Scritti di artisti tedeschi del XX secolo - 22
Francesco MazzaferroGli scritti di Hans Hofmann,
pittore e teorico dell'arte astratta fra Germania e Stati Uniti
Parte Prima
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Fig. 1) Un annuncio pubblicitario della Scuola di belle arti Hans Hofmann a Monaco, pubblicato nel 1915. Fonte: https://www.aaa.si.edu/collections/hans-hofmann-papers-5966/subseries-2-1/box-4-folder-1 |
Studiare la letteratura
artistica del XX secolo in Germania significa anche riscoprire, in tutte le sue
variazioni (anche linguistiche), la complessità della storia del Paese. Gli
scritti di Hans Hofmann (1880-1966) confermano la regola. Forse oggi la
maggioranza degli studiosi non considera neppure i suoi testi come parte della
letteratura artistica tedesca. Hofmann è invece reputato il padre nobile dell’espressionismo astratto statunitense nel
secondo dopoguerra.
Se l’ambiento geografico
in cui Hofmann ha un impatto decisivo è quello americano, va tuttavia detto che
quasi tutti i suoi testi sono stati concepiti e redatti in tedesco e poi
tradotti in inglese a fini didattici e per la pubblicazione. Grazie agli Archives of American Art dello
Smithsonian Institute, tutti i manoscritti e dattiloscritti dell’artista, in
tedesco e in inglese, sono completamente digitalizzati e
disponibili al pubblico dal 2016. Anche la fondazione degli eredi offre sulla sua pagina web un elenco completo di titoli (inclusi
manoscritti e dattiloscritti).
Si tratta in gran parte
di testi ancora incompleti e mai pubblicati. Quel che colpisce consultando
questo materiale amplissimo è il tentativo, ripetutamente fallito (1915, 1931,
1948, 1952 e 1963) di scrivere un trattato/manuale sulla pittura, prima in
Germania (anche riflettendo la formazione artistica ricevuta nel suo decennale
soggiorno a Parigi) e poi negli Stati Uniti (ponendosi come tramite culturale
tra Europa e USA). Certo, sembra legittimo chiedersi come mai, nonostante la
persistenza del tentativo e molti contatti con case editrici, gli sforzi di
Hofmann non abbiano mai avuto successo, neppure in forma postuma. Cercheremo
dunque, sulla base della lettura delle numerose bozze del trattato, di
formulare alcune ipotesi. Sembra, infatti, che nessuno studioso si sia posto
l’obiettivo di studiare i legami tra le molte stesure del trattato, e di
capire quale sia il loro rapporto con i testi più brevi di Hofmann, che sono
invece ampiamente circolati in forma di articoli, brevi saggi e lezioni, come
pure col compendio della sua ‘filosofia dell’arte’ pubblicato nel 1963 dal critico
e curatore newyorkese William Chapin Seitz (1914-1974), che ha contribuito a
far conoscere le idee estetiche dell’artista al grande pubblico. Una vera e
propria raccolta critica degli scritti non è ancora presente, anche se sono
stati pubblicati saggi [1] e testi su Internet [2]
Riscoprire i contenuti degli
scritti di Hofmann è un passo importante per capire come la cultura estetica
tedesca abbia influenzato il modo di pensare degli artisti americani nel secolo
scorso. Se il trattato non ha mai visto la luce, l’insegnamento dell’artista
tedesco è stato molto efficace e ha contribuito in maniera decisiva a far
affermare l’idea che la pittura non possa essere considerata un’attività
spontanea dedicata al puro piacere, ma debba essere concepita e insegnata come un’attività
intellettuale, parte integrante della cultura.
Il verbo di Hofmann si
diffonde in un mondo (quello dell’arte contemporanea americana) dove la
riflessione estetica era ancora recente. Anche la sua scuola di pittura
monacense, inaugurata nel 1915 e chiusa dai nazisti nel 1934, fu frequentata tra
le due guerre da personalità americane come Worth Ryder (pittore, artista e
curatore statunitense, 1884-1960), Vaclav Vytlacil (pittore statunitense,
1892-1984), Glenn Wessels (pittore e professore sudafricano, naturalizzato
americano, 1895-1982) e Carl Holty (pittore tedesco poi naturalizzato
americano, 1900-1973). Erano tutti artisti della medesima generazione di
Hofmann. Come spiegato da Irving Sandler [3], questa prima generazione di suoi studenti
si formò sui materiali preparati da Hofmann per Das Malerbuch: Form und Farbe in der Gestaltung (Il libro del
pittore: forma e colore nella creazione), un testo teorico disponibile come
dattiloscritto dal 1931 in una traduzione inglese con il titolo Creation in Form and Color. A textbook for
Instruction in Art a cura di Glenn Wessels (uno degli studenti appena
citato). Questa prima generazione di studenti ‘monacensi’, una volta tornata
negli Stati Uniti, assunse incarichi nell’ambito del sistema universitario
americano, propagando l’insegnamento di Hofmann, al punto che metà degli
artisti astratti americani degli anni Trenta sono riconducibili, secondo
Sandler, direttamente o indirettamente, al suo insegnamento. I corsi di Hofmann
hanno dunque avuto la stessa funzione che in altri paesi è stata spesso affidata
alle accademie di stato.
