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giovedì 25 giugno 2020

Leonardo in Britain Collections and Historical Reception. A cura di Juliana Barone e Susanna Avery-Quash. Parte Prima

English Version

Leonardo in Britain
Collections and Historical Reception
Atti del Convegno Internazionale
Londra, 25-27 May 2016
A cura di Juliana Barone e Susanna Avery-Quash

Firenze, Leo S. Olschki, 2019

Recensione di Giovanni Mazzaferro. Parte Prima


L’editore Olschki ha, di recente, pubblicato (in inglese) gli atti del convegno internazionale Leonardo in Britain. Collections and Historical Receptions tenutosi a Londra fra il 25 e il 27 maggio 2016. I diciannove saggi presentati nell’opera hanno tutti a che fare con il tema del recepimento della figura di Leonardo in Inghilterra in un arco temporale che va, grosso modo, dal XVII al XIX secolo. Qui di seguito ne fornisco l’indice (la recensione presenterà commenti a gran parte dei contributi della prima e seconda parte del volume):

Part I
Drawings and Paintings: British Collectors and Collections

  • Martin Calyton: The Windsor Leonardos, 1519- 2019;
  • Jacqueline Thalmann: Leonardo in the Collection of General John Guise (1682-1765);
  • Sarah Vowles e Hugo Chapman: Leonardo Drawings in Bloomsbury and Beyond;
  • Carmen C. Bambach: Leonardo’s St. Anne Types and the Dating of the National Gallery Cartoon;
  • Caroline Campbell e Larry Keith: Towards a Biography of the National Gallery’s Virgin of the Rocks;
  • Pietro C. Marani: Update on and Insights into the Royal Academy Copy of The Last Supper and its Reception in England in the First Half of the Nineteenth Century;
  • Margaret Dalivalle: The Critical Fortuna of Leonardo in Seventeenth-Century England;
  • Susanna Avery-Quash e Silvia Davoli: The National Gallery Searching for Leonardo: Acquisitions and Contributions to Knowledge about the Lombard School.

Part II
Around the Treatise on Painting: Art and Science

  • J.V. Field: Leonardo’s Afterlife in the World of ‘New Philosophy’;
  • Domenico Laurenza: Leonardo’s Science in Seventeenth- and Eighteenth-Century England: The Codex Leicester, the Codex Arundel and the Codex Huygens;
  • Harry Mount: Leonardo’s Treatise of Painting: The First English Edition and the Manuscripts Owned by Patch, Smith and Johnson;
  • Juliana Barone: Leonardo's Treatise on Painting: The First English Edition and the Manuscripts Owned by Patch, Smith and Johnson
  • Janis Bell: Rigaud’s Popular Translation of Leonardo’s Treatise on Painting (1802);
  • Charles Saumarez Smith: Attitudes to Leonardo at the Royal Academy of Arts, 1768-1830;
  • Francesco Galluzzi: Alexander Cozens and Leonardo da Vinci: ‘Blot’ and Landscape Painting between the Eighteenth and Nineteenth Century.

Part III
Re-Reading Leonardo

  • Lene Østermark-Johansen: ‘The Power of an Intimate Presence’: Walter Pater’s Leonardo Essay (1869) and its Influence at the fin de siècle;
  • Claire Farago: Re-reading Richter and MacCurdy: Lessons in Translation;
  • Francesca Fiorani: Kenneth Clark and Leonardo: From Connoisseurshio to Broadcasting to Digital Technologies;
  • Alessandro Nova: John Shearman’s Leonardo.


