English Version
Francesco Mazzaferro
Cennino Cennini e Leon Battista Alberti:
variazioni sul concetto di composizione pittorica
Parte terza
Fig. 32) Roberto Rossellini (1906-1977) – Serie Tv “L’età di Cosimo de’ Medici”. Parte III – Leon Battista Alberti. Alberti ammira il David di Donatello. ©Flamingo Video |
NOTA: questa è l'ultima puntata di una serie di quattro sul confronto fra Cennino Cennini e Leon Battista Alberti.
Per leggere dall’inizio cliccare qui.
***
Latifah Troncelliti e la seconda
analisi sulla composizione in Cennini ed Alberti, ovvero come Cennino pareggia
il risultato: 1 a 1
Latifah Troncelliti, Visiting
Professor in diverse università degli Stati Uniti, è filologa in lingue
romanze. Ha dedicato una monografia stimolante e ben scritta esattamente al
confronto fra Alberti e Cennini, giungendo a conclusioni quasi completamente
divergenti rispetto a quelle di Rudolf Kuhn.
I suoi studi sono in linea con le opere di Julius von Schlosser prima
menzionate. Ma la fonte d’ispirazione più diretta è un saggio del 1971 della
studiosa danese Lise Bek. Bek ha operato il primo tentativo organico di
rivisitare i termini ‘classici’ del confronto fra i due autori, scoprendo
importanti elementi di simmetria tra i loro testi. Vorrei senz’altro
raccomandare a tutti di leggere il suo saggio; e vorrei anche esprimere la mia
gratitudine all’Accademia di Danimarca in Roma per avermene fornito una copia.
Il punto di partenza della Troncelliti è che Alberti e Cennini sono, più o
meno, fra loro contemporanei. Ciò significa molto probabilmente che l’esistenza
del giovane Alberti si sovrappose a quello dell’anziano Cennini. Tuttavia, pur
abitando in Toscana nella stessa epoca, i due vissero esistenze parallele, senza
incontrarsi e conoscersi l’un l’altro: il primo, da intellettuale di punta, pienamente
sostenuto da un’educazione enciclopedica e con una formazione da studioso in
filosofia, retorica e scienza (ma sostanzialmente ignorante in termini di
implementazione pratica delle arti visive), integrato (ma contemporaneamente
confinato) nelle classi sociali più alte, senza avere la capacità di diffondere
il suo messaggio agli artisti veri; il secondo, da uomo pratico che aveva
lavorato in gioventù nella bottega di grande successo di Agnolo Gaddi, ma che
molto probabilmente fu incapace di sviluppare nel tempo una carriera appagante
come artista e si rivolse quindi a scrivere un manuale sulle tecniche delle
arti visive, forse come fonte di reddito alternativa, alla fine di una lunga e
difficile esistenza (che potrebbe essere finita in povertà, come successe a
Paolo Uccello).
Cennini
Per Latifah Troncelliti, Cennini è un pittore del primissimo Rinascimento, ma
privo di un qualsiasi substrato versatile a sostegno delle sue affermazioni
sulla tecnica artistica. Ha in comune con la quasi totalità degli altri artisti
della sua epoca (compresi i principali artefici del Quattrocento, ad eccezione
di pochissimi) la caratteristica di essere innanzi e soprattutto un artigiano, facente
parte di una corporazione ed escluso sia dalla possibilità di avere
un’educazione ‘alta’ sia da quella di aver accesso a fonti teoriche e di
imparare dagli studiosi. La sua forza risiede nella grandissima esperienza che
ha accumulato negli anni in merito alle tecniche artistiche, nella diretta
conoscenza dell’attività delle botteghe d’arte e nella chiara consapevolezza
delle sfide con cui si confrontavano tutti i giorni i loro membri.
Cennino inoltre usa il volgare in un’epoca in cui la giovane lingua
italiana non ha ancora sviluppato un lessico preciso in materia di concetti
artistici. Ad esempio (secondo la Troncelliti) le definizioni di ‘arte’ e
‘scienza’, delle loro reciproche relazioni e delle possibili differenze o
sovrapposizioni sono linguisticamente imprecise e i due termini sono spesso
usati con significato differente.
Tuttavia, alcuni aspetti degli scritti di Cennino sono rivoluzionari perché
non appartengono a passate esperienze della letteratura artistica e non saranno
ricompresi in opera successive. Troncelliti trova che il concetto di ‘fantasia’
(inteso come la possibilità di dipingere cose che non esistono) sia centrale
nell’opera di Cennino. Esclude che si tratti di una derivazione da Quintiliano
(come proposto da Lionello Venturi) e lo attribuisce a un giudizio istintivo di
Cennino sulle potenzialità creative degli artisti. Alberti, al contrario,
afferma che “le cose che non sono visibili non riguardano la pittura”: non c’è,
per lui, alcuno spazio reale per l’immaginazione.
Come detto anche da Kuhn, il ruolo centrale della fantasia non implica, ad
ogni modo, l’attribuzione all’artista di una licenza generica a disegnare
qualsiasi cosa egli voglia, semplicemente seguendo il suo “demone creativo”. Ci
dev’essere un sistema di limiti alla fantasia. Mentre tuttavia Kuhn lo
individua nella ‘maniera’ del maestro (che ogni pittore deve seguire per anni,
prima di trovare il proprio stile), Troncelliti fa riferimento a un insieme
completamente diverso di limitazioni alla fantasia del pittore, secondo
l’opinione di Cennino: la necessità di bilanciare la fantasia con
l’osservazione della natura. Troncelliti nota che il naturalismo e il senso del
sogno convivono in diversi pittori del Quattrocento, primo fra tutti
Botticelli.
