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mercoledì 17 dicembre 2014

Leonardo da Vinci. Libro di Pittura. A cura di Carlo Pedretti


Leonardo da Vinci

Libro di Pittura
Codice Urbinate lat. 1270 nella Biblioteca Apostolica Vaticana

A cura di Carlo Pedretti
Trascrizione critica di Carlo Vecce

2 volumi, Firenze, Giunti, 1995

Leonardo, Uomo vitruviano  Venezia, Gallerie dell'Accademia
Fonte: Luc Viatour (http://www.lucnix.be/main.php) via Wikimedia Commons


[1] “La presente edizione riproduce esattamente il testo di quella di lusso pubblicata col facsimile del Codice Vaticano Urbinate lat. 1270 in tiratura limitata a 998 esemplari numerati (Firenze, 1995). Il testo è ingrandito del dieci per cento rispetto a quello dell’edizione di lusso, ma le illustrazioni a grafico sono mantenute nelle dimensioni del codice originale” (p. 10).

[2] Testo della bandella:

“Tra gli scritti di Leonardo da Vinci solo quelli relativi alla pittura sfuggirono al singolare destino di venire ignorati nei secoli successivi, grazie ad una compilazione, intitolata Trattato della pittura, pubblicata per la prima volta a Parigi nel 1651. La cultura europea dell’età moderna conobbe solo i testi vinciani contenuti nel Trattato, che a sua volta era la versione abbreviata dell’originario Libro di pittura, compilato dall’allievo di Leonardo, Francesco Melzi, nel codice Vaticano Urbinate Latino 1270. Il Melzi aveva probabilmente seguito un progetto dello stesso Leonardo, trascrivendo i testi in sezioni tematiche che affrontavano non solo la pratica della pittura, ma anche problemi più vasti di rilevanza scientifica ed epistemologica: il confronto fra le arti e le discipline; la definizione della pittura come scientia e il suo primato sulle altre forme di conoscenza; l’analisi dei fondamenti matematici del reale; lo studio dell’ottica, della prospettiva, dei lumi e delle ombre. Il codice non è autografo di Leonardo, ma presenta in gran parte testi provenienti da manoscritti ormai perduti; di più, la fedeltà dimostrata dal Melzi nella trascrizione conserva tutti i caratteri della lingua di Leonardo, impegnato a creare una forma di espressione nuova, esatta, precisa, immediata. Il Libro di pittura, in definitiva, non è tanto una raccolta di precetti per il pittore, ma piuttosto uno straordinario documento dell’analisi penetrante compiuta da Leonardo da Vinci dell’articolato complesso delle problematiche scientifiche dell’arte. La collocazione di quest’opera nella «Biblioteca della Scienza Italiana» è dunque pienamente giustificata.”

Leonardo, Studio sulle proporzioni umane. Royal Library, Windsor
Fonte: Wikimedia Commons
[3] Il Domenicale del Sole 24 ORE ha dedicato ampio spazio al Libro di Pittura, in corrispondenza dell’uscita dell’edizione di lusso dell’opera (quella presente in questa collezione – lo si ripete – è la versione dal prezzo più “abbordabile” – 90.000 lire, anziché 1.800.000 -). L’11 giugno 1995 ha pubblicato una presentazione di Marco Carminati, ampi stralci dall’introduzione di Carlo Pedretti ed alcune pagine del Trattato leonardesco. Qui di seguito si riportano (tratti da Biblioteca Multimediale del Sole 24 ORE – Cd Rom Domenica 1983-2003) gli scritti di Carminati e Pedretti. Si tralascia il passo di Leonardo, segnalando che si tratta delle pagine 151 e 152 del primo volume dell’opera.

DOMENICA – Scripta manent

L’edizione in facsimile del Codice Vaticano Urbinate Lat. 1270 contenente il testo completo del celebre Trattato della Pittura
I precetti di Leonardo senza tagli
Il manoscritto venne compilato da Francesco Melzi seguendo fedelmente le indicazioni del Maestro

di Marco Carminati 

Dal Seicento ad oggi, il “Trattato della Pittura” di Leonardo da Vinci è stato pubblicato ripetutamente in varie edizioni. La prima risale al 1651, vide la luce a Parigi a cura di Raffaele Trichet Du Fresne e venne illustrata nientemeno che da Poussin. L’ultima è cosa di pochissimi mesi fa, ed è uscita in edizione economicissima per i tipi della Tea di Milano. 