I tanti ruoli di Leonardo

In realtà, come del resto ci è capitato di vedere parlando delle diverse ricadute europee del Trattato della pittura, non è corretto parlare del ‘ruolo’ di Leonardo in Gran Bretagna, ma bisogna invece analizzare ‘i ruoli’ dell’artista nella vita culturale inglese nel corso di tre secoli. Una cosa che possiamo notare subito, ad esempio, è che mentre in Francia, con la pubblicazione del Trattato della pittura in duplice versione, italiana e francese, nel 1651, Leonardo divenne l’ideale trait d’union fra il classicismo italiano e quello francese, colui che aveva il passato il testimone fra i due paesi, l’anticipatore di Poussin, l’oggetto di studio e di polemiche feroci nell’ambito dell’Accademia di pittura e scultura di Parigi, tutto questo, a Londra, (dove, peraltro, la Royal Academy fu fondata solo nel 1768) non successe. In Inghilterra, ad essere più noto (o, comunque, tenuto in maggiore considerazione) fu lo scienziato, l’anticipatore dell’empirismo e della nuova filosofia scientifica inglese, il precursore di Bacon (1561-1626) e di Newton (1642-1726). A fine Seicento Robert Hooke (1635-1703), figura chiave della rivoluzione scientifica inglese, fu, ad esempio, soprannominato il ‘London’s Leonardo’ o l’‘England’s Leonardo’; non vi è alcun artista inglese, al contrario, che fu accostato a Leonardo come suo erede o per averne sviluppato e aggiornato la poetica.

Un approccio al Leonardo inglese non può che procedere dall’esame del collezionismo delle sue opere, dai quadri ai disegni ai manoscritti; dalla ricerca archivistica di come si formarono le raccolte e, naturalmente, dalle figure dei collezionisti, degli intellettuali e dei mercanti e dalle loro reti sociali. E in quest’analisi non ci si può limitare a considerare solamente quali fossero i documenti (diretti o indiretti, pittorici o manoscritti) in mano ai collezionisti, ma anche quali fossero ritenuti di Leonardo, mentre in realtà non lo erano. Si tratta, insomma - scrive Martin Kemp nella sua prefazione – di capire perché gli fossero attribuite opere che non erano soltanto della cerchia dei suoi allievi più vicini, ma anche altre che oggi non verrebbero mai associate al nome del vinciano; di tornare indietro, insomma, di qualche secolo, di capire che all’epoca gli esempi figurativi dell’arte di Leonardo erano estremamente rari e che invece scattavano meccanismi che portavano ad associargli disegni sulla semplice base di informazioni raccolte dalle fonti o di riproduzioni di suoi disegni operate da terzi. Sotto questo punto di vista, ad esempio, è il caso di sottolineare il ruolo dell’incisore boemo Wenceslaus Hollar (1607-1677) che in più riprese riprodusse ritratti grotteschi di Leonardo presenti nella collezione di disegni del conte di Arundel. Quasi per osmosi, da quel momento in poi, molte caricature grottesche rintracciabili in Inghilterra furono attribuite a Leonardo, di cui furono quindi particolarmente noti gli interessi nel campo della fisiognomica. Ma lo stesso Hollar, nel 1646, incise anche esempi di teste dai lineamenti particolarmente fini, sempre assegnandole all’artista toscano. È il caso di un Ritratto di ragazzo oggi attribuito a Benvenuto Garofalo: “nel momento in cui apparve nella vendita del Reverendo Dr. Henry Wellesley, nel 1866, il modello aveva acquisito anche un’identità importante, quella di ‘Giovanni Galeazzo, Duca di Milano’. Ciò mostra il persistere di una tendenza già molto precoce a mettere in connessione l’opera di Leonardo con studi di teste sia di grande bellezza sia estremamente brutte” (Vowles, Chapman, 55).