La scuola aperta da
Hofmann a New York (1933) e la sua succursale estiva di Provincetown (1935) ebbero poi un impatto importante su numerose generazioni successive, al punto che il già
citato Seitz fu in grado di raccogliere, per la sua mostra su Hofmann nel 1963 al Museum
of Modern Art di New York, le testimonianze di ben cinquanta suoi studenti
divenuti nel frattempo artisti riconosciuti [4]. Uno dei più famosi, Erle Loran
(1905-1999), pittore e storico dell’arte, parlò di Hofmann come “il migliore insegnante di pittura e
composizione dal Rinascimento” [5]. Molti altri studenti - si pensi a Lee
Krasner (1908-1984), Larry Rivers (1923-2002), Allan Kaprow (1927-2006) e Helen
Frankenthaler (1928-2011) – divennero delle superstar dell’arte americana della seconda metà del XX secolo. Alcuni
degli aspetti teorici dell’insegnamento di Hofmann hanno alimentato le
avanguardie americane molti anni dopo la chiusura delle scuole dell’artista nel 1958. Si deve a lui l’idea che da un lato
la mente dell’artista abbia una funzione ‘super-sensoriale’ e, dall’altro, che l’arte
sia un momento cosciente e controllato, e dunque non semplicemente espressione
di un momento spontaneo d’ebbrezza.
A Hofmann si deve anche
la teoria del “Push and Pull” che
negli anni cinquanta e sessanta influenzò la discussione estetica americana.
L’università di Berkeley, dove Hofmann operò già negli anni Trenta, scrive:
il concetto di “Push and Pull è
soprattutto legato alle tele che Hofmann produce negli anni Cinquanta e Sessanta, in cui piani colorati con tinte molto vivaci sembrano muoversi – al
di là del primo piano oppure nel fondo della tela – incrociando una rete di superfici
energizzanti che si intersecano e sovrappongono. Le idee e gli impulsi alla
base di quest’espressione oggi famosa hanno tuttavia origine nei decenni
precedenti, nei suoi insegnamenti, nei suoi scritti e nei suoi dipinti. Alla
fine degli anni Trenta, in una serie di lezioni molto seguite al Greenwich
Village [ndr: il quartiere bohèmienne dei giovani artisti a Manhattan], Hofmann dimostra come sia possibile creare
spazio pittorico ‘premendo un piano verso la superficie (push) o tirandolo
fuori dalla superficie (pull)’. Parlando a un pubblico di artisti e critici
entusiasti (tra i quali Arshile Gorky, Clement Greenberg e Harold Rosenberg),
egli proclama: ‘Noi dobbiamo creare spazio pittorico’. Hofmann chiarirà in
seguito il concetto di Push and Pull come “forze che si espandono e si
contraggono” [6].
Generalmente si parla dei
corsi d’arte alla scuola newyorkese di Hofmann come di un’introduzione al
cubismo, all’espressionismo e al surrealismo: ebbene, sulla base di quel che ho
letto negli archivi americani, questa è una visione a mio parere molto
restrittiva. Quella di Hofmann è una scuola del ‘saper vedere’. Ancor più
dell’espressionismo astratto della prima generazione del dopoguerra, le teorie
di Hofmann sulla visione e la riproduzione della realtà sembrano fondamentali
per comprendere l’Optic Art e le varie forme di concettualismi della
seconda metà del Novecento.