L’assenza di una qualsiasi rigida teoria della composizione nel Libro dell’Arte è una ricchezza, e non
un limite. Cennini offre all’artista la possibilità di sperimentare mentre lavora.
Al contrario Alberti forza l’artista a seguire una rigida sequenza per arrivare
alla composizione, sequenza che limita la capacità di esprimere liberamente ‘la
narrazione della storia”. Alberti inoltre concepisce la composizione come un
esercizio astratto, da completare prima della realizzazione dell’opera. In
termini di ‘narrazione’ Cennino è meno razionale e più ‘visuale’: per lui il
pittore deve essere capace di creare al momento una storia, che deve essere
tale in termini visivi. Facendo riferimento ad Alberti, la Troncelliti scrive:
“Una storia non ancora rappresentata non è un’intenzione visiva; non ha
relazione con la fantasia di Cennini,
che muove e si sviluppa nello spazio pittorico e il cui contenuto non ammette
di essere definito dal pensiero concettuale.”
Va detto qui che il giudizio di Latifah Troncelliti sul trattato è in linea
con la critica favorevole di qualche studioso sulle pochissime (e spesso di
attribuzione veramente incerta) opere d’arte rimanenti di Cennino (a cui sarà
dedicato un successivo post in questo blog). E’ il caso in particolare dello
studioso ungherese Miklós Boskovits, che nel 1968 giudica Cennino Cennini come
un “pittore non-conformista”; per Boskovits il giudizio prevalentemente
negativo dei critici su Cennino come pittore privo di originalità deve essere
messo radicalmente in discussione. Contrariamente a quanto si ritiene
generalmente, Cennino non era un pittore giottesco (Giotto era troppo lontano,
in termini cronologici), né semplicemente un discepolo di Agnolo Gaddi, ma il
rappresentante di uno stile tardo-gotico che combinava forme di espressionismo
e naturalismo. Il ruolo della fantasia in pittura – dice Boskovits –
sottintende che Cennino vuole sorprendere, stupire e divertire il suo pubblico,
quasi in una maniera moderna. Non è in cerca di un concetto ideale di bellezza;
rifiutando intenzionalmente di attenersi alle tecniche di prospettiva formale
che erano già ben conosciute, per concentrarsi sulla descrizione naturalistica
di alcuni dettagli, mostrando uno stile “istintivo, immaginifico e spesso
rozzo”, Cennino vuol fare un uso innovativo della fantasia. Questa tesi è stata
di recente confermata da una pubblicazione che illustra la mostra tenutasi a
Berlino nel 2008 su “Cennino Cennini e la tradizione della pittura toscana tra
Giotto e Lorenzo Monaco”, con il titolo “Fantasie
und Handwerk” (Fantasia e Operazioni di mano), di cui scriveremo in una
futura occasione.
Tornando alla Troncelliti, anche se Cennino è l’autore di un trattato sulla
pittura, è profondamente convinto che il suo libro da solo non può formare un
buon pittore, e lo dice espressamente. Quindi, ciò che conta è conoscere ed
esercitarsi coi metodi pratici che possono aiutare l’artista ad esprimere al
meglio il suo talento. In più, in diverse occasioni sottolinea il concetto che
un pittore deve provare piacere nel suo lavoro quotidiano (un’espressione moderna usata dalla Troncelliti è ‘gioia di
dipingere’).
Cennino propone qualche tecnica compositiva di natura operativa. Innanzi
tutto la Troncelliti spiega la tecnologia (basata sull’uso di funi) grazie alla
quale Cennini divide la superficie dipinta in spazi geometrici regolari. Citando
Judit Field, l’autrice spiega che questi metodi sono sostanzialmente simili a
quello usato da Masaccio nella sua Trinità.
Fig. 33) Masaccio, La Trinità, Santa Maria Novella, Firenze, 1428 circa |
Più in generale, Cennino raccomanda di distribuire le figure nella ‘storia’
lungo punti centrali di riferimento. Tali punti devono essere utilizzati per
suddividere lo spazio tra le immagini e sviluppare assi centrali attorno alle
quali sviluppare la narrazione. Solo poche settimane fa, Amanda Lillie, della
National Gallery, ha pubblicato un articolo online andando nella medesima
direzione della Troncelliti. Lillie ritiene che il contributo di Cennini alla
teoria artistica sia significativamente sottostimato, e che le sue opinioni in
termini di composizione pittorica siano state adottate dai maestri del
Rinascimento, con uno specifico esempio nel caso di Raffaello: la semplice
struttura geometrica che sta alla base della Madonna Garvagh.
Figg. 35-36) Raffaello, 'La Madonna Garvagh ', 1509–10 circa(Fonte: Amanda Lillie, National Gallery) |
La Troncelliti si sofferma inoltre con attenzione sulla composizione in
termini di colore, basata sui contrasti delle tinte. Se Cennino paga un tributo
alle teorie aristoteliche fondate su una scala di sette colori, è anche vero
che utilizza pigmenti reali che possono essere trovati in natura (e ci ricorda
anche la ricerca dei colori che faceva assieme al padre) e descrive le loro
tonalità (sette tipi di rosso, sei di giallo, sette di verde, tre di blu). Per
quanto riguarda le dorature, Cennino si concentra sul loro uso solo nei tessuti
(a differenza della pittura bizantina) e le usa come fecero Fra Angelico o
Botticelli. Il nostro autore utilizza il colore per dare rilievo e volume alle
pitture. Nella sua spiegazione relativa allo ‘sfumato’ ci descrive
fondamentalmente delle tecniche utilizzate nel Quattrocento. Ci spiega come
usare la luce naturale per evitare che le opere risultino piatte.