 
Collezionismo e disegni

I nomi associati al collezionismo delle opere di Leonardo, specie nel XVII secolo, non sono tantissimi. Fra i primissimi ricordiamo Charles I Stuart (1600-1649), la cui famosissima raccolta fu dispersa anni dopo la sua decapitazione, avvenuta nel 1649; Thomas Howard (1585-1646), il secondo conte di Arundel (1585-1646) e George Villiers, primo duca di Buckingham (1592-1628). Nel suo interessantissimo saggio, Margaret Dalivalle sottolinea che tutti costoro si basavano su una rete diplomatica, di eruditi e agenti internazionali tramite i quali arricchire le proprie raccolte. Le notizie su Leonardo disponibili in Inghilterra alla fine del Cinquecento erano quelle ricavabili da entrambe le edizioni delle Vite di Vasari (che, però, erano in italiano e la cui presenza doveva essere molto ridotta) e, soprattutto, tramite la traduzione inglese del Trattato della pittura di Giovanni Paolo Lomazzo operata da Richard Haydocke nel 1598 (quattordici anni dopo la pubblicazione della princeps italiana). L’autrice ipotizza che il grande interesse di Arundel per la grafica e i manoscritti di Leonardo sia stata stimolata dalla consapevolezza della dispersione dei medesimi narrata appunto da Lomazzo. La sua collezione fu il frutto della tenace ricerca delle testimonianze leonardesche condotte direttamente o indirettamente fra Italia e Spagna, soprattutto in cerca degli album di proprietà di Pompeo Leoni, fra 1620 e 1646. Dalivalle invita, però, a non sottovalutare il ruolo di Charles, principe di Wales, e di George Villiers, primo Duca di Buckingham, che furono, a quanto sembra, i primi ad avere un approccio diretto con carte di Leonardo nel corso del loro viaggio madrileno del 1623. Da non sottovalutare, poi, l’importanza della presenza, nella spedizione, di Sir Balthazar Gerbier (1592-1663) nel ruolo di diplomatico, ma anche di consigliere del Duca di Buckhingam in materia di cose artistiche. È Carducho, nei suoi Diálogos de la pintura, a ricordare il tentativo fallito del Principe di Galles di acquistare due libri manoscritti in possesso di Juan de Espina y Velasco. Buckingham, da parte sua, godeva di prestigio assai maggiore presso re Carlo rispetto a Lord Arundel; sappiamo dal resoconto del viaggio in Francia di Cassiano dal Pozzo che il Duca aveva cercato di comprare la Gioconda nel corso di una sua permanenza a Fointainebleau nel 1625, probabilmente tramite il preventivo consiglio di Gerbier, come pure ci è noto che Buckingham riuscì, alla fine, a comprarne una copia. Al momento del suo assassinio, il Duca possedeva sicuramente la suddetta copia, e altri due dipinti attribuiti a Leonardo.

I nuclei di disegni di Leonardo oggi presenti in istituzioni pubbliche inglesi sono tre: il primo si trova alla Royal Collection a Windsor; il secondo alla Christ Church di Oxford e il terzo al British Museum. Martin Clayton, Jacqueline Thalmann e Sarah Vowles con Hugo Chapman ne ricostruiscono le origini e le vicende storiche.

La raccolta della Royal Collection (555 fogli autografi di argomento fondamentalmente ‘artistico’ più una sessantina di copie e di opere degli allievi) è di gran lunga la più numerosa e ha la caratteristica di provenire, in gran parte, da un gruppo di disegni rimasti insieme sin dal 1519, ovvero sin dalla morte di Leonardo e dal passaggio dei fogli nelle mani di Francesco Melzi. Da Melzi i fogli finirono a Pompeo Leoni. Leoni, che visse fra Italia e Spagna, fu proprietario di due album di disegni leonardeschi: uno è il codice Atlantico (oggi alla Biblioteca Ambrosiana) e l’altro il cosiddetto “Album Leoni”, che è quello che si trova a Windsor. Clayton formula varie ipotesi sull’arrivo dell’album in Inghilterra, sicuramente entro il 1629, quando è in possesso di Lord Arundel, ma assai probabilmente entro 1625 o 1626. Il problema è, fondamentalmente, quello di capire se l’album giunse direttamente ad Arundel o se vi siano stati dei passaggi intermedi che avrebbero potuto coinvolgere il principe del Galles e/o il Duca di Buckhingham. Va peraltro ricordato che l’Album Leoni non va confuso coi due codici in possesso di Juan de Espina di cui si parlava prima, che oggi sono ancora conservati a Madrid. Entro il 1690 l’album passò nelle mani della Corona inglese e, tuttavia, andò incontro a un settantennio di sostanziale oblio, fino a una graduale riscoperta nella seconda metà del Settecento, alla pubblicazione di una parte dei disegni (a opera di Francesco Bartolozzi e altri fra 1795 e 1811), al primo inventario complessivo risalente all’inizio dell’Ottocento e così via.

