una libreria antiquaria di Helsinki.

[4] Briefe von Max Klinger aus den Jahren 1874 bis 1919 (Lettere di Max Klinger dal 1874 al 1919), a cura di Hans Wolfgang Singer, Lipsia, Verlag E. A. Seemann, 1924, pp. 232.

[5] Clarke, Jay A. - Neo-Idealism, Expressionism, and the Writing of Art History, in: Art Institute of Chicago Museum Studies, Vol. 28, No. 1, Negotiating History: German Art and the Past (2002), pp. 24-37+107-108 (http://teacherweb.com/MA/LexingtonPublicSchools/HighschoolMacklisK/Neo-Idealism-and-Expressionism.pdf)

[6] Avenarius, Ferdinand - Max Klinger als Poet. Mit einem Briefe Max Klingers und einem Beitrage von Hans W. Singer (Max Klinger come poeta. Con una lettera di Max Klinger ed un contributo di Hans W. Singer), Monaco, Kunstwart, 1917 

[7] Tumasonis, Elisabeth, Klinger’s Christ on Olympus: The Confrontation between Christianity and Paganism, in RACAR: revue d'art canadienne / Canadian Art Review, Vol. 20, No. 1/2 (1993), pp. 83-97. Si veda: http://www.jstor.org/discover/10.2307/42630521?sid=21105623201003&uid=2&uid=3737864&uid=4

[8] Riproduzione fotografica da Schumann, Paul, Max Klingers Wandgemälde für die Aula der Universität Leipzig, (Gli Affreschi di Max Klinger per l’aula magna dell’Università di Lipsia) Lipsia, Seemann Verlag, 1909

[9] Denis, Maurice, Le ciel et l’Arcadie. Écrits et propos sur l’art (Il cieolo e l’arcadia, Parigi, Hermann Éditeurs, 2014, pp. 237

[10] In Italia, nel 2014, si sono tenute tre mostre su Max Klinger: una a Bologna (“Max Klinger. L’inconscio della realtà” http://www.genusbononiae.it/index.php?pag=323), una a Sesto Fiorentino (“Incubi nordici e miti mediterranei. Max Klinger e l’incisione simbolista mitteleuropea” si veda http://www.eventiintoscana.it/evento/incubi-nordici-e-miti-mediterranei-max-klinger-e-lincisione-simbolista-mitteleuropea-sesto-fiorentino-firenze ) e la terza a Rovigo, nel quadro di un’esibizione più ampia sull’influsso in Italia dell’arte dell’Europa del Nord, intitolata “L’ossessione nordica” (http://www.mostraossessionenordica.it/). Un’importante retrospettiva su Klinger si era tenuta a Ferrara nel 1996, ed in quell’occasione si erano tenute anche conferenze ed importanti eventi musicali (http://archiviostorico.corriere.it/1996/marzo/25/Klinger_maestro_del_Simbolo_co_0_96032512167.shtml) Negli ultimi anni si contano in Italia mostre su Klinger a San Donato Milanese nel 2000 (http://www.bookdepository.com/Max-Klinger-Opus-fabulosum-Sogno-mito-e-realt%C3%A0-Opere-grafiche-della-Fondazione-Antonio-Mazzotta-Catalogo-della-mostra-San-Donato-Milanese-2000-Tulliola-Sparagni/9788820213985), a Brescia nel 2001 (http://www.incisione.com/apparati/mostre_2001.html), a Mantova e Bolzano nel 2002 (http://www.incisione.com/apparati/klinger_chiari.html), ancora a Bologna nel 2002 (http://www.undo.net/it/mostra/11954), a Bologna e Merano nel 2003 (http://www.worldcat.org/title/max-klinger-erotische-einblicke-erotic-confessions-visioni-erotiche-sammlung-siegfried-unterberger-und-museum-der-bildenden-kunste-leipzig/oclc/82462156), a Trento nel 2005 (http://www.romanzieri.com/archives/001129.php), a Legnano nel 2006 (http://www.maremagnum.com/libri-antichi/max-klinger-brahmsphantasie-opus-xii-diciotto-rare-prove-di/138808810), a Brescia nel 2007 (http://www.incisione.com/apparati/comunicato_228.pdf), a Udine nel 2008 (http://ricerca.gelocal.it/messaggeroveneto/archivio/messaggeroveneto/2008/12/12/NZ_13_SPEA2.html) ed a Firenze nel 2012 (http://www.firenzetoday.it/eventi/mostre/sirena-max-klinger-palazzo-pitti.html).  

[11] De Chirico, Giorgio – Max Klinger in: Klinger, Max – Pittura e disegno, a cura di Michele Dantini con un saggio di Giorgio de Chirico, Milano, Nike, 1988, p. 129. La citazione è a pagina 104-105.