In conclusione, per Troncelliti Cennino Cennini è il prototipo del pittore
che decide di utilizzare la sua esperienza diretta per scrivere un manuale per
altri pittori: un artista che scrive per gli artisti, un pratico per i pratici.
Secondo lui la composizione ha un’importanza fondamentalmente operativa. Troncelliti
sostiene che Cennini dovrebbe essere incluso nella stessa categoria di un
Ghiberti, di un Leonardo o di un Vasari. Appartiene ad una categoria diversa da
quella di Alberti che, da non-artista, è il prototipo del critico d’arte. Quindi,
più che l’Alberti, Cennino Cennini ci mostra molte tecniche effettivamente
utilizzate nel primo Rinascimento, comprese le tecniche compositive. Cennino è
il simbolo di un artefice che prova a mettere nelle proprie mani la
trasmissione delle proprie conoscenze professionali e non accetta la mediazione
di studiosi e di altri esperti eruditi. Con la Controriforma questa categoria
di artisti cesserà quasi di esistere, dal momento che gli artefici saranno
privati della possibilità di comunicare direttamente, senza l’intermediazione
della teoria artistica, con altri loro colleghi.
Alberti
Secondo la Troncelliti Alberti fu, innanzi tutto, un maestro nella
retorica. Ebbe l’abilità di riadattare le fonti esistenti (soprattutto quelle
di origine greca e latina) in una serie di aree differenti e di scrivere nuovi
testi in maniera tale da renderle più facili da leggere e più digeribili al
pubblico colto dell’epoca. Sotto questo punto di vista, l’originalità di
pensiero non era poi così necessaria e molte argomentazioni avanzate da
Alberti, che sono state analizzate alla luce di una letteratura estremamente
favorevole sulla scia dell’interpretazione epica dell’autore operata da Jacob Burckhardt, dovrebbero piuttosto essere interpretate, più sobriamente, come
meri esercizi retorici.
Pur dicendo nel suo trattato che stava affrontando il tema della pittura da
pittore – sostiene la Troncelliti – Alberti non riuscì realmente a ragionare da
vero artista. L’affermazione di Alberti non regge ad un esame analitico. Egli
non comprese la fondamentale importanza di talento e motivazione e continuò a
pensare (dal momento che qualsiasi cosa poteva essere insegnata) che il suo
manuale potesse dar vita a nuove generazioni di artisti. Proclamò che gloria e
reputazione erano il fino ultimo dell’arte, atteggiamento che spesso è alieno
ai veri artisti. Questi ultimi – scrive la Troncelliti – sono spesso più
interessati alle proprie creazioni artistiche che al riconoscimento sociale che
potrebbero acquisire tra i membri più potenti della società.
Ribaltando un’argomentazione spesso usata da altri contro Cennini, la
Troncelliti è dell’opinione che fosse Alberti che in realtà non era
sintonizzato con l’arte del proprio tempo, mentre, al contrario, la produzione
artistica nelle botteghe (e quindi la produzione di singole opere artistiche)
si andava manifestando esattamente come nelle prescrizioni di Cennini. Ci sono
almeno quattro ragioni per cui Alberti non ebbe un reale impatto sulla cultura
figurativa dell’opera (mentre ne avrebbe avuto uno importante più tardi, a
partire dal Cinquecento).
In primo luogo, come già detto, Alberti non scriveva per i pittori (e anche
la versione in volgare del De Pictura
che compilò sarebbe stata incomprensibile per una larghissima porzione degli
artisti dell’epoca).
Secondo: l’esperienza reale di Alberti in materia di pratica artistica era
assai limitata. Menzionò la sua attività di pittore come solamente un
passatempo ed anche i suoi ammiratori (come Cecil Grayson) devono riconoscere
che non ci è rimasta alcuna sua opera e che probabilmente la qualità della sua
produzione doveva essere davvero modesta. Cosa più importante – sostiene la
Troncelliti –: se li si confronta in termini di traduzione degli impulsi
creativi e di conversione dei materiali
in oggetti fisici, nonché di gioia della creazione materiale dettata dalla
passione, tutti i procedimenti che Alberti descrisse nel suo trattato rivelano
(a differenza di Cennino) una profonda incomprensione dell’attività di un
pittore e in particolare dell’attività necessariamente ‘materiale’ legata
all’aspetto artigianale.
Figg, 37 e 38) Roberto
Rossellini (1906-1977) – Serie TV Series “L’età di Cosimo de’ Medici”. Parte
III – Leon Battista Alberti: L’Umanesimo – La piramide visiva ©Flamingo Video
|
In terzo luogo, e a dispetto delle apparenze, Alberti era estraneo alla
cultura visiva naturalistica e realistica dei suoi contemporanei. Una qualsiasi
rappresentazione della realtà – scrive la Troncelliti – avrebbe comportato “di
mostrare il brutto così come il bello”, come capita in un dipinto di
Ghirlandaio che mostra un naso deformato dalla malattia. Alberti viveva in un
mondo neo-platonico, in cui solo la bellezza astratta doveva essere
rappresentata. La sua concezione di bellezza non prevedeva l’inclusione del
lato ‘brutto’ del mondo e non era quindi in linea con il Quattrocento.
Fig. 39) Ghirlandaio, Ritratto di vecchio con il nipote, 1490 circa, Louvre, Parigi
|
Quarto: alcuni dei concetti più tecnici contenuti nel De Pictura presentano degli errori matematici, che resero
estremamente difficile utilizzarli alla lettera. Ripetendo una tesi già
menzionata da Michael Baxandall, la studiosa dice che i soli artisti che furono
capaci di correggere ed implementare tali concetti furono Mantegna (che trovò
una via empirica per evitare gli errori) e Piero della Francesca (che ebbe
un’educazione profondamente matematica).