Il nucleo dei disegni alla Christ Church è in realtà assai contenuto, ed è il frutto dell’attività collezionistica del Generale John Guise (1682-1765). L’aspetto più interessante, tuttavia, è che quando, per disposizione testamentaria, giunse a Oxford, i fogli attribuiti a Leonardo erano una quarantina, mentre attualmente sono solo sette. Guise aveva studiato alla Christ Church e qui aveva conosciuto e frequentato Henry Aldrich (1648-1710), a sua volta collezionista; fu probabilmente tramite Aldrich che venne a contatto con alcune stampe tratte da opere dell’artista toscano e con le edizioni a stampa del Trattato della Pittura del 1651. Il caso del generale inglese si dimostra perfetto per cercare di comprendere quali fossero i meccanismi in base ai quali gli amatori giungevano ad attribuzioni a Leonardo, nella sostanziale assenza (o estrema rarità) di originali osservabili direttamente. Un ritratto di giovane uomo oggi assegnato al Sodoma riporta innanzi tutto la dicitura “Di Leonardo da Vinci. Ritratto di Raffael di Urbino”. Fermo restando che non è chiaro quando tali scritte furono inserite (e probabilmente lo furono in occasioni differenti) è evidente che il disegno ebbe per il collezionista, un potere evocativo perché presunta prova storica dell’incontro (e del passaggio di testimone) fra il vinciano e l’urbinate. 

Sodoma, Ritratto di ragazzo, Christ Church, Oxford, JBS 313
Fonte: https://www.pinterest.it/pin/496944140112969411/


Allo stesso modo, un ritratto di nobile veneziano oggi attribuito a Giovanni Bellini era ritenuto l’effigie di Ludovico Sforza. Un altro dei quaranta fogli giunti alla collezione della Christ Church riproduceva un torso di una scultura romana e conteneva la descrizione “Cavato in casa di ciampolino 1513 in Roma”. Assegnato com’era a Leonardo, testimoniava la sua presenza nella Città eterna e lo studio dell’antico. Guise, insomma, riteneva di possedere disegni particolarmente evocativi di particolari momenti storici, e per questo li aveva acquistati (probabilmente prima del 1720), facendo particolarmente conto, più che su aspetti stilistici che non poteva conoscere, sulle testimonianze scritte riportate sui fogli facendole combaciare con le fonti a stampa. In realtà, quello che oggi è considerato l’esemplare più importante conservato alla Christ Church è il cartone che rappresenta il Busto grottesco di un uomo, che Bernard Berenson, facendo leva su Vasari, pensò essere Scaramuccia, re dei gitani, ma che sicuramente entrò nella collezione di Guise perché rientrava perfettamente nella ben nota tradizione degli studi fisiognomici vinciani. Da ricordare che una metà circa dei quaranta fogli che costituivano la collezione Guise provenivano dalla raccolta di Carlo Ridolfi (1594-1658), autore delle Meraviglie dell’arte (1648), forse giunte in Inghilterra (è l’ipotesi di Thalmann) tramite il maresciallo Schulenberg (1661-1747), a lungo vissuto a Venezia.

Leonardo, Testa grottesca, Christ Church, Oxford, JBS 19
Fonte: http://www.openculture.com/2017/09/leonardo-da-vincis-bizarre-caricatures-monster-drawings.html


La collezione del British Museum ha caratteristiche completamente diverse dalle prime due, perché non proviene da un nucleo originale o dallo sforzo collezionistico di un singolo, ma è il frutto di una serie di acquisizioni ‘estemporanee’ avvenute nel corso di Otto e Novecento. Impossibile seguirne qui le vicende. Vale però la pena ricordare alcuni aspetti. Il British era privo di disegni di Leonardo al momento della sua fondazione; solo nel 1824 ne ottenne alcuni in seguito al lascito ereditario di Richard Payne Knight (1751-1824). In quell’occasione entrarono in collezione diciotto disegni attribuiti a Leonardo, per la maggior parte studi di teste, che oggi, tranne due, sono assegnati ad altri nomi, compresa una dozzina di ritratti attribuiti ad anonimo olandese. La cosa solleva legittimi dubbi sulla reale competenza dei curatori del British all’epoca. Premesso che anche Passavant, nel 1831, visitando la raccolta del museo, assegnò al vinciano un disegno che non era suo, va ricordato, ancora una volta, che il numero delle opere originali accessibili anche agli esperti del settore era estremamente limitato; le raccolte di Windsor erano poco note, e semmai si poteva ricorrere alle incisioni secentesche di Hollar o a quelle di fine Settecento di Bartolozzi. Tutte le vicende del collezionismo del British si fondarono, poi, su una sorta di ‘peccato originale’. Nel 1830 morì, infatti, Sir Thomas Lawrence (1769-1830), all’epoca presidente della Royal Academy, e al British fu offerta l’intera collezione di disegni di antichi maestri del defunto. Il governo non diede l’assenso all’acquisto del materiale per 18mila sterline e i disegni, man mano, andarono dispersi. All’interno della collezione Lawrence vi erano anche diversi disegni di Leonardo. Nei decenni successivi il British, principalmente muovendosi nelle aste, riuscì a recuperarne qualcuno, appellandosi sempre al governo per stanziamenti ad hoc a parziale risarcimento del grave errore commesso con l’eredità Lawrence. Man mano, però, gli acquisti furono sempre più difficili, per via dell’impennata delle quotazioni delle prove grafiche leonardesche e a molto si dovette rinunciare quando i prezzi raggiunsero livelli non abbordabili per un’istituzione museale.

