Carlo Cesare Malvasia
Felsina pittrice
Lives of the Bolognese Painters
Volume 9
Life of Guido Reni
[Vita di Guido Reni]
Edizione critica, traduzione e saggio di Lorenzo Pericolo, note storiche di Lorenzo Pericolo con Elizabeth Cropper, Stefan Albl, Mattia Biffis ed Elise Ferone
Corpus delle illustrazioni stabilito da Lorenzo Pericolo, con Mattia Biffis ed Elise Ferone
Published for the Center for Advanced Study in the Visual Arts, National Gallery of Art, Washington,
2 tomi, Turnhout, Harvey Miller. An imprint of Brepols Publishers, 2019
Recensione di Giovanni Mazzaferro. Parte Prima
Quarto volume (in due tomi) ad
essere pubblicato nell’ambito dell’edizione critica della Felsina pittrice
di Carlo Cesare Malvasia (dopo quelli dedicati alla pittura dei primitivi bolognesi, alla vita di Marcantonio Raimondi abbinata al catalogo critico delle
stampe relative ad artisti bolognesi e alla figura di Domenichino). Il commento
alle pagine che Carlo Cesare Malvasia scrisse su Guido Reni non delude
certamente le attese; dimostra, anzi, con quale impegno i curatori
dell’iniziativa abbiano intrapreso un lavoro immane, che, nel caso specifico,
si concretizza in due tomi di oltre 1000 pagine complessive, in cui sono
proposti testo originale italiano e traduzione inglese dell’opera; 683 note
storiche al testo in questione (spesso dei veri e propri saggi, tanto da
occupare 250 pagine a doppia colonna); la versione italiana degli Scritti
originali giunti sino a noi e dedicati a Reni [1]; e, ancora (nel secondo
tomo) un saggio critico, intitolato Beyond Perfection: Guido Reni and
Malvasia’s Fourth Age of Painting, scritto da Lorenzo Pericolo, che in
realtà non è un saggio, ma un libro, e nemmeno un libro qualsiasi, ma un
capolavoro di erudizione e lucidità che analizza gli assunti teorici che stanno
dietro alla stesura della biografia reniana; un apparato iconografico di oltre
350 illustrazioni quasi tutte a colori e a piena pagina, e, infine, la
bibliografia e gli indici.
Naturalmente i curatori (in
particolare Elizabeth Cropper nella sua prefazione) ci tengono a chiarire che la
pubblicazione non è un catalogo completo o ragionato delle opere di Guido Reni,
ma riguarda Guido e Malvasia. La prima cosa da dire è che lo scrittore
bolognese si rivela senza dubbio la fonte più preziosa di informazioni in
merito al pittore suo concittadino; c’è stato chi ha messo in discussione la
reale importanza della fonte, probabilmente aspettandosi qualcosa che Malvasia,
erudito della seconda metà del Seicento, non poteva certo dare, ovvero una
monografia ‘moderna’, scandita in biografia, catalogo delle opere, recepimento
critico e regesto documentario. Come abbiamo visto già in occasione delle
recensioni precedenti, quella del nobile e canonico felsineo è, in perfetta
sintonia coi suoi tempi, un’opera non lineare, ma che, anzi, spesso si sviluppa ciclicamente riprendendo e approfondendo temi già affrontati in precedenza, in cui i
dettagli biografici si mescolano agli aneddoti, ai riferimenti a singole opere
(spesso senza seguire un ordine cronologico), alla loro destinazione
originaria e contemporanea, ai committenti, a documenti di natura archivistica,
ma anche a testimonianze letterarie in prosa e i poesia: “La moderna classificazione di
questi [n.d.r. elementi] come distinte categorie è più che il riflesso di una semplice necessità
di chiarezza: segue certe tesi moderniste secondo le quali arte e letteratura
dovrebbero essere considerate solamente in termini formali, senza
un’interpretazione che derivi dalla biografia o dalla storia. Quest’approccio
si è radicalmente modificato nel corso dell’ultimo mezzo secolo, ma continua a
condizionare l’approccio generale con cui gli storici dell’arte e i critici si
avvicinano ai testi della prima età moderna e alle loro relazioni con le opere
d’arte” (v. I, p. XVI).