Le teorie dell’Alberti possono aver avuto successo in fasi più tardi della
storia della pittura, ma non nel Quattrocento. Se Alberti dedica l’edizione
volgare del De Pictura a Brunelleschi
e cita nella sua introduzione “il nostro grande amico Donatello” come pure Luca
della Robbia, Lorenzo Ghiberti (chiamato Nencio) e Masaccio, Troncelliti
segnala che gli esempi di opere d’arte citati dall’autore risalgono sempre
all’antichità (vi sono quindi riferimenti puramente retorici a Plinio, posto
che tutti gli esemplari di pittura greca sono andati persi) e solo in un
singolo caso viene citato Giotto. Con l’eccezione della cupola del Duomo di
Brunelleschi nessuno dei numerosi capolavori dell’epoca è mai citato,
commentato o utilizzato come esempio per propagare le teorie artistiche. Non vi
sono inoltre prove storiche di una relazione stretta fra Alberti e
Brunelleschi, posto che nella Vita di
Brunelleschi di Antonio Manetti i due sono mostrati come in cattive
relazioni fra loro. Troncelliti solleva anche l’ipotesi che Alberti possa
persino non essere stato a conoscenza di singole opere d’arte. Nel caso di
Masaccio, per giunta, è noto come quest’ultimo fosse morto a 28 anni, prima che
Alberti fosse ritornato a Firenze dall’esilio. Molte di queste argomentazioni
originano dallo studio di Lise Bek sopra ricordato.
La prova ultima dell’alienazione di Alberti rispetto alla sua epoca è
costituita dalla sua teoria dei colori, che è stata definita da Samuel Edgerton
“una bottiglia medievale senza il vino del Rinascimento”. Il concetto
albertiano di ‘amicizia dei colori’ – ci dice la Troncelliti – era basato
fondamentalmente sull’uso del nero e del bianco ed era un richiamo ai quattro
colori di base (verde abete, grigio-blu, verde acqua, cenere) che preferiva
personalmente e che gli sarebbe piaciuto vedere usati il più possibile.
In conclusione, Alberti mise assieme fonti greche e latine per preparare un
testo teoretico sulla pittura. La sua compilazione, tuttavia, non raggiunse gli
artisti e l’impatto immediato del trattato di Alberti sulla pittura del
Quattrocento è stato di gran lunga esagerato. Ad ogni modo, era nato un nuovo
genere di letteratura, quella della discussione teorica su principi artistici,
scritta da un non-artista per un pubblico di non-artisti. Era nata la critica
artistica.
Thomas Puttfarken e la terza analisi
sulla composizione in Cennini ed Alberti: partita sospesa senza un vincitore
Il defunto Thomas Puttfarken firmò nel 2000 una monografia intitolata “La
scoperta della composizione pittorica. Teoria dell’ordine visivo in pittura
1400-1800”. Le prime 180 pagine sono intitolate: “Perché il Rinascimento non
parlò di composizione pittorica”. Ciò che Puttfarken vuol dire è che lungo tutto il periodo in cui il concetto
odierno di composizione pittorica prevale (fino a quando cioè il critico
americano Clement Greenberg proclama la morte della pittura basata sul pennello
e della composizione formale), siamo tutti figli, o nipoti della pittura
barocca francese, da Poussin in poi. Spiegandosi meglio dopo. Puttfarken è
dell’opinione che il concetto di composizione pittorica che Kandinsky e
Mondrian usavano anche per l’arte astratta non corrisponda (nella teoria
retorica di Quintiliano) alla compositio,
ma al concetto diverso, e più elaborato, di dispositio.
La differenza fra i due concetti è che il Rinascimento italiano, applicando
alla pittura la compositio di
Quintiliano, non poteva comprendere la composizione pittorica se non in termini
diversi dall’aspetto di uno o più corpi in un dipinto; il Barocco francese, al
contrario, allargò il concetto (utilizzando il linguaggio di Rudolf Arnheim) a
una ‘configurazione totale di forze’ o, in termini di psicologia della Gestalt,
a “una rappresentazione olistica, con la propria natura contenuta in se stessa,
la sua regolare configurazione e la sua struttura interna, più o meno
complicata”. La composizione pittorica non riguarda solo il modo in cui i
quadri sono strutturati. Riguarda “la maniera in cui le immagini, gli oggetti e
i mondi si comportano in relazione all’ordine dell’immagine e al livello di
valore visuale e all’importanza che noi gli attribuiamo… Lo scopo della
composizione pittorica, inteso in questo senso, non è puramente o
principalmente l’armonia formale; è la comunicazione visuale dell’immagine e
del significato” all’osservatore.. I Sindaci
di Rembrandt potrebbero essere interpretati (nella tradizionale visione della compositio) come una combinazione
orizzontale e simmetrica di sei figure. Più importante (avendo a conto la dispositio) è il sentimento necessario
che il pittore olandese crea nella mente di chi osserva il quadro, come se le sei
figure lo stessero aspettando e osservando mentre entra nella stanza. La
moderna composizione è, in questi termini, ‘un senso di privilegio’ concesso
dal pittore all’osservatore, privilegio che a volte è normale e semplice, a
volte assai complesso e basato anche sul sovvertimento dell’ordine visivo.