Una parentesi: la letteratura artistica di lingua tedesca
del secolo scorso e il suo rapporto con le altre aree culturali
Considerando molti post
da me dedicati in precedenza su questo blog agli scritti degli artisti tedeschi
del XX secolo, abbiamo già scoperto numerose situazioni di intreccio tra lingue
e culture. La letteratura artistica tedesca è, da questo punto di vista,
espressione di multiculturalità, sia pur esercitata in direzioni del tutto
opposte. Abbiamo visto il caso dell’autobiografia
di Georg Grosz (1893-1959),
esule dalla Germania dal 1933 per sfuggire al nazismo e cittadino americano dal
1938, le cui memorie sono scritte in tedesco, ma vengono tradotte in inglese e appaiono per la prima volta negli Stati Uniti nel 1946, allo scopo di spiegare
al pubblico americano quello che è successo nel mondo dell’arte a causa dei
nazisti. Abbiamo considerato i casi di Hans Hartung (1904-1989) e Arno Breker (1900-1991), altri artisti nati in Germania, ma
molto legati alla Francia, i cui scritti compaiono – in entrambi i casi – prima
in francese e poi in tedesco. Il parallelo tra i due artisti tedeschi non
potrebbe però essere più asimmetrico. Hartung diviene cittadino francese nel
1946 dopo aver combattuto (e perduto una gamba) nella Legione straniera contro l’esercito tedesco. Breker invece è vicinissimo a Hitler e
viene messo al bando in Germania per il suo passato nazista; avendo vissuto in
Francia tra le due guerre diviene strumento privilegiato della propaganda
filonazista nella Francia di Vichy; dopo la disfatta nazista trova rifugio
proprio in Francia, dove era stato punto di riferimento delle autorità
collaborazioniste durante la guerra e ha moltissimi amici negli ambienti
revanscisti. Forse entrambi avrebbero preferito pubblicare direttamente i loro
testi in tedesco, ma non ebbero modo di farlo: Hartung affidò a una
giornalista francese la redazione delle sue memorie sulla base di registrazioni
su bobine di lunghe interviste (tradotte in tedesco solamente in seguito, dopo
dieci anni dalla comparsa in francese), mentre Breker compilò le memorie in
tedesco, le fece tradurre in francese (comparvero nel 1970), per poi
pubblicarle due anni dopo in tedesco.
Tutte queste sono
testimonianze di una duplice realtà di cui anche Hofmann è conferma: da un lato la cultura artistica tedesca è fortemente interrelata
a quella di altre aree, dall’altro lato la presa del potere da parte del
nazismo e la Seconda guerra mondiale creano uno shock terribile sulla vita
delle persone, sconvolgendo i loro destini e obbligandole – per ragioni a volte
opposte e certo eticamente molto differenti – ad abbandonare la Germania.
Hofmann e i primi tentativi di scrivere un
trattato d’arte tra Francia e Germania
Hofmann è uno dei casi
più evidenti di questa realtà multiculturale. Di tutti gli artisti già citati,
egli è il più anziano (è nato nel 1880). È anche forse l’artista che ha avuto
una formazione artistica più variegata. Diviene pittore a diciotto anni, nella
Monaco della Secessione che sta scoprendo una propria vena impressionista. Dopo
qualche anno gli impressionisti tedeschi – si pensi a Lovis Corinth (1858-1925) e Max Slevogt (1868-1932) si
trasferiscono a Berlino e Monaco perde il ruolo di capitale pittorica della Germania
imperiale. Hofmann, a sua volta, si sposta per un decennio a Parigi, dal 1904
al 1914 e diviene parte di quella vasta
e variegata area attorno al Café du Dôme di Montparnasse che è spesso definita come École de Paris. In Francia conosce Matisse, è grande amico di
Delaunay, ma è soprattutto legato ai cubisti (una sua mostra d’arte cubista è
organizzata da Paul Cassirer a Berlino nel 1910, dove appare in realtà come
espressione d’arte parigina).
Rimasto bloccato in
Germania durante una vacanza nell’estate del 1914 a causa dell’improvviso
scoppio della Prima guerra mondiale, Hofmann è arruolato nell’esercito, ma per
sua fortuna subito giudicato inabile. A partire dal 1915 apre una scuola d’arte
a Monaco di Baviera, la Hans Hofmann Schule für Bildende Kunst, che viene creata in collaborazione con le
autorità locali con la finalità di curare con la pittura i soldati colpiti da
shock traumatici postbellici. È comunque interessante come, insegnando ai
reduci dal fronte, egli propaghi in realtà l’estetica e lo stile del ‘nemico’
francese. La scuola si orienta, infatti, ai principi artistici parigini (presso
di lui gli allievi studiano cubismo, fauvismo, orfismo) e molto meno a quegli
espressionisti tedeschi che, all’inizio della guerra, erano divenuti punti di
riferimento al fine di sostenere un’idea di arte moderna nazionale superiore a
quella francese. Nel 1915 Hofmann inizia a lavorare anche a Form und Farbe in der Gestaltung: Ein
Lehrbuch für den Kunstunterricht (Forma e colore nella composizione: un
libro di testo per la lezione d’arte), il primo dei suoi progetti di trattato
artistico che non vedranno mai la luce.