Comun denominatore di tutte queste edizioni - tra le quali bisognerà ricordare almeno quelle “storiche” del Manzi (1817), del Ludwig (1882) e del Borzelli (1914) - è il fatto di riprodurre solo parzialmente il testo leonardesco. Eppure il codice Vaticano Urbinate Lat. 1270, redatto di pugno da Francesco Melzi, allievo prediletto di Leonardo, su precisi appunti e indicazioni del maestro, ha sempre conservato la lezione completa della trattazione vinciana. Sino ad oggi però, per diversi motivi, nessuno aveva mai affrontato la pubblicazione integrale e critica del manoscritto melziano. L’ha fatto ora la Giunti di Firenze, dando alle stampe il facsimile del codice vaticano accompagnato da un secondo volume contenente l’introduzione, la trascrizione, le tavole e gli apparati critici predisposti da Carlo Pedretti, leonardista di fama internazionale e docente di storia dell’arte presso l’Università della California di Los Angeles, e dal suo collaboratore Carlo Vecce, giovane filologo napoletano da anni impegnato nello studio degli scritti leonardeschi. 

Compilato a mano da Francesco Melzi, il Codice Vaticano Urbinate Lat. 1270 venne considerato da Kenneth Clark “il più importante documento di tutta la storia dell’arte”. Il Melzi vi copiò testi e disegni tratti direttamente da preziosi originali del maestro andati, nella maggior parte dei casi, irrimediabilmente perduti. Appose poi al libro il titolo che probabilmente lo stesso Leonardo gli aveva suggerito, dunque non “Trattato della pittura”, come universalmente si crede, bensì “Libro di pittura”. In buona sostanza, Melzi compì una selezione di prima mano di scritti di Leonardo suddividendo la materia in otto categorie principali corrispondenti alle otto parti del libro. 

La prima parte è dedicata al confronto sulle arti, il celebre “Paragone”, nella quale, con appassionata retorica, il Vinciano rivendica alla pittura il rango di scienza anteponendola alla poesia, alla musica e alla scultura come massima espressione dell’intelletto umano. Nella seconda parte si parla della pratica di bottega, delle ricette, degli aspetti manuali e tecnici della professione, mentre la terza sezione è invece incentrata sulla figura umana, sulla sua struttura e sui problemi del moto, dell’espressione e della luce. Segue la quarta parte, nella quale si disquisisce del drappeggio, e incalza subito dopo la quinta, assai vasta, che è dedicata a uno dei problemi che più appassionò Leonardo: le ombre e lo sfumato. Nella sesta, settima e ottava sezione, infine, si tratta dei problemi della rappresentazione della natura, dei vegetali, delle nuvole e della resa degli orizzonti. 

Con la pubblicazione di questo caposaldo della letteratura artistica mondiale, la Giunti sta lentamente approdando al traguardo di una titanica impresa avviata anni fa, vale a dire la pubblicazione integrale in facsimile di tutti i manoscritti leonardeschi: all’appello manca ormai solo il Codice Arundel, che uscirà il prossimo anno. Per gentile concessione dell’editore e del curatore proponiamo al nostro lettore uno stralcio dell’introduzione di Carlo Pedretti al “Libro di Pittura” e un brano dello stesso Leonardo cavato dal “Paragone” tra le arti. Il “Libro di pittura” - composto di due tomi racchiusi in cofanetto, col volume del facsimile di 672 pagine e quello della trascrizione con gli apparati di 554 - è stato pubblicato in 998 esemplari numerati e costa 1.800.000 lire. 

Leonardo. Profilo di uomo in proporzione e studio per due cavalieri.
Venezia, Gallerie dell'Accademia
Fonte: Wikimedia Commons


Dall’introduzione di Carlo Pedretti

Per la prima volta il celebre Trattato della Pittura di Leonardo appare col titolo voluto da Leonardo stesso, Libro di Pittura. E per la prima volta il codice archetipo della compilazione condotta sui manoscritti originali, oggi conservato nella Biblioteca Vaticana (Codice Vaticano Urbinate Lat. 1270), è ora riprodotto in facsimile, con edizione critica del testo, come documento cui viene ora attribuita la stessa importanza di un autografo di Leonardo, e cioè con le stesse problematiche di ordine cronologico, storico e biografico. “Al Trattato in particolare deve rivolgersi chi voglia raccogliere, nella massa precettistica che spetta agli storici dell’arte di indagare e valutare, nella selva delle osservazioni e delle raccomandazioni, ma prima di quella e comunque svettanti sopra di essa, i materiali per una delineazione dell’ethos che Leonardo assegnava all’artista e che prima ancora proponeva a se stesso”. Così scrive Claudio Scarpati nella sua recente, limpida edizione del “Paragone”, che di quel libro è il proemio, a corollario quindi della conclusione lapidaria di Benedetto Croce: “La precettistica di Leonardo è una autobiografia” [n.d.r. si veda Benedetto Croce, Leonardo filosofo in Saggio sullo Hegel seguito da altri scritti di Storia della filosofia]. 