Fig. 40) Rembrandt, I Sindaci dei Drappieri, 1662, Rijksmuseum, Amsterdam |
Il riferimento chiave di Puttfarken sembra essere lo studio di Ernst
Gombrich del 1960 su “Arte e illusione: uno studio nella psicologia della
rappresentazione pittorica”. In quello studio Gombrich identifica un contrasto
fondamentale nell’arte tra ‘ordine’ (rappresentato dalla composizione) e ‘vita’
(rappresentata dalla fedeltà alla natura). Il Rinascimento italiano considerò
l’ordine come un’acquisizione tradizionale e si concentrò sulla fedeltà alla
rappresentazione della natura- “Gli storici dell’arte si sono sempre chiesti –
scrive Gombrich – come mai… non vi sia una sola parola sulla composizione nel Trattato di Leonardo e Vasari usi
difficilmente questo termine”.
Cennini
Puttfarken comincia la sua analisi su Cennino Cennini notando che I termini
‘comporre’ e ‘componire’ (usati con lo stesso significato) vengono utilizzati in
tre importanti passaggi del Libro
dell’Arte. Indicano “un compito più gravoso e più importante” del semplice
disegno. Dal momento che il comporre è correlato, da un lato, alla fantasia dell’artista, alla sua
immaginazione creativa, e dall’altro all’esecuzione fattuale dell’opera, non
credo di forzare troppo le mie affermazioni se suggerisco che il termine è
utilizzato nel significato di portare all’esistenza, ovvero di dare realtà all’immagine
o istoria immaginata dall’artista.”
Nella sua introduzione, Cennino associa pittura e poesia. Quest’ultima permette
al poeta di “comporre e legare assieme,
come più gli aggrada, secondo le proprie inclinazioni. (…) Allo stesso modo al
pittore è data la libertà di comporre una figura in piedi, seduta, metà uomo e
metà cavallo, come desidera, secondo la propria immaginazione”. Cennino –
osserva Puttfarken – fa riferimento alla “composizione di una singola figura”.
Cennino si occupa anche di composizione per quanto riguarda la pittura di
tavole o di affreschi. Nel primo caso si raccomanda: “Il carbone deve essere
legato a un bastoncino o a un piccolo rametto, in maniera tale che vi sia una
certa distanza dalla figura; ciò ti sarà di grande aiuto nel comporre”. Nel
secondo caso scrive: “Quindi componi le storie o figure col carbone, come ho
descritto. E mantieni sempre le tue aree in scala e regolari”.
Cennino fa riferimento essenzialmente “agli spazi od aree che devono essere
occupate dalle figure che l’artista si accinge a comporre”. L’autore raccomanda
anche, a tale scopo, di disegnare line verticali “creando un asse centrale
attorno a cui la figura potrà essere disegnata” e linee orizzontali che
mostrino “il terreno o l’orizzonte su cui deve stare l’immagine”.
Questo concetto di composizione non corrisponde a quello descritto da
Puttfarken. “In Cennino, come più tardi in Alberti, la storia deve essere
intesa come una scena narrativa composta da diverse figure, ovvero come una
scena che racconta una storia. Non vi è alcun riferimento a come le figure
debbano essere poste in relazione fra loro o all’opera d’arte nel suo complesso”.
Sotto questo punto di vista – dice Puttfarken – Cennino potrebbe non aver
compreso appieno Giotto, Taddeo Gaddi e le due-tre generazioni di pittori
precedenti a cui pure fa riferimento come fonte d’ispirazione. Essi avevano
“inventato o riformulato l’ordine della narrazione sacra”, “creato nuove
formule pittoriche”, “nuovi tipi di immagini”. In altre parole, “non furono
semplicemente artigiani”.
Puttfarken conclude che “la lontananza di due generazioni da Taddeo Gaddi e
di tre da Giotto significa probabilmente che Cennino, a dispetto delle sue
affermazioni, non riflette direttamente le loro idee sull’arte, ma una versione
di bottega molto annacquata, condivisa da quella che è spesso chiamata la
scuola giottesca. La composizione innovativa o inventiva non era
necessariamente parte del sistema di questa scuola.
Alberti
Nonostante tutte le differenze, anche “la nozione di Alberti di
composizione non deriva dalla pittura intesa come entità, né la riguarda.
Deriva dall’osservazione di un oggetto singolo ed individuale in natura e dalla
maniera in cui questo oggetto è visivamente reso sulla superficie dell’opera.
Al suo livello più semplice, la composizione è l’attività di mettere insieme
una cosa, e, sotto questo aspetto, Alberti può ben riflettere l’uso tradizionale
del termine usato nelle botteghe artigiane, così come suggerito da Cennino”.
Puttfarken vede inoltre un parallelo con Cennino quando Alberti definisce
la pittura come fatta di circumscriptio,
compositio e ‘ricevere di lumi’. “La circumscriptio, definita in senso
proprio, è presentata come uno strumento di imitazione accurata, basato sulla
precisa osservazione. La compositio,
utilizzando il disegno come strumento, va oltre la circumscriptio nella misura in cui è un’attività costruttiva o
creativa…”.
E tuttavia Alberti presenta una teoria della composizione più complessa
rispetto a quella di Cennino, “Quando Alberti si sposta dalla circumscriptio alla compositio, fa esplicitamente un passo in avanti dall’imitazione
alla costruzione… La composizione è l’area più importante in cui risiede la
scelta artistica, l’area in cui l’artista deve decidere e costruire, invece di
imitare (…). La composizione, fors’anche più della prospettiva, permette ad
Alberti di giustificare lo status della pittura come arte liberale. Dipende
dalla conoscenza che l’artista ha del corpo umano, delle proporzioni, dei suoi
movimenti e delle espressioni emotive, della maniera in cui l’interagire dei
corpi può trasmettere il significato, e dipende anche dal significato stesso”.