A ogni modo, per semplificare le
cose e per ovviare al fatto che lo spazio dedicato all’analisi stilistica delle
opere nelle note storiche di commento era forzatamente limitato, i curatori
hanno deciso di comportarsi diversamente rispetto a occasioni precedenti,
collocando le illustrazioni in ordine cronologico e non di citazione nel testo
malvasiano. Potrebbe sembrare una sciocchezza, ma è appena il caso di ricordare
che Lorenzo Pericolo, assieme a Mattia Biffis ed Elise Ferone, hanno dovuto
stabilire un corpus di riferimento, prendendo posizione in merito
all’originalità o meno delle opere (e sappiamo quanto sia stato importante il
fenomeno delle copie con riferimento a Guido Reni) e avanzando ipotesi di
datazione su basi stilistiche. Per rendere tali ipotesi più evidenti si è
scelto di inserire nell’apparato delle illustrazioni anche un certo numero di
opere di Guido Reni non citate espressamente da Malvasia, ma richiamate, ad
esempio, nelle note storiche di commento. Si è cioè cercato di conciliare
esigenze di linearità espositiva e completezza, mantenendo inalterato l’approccio all’opera,
doverosamente rispettando il contesto in cui fu materialmente scritta.
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Copia dall'autoritratto di Guido Reni, Roma, Galleria di Palazzo Barberini Fonte: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Guido_Reni_-_Self-portrait_2.jpg |
Testo della bandella
La recensione a un’opera così
ambiziosa e di tali dimensioni, se vuol essere rispettosa dei lettori, non può
che essere di dimensioni particolarmente estese. Per questo motivo ho scelto di
riportare qui di seguito il testo della bandella dei due volumi, che può essere
utile a chi voglia semplicemente avere un’idea generale dei contenuti dei due
tomi:
“Celebrato da Malvasia come il creatore e il promotore
della nuova maniera moderna. Guido Reni (1575-1642) introduce la quarta età
della pittura, un periodo segnato da una rielaborazione originale e talvolta coraggiosa
della nozione di perfezione artistica sviluppata dai Carracci e incarnata, più
specificamente, dalla “sintesi degli stili” di Ludovico. Dopo la morte dei
Carracci l’arte italiana sarebbe potuta andare incontro a un nuovo declino, ma
grazie a Guido e Domenichino, a Francesco Albani e Guercino la pittura è
riconsegnata a una piena fioritura e, come risultato ultimo, la lezione dei
Carracci si diffonde e trionfa in tutt’Italia. Nel giudicare il ruolo di Guido
nel promuovere quest’avanguardia artistica, Malvasia si trova, in una
situazione di empasse teorica. Da un lato non sa resistere alla sua
infatuazione per l’opera di Guido. Frutto di potenzialità affascinanti, i
quadri di Guido costituiscono la rappresentazione più fastosa della modernità
nella misura in cui riflettono la ricerca infinita verso un raffinamento
estetico e una bellezza trascendentale sia nella rappresentazione del corpo
umano sia nell’orchestrazione di luce, colore e impasto. D’altro canto,
Malvasia si rivela esitante nell’abbracciare “l’ultima maniera” di Guido. Agli
occhi di Malvasia, la tarda produzione di Guido è eccessivamente sofisticata e
contemporaneamente contaminata da questa stessa sofisticatezza: la delicatezza
tende alla fiacchezza, il trascendente si fonde con l’inutile astrazione e la sprezzatura
vira verso un’apparente negligenza. Inoltre, per Malvasia, Guido è sia un
modello di virtù sia la vittima viziosa del demone del gioco d’azzardo. Con
acutezza, Malvasia loda il Guido in grado di fare fortuna, l’artista sicuro di
sé in grado di riscrivere i meccanismi del mercato dell’arte, facendo impennare
esponenzialmente il valore della pittura. E tuttavia, Malvasia non può fare a
meno di condannare il Guido che dilapida denaro, il pittore indebitato che
mette a rischio la sua reputazione e la qualità della sua sublime produzione.
(…)”.
