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Storia delle antologie di letteratura artistica
Cliccate qui per vedere tutte le antologie recensite
Dore Ashton
Twentieth-Century Artists on Art
Storia delle antologie di letteratura artistica
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Dore Ashton
Twentieth-Century Artists on Art
[Artisti del XX secolo che scrivono d’arte]
New York, Pantheon Books, 1985, 302 pagine
Recensione di Francesco Mazzaferro. Parte Terza New York, Pantheon Books, 1985, 302 pagine
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Fig. 48) Il saggio di Dore Ashton su Richard Lindner, pubblicato nel 1963 dall’editore Harry N. Abrams di New York |
Gli artisti figurativi
Tra gli artisti americani inclusi da Dore Ashton (1928-2017)
nella sua antologia Twentieth-Century
Artists on Art vorrei assegnare alla categoria di ‘artisti figurativi’ (che
ho qui volutamente definito in termini molto ampi e forse imprecisi)
rappresentanti di stili (Nuova oggettività, Precisionismo, Surrealismo,
Realismo sociale) che affidano alla rappresentazione della figura umana un
ruolo centrale, e, in tal modo si legano a movimenti pittorici precedenti
l’astrazione. Tutto sommato, si tratta di artisti che oggi sono dimenticati e meriterebbero di essere riscoperti: il loro riferimento all’arte
figurativa è stata forse interpretato nel secolo scorso come un elemento formale
che li ha resi meno attuali e convincenti. In ordine cronologico di nascita,
vorrei ricordare Richard Lindner (1901-1978), Peter Blume (1906-1992), Romare
Bearden (1911-1988), David Hare (1917-1992) e Leon Golub (1922-2004).
Richard Lindner rappresenta la linea di congiunzione tra
Nuova oggettività tedesca e arte americana. Il pittore tedesco fugge dalla
Germania quando i nazisti prendono il potere, recandosi prima nel 1933 in
Francia e poi nel 1941 negli Stati Uniti. Pur inserito per molti anni nel mondo
accademico dopo la guerra, non sono rintracciabili sue pubblicazioni (né vi è
una fondazione che curi il suo ricordo). L’intervista citata dalla Ashton (che
gli dedicò una monografia nel 1969) è del 1978. Parlando allo storico dell’arte
John Gruen (1926-2016) nel 1978, Lindner afferma: “Ma, come sa, il mio lavoro è davvero un riflesso della Germania degli
anni Venti. È stata l'unica volta che i tedeschi sono stati bravi. D'altra
parte, la mia ispirazione creativa viene da New York e dalle immagini che vedo
nelle riviste americane o in televisione. L'America è davvero un posto
fantastico!” [78]. A livello di fonti
direttamente accessibili sulla rete, di Lindner sono disponibili registrazioni
di lunghe interviste autobiografiche presso la Smithsonian Institution [79],
quasi che egli fosse più legato alla trasmissione di cultura orale che scritta.
Peter Blume è stato un altro artista poco frequentato da
gallerie e musei, forse anche perché molto atipico per il mondo a lui
contemporaneo. Appartiene ancora, per molti aspetti, al mondo del Precisionismo
americano e alle tendenze di ritorno all’ordine che si diffondono in Europa tra
le due guerre (il suo amore per l’arte del Rinascimento ha chiari paralleli
nell’arte di De Chirico e in quella della Nuova oggettività tedesca). L’attività
artistica di Blume comincia negli anni Trenta, a essere onesti senza grande
successo. La sua opera più famosa è La città eterna, realizzata in
manifesta opposizione al fascismo; nel dipinto Mussolini si presenta come un
giocattolino a molla la cui testa deforme spunta dal Colosseo. Come
immaginabile, la caricatura ebbe molto successo in America negli anni della
guerra. La notorietà in ambito squisitamente artistico subentra solo molto più
tardi e ha il suo apice negli anni Settanta.
Il testo scelto dalla Ashton, del 1963, è pubblicato quello stesso anno
anche da
Eric Protter in Painters on Painting.
“Dato che mi occupo della comunicazione
delle idee, non mi vergogno affatto di ‘raccontare storie’ nei miei dipinti,
perché considero questa una delle funzioni primarie delle arti plastiche” [80]. Nel testo Blume parla della sua
passione per Caravaggio, del ritorno a uno stile letterario e della necessità
di ridare centralità al gesto. Alcuni
scritti dell’artista sono stati pubblicati in un recente catalogo della
Pennsylvania Academy of the Fine Arts nel 2005. Non esiste fondazione a lui
dedicata.