Ciò non esclude, tuttavia, che Alberti, come gli altri critici d’arte del
Quattrocento, non sia stato capace di parlare degli effetti complessivi dei
dipinti. Ci sono due motivi per cui i teorici del Quattrocento non furono in
grado di farlo: il primo è il ruolo centrale del corpo umano; il secondo, la
prospettiva.
Per prima cosa, nella teoria albertiana il corpo umano è “il paradigma
dell’ordine e la composizione (…) una misura della perfezione”. In termini
funzionali, Alberti accetta che più corpi possano creare immagini complesse che
pongono in essere un’azione comune (cosa che viene chiamata “historia, ovvero una somma di corpi,
oggetti etc.”) seguendo “principi di ordinamento [come] l’appropriatezza dei
movimenti, sia fisici sia mentali, rispetto all’azione complessiva al fine di
una chiara esposizione del significato, e una varietà di movimenti, al fine
della gradevolezza”. Tuttavia, in termini più ontologici – scrive Puttfarken –
“non esiste modo, per i nostri critici del Rinascimento, di trascendere il
singolo corpo. Due o più corpi non danno vita a un complesso più grande delle
singole parti. (…).
In secondo luogo, la prospettiva: Alberti ne parla nel primo libro del De Pictura. Si tratta di un requisito
tecnico a priori dell’arte, non di
una parte di essa. E, ancora, Puttfarken trova che la prospettiva (ed, in
particolare, la tradizionale prospettiva centrale) “avesse effetti compositivi
(…), riconosciuti e praticati dagli artisti da un’epoca molto precoce”. Ciò
“può aver aiutato a rendere superflua una teoria dell’ordine e della
composizione pittorica”. Peraltro, lo stesso Alberti, facendo riferimento alle
tecniche da usare per costruire la prospettiva, scrive: “Questo metodo per
dividere il pavimento è specialmente pertinente a quella parte della pittura
che, quando vi arriveremo, chiameremo composizione”.
Tuttavia, anche in questo caso, sarebbe sbagliato considerare la
prospettiva (nella definizione dell’Alberti) come una componente della moderna
composizione. Semplificando la complessa elaborazione di Puttfarken, ci sono
due modi per costruire la relazione visiva tra dipinto e osservatore. Uno
consiste nell’identificare il “raggio visivo centrale che incontra la
superficie del quadro ad una giusta angolazione”: si tratta della base della
teoria dell’Alberti sulla piramide visuale. L’altro è il raggio centrale che non è
perpendicolare alla superficie, ma all’occhio dell’osservatore. In altri
termini, la teoria di Alberti è più correlata alla discussione di “una
superficie originaria singola, una singola piramide visuale, e a singoli,
inamovibili e assolutamente fissi raggi centrali e distanze di osservazione”;
in altre parole, è correlata “a una singola visuale”. Questa singola visuale è
imposta dal pittore e non permette all’osservatore di interagire attivamente
con l’opera d’arte.
Riassumendo, Puttfarken fa riferimento alle tesi di Baxandall su Leon
Battista Alberti esposte in “Giotto e gli umanisti” in cui si sostiene che fu
l’inventore della composizione: “il mio disaccordo con Baxandall in merito a
questo argomento è marginale, ma probabilmente non privo di importanza”.
E’ interessante vedere come siano differenti rispetto alle argomentazioni
di Puttfarken le opinioni espresse dagli studiosi che hanno curato le recenti
versioni in lingua francese del De
Pictura. Secondo Jean Louis Schefer, che nel 1992 ha pubblicato la prima
edizione francese da quella di Claudius Popelin nel 1868, il De Pictura offre ai pittori una cornice
teorica che è dominata dalla traslazione dell’arte visuale nello spazio grazie
alla prospettiva. Schefer ritiene il concetto cruciale dell’historia di Alberti come una parte
concettuale della prospettiva (e non – al contrario – la prospettiva come una
disciplina di carattere scientifico, esterna al concetto di composizione/narrazione
pittorica), e dunque fa riferimento alla proiezione dello spettatore nello
spazio della pittura (che è anche spazio dell’invenzione). Questa interazione
attiva è esattamente ciò che Puttfarken ritiene essere mancante nella
composizione di Alberti. Thomas Golsenne e Bertrand Prevost, che hanno curato
una nuova edizione nel 2004, non solo considerano Alberti come il fondatore del
concetti di ‘rappresentazione’, basato sul concetto di ‘historia’, ma mettono in contrapposizione tale aspetto con quanto
prima praticato nel Medio Evo (che chiamano, con un neologismo da loro coniato,
‘presentificazione’). I due spiegano che la rappresentazione di Alberti ha una
posizione semiotica diversa rispetto a quella dell’arte sacra precedente. La
classica immagine cristiana, nell’arte sacra, pre-esiste sempre allo spettatore
(che è prima di tutto un devoto) e trae la sua potenza dalla religione. Secondo
Alberti, la rappresentazione pittorica è una rappresentazione pura, che
necessita assolutamente di una relazione con chi l’osserva. Facendo riferimento
a Michael Foucault, i due spiegano che l’historia
di Alberti ha un doppio significato: da un lato consiste dei fatti che sono
illustrati nel dipinto e dall’altro è l’azione di attribuire un significato
pittorico a quei fatti. Grazie al concetto fondamentale di ‘rappresentazione’
il De Pictura – concludono Golsenne e
Prevost – trasforma la posizione dell’osservatore in “un elemento assolutamente
necessario per il sistema della pittura nuova. (…) La rappresentazione del
quadro non esiste come tale se non intesa come atto di riconoscimento da parte
degli spettatori”.