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Guido Reni, Sansone, 1617-1619 circa, Bologna, Pinacoteca Nazionale Fonte: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Reni_Samson_Bologna.jpeg |
Un idolo da inquadrare
storicamente
Malvasia (1616-1693) fece in
tempo a conoscere Guido Reni (che morì nel 1642). La biografia malvasiana
riporta diversi episodi legati a scambi di opinioni o aneddoti fra il giovane
Carlo Cesare e l’ormai anziano Guido. Non sappiamo quando la reciproca frequentazione
ebbe inizio, ma sicuramente s’interruppe all’inizio del 1639, quando il primo
si trasferì a Roma per motivi di studio, facendo ritorno a Bologna solo nel
1647. Molto probabilmente il giovane fu introdotto nello studio del pittore dal
più anziano cugino, il conte Cornelio Malvasia, che, in veste di agente di
Francesco I d’Este, duca di Modena, aveva rapporti con il pittore sin dai primi
anni Trenta. Una cosa è certa: per Carlo Cesare, che aveva ricevuto
un’istruzione anche in ambito pittorico, l’anziano Guido doveva essere un
idolo. A dire il vero, Reni era, all’epoca, l’idolo di tutta Bologna, l’artista
le cui opere erano ricercate e lautamente pagate in tutta Europa, l’orgoglio
(ma anche la gallina dalle uova d’oro) di tutta una città. Vi piace la musica?
Fate finta che a un ventenne odierno sia data l’opportunità di frequentare da
vicino Bono Vox e potrete forse capire quali dovessero essere i sentimenti di
Malvasia in quegli anni giovanili.
La circostanza rese senza dubbio
difficoltoso a Malvasia il dovere trattare di Guido nella sua Felsina
(dagli Scritti originali risulta che l’erudito lavorò alla biografia
almeno dal 1664). Si trattava, in fondo, di dover spogliare un idolo della sua
aura mitica e di calarlo in un contesto storico di sviluppo del fare artistico.
Se seguiamo le indicazioni contenute nel proemio della versione edita a stampa
della Felsina, tutto sembra, in qualche modo, chiaro: raggiunta la
“perfetta maniera” dai Carracci, sintesi e quintessenza di tutti gli stili,
come era possibile andare oltre? L’eredità dei Carracci è raccolta da quattro
loro epigoni, che, pur non raggiungendo la loro perfetta completezza furono
comunque in grado di superarli e portare l’arte verso nuovi sviluppi in
specifici aspetti: “nella
nobiltà e celesti idee, come un Guido; ne gli eruditi ritrovi e nella
espression de gli affetti. Come un Menichino; né scherzi poetici e nella
grazia, come un Albani; nella forza del chiaroscuro e nel bel scomparto de’
colori come un Guercino, che tutti in un tempo stesso vivendo ed emulandosi, il
nuovo titolo di gran madre anche della pittura alla gran madre de’ studi
[n.d.r. ovvero a Bologna] accrebbero
e confirmarono” (v. I, p. 14). Guido Reni, Domenichino, Albani e
Guercino sono dunque i quattro Evangelisti (l’espressione è usata per primo da
Francesco Scannelli nel Microcosmo della pittura del 1657) della quarta
età (quella contemporanea) della pittura, definita anche come 'nuova maniera
moderna'. Ma – aggiunge Malvasia citando proprio Scannelli - fra questi quattro,
Reni fu quello che, alla scomparsa dei Carracci fu “prima guida” perché più
anziano, perché (almeno in parte) li sopravanzò e, infine, perché fu maestro di
Albani e Domenichino. Guido Reni, dunque, ha un ruolo privilegiato.
In realtà se si va a leggere una
prima versione del proemio, che Malvasia aveva scritto in precedenza e che è ora
conservata negli Scritti originali si può ben percepire l’evoluzione del
pensiero dell’autore nel tentativo di collocare storicamente Guido Reni, ma più
in generale, nella visione complessiva della scansione delle varie età della
pittura.