Pur non unendosi mai agli
espressionisti monacensi, l’artista è tuttavia caro amico di Gabriele Münter (1877-1962),
la compagna di Kandinskij, che gli affida segretamente in custodia tutte le
tele tedesche del pittore russo, costretto a lasciare la Germania e a emigrare
in Svizzera in gran fretta perché russo, e dunque nemico. Dobbiamo dunque alla
generosità e all’apertura mentale di Hofmann se le opere del periodo tedesco di
Kandinskij sono giunte a noi intatte. Al contrario, all’inizio della grande
guerra, tutta la sua produzione pittorica cubista rimasta a Parigi viene
distrutta: nella capitale francese il mondo dell’arte è espurgato da ogni
presenza ‘nemica’ e le botteghe dei pittori tedeschi vengono devastate.
Nel novembre 1918 Hofmann
si schiera per un breve periodo a favore della causa socialista: a cavallo tra
1918 e 1919, durante la breve esperienza della Repubblica Sovietica Bavarese, è
infatti nominato presidente dell’Accademia delle Belle Arti di Monaco. Si
tratta di una parentesi: per il resto della sua vita Hofmann è sostanzialmente
un artista e un insegnante apolitico. Chiusa la parentesi rivoluzionaria,
l’insegnamento nella scuola di Monaco assorbe Hofmann in modo tale da fargli
dimenticare completamente persino la pratica della pittura tra 1920 e 1935. Per
appoggiare l’attività didattica comincia a scrivere dispense che circolano tra
gli studenti in forma dattiloscritta. Il suo obiettivo è comunque quello di
completare Form und Farbe facendone
un vero e proprio manuale per l’insegnamento della pittura astratta.
Il tentativo di scrivere un trattato per gli
studenti americani
La Repubblica di Weimar è
in una situazione di grande fragilità economica e sociale. Hofmann intuisce
molto presto che la scuola monacense non ha futuro se l’unico pubblico a cui si
indirizza rimane quello tedesco ed europeo. Per fortuna, le opportunità non
mancano: vi è, infatti, un nuovo interesse in America per l’arte europea,
soprattutto tra i giovani artisti statunitensi che hanno combattuto come
soldati in Europa e hanno utilizzato quell’esperienza anche per conoscerne
l’arte contemporanea. Non tutti questi giovani entusiasti hanno modo di
insediarsi come studenti a Parigi, già sovraffollata di pittori americani e
comunque molto costosa per chi non proviene da famiglie benestanti. Hofmann
inizia allora a cercare di attrarre l’attenzione degli studenti d’oltre oceano,
che non solo ospita a Monaco, ma che, d’estate, accompagna anche attraverso
l’Europa in luoghi di villeggiatura (nelle Alpi bavaresi tra 1919 e 1923, a
Dubrovnik nel 1924, a Capri tra 1925 e 1927, a Saint Tropez nel 1928 e nel
1929). Gli stessi studenti americani fanno presto carriera nel mondo
dell’università e gli creano una rete di contatti negli Stati Uniti: su
richiesta del professor Worth Ryder (1884-1960), anch’egli suo ex studente,
Hofmann tiene fortunatissime lezioni a Berkeley nell’estate del 1930 e 1931 e
diviene uno degli ispiratori del nuovo modo di pensare l’arte moderna in
California. Nel 1931 è pronta una nuova versione manoscritta tedesca completa di
Form und Farbe, che tuttavia viene
respinta dall’editore Piper di Berlino. Glenn Wessels (1895-1982), pittore e
critico d’arte sudafricano che ha studiato presso Hofmann a Monaco e divenne poi professore a Berkeley, traduce in inglese il manoscritto tedesco,
intitolandolo Creation in Form and Color:
A Textbook for Instruction in Art [7]. Anche il tentativo di trovare un
editore americano, tuttavia, fallisce.