Si sa che Leonardo si trasferì da Firenze a Milano all’età di trent’anni, nel 1482, dopo un tirocinio di almeno sette anni presso il Verrocchio. Proprio nella capitale sforzesca, verso la fine degli anni ottanta, Leonardo iniziò la compilazione sistematica d’osservazioni sulla pittura in generale e sui problemi di ottica, prospettiva, anatomia e fisionomia in particolare, secondo una linea programmatica che fa capo al Della Pittura dell’Alberti, il succinto trattato scritto nel 1435 e subito diffuso in copie manoscritte. A questa prima fase dell’attività teorica di Leonardo si riferisce la più antica memoria del Libro di Pittura, quella del Pacioli del 1498, in cui si dice che Leonardo stava allora occupandosi di studi di meccanica, soprattutto sul de ponderibus, “havendo già con tutta diligenzia al degno libro de pictura e movimenti humani posto fine” [n.d.r. si veda la lettera dedicatoria del De Divina Proportione]. 

Leonardo, Studio per le teste di due guerrieri per la Battaglia di Anghiari
Budapest, Museo di Belle Arti
Fonte: Google Art Project


Gli appunti di Leonardo dei primi anni lombardi vertono soprattutto sugli aspetti pratici della tecnica pittorica con una certa insistenza sulla preparazione dei colori e con accenni occasionali alle regole elementari della prospettiva artificiale. L’idea della pittura come scienza, cioè come forma di conoscenza creativa e quindi come filosofia, secondo una formulazione di appassionata retorica che culminerà con le serrate argomentazioni del tempo degli studi anatomici del 1510, comincia a farsi strada intorno al 1490, con proemi e paragoni, quasi a identificarsi con l’impegno che lo stesso Alberti, a conclusione del suo trattato, dichiarava di aspettarsi da chi lo avrebbe seguito: “Chi noi seguirà, se forse sarà alchuno di studio et d’ingegno più prestante che noi, costui quanto mi stimo farà la pratica absoluta et perfecta”. Nasceva così il Libro di Pittura di Leonardo, destinato a non esaurirsi in una prima fase di compilazione dove predomina la precettistica, ma a crescere e a espandersi nello svolgimento di molteplici e complesse problematiche di natura sempre più teorica, e cioè scientifica, attraverso ogni fase della carriera di Leonardo pittore. Questo è documentabile non solo nel progressivo intensificarsi degli studi di ottica e anatomia, di cui s’avverte l’eco distinta nel Libro di Pittura, ma soprattutto nel caso delle osservazioni sull’ombra, la luce e il colore, e quindi sulle piante e il paesaggio che nelle relative sezioni di quel libro si presentano con una preponderanza di testi provenienti da manoscritti e fogli sciolti databili dopo il 1510. Osservazioni sulle nuvole e l’orizzonte, i temi coi quali si conclude il Libro di Pittura, trovano riscontro in appunti su fogli del periodo romano e di quello successivo francese, dal 1515 al 1518, l’anno prima di morire. 

Sono infatti di quel periodo alcuni riferimenti di Leonardo a un piano di compilazione del Libro di Pittura che provano con quale impegno e determinazione, fino all’estremo della sua carriera artistica, egli intendesse realizzare l’opera che avrebbe dovuto costituire una trilogia teorica senza precedenti, accanto ai progettati libri dell’anatomia e della prospettiva. Solo oggi, con la pubblicazione sistematica di ogni suo autografo, si è in grado di valutare la vastità del progetto, poiché anche numerose pagine di grande forza letteraria, come le descrizioni di diluvi e cataclismi, risultano ora destinate a quel libro. 

Leonardo, dunque, per più di trent’anni ordinò i propri scritti sulla pittura in vista di un libro la cui compilazione definitiva sarebbe stata affidata a un allievo qualificato per compierla. Si può pensare a una fase preliminare durante la quale lo stesso Leonardo avrebbe suggerito al suo assistente come articolare le varie sezioni del progettato libro, predisponendo i manoscritti e i taccuini nei quali sapeva di avere raccolto nel corso degli anni la maggior parte delle osservazioni sulla pittura destinate a quel libro: diciotto “pezzi” in tutto, quali sono infatti elencati, contraddistinti dalle rispettive sigle, alla fine del Codice Urbinate. 