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Fig. 50) Tre opere di Romare Bearden, rispettivamente pubblicate nel 1972, 1969 e 1993. |
Romare Bearden è stato artista, critico e storico dell’arte.
A lui si devono – in cooperazione con autori diversi – numerosi studi, molti
dei quali centrati sul ruolo degli artisti afroamericani nella storia
dell’arte. Nessuno dei suoi saggi ha però varcato la barriera linguistica
dell’inglese. La Fondazione Romare Bearden offre l’elenco completo degli
scritti dell’artista, che coprono un periodo lungo cinquant’anni [81]. Anche la
sua arte d’impronta sociale, centrata sull’impiego del collage, riflette la sua
esperienza di afroamericano nel Sud degli USA. In un articolo [82] pubblicato
sulla rivista Leonardo, edita dal MIT a partire dal 1968 come strumento
di dialogo tra arte e scienza, Bearden racconta del suo passaggio dalla
matematica alla pittura, che avviene grazie a George
Grosz. Egli spiega il suo amore per Brueghel e i maestri olandesi, per i
mosaici bizantini e la scultura africana. La citazione che ne trae la Ashton
relativizza appunto la natura politica della sua arte e si riferisce a Brueghel
come punto di riferimento: “Ciononostante,
non è mio obiettivo dipingere sul mondo afroamericano in termini di
propaganda. È precisamente la mia consapevolezza del fatto che un artista
impegnato deve operare delle distorsioni che mi ha fatto dipingere la vita del
mio popolo come la conosco - con la stessa passione e leggerezza con cui Brueghel
ha dipinto la vita del popolo fiammingo dei suoi giorni. Si possono trarre
molte analogie sociali dalle grandi opere di Brueghel - come non ho dubbi che le
si possa trarre dalle mie - la mia intenzione, tuttavia, è quella di rivelare
attraverso complessità pittoriche la ricchezza di una vita che conosco”
[83].
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Fig. 51) Il catalogo della mostra su Quattordici artisti americani, pubblicato dal MoMa di New York nel 1946 a cura di Dorothy C. Miller, con dichiarazioni degli artisti. Source: https://www.moma.org/documents/moma_catalogue_3196_300062046.pdf |
David Hare è stato scultore (e fumettista) di orientamento
surrealista, tuttavia in contatto permanente con gli artisti
dell’espressionismo astratto newyorchese. “Credo
– si legge nel catalogo della
mostra Fourteen Americans del 1946 – che, per evitare di copiare
la natura e allo stesso tempo mantenere la massima connessione con la realtà, sia
necessario spezzare la realtà e ricombinarla, creando relazioni diverse destinate
a sostituire quelle distrutte. Questi dovrebbero essere rapporti di memoria e
associazione” [84]. Non risulta la pubblicazione di una raccolta di
scritti. La pagina web degli eredi riporta gli originali di una serie
(abbastanza limitata) di articoli a sua firma, senza tuttavia indicarne precisa
provenienza e data [85].
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Fig. 52) La raccolta di testi Leon Golub: Do Paintings Bite? curata da Hans-Ulrich Obrist e pubblicata da edizioni Hatje Cantz nel 1997. |
Leon Golub (1922-2004) è stato pittore e attivista politico.
Hans-Ulrich
Obrist ha pubblicato nel 1997 una serie di scritti intitolata Leon Golub: Do Paintings Bite? Nelle
dichiarazioni del 1959, tratte da un catalogo del MoMa curato da Peter Selz, l’artista
spiega il significato della rappresentazione del corpo nella sua pittura. Il
modo con cui un pittore può guardare un corpo può variare. È,
ad esempio, completamente diverso prima e dopo la Seconda guerra mondiale. “Si vede che l'uomo ha sofferto l’olocausto e che rischia l’annientamento
o la mutazione radicale. Le ambiguità di queste enormi forme [nella mia
pittura] indicano lo stress della loro
vulnerabilità rispetto alle loro capacità di resistenza” [86]. Il corpo
umano, raffigurato anche in forma frammentaria, rimane comunque simbolo di
eroica e sensuale bellezza: “L'uomo è
visto in un gesto eroico; le sue forme, anche frammentate, incarnano la bellezza e la sensuale vitalità degli organi.
La bellezza carnale di ogni frammento si ampia e si contrappone al suo pathos e
alla sua monumentalità”
[87]. È questa duplicità che permette al pittore un gesto implacabile,
quando rappresenta i corpi, pur incarnando ancora il senso di monumentalità
tipico dell’arte classica. La fondazione dedicata