In Germania comincia a
montare la pressione nazista, molto forte a Monaco, dove Hofmann risiede. Hitler
ha notoriamente un’avversione radicale e insanabile verso l’arte moderna e la
condanna definitiva e inappellabile di ogni forma non tradizionale d’arte
diviene parte integrante dell’ideologia nazista (si pensi allo scritto di
propaganda di Paul Schultze-Naumburg, già recensito in questo blog). Invece, in
California la popolarità di Hofmann cresce, al punto che alcuni brani delle
bozze del libro di testo nella versione americana di Wessels cominciano ad
apparire sulle riviste specializzate americane e divengono centrali
nell’insegnamento dell’arte a Berkeley. Fra essi vanno ricordati gli articoli On the Aims of Art e Plastic creation del 1932. Quelle pagine
entusiasmano i giovani artisti che diverranno i capostipiti dell’espressionismo
astratto, al punto che c’è chi dice che Berkeley diviene – di fatto – la
succursale californiana della scuola monacense. Il successo porta infine
Hofmann a New York, dove l’artista apre la sede americana della sua scuola, nel 1933: la Hans
Hofmann School of Fine Arts. In realtà la coesistenza tra New York e Monaco
dura assai poco: i nazisti, arrivati al potere nello stesso anno, chiudono la
prima scuola di Hofmann nella capitale bavarese nel 1934. Ormai il destino
dell’artista è in gran parte in America, anche se egli viaggia di frequente in
Germania e la moglie rimane a Monaco fino al 1938. La scuola di New York e la
succursale nella residenza balneare di Provincetown, aperta nel 1935, accolgono
un numero elevatissimo di giovani artisti statunitensi di successo. Nel 1941,
poco prima che gli Stati Uniti entrino in guerra con la Germania nazista,
Hofmann riesce ad assumere la cittadinanza americana a sessantuno anni.
Hofmann come punto di riferimento europeo degli
espressionisti astratti americani
Nel 1948 Hofmann riprende ancora una volta il progetto che aveva avviato nel 1915 e continuato nel 1931. Ne risulta un nuovo testo (sempre in tedesco), intitolato Das Malerbuch: Form und Farbe in der Gestaltung (Il Libro dell’artista. Forma e colore nella creazione). Anche quest’edizione tedesca come la traduzione inglese, condotta ancora una volta da una sua studente, Georgina M. Huck (1883-1963) e intitolata The Painter's Primer: Form and Color in the Creative Process, non trova editori disposti a pubblicarla.
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Fig. 2) Il frontespizio della raccolta di saggi Search for the Real del 1948. |
Tuttavia, nel 1948, una
collezione di scritti di Hoffmann comincia finalmente a circolare in forma
stampata, sia pure in una ristretta cerchia, con la raccolta Search for the Real and
Other Essays, pubblicata dalla Addison
Gallery of American Art, curata dal suo direttore Bartlett H. Hayes Jr
(1904-1988) e dalla giovane Sara Thompson Weeks (1926-2016). Si tratta di una raccolta di testi brevi,
anch’essi tutti originariamente in tedesco: il primo saggio dà titolo
all’intera opera, un secondo articolo si concentra sulla scultura, un terzo su
pittura e cultura. Vengono, inoltre, di nuovo riproposti gli articoli On the Aims of Art e Plastic
creation del 1932. La
pubblicazione è legata a una mostra tenutasi ad Andover, una cittadina nelle
vicinanze di Boston, certamente
ancora ai margini della cultura americana. Il testo diviene molto presto una
rarità editoriale.
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Fig. 3) Il saggio di Clement Greenberg su Hans Hofmann del 1961, pubblicato da Georges Fall |
Interviste, testimonianze
e brevi articoli di Hoffmann appaiono regolarmente sui media americani nel
corso di tutti gli anni Cinquanta. Nel frattempo il pittore – che in una lunga
fase della sua vita è stato soprattutto insegnante – ritorna sempre più alla
sua passione d’artista, incontrando un successo crescente, anche grazie
all’appassionato supporto del critico d’arte Clement Greenberg (1909-1994),
un altro dei suoi ex-studenti. Sono dedicate a Hofmann numerose mostre personali
alla Kootz Gallery of New York, dove vengono sostenuti tutti gli espressionisti
astratti. Il pittore contribuisce ai cataloghi con numerosi testi introduttivi
che divengono il mezzo di diffusione principale del suo pensiero. In parallelo egli si attiva di nuovo, nel 1952, per poter rivedere e
pubblicare il suo trattato.
Il successo mondiale negli anni Sessanta
Nella prima metà degli
anni Sessanta vi sono ulteriori passaggi che portano l'artista a godere di una
notorietà globale. Gli eventi hanno origine negli Stati Uniti e si diffondono in
tutto il mondo, coinvolgendo nel nostro paese in particolare Torino.