Leonardo, Autoritratto. Torino, Biblioteca Reale
Fonte: Wikimedia Commons

Ma chi fu l’allievo incaricato di realizzare questo lavoro? Non c’è dubbio che l’autore va identificato con Giovanni Francesco Melzi (c. 1493-c. 1570), l’allievo prediletto, che alla morte di Leonardo in Francia nel 1519 ne avrebbe ereditato tutti i manoscritti e disegni. La conferma ci viene non tanto dal confronto con l’annotazione apposta al noto disegno di testa di vecchio all’Ambrosiana (“1510, adì 14 agosto, prima cauata de releuo. Francescho da Melzo de anni 17”), quanto dal confronto con una iscrizione più formale, scritta infatti tre volte in caratteri calligrafici sempre più piccoli, con la quale il Melzi si rivela proprietario di un manoscritto di poesie spagnole oggi conservato nella Biblioteca Trivulziana: “Joannes Franciscus Meltius hic scripsit die xiij mensis Junij 1546”. 

Un facsimile della pagina con questa iscrizione prova al di là di ogni dubbio che il Libro di Pittura è compilato dalla stessa mano. E non sorprenderebbe se anche la penna e l’inchiostro risultassero gli stessi. La data 1546 potrebbe inoltre approssimarsi a quella della compilazione del Codice Vaticano Urbinate Lat. 1270. A riprova di una sua attribuzione al Melzi, ci si può richiamare a un foglietto del Codice Atlantico, il 290, al verso del quale appare ancora la stessa scrittura accanto a prove di penna in francese. Si tratta infatti di un foglietto appartenente a una serie di studi di Leonardo per una fontana ad Amboise, e si sa che gli unici allievi di Leonardo in Francia erano il Melzi e il Salai, personaggio quest’ultimo che per ovvie ragioni può essere escluso come autore di quella scrittura. 

Il compito del Melzi sarebbe stato quello di rintracciare i testi pertinenti e marcarli con un cerchietto che a trascrizione avvenuta sarebbe stato sbarrato con un tratto di penna diagonale, come si può vedere negli originali superstiti. Poiché alla fine di ogni sezione del Codice Urbinate si trova un certo numero di carte lasciate in bianco, è chiaro che si prevedeva l’aggiunta di materiali reperibili in seguito a un’indagine più accurata e possibilmente estesa ad altri fogli o manoscritti. Firenze, Milano, Roma e la Francia sono le principali tappe degli spostamenti di Leonardo, e a esse rimandano, per singolare coincidenza, anche le vicende del Libro di Pittura compilato dopo la sua morte. Perfino il Palazzo Ducale di Urbino, dove a data imprecisata era pervenuta la compilazione del Melzi, è località visitata da Leonardo, e nel taccuino che ne ricorda l’occasione, nel 1502, si trovano due note di pittura trascritte nel Codice Urbinate. Della provenienza del manoscritto non si sa altro oltre al fatto che un inventario del 6 giugno 1631 lo registra fra i libri portati a Urbino con la biblioteca del Duca Francesco Maria della Rovere (1548-1631) a Casteldurante, poi trasferiti in Vaticano nel 1657 e finiti di catalogare intorno al 1797. 

Sarebbe interessante poter accertare se questo codice fosse stato visto all’inizio del Settecento da uno dei primi studiosi di Leonardo, il pittore svizzero Ludovico Antonio David, che a quel tempo, a Roma, consultava in casa Ghezzi il codice di Leonardo oggi a Los Angeles. È certo, comunque, che il Codice Urbinate venisse “riscoperto” fra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, come dimostra la corrispondenza fra il bibliotecario della Vaticana, Gaetano Luigi Marini, e il pittore milanese Giuseppe Bossi fra il 1808 e il 1810, quando una trascrizione dell’intero codice fu da questi richiesta allo scopo di pubblicarlo. Il progetto non potè realizzarsi per la morte del Bossi nel 1815 [n.d.r. nel suo Diario, Giuseppe Bossi annota il 1° gennaio 1810, fra i progetti da sviluppare in corso d’anno: “Preparare per la pubblicazione il trattato completo del gran Leonardo” (p. 32), e l’11 ottobre 1811: “Ho cominciato a commentare il gran trattato di Leonardo, e ho finito la prima delle sette parti” (p.43)]. Due anni dopo Guglielmo Manzi pubblicava per la prima volta il Codice Urbinate a Roma presso la Stamperia De Romanis corredandolo di un volume di 22 tavole in rame nelle quali G. Francesco De Rossi riproduceva le 221 illustrazioni nel testo. 