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Guido Reni, Ritratto della madre, 1617-1620 circa, Bologna, Pinacoteca Nazionale Fonte: The Yorck Project tramite Wikimedia Commons |
Terza e quarta età della
pittura
Lorenzo Pericolo delinea tale
evoluzione con grandissima chiarezza. La prima versione del proemio propone una
situazione in cui i Carracci e Guido sono collocati, sostanzialmente, sullo
stesso piano: da un lato il vigore dei primi, dall’altra la delicatezza del
secondo. La dicotomia è riproposta sostanzialmente negli stessi termini in
un’annotazione alla vita dei Carracci scritta nel 1672: “Non vi è dubbio che, quando
scrisse la prima versione del proemio, Malvasia non aveva ancora fatto emergere
l’idea innovativa che i Carracci, sintetizzando gli stili canonici della
pittura italiana, avessero sorpassato tutti i maestri precedenti e configurato
un nuovo paradigma di perfezione pittorica” (v. II, p. 29). Pensava
piuttosto che l’arte avesse raggiunto il suo apice con Guido Reni. Il
predominio reniano è legato all’ottimismo di fondo con cui l’erudito guarda
alla ‘novità’ (è appena evidente che Malvasia è un ‘modernista’ ed è
percepibile l’influenza del pensiero di Alessandro Tassoni in merito – cfr. v.
II, p. 208, n. 2). La 'novità' è, acriticamente, percepita come priva di alcuna
relazione con la storia, qualcosa che “spunta dal nulla e non necessariamente comporta una
mediazione o una riflessione sul passato” (v. I, p. 28). Pericolo
chiarisce subito che la ’novità’ malvasiana non ha nulla a che vedere con la
‘moda’ e che la supremazia reniana si basa su solide fondamenta di delicatezza,
regalità o nobiltà, ma resta il fatto che manca un collegamento storico
credibile fra Reni e chi lo ha preceduto. La prima versione del proemio fu
abbandonata e poi riutilizzata (ma con una rielaborazione complessiva che la
depotenziò) per le vite di Angelo Michele Colonna e Agostino Mitelli. La
seconda stabilisce, invece, nuovi criteri di giudizio, a partire dal fatto che
la perfezione in pittura è raggiunta dal “dotto compendio” dei Carracci
(in particolare di Ludovico) e che ora la ‘novità’ è sempre messa in relazione col
passato, ovvero con quanto è stato fatto prima.
Credo sia molto importante
sottolineare qui alcuni aspetti che non hanno direttamente a che fare con la
biografia di Guido, quanto piuttosto con l’intera struttura dell’opera.
Malvasia scrive una storia che si estende fino alla seconda metà del Seicento
(di fatto, un secolo più in là delle Vite vasariane). Ponendo i Carracci a
vertice della maniera moderna, espande quest’ultima fino alla fine
del Cinquecento. Tutto ciò solleva una serie di problemi a cui non sempre
Malvasia riesce a dare risposta (cfr. v. II, p. 50 ss.): “ In primo luogo, il dipanarsi
della terza età della pittura è segnato da uno o due vertici? Il declino
manierista fra l’epoca di Michelangelo e quella di Ludovico è il sottoprodotto
di una perfezione pienamente raggiunta o di una ancora incompleta? […] L’insistenza di Malvasia
sul “dotto compendio” come nocciolo del progetto e del portato artistico di
Ludovico implica che i maestri canonici della pittura rinascimentale prefigurano,
ma non incarnano la perfezione: essi costituiscono singoli aspetti di
perfezione, l’assemblaggio e la ricomposizione dei quali sono interamente un
risultato conseguito da Ludovico” (cfr. V. I, p. 51).