Come già detto, a New
York si svolge nel 1963 una famosa retrospettiva al Museum of Modern Art
(MoMa), curata dallo storico dell’arte William C. Seitz (1914-1974). Per
preparare quella mostra, originariamente dedicata a Hofmann e ai suoi allievi,
Seitz lavora sia sugli archivi del pittore sia sulle testimonianze degli
studenti che hanno frequentato la sua scuola e ne ricava un testo
dattiloscritto di 117 pagine. Poi modifica, anche su pressione di Hofmann,
l’oggetto della mostra, calibrandolo sulla pittura dell’artista in rapporto al
suo pensiero estetico. Produce dunque il catalogo della mostra, che è centrato
sulla Filosofia della pittura di Hofmann. I pilastri di tale filosofia
sono:
“NaturePerception: reality, appearance, effect, empathyThe artistCreationThe mediumThe picture planePictorial elementsPush and pullMovementColorRelationsArt and metaphysical reality.”
In preparazione di
quell’evento e per aiutare Seitz, Hofmann riprende i tentativi di
sistematizzare le proprie idee sull’arte in forma di manuale e produce un nuovo
dattiloscritto (questa volta direttamente in inglese), intitolato The Painter and His
Problems-A Manual Dedicated to Painting [8]. Si tratta di un testo molto più corto di tutti i precedenti, una vera
versione abbreviata. Anche questa versione - l’ultimo tentativo di produrre il
trattato che aveva già concepito nel 1915 - rimase inedita.
La mostra al MoMa
(dall’11 settembre al 28 novembre 1963)
viene riproposta in tutto il mondo nel corso dei due anni successivi, toccando New
Orleans, Buffalo, Berkeley, Washington, Buenos Aires, Caracas, Amsterdam, Torino,
Stoccarda, Amburgo.
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Fig. 4) Il saggio su Hans Hofmann di Sam Hunter,
pubblicato a New York dall’editore Abrams nel 1963 |
Sempre nel 1963 lo
studioso americano Sam Hunter (1923-2014) pubblica per l’editore Harry Abrams
di New York un volume che, oltre a un ricchissimo apparato iconografico,
ripropone cinque saggi di Hofmann:
-
La
creazione plastica (il già citato
articolo del 1932);
-
La ricerca
del reale nelle arti visive (da Search
for the Real and Other Essays del 1948);
-
La
rinascita delle arti plastiche
(da un catalogo di una mostra tenutasi alla Kootz Gallery del 1954);
-
Il
problema del colore nella pittura pura e la sua origine creativa (da un catalogo di un’ulteriore mostra alla Kootz
Gallery del 1955);
-
La
scultura (da Search for the
Real and Other Essays del 1948).
Si è fatto riferimento a
Torino, che è in quegli anni è una città particolarmente aperta all’arte
moderna, e, in particolare, all’informale. Di Hofmann si parla molto in Italia
fin dalla sua mostra alla Biennale di Venezia del 1960. Nel maggio-giugno 1963
la città sabauda ospita una mostra su Hofmann promossa dall’ICAR, ovvero l’International Center of Aesthetic Research,
animato da personalità come il critico d’arte francese Michel Tapié (1909-1987)
che è stato l’inventore del concetto di ‘arte informale’. L’ICAR di Torino ha
relazioni privilegiate con Parigi, New York e Osaka.
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Fig. 5) L’edizione italiana del saggio di Sam
Hunter, pubblicata dalle Edizioni d’Arte Fratelli Pozzo a Torino nel 1964 |
L’anno seguente vede la
luce a Torino l’edizione italiana del già citato volume di Sam Hunter a cura
delle “Edizioni d’arte Fratelli Pozzo”, in una collana diretta da Ezio
Gribaudo, uno degli animatori dell’International
Center. Rispetto all’originale è arricchita da un testo (in francese) del
già citato Tapié, che vede in Hofmann uno degli ispiratori americani
dell’informale europeo. Il saggio di Hunter è riprodotto in inglese. I testi di
Hofmann compaiono invece in italiano.
Infine, nel 1965, giunge
a Torino la mostra su Hofmann del MoMa di New York. Il catalogo torinese è –
come nel caso dell’originale newyorkese – a cura di William C. Seitz. La mostra
è ospitata dalla Galleria civica d'arte moderna e contemporanea della città
sabauda (l’attuale GAM), dove opera come direttore Vittorio Viale (1891-1977).