Bibliografia
Alberti, Leon
Battista – De la Peinture - De Pictura (1435), Traduction par Jean Louis
Schefer, Paris, Macula, Dédale, 1992 – Posseduto
da questa biblioteca.
Alberti, Leon Battista –
De Pictura. Traduit du Latin
et présenté par Danielle Sonnier, Pris, Édition Allia, 2010 - Posseduto da questa biblioteca.
Alberti, Leon Battista - De
Pictura (Redazione volgare), edited by Lucia Bertolini, Firenze, Polistampa,
2011 (Edizione Nazionale delle Opere di Leon Battista Alberti. Trattatistica d’arte 1.1) – Posseduto da questa biblioteca.
Alberti, Leon
Battista – La Peinture. Texte latin, traduction française, version italienne.
Édition de Thomas Golsenne et Bertrand Prévost, revue par Yves Hersant. Paris,
Seuil, 2006 – Posseduto da questa biblioteca.
Alberti, Leon
Battista - On Painting, Introduction and translation by Cecil Grayson, Penguin
Books, revised edition, New York, 2004 – Posseduto
da questa biblioteca.
Aronberg Lavin, Marilyn, The Place of
Narrative, Mural Decoration in Italian Churches, Chicago, 1990.
Aronberg Lavin, Mailyn - Un
nuovo metodo per lo studio della pittura murale; il problema dell’ordine
narrativo (A new method to study mural
painting: the problem of narrative order), in: Storia dell’Arte 77, 1993,
115-122.
Baxandall, Michael - Giotto and the
Orators: Humanist Observers of Painting in Italy and the Discovery of Pictorial
Composition, 1350-1450, Oxford-Warburg studies, 1986 See: http://books.google.de/books?id=1sviuSWnAZEC&printsec=frontcover&dq=inauthor:%22Michael+Baxandall%22&hl=it&sa=X&ei=mQFQU8aDOMm8ygPfs4G4Dw&ved=0CC4Q6AEwAA#v=onepage&q&f=false
Bek, Lise – Voti
frateschi, virtù di umanista e regole di
pittore. Cennino Cennini sub specie Albertiana, in Analecta Romana Instituti
Danici, 1971, pp. 64-106. Posseduto da
questa biblioteca (in the form of a pdf file kindly provided by the Accademia
di Danimarca in Rome).
Blakeslee, David – A Journey through the Eclipse Series: Roberto
Rossellini’s The Age of Cosimo de’ Medici, 25 May 2011. See: http://criterioncast.com/news/a-journey-through-the-eclipse-series-roberto-rossellinis-the-age-of-the-medici/
Boskovits, Miklós
- Cennino Cennini – pittore nonconformista, in : Mitteilungen des
Kunsthistorischen Institutes in Florenz, Vol. 17, N. 2/3, pp. 201-222, Published
by: Kunsthistorisches Institut in Florenz. See: www.jstor.org/stable/27652330
Burckhardt, Jacob
- La civiltà del Rinascimento in Italia, Firenze, Sansoni, 1952 - Posseduto da questa biblioteca.
Burckhardt, Jacob
- Die Kultur der Renaissance in Italien, Frankfurt am Main, Deutscher Klassiker
Verlag, 1989 - Posseduto da questa
biblioteca.
Burckhardt, Jacob – La Civiltà
del Rinascimento in Italia - Un tentativo di interpretazione, edited by Maurizio
Ghelardi, Torino, Nino Aragno, 2006.
Cennini, Cennino – Il
libro dell’arte, edited by Fabio Frezzato, Vicenza, Neri Pozza Editore, 2003.
Di Stefano, Elisabetta –
L’altro sapere. Bello, Arte, Immagine in Leon Battista Alberti, Palermo, Centro
Internazionale Studi di Estetica, 2000 – See: http://www.unipa.it/~estetica/download/DiStefano_Alberti.pdf
Di Stefano, Elisabetta -
Leon Battista Alberti e il doctus artifex (Leon
Battista Alberti and the cultivated artist), in Mecenati, artisti e
pubblico nel Rinascimento (Sponsors,
artists and public in Renaissance), Pienza, 2009. See:
https://www.academia.edu/990501/Leon_Battista_Alberti_e_il_doctus_artifex_
Edgerton, Samuel Jr – Alberti‘s Colour
Theory: A Mediaeval Bottle without Renaissance Wine, in: Journal of the Warburg
and Courthald Institute, Vol. 32, 1969, pp. 109-134 See: http://www.jstor.org/discover/10.2307/750609?uid=3737528&uid=2134&uid=2&uid=70&uid=4&sid=21103995810787
Fantasie und
Handwerk. Cennino Cennini und die Tradition der toskanischen Malerei von Giotto
bis Lorenzo Monaco (Phantasy and Handwork. Cennino Cennini and the tradition of
Tuscan painting between Giotto and Lorenzo Monaco), Gemäldegalarie Staatliche
Museen zu Berlin, Hirmer Publishers, 2008 Posseduto
da questa biblioteca.
Field, Judith – The Invention of Infinity.
Mathematics and Art in the Renaissance, Oxford, Oxford University Press, 1977
See:
Flemming, Willi – Die Begründung der
modernen Ästetik und Kunstwissenschaft durch Leon Battista Alberti (The foundation of modern Aesthetics and Art
Science by Leon Battista Alberti), Teubner, Leipzig and Berlin, 1916
(reprint from the collections of the University of California Libraries, 2014 –
Posseduto da questa biblioteca).