La pubblicazione del Codice curata dal Manzi non ebbe l’impatto immediato che ci si poteva aspettare. È vero che Giambattista Venturi ne tenne subito conto in una importante memoria del 1818, rimasta purtroppo inedita fino al 1924, ma per molto tempo e perfino nel Novecento, in Francia, in Inghilterra, in Olanda e in Spagna, si continuava a ristampare la versione abbreviata del Trattato pubblicata a Parigi nel 1651 e così anche l’edizione italiana del 1859, che riproduce quella dei Classici Italiani del 1804, si limita ad aggiungere una selezione di testi ricavati dall’edizione del Manzi. Se si esclude l’apprezzamento del Goethe in un paragrafo conclusivo nella sua celebre recensione del libro del Bossi sul Cenacolo, pubblicata per la prima volta in tedesco nel 1818 e quindi in inglese nel 1821 [n.d.r. la prima edizione integrale italiana è solo del 2004], si potrebbe dire che la grande opera del Manzi passasse quasi inosservata fino al tempo del saggio dell’Uzielli del 1869 sulle osservazioni botaniche di Leonardo, e di quello pionieristico di Max Jordan del 1873 che poneva il Codice Urbinate a confronto con gli apografi della redazione abbreviata. È con quest’ultimo contributo che il Trattato della Pittura di Leonardo veniva giustamente designato Malerbuch - Libro di Pittura -, così come lo sarebbe stato con la monumentale edizione critica del Ludwig pubblicata nel 1882, l’opera destinata a esercitare ben presto un impulso determinante allo studio della teoria artistica di Leonardo, soprattutto in rapporto con quanto di inedito si andava divulgando attraverso la pubblicazione dei suoi manoscritti. 

A quasi due secoli dalla scoperta e dalla pubblicazione del Codice Urbinate, si è così arrivati al progetto di una edizione definitiva in facsimile che si prefigge il massimo rigore filologico nella trascrizione critica del testo e nella lettura delle illustrazioni, e che ambisce perciò a soddisfare vecchie e nuove esigenze di studio, come quelle manifestate con tutta franchezza da Gerolamo Calvi nel 1919: “Un lavoro, che restituisca i frammenti, che hanno servito a comporre il Trattato della Pittura, alla loro vera lezione, sia ricorrendo alle fonti, dove queste ci offrono l’originale, sia cercando, negli altri casi, di emendare il testo, non esiste ancora. Perciò anch’io, benché a malincuore, cito il più delle volte quella compilazione di seconda mano ch’è il Trattato, quale oggi l’abbiamo, non certo uscita più corretta né vincianamente o italianamente meglio intesa dalla edizione del Ludwig”.

[4] L’operazione di recupero filologico del Codice Vaticano Urbinate è straordinaria e la presente edizione merita ogni lode. Tuttavia non si può tacere del dibattito che la versione curata da Pedretti ha suscitato. Nella sostanza, Pedretti ritiene che il Libro di pittura possa essere considerato alla stregua di un qualsiasi altro manoscritto autografo di Leonardo. Melzi, cioè, lo avrebbe organizzato esattamente come avrebbe fatto Leonardo se ne avesse avuta la possibilità. Quest’affermazione è ampiamente contestata (e a mio avviso con fondatezza) da una serie di interpreti, secondo i quali vi è più di un motivo per sospettare che ciò non sia vero, e che comunque non è corretto definire come ‘autografo leonardesco’ un testo che risulta dalla collazione di manoscritti diversi operata da un terzo. Resta poi il fatto (ma questo è un altro discorso) che l’importanza storica del Libro di pittura è estremamente limitata. Averlo oggi a disposizione è una grande fortuna, ma non bisogna dimenticare che l’immagine di Leonardo prodotta negli ambienti culturali europei è determinata dalla lettura del Trattato della Pittura pubblicato per la prima volta nel 1651 a Parigi. E’ dunque con quella versione che è necessario confrontarsi storicamente. Per tutti questi aspetti si veda Claire Farago, Re-Reading Leonardo. The Treatise on Painting across Europe, 1550-1990.

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