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Fig. 6) Il catalogo della mostra su Hans Hofmann, tenutasi alla Galleria civica d’arte moderna a Torino nel 1965
L’anno seguente Hans
Hofmann muore. Nel 1967 viene ripubblicata negli Stati Uniti la raccolta Search for the Real and Other Essays,
non più per iniziativa di una piccola galleria privata (come nel 1948) ma a
cura del prestigiosissimo MIT [9] (l’opera è stata di nuovo pubblicata nel 2013
da diverso editore [10]).
La fortuna postuma del pensiero di Hofmann
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Fig. 7) La raccolta di scritti di Hans Hofmann Search for the Real, nell'edizione MIT del 1967 e nella ristampa Literary Licensing del 2013 |
Si è già detto che il
trattato su cui tanto Hofmann ha lavorato non uscì mai, neppure postumo.
Tuttavia gli scritti editi da Hofmann in vita continuarono a essere oggetto
degli studiosi di letteratura artistica americana anche negli anni successivi.
Quando nel 1968 Herschel B. Chipp pubblicò la sua
famosa antologia di letteratura artistica contemporanea, non esitò ad assegnare a Search for the Real and
other Essays un ruolo fondamentale nella trasmissione della cultura dell’arte astratta
dall’Europa agli Stati Uniti. Nel 1973 il critico d’arte americano Irving
Sandler (1925-2018) dedicò un articolo alle teorie di Hofmann partendo dallo
spoglio dei suoi archivi [11]. Dore Ashton, nella sua antologia
‘antagonista’ a quella di Chipp del 1985, non tralasciò certo Hofmann e citò l’intervista
realizzata dalla storica dell’arte e curatrice Katherine Kuh (1904–1994) e
pubblicata nella raccolta The artist’s voice nel
1960: nonostante la Ashton tendesse ad assegnare molta meno importanza di Chipp
allo studio dell’estetica, anche il passo nella sua antologia testimoniava come
Hofmann avesse portato negli Stati Uniti la teoria tedesca tardo-ottocentesca della
visibilità assoluta. Più
recentemente, Michael Schreyach ha offerto nuovi contributi allo studio
dell’estetica di Hofmann [12].
Stupisce infine che –
mentre esiste dal 1964 una traduzione italiana di una parte degli scritti
dell’artista – non vi sia una collezione di testi pubblicati in tedesco, ovvero
nella lingua in cui quasi tutta la produzione fu concepita. Come artista
Hofmann espose a Documenta nel 1959, e certamente vi furono molte
sue mostre in Germania che lo riproposero come pittore [13]. Il suo ruolo
come insegnante e teorico d’arte, invece, pare essere stato dimenticato proprio
nella patria di origine.
Perché il trattato non vide mai la luce?
Dopo aver letto le molte
bozze di trattato disponibili sul sito degli Archives of American Art mi sono chiesto quali siano le ragioni
della loro fallita pubblicazione, a fronte del successo dell’esperienza
didattica di Hofmann.
Come vedremo nelle tre
parti seguenti in cui si struttura questo saggio, vi sono certamente ragioni
linguistiche e culturali. Un problema deve essere stata la complessità. Hofmann
ha infatti costruito una teoria d’impianto concettualmente tedesco sulla realtà
degli oggetti e sulla loro rappresentazione sul piano pittorico, ma non è mai
riuscito a trarre da essa conclusioni sufficientemente semplici che potessero
riassumere il suo pensiero in un mondo come quello americano, che chiedeva
invece immediatezza e chiarezza concettuale. Inoltre, l’impianto metafisico del
pensiero di Hofmann – tipico della trattazione estetica in Europa – mal si
concilia con la cultura americana, dove prevalgono altre discipline delle
scienze umane, come la sociologia e la psicologia.
Vi è comunque, a mio parere, una ragione più profonda. Si è già visto come, sin dalla fondazione della scuola monacense, Hofmann cerchi di scrivere un testo che offra una lettura combinata di forma e colore (Form und Farbe). Ebbene, quella sintesi non riesce mai completamente, al punto che i testi scritti rimangono incompleti. Insomma, se Hofmann è un grande insegnante, non è mai soddisfatto fino in fondo del proprio pensiero e in particolare non riesce nella sintesi cui mirava. Nelle bozze delle versioni del 1931 e del 1948 Hofmann descrive con acribia i problemi della forma, ma non giunge mai a trattare il colore. Nel tentativo del 1952 sposta l’obiettivo dei suoi scritti sulla discussione del colore, che finisce per accrescere a dismisura. Sarà Seitz, nel suo compendio del 1963, a tentare una lettura unitaria, non senza notare che la discussione di forma e colore in Hofmann crea due sistemi di pensiero paralleli.