Garin, Eurgenio - Leon
Battista Alberti, Pisa, Scuola Normale Superiore, 2013 - Posseduto da questa biblioteca-
Gombrich, Ernst - Art and Illusion: A Study
in the Psychology of Pictorial Representation, New York, Pantheon Books, 1960
See: http://www.scribd.com/doc/158411455/E-H-Gombrich-Art-and-Illusion-1984
Ilg, Albert - Das
Buch von der Kunst oder Tractat der Malerei des Cennino Cennini da Colle di
Valdelsa, Quellenschriften für Kunstgeschichte und Kunsttechnik des
Mittelalters und der Renaissance (Volume 1), Wien, Braumüller, 1871.
Kuhn, Rudolf -
Alberti`s Lehre über die Komposition als die Kunst in der Malerei (Alberti’s doctrine on composition as the art
in painting). In: Archiv für Begriffsgeschichte, Vol. 28, 1984, pp. 123-178.
Available online at http://epub.ub.uni-muenchen.de/4690/
Kuhn, Rudolf -
Cennino Cennini. Sein Verständnis dessen, was die Kunst in der Malerei sei, und
seine Lehre vom Entwurfs- und vom Werkprozeß (Cennino Cennini – His understanding of what is art in painting, and his
doctrine on draft and implementation processes). In: Zeitschrift für
Ästhetik und allgemeine Kunstwissenschaft, Vol. 36, 1991, pp. 104-153. Available
online at http://epub.ub.uni-muenchen.de/4689/
Kuhn, Rudolf –
Erfindung und Komposition in der Monumentalen Zyklischen Historien Malerei des
14. Und 15. Jahrhundert in Italien (Invention and composition in the cyclical
monumental history painting of 14th and 15th century in Italy), Peter Lang,
Frankfurt am Main, 2000. Second, revised edition, dated 2005, available online at
http://epub.ub.uni-muenchen.de/4691/1/Kuhn_Rudolf_4691.pdf
Kuhn, Rudolf -
Komposition und Rhythmus. Beiträge zur Neubegründung einer historischen
Kompositionslehre (Composition and rythm. Contributions to re-foundation of an historical doctrine of composition), Berlin, New York, de Gruyter, 1980. Revised version, available
online at http://epub.ub.uni-muenchen.de/4684/
Kuhn, Rudolf – On Composition as Method and
Topic. Studies on the work of L.B.Alberti, Leonardo, Michelangelo, Raphael,
Rubens, Picasso, Bernini and Ignaz Gunther. Tel Aviv Lectures, Peter Lang,
Frankfurt am Main, 2000. Posseduto da
questa biblioteca.
Lillie, Amanda - Constructing the Picture,
in 'Building the Picture: Architecture in Italian Renaissance Painting', The
National Gallery, London, published online 2014. See: http://www.nationalgallery.org.uk/paintings/research/exhibition-catalogues/building-the-picture/constructing-the-picture/composing-the-image
Pictorial Composition from Mediaeval to
Modern Art, Edited by Paul Taylor and
François Quiviger, The Warburg Institute, London – Nino Aragno Editore, Turin,
2001 – Posseduto da questa biblioteca
Pfisterer, Ulrich, Cennino Cennini und die
Idee des Kustliebhabers (Cennino Cennini
and the Idea of the art lover), in “Grammatik der Kunstgeschichte:
Sprachproblem und Regelwerk im “Bild-Diskurs” (Grammar of Art History: Language
Problems and Rulebook in the “Art Discussion”), Emsdetten, 2008, pp. 95-117
See:
Rossellini, Roberto - The Age of Cosimo de’
Medici (Part Three – Leon Battista Alberti, the Humanism), TV Series, Rai,
January 1973 3 CDS Posseduto da questa
biblioteca nella versione italiana.
Schlosser, Julius
¬von¬: Materialien zur Quellenkunde der Kunstgeschichte - 1. – Mittelalter, Wien:
Hoelder, 1914 See: http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/schlosser1914heft1
Schlosser, Julius
¬von¬: Materialien zur Quellenkunde der Kunstgeschichte - 2. – Frührenaissance,
Wien: Hölder, 1915 See: http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/schlosser1915heft2
Schlosser, Julius
von, Die Kunstliteratur: ein Handbuch zur Quellenkunde der neueren Kunstgeschichte,
Wien, Kunstverlag Anton Schroll & Co, 1924 Posseduto da questa biblioteca. See also: http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/schlosser1924
Schlosser, Julius
von - Ein Kunstlerproblem der Renaissance: L. B. Alberti, Wien, Holder-Pichler-Tempsky,
1929 – Posseduto da questa biblioteca,
Troncelliti, Latifah – The Two Parallel
Realities of Alberti and Cennini. The Power of Writing and the Visual Arts in
the Italian Quattrocento, Lewiston, Edwin Mellin Press, 2004 Posseduto da questa biblioteca.
Venturi, Lionello – La
critica d’arte alla fine del Trecento (Filippo Villani e Cennino Cennini), in:
L’Arte, Rivista di Storia Medievale e Moderna, No. 4, 1925, pp. 233-244. See: http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/arte1925/0261?sid=4e7a93ea0aae0979cfd48cee654f4b71.
Vuilleumier
Florence, Leon Battista Alberti - De la
peinture, in: Revue de l'Art, 1993, Volume
99, pp. 84-85.
Wright Edward - Il De
pictura di Leon Battista Alberti e i suoi lettori (1435-1600). Firenze, Leo S.
Olschki, 2010 – Posseduto da questa biblioteca.
Nessun commento:
Posta un commento