Leonardo, Testa di guerriero, Londra, British Museum
Fonte: https://www.britishmuseum.org/collection/image/225833001

 

La National Gallery

Leonardo, Vergine delle Rocce, Londra, National Gallery NG1093
Fonte: https://www.nationalgallery.org.uk/paintings/leonardo-da-vinci-the-virgin-of-the-rocks

La prima opera di Leonardo ad essere comprata dalla National Gallery fu, invece, la seconda versione della Vergine delle Rocce nel 1880. Il museo esisteva dal 1824, e, in precedenza, era entrato a far parte della sua collezione il Cristo fra i dottori di Bernardino Luini, ritenuto all’epoca di Leonardo. In The National Gallery Searching for Leonardo, Susanna Avery-Quash e Silvia Davoli ricordano che già nel 1854 Otto Mündler sosteneva che si trattasse indubitabilmente di un Luini. I ventiquattro anni che ci vollero perché fosse riconosciuto come tale nel catalogo del museo dimostrano anche quanto fosse grande il desiderio di possedere un’opera dell’artista vinciano (specie se si tiene conto della competizione con le altre istituzioni museali europee e, in particolare, con il Louvre). Parlare della politica museale della National Gallery nella seconda metà dell’Ottocento, vuol dire parlare innanzi tutto di Charles Lock Eastlake, che ne fu il primo Direttore dopo la riforma del 1855. Il principale merito del conoscitore inglese, nell’assenza sostanziale di opere dell’artista sul mercato, fu quello di occuparsi della ricostruzione del contesto artistico lombardo in cui Leonardo operò per diversi anni. L’approccio di Eastlake, che aveva chiare finalità di carattere enciclopedico e mirava a dar conto, sulle pareti del museo, dello sviluppo delle varie scuole artistiche italiane, fu giudicato successivamente poco attento ad aspetti di carattere puramente estetico. Resta il fatto che, alla morte di Eastlake, e ancora negli anni successivi, grazie all’opera dei direttori successivi e al gruppo di conoscitori che con Eastlake si erano rapportati nel corso delle ricerche, la National Gallery fu finalmente in grado di offrire al pubblico un quadro sufficientemente completo della pittura lombarda del primo Cinquecento (Bergognone, Boltraffio, Francesco Melzi, Andrea Solario, Bernardino Lanino). Non mancò poi una serie di acquisti che mirava, invece, a ricostruire l’ambito fiorentino in cui si era mosso Leonardo (Piero di Cosimo, Lorenzo di Credi). Fisicamente, i lombardi furono esposti tutti insieme, in un crescendo che vedeva in Correggio l’artista di maggior livello, influenzato da Leonardo, mentre i quadri dell’artista vinciano si trovavano nell’ambito della scuola fiorentina. Ciò comportò il fatto di dover fare delle scelte che potevano sembrare incoerenti: quando, ad esempio, la Vergine della Rocce entrò nella raccolta inglese, fu esposta nell’ambito delle opere fiorentine, pur risalendo al periodo in cui Leonardo si trovava in Lombardia.

Fine della Parte Prima
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