Fine della Parte Prima
Vai alla Parte Seconda
NOTE
[1] Scritti di Hofmann sono presentati
in numerosi cataloghi o pubblicazioni. Si veda, ad esempio: Morris, Catherine;
Sandler, Irving; Rush, Michael - Hans
Hofmann: Circa 1950, Catalogo della mostra al The Rose Art Museum, Waltham,
Massachusetts, US, 2010, 144 pagine; Rogala, Dawn V. - Hans Hofmann: The Artist's Materials, Getty Publications, Los
Angeles, 2016, 150 pagine; Barnes, Lucinda; Landau, Ellen G.; Schreyach,
Michael - Hans Hofmann: The Nature of
Abstraction, Catalogo della mostra allla University of California, Berkeley
Art Museum and Pacific Film Archive, 2019, 184 pagine.
[2] Si vedano i testi pubblicati da
The New School a New York: http://timothyquigley.net/vcs/hofmann-writings.pdf
[3] Sandler, Irving – From the
Archives: Hans Hofmann: The Pedagogical Master, in Art in America, Maggio/Giugno
1973. Si veda:
https://www.artnews.com/art-in-america/features/archives-hans-hofmann-pedagogical-master-63547/
[4] Seitz, William - Hofmann Students Dossier,
MoMa, 1963. Si tratta di Robert
Beauchamp, Nell Blaine, Cameron Booth, Fritz Bultman, Nicolas Carone, Giorgio
Cavallon, Perle Fine, Jean Follett, Miles Forst, Mary Frank, Helen
Frankenthaler, William Freed, Jane Freilicher, Paul Georges, Michael Goldberg,
Robert Goodnough, John Grillo, John Haley, Paul Harris, Julius Hatofsky,
Dorothy Heller, Carl Holty, Alfred Jensen, Wolf Kahn, Allan Kaprow, Karl
Kasten, Albert Kotin, Lee Krasner, Linda Lindeberg, Michael Loew, Ede Loran,
Mercedes Matter, George McNeil, Jan Müller, Louise Nevelson, Robert De Niro,
George Ortman, Stephen Pace, Felix Pasilis, Robert Richenburg, Larry Rivers,
Ludwig Sander, Richard Stankiewicz, Joseph Stefanelli, Myron Stout, Albert
Swinden, Anne Tabachnick, Vaclav Vytlacil, Glenn Wessels e Wilfred Zogbaum.
[5] Seitz, William Chapin - Hans Hofmann with selected
writings by the artist, Catalogo della mostra al Museum of Modern Art, New York,
1963, 84 pagine. Citazione a p.8.
[6] Citazione da: https://bampfa.org/program/push-and-pull-hans-hofmann
[7] Si veda http://www.hanshofmann.org/writings-by-the-artist
[9] Hofmann, Hans - Search for the
Real and Other Essays, A cura di Sara T. Weeks e Bartlett H. Hayes, Jr., Cambridge,
Mass., M.I.T. Press, 1967, 96 pagine.
[10] Hofmann, Hans - Search For The
Real, And Other Essays, A cura di Sara T. Weeks e Bartlett H. Hayes, Jr., Whitefish,
MT, Literary Licensing, LLC, 2013, 92 pagine.
[11] Sandler, Irving – From the
Archives: Hans Hofmann (citato). Sullo stesso tema si veda anche la tesi “Hans
Hofmann: Master Teacher of Painting” con cui Diane S. Newbury si è laureata
alla Loyola University Chicago nel 1979
(https://ecommons.luc.edu/cgi/viewcontent.cgi?referer=https://www.google.com/&httpsredir=1&article=2914&context=luc_diss)
[12] Schreyach, Michael -Re-created
Flatness: Hans Hofmann’s Concept of the Picture Plane as a Medium of
Expression, Trinity University, 2015. Si veda:
https://digitalcommons.trinity.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=1013&context=art_faculty
[13] Si veda, ad esempio: Friedel,
Helmut; Dickey, Tina; Hills, Huidson - Hans
Hofmann: Wunder Des Rhythmus und Schönheit Des Raumes, Catalogo della
mostra alla Städtische Galerie im Lenbachhaus a Monaco e alla Schirn-Kunsthalle
di Francoforte, 1997, 117 pagine.
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