[12] Morton, Marsha – Max Klinger and Wilhelmine culture: on the threshold of German modernism, Ashgate, 2014, pp. 414

[13] Morton, Marsha – “Malerei und Zeichnung”: The History and Context of Max Klinger’s Guide to the Arts, in: Zeitschrift fü Kunstgeschichte, Anno 85, vol. 4 (1995), pp. 542-569. Si veda anche http://www.jstor.org/discover/10.2307/1482810?sid=21105552302593&uid=3737864&uid=2478518977&uid=2134&uid=3&uid=2&uid=60&uid=2478518987&uid=70

[14] Si veda il saggio: Pendleton Streicher, Elizabeth - Max Klinger's Malerei und Zeichnung: The Critical Reception of the Prints and Their Text, in: Studies in the History of Art, Vol. 53, Symposium Papers XXXI: Imagining Modern German Culture: 1889–1910 (1996), pp. 228-249. Vedi: http://www.jstor.org/discover/10.2307/42622157?sid=21105582739343&uid=3737864&uid=70&uid=2134&uid=4&uid=2

[15] Pendleton Streicher, Elizabeth - Max Klinger's Malerei und Zeichnung(citato), p. 243

[16] Stauffer-Bern fu un grande amico di Klinger e suo compagno di atelier in Italia. Anch’egli iniziò la stesura di un Trattato sull’incisione, rimasto incompiuto. Stauffer-Bern, Karl - Tractat der Radierung (Trattato dell’incisione), Berlino, 1886 (pubblicato da Ernst Arnold a Dresda nel 1907)

[17] Corinth, Lovis – Über deutsche Malerei. Ein Vortrag für die freie Studentenschaft in Berlin (Sull’arte tedesca. Un discorso ai liberi studenti di Berlino), Lipsia, Sirkel Verlag, 1914. La citazione è a pagina 22. Si veda anche http://www.zeno.org/Kunst/M/Corinth,+Lovis/Gesammelte+Schriften/%C3%9Cber+deutsche+Malerei


[19] Pastor, Willy – Max Klinger, con disegno di copertina dell’autore, Berlin, Amsler & Ruthardt, 1918. Si veda: https://archive.org/stream/maxklingermiteig00pastuoft#page/n7/mode/2up La citazione è a pagina 124.

[20] Briefe von Max Klinger aus den Jahren 1874 bis 1919 … (citato) p. 72.

[21] Morton, Marsha – “Malerei und Zeichnung”(citato), p. 543.

[22] Kühn, Paul – Max Klinger, Lipsia, Breitkopf & Härtel, 1907. Si veda https://archive.org/details/maxklinger00khgoog . La citazione é a pagina 309.

[23] Haftmann, Werner; Hentzen, Alfred; Lieberman William S., German Art of the Twentieth Century, a cura di Andrew Carnduff Ritchie, New York, The Museum of Modern Art, 1957, pp. 240. La citazione é a pagina 188.



[26] Max Klinger. Wege zur Neubewertung. Schriften des Freundeskreises Max Klinger e.V. Band 1, a cura di Pavla Langer, Zita Á. Pataki e Thomas Pöpper, Leipzig, Zöllner, Plöttner Verlag, 2008


[28] Klinger, Max – Pittura e disegno (citato) 1988 (pagina 46)

[29] Pendleton Streicher, Elizabeth - Max Klinger's Malerei und Zeichnung … (citato), p. 237

[30] Klinger, Max – Gedanken und Bilder… (pp. 28-29)

[31] Briefe von Max Klinger aus den Jahren 1874 bis 1919 … (citato) pp. 50-51.

[32] Klinger, Max – Gedanken und Bilder(citato), p. 38. È un’annotazione del 17 marzo 1885.

[33] Pendleton Streicher, Elizabeth - Max Klinger's Malerei und Zeichnung(citato), p. 241

[34] Klinger, Max – Gedanken und Bilder (citato), p. 50. È un’annotazione del 21 luglio 1885. Klinger ha appena visitato il Louvre, e ha scritto appunti su Leonardo e Frans Hals. Il commento è sull’affermazione di Laforgue che i francesi sono un popolo di pittori. Klinger sbuffa: al Louvre si può vedere – scrive Klinger – solamente il modesto Philipp de Champaigne, altrimenti le sale francesi al museo parigino sono davvero ‘orribili’ (schauerlich). L’unico riferimento è a Daubigny e Courbet (quest’ultimo esposto assai male secondo Klinger).



[37] Briefe von Max Klinger aus den Jahren 1874 bis 1919 (citato), p. 202

[38] Briefe von Max Klinger aus den Jahren 1874 bis 1919 (citato), p. 207

[39] Pendleton Streicher, Elizabeth - Max Klinger's Malerei und Zeichnung … (citato), p. 230

[40] Pendleton Streicher, Elizabeth - Max Klinger's Malerei und Zeichnung: (citato) p.230

[41] Non la pensa così Michele Dantini: “Non è casuale che il semplice indice degli artisti citati in Malerei und Zeichnung non includa alcuno dei peintres-graveurs che Klinger pure conosce – né Manet né Tissot né de Nittis e neppure Rodolphe Bredsin o il giovane Redon, malgrado sia al dürerismo di questi ultimi più che a Dürer stesso che rimandano le scene di vita di Simplicius accluse agli Intermezzi; che restino avvolti dal silenzio i rapporti esistenti tra la scuola di David e l’arte dei nazareni, in primo luogo di Cornelius; che all’elogio di Botticelli, dei disegnatori svizzero-tedeschi del periodo della Riforma e di Raffaello non si unisca né quello di Ingres, cui pure la fortuna ottocentesca del disegno lineare è connessa in modo così considerevole, né quello dei disegnatori goticizzanti della sua scuola né, ancora, quello di un petit mâitre del ritratto disegnato come Alphonse Legros, a Klinger certamente noto.” Dantini Michele – Un paragone tra le arti, in: Klinger, Max – Pittura e disegno, a cura di Michele Dantini con un saggio di Giorgio de Chirico, Milano, Nike, 1988, p. 129. La citazione è alle pagine 70-71.

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