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Guido Reni, Assunzione della Vergine, 1627, Santa Maria Assunta, Castelfranco Emilia Fonte: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Assunzione_di_Maria.jpg |
Contraddizioni su Guido
Il ruolo di Guido nel passaggio
fra primo e secondo proemio risulta essere ridimensionato in seguito
all’assunzione dei Carracci come paradigma (anche se, come detto, Reni è un primus
inter pares rispetto a Domenichino, Albani e Guercino). Va peraltro aggiunto che Malvasia non sempre si dimostra coerente e lascia emergere chiare
contraddizioni nella valutazione dell’operato dell’artista bolognese, frutto
probabilmente del permanere nel testo di parti scritte precedentemente alla
rielaborazione del proemio. È il caso, ad esempio, della valutazione
della “seconda maniera” di Guido, ovvero della sua produzione artistica negli
anni finali della carriera (grosso modo, dal 1630 in poi). In proposito capita
di leggere: “Affaticavasi
anche, non mai saziandosi, (…) nell’ultime sue pitture, mostrandocele sempre
più erudite, con nuovi ricerchi e mille galanterie, con certi lividetti ed
azzurrini mescolati fra le mezze tente e fra le carnaggioni (…), quali si osservano
nelle carni delicate, che rendono un certo diafano, ma più poi ed evidentemente
qualora il lume cade sopra di esse, passando in particolare per finestre
chiuse, massime di vetro, non essendo queste sue invenzioni chimeriche (…);
ma nuove osservazioni, da gli antichi trasandate, che in altre professioni
ancora vediamo tutto dì scaturire dalle più feconde e spiritose miniere de’
moderni ingegni, con invidia de’ passati.” (v. I, p. 182). Torna il
tema della fiducia quasi cieca nella novità; e Guido si dimostra un artista che
sperimenta, affaticandosi senza mai saziarsi, attorno alla resa ottica della
natura. Malvasia prosegue sostenendo che, mentre la prima maniera di Guido è
destinata a piacere ai curiosi (ovvero al pubblico degli amatori), la seconda è
particolarmente cara ai dotti (e quindi ad artisti e, più in generale, agli
intendenti). “E questa
è quella che chiamano seconda maniera di Guido, che come perciò incognita anche
e forestiera, non giongerà che col tempo ad addimesticarsi, a farsi ben
conoscere e finalmente ad assodarsi nella comune affezione e concetto.
Strillino pure a lor voglia i malevoli, che si conosceranno un giorno queste
finezze per inimitabili (…). Piacerà però sempre a’ più dotti la seconda maniera quanto la
prima a’ più curiosi. Fermerà quella, ma insegnerà questa, e se di languida e
troppo delicata avrà nome presso la commune opinione, da gl’intendenti sarà
esaltata per la più scientifica e sovrana” (ibidem). Appare evidente
come, utilizzando queste parole, e sostenendo che la seconda maniera di Reni
non è frutto di fantasia, ma tende a riprodurre scientificamente i fenomeni
naturali, Malvasia collochi l’artista su un sentiero che, risalendo a ritroso,
giunge fino a Leonardo. Vale qui la pena di ricordare che nel 1739 il pittore
toscano Antonio Franchi sosteneva di possedere una copia manoscritta del Trattato della pittura di Leonardo appartenuta ai suoi tempi a Guido Reni.
Quell’esemplare, se davvero appartenne a Guido Reni, non è stato individuato
(va peraltro detto che l’artista bolognese non era uomo particolarmente colto).
In ogni caso è chiaro che, in queste righe, Guido rappresenta ancora il culmine
del fare artistico, come sostenuto nella prima parte del proemio, in nome della
sua continua ricerca di novità.
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Guido Reni, Rapimento di Europa, 1640, Londra, National Gallery Fonte: The Yorck Project tramite Wikimedia Commons |
Ma è tempo di cercare di definire
meglio i contorni della prima e della seconda maniera di Guido. Lo faremo nella
seconda parte della recensione.
Fine della Parte Prima
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NOTE
[1] Come noto, la biblioteca
dell’Archiginnasio di Bologna conserva una parte dei materiali (chiamati
convenzionalmente Scritti originali) che Malvasia utilizzò e scrisse in
vista della pubblicazione a stampa della Felsina. Nel caso specifico le
pagine che trattano di Guido Reni vanno dalla 87r alla 134v, ma solo dieci (da
124r a 134v) presentano note e documenti che testimoniano la raccolta dei dati,
mentre quelle precedenti contengono una prima versione, non particolarmente
diversa da quella a stampa, della biografia. È scontato che in realtà i
materiali di lavoro dovevano essere molto più ampi (cfr. vol. II pp. 9 e
seguenti) e dovevano comprendere anche molte lettere da cui Carlo Cesare
selezionò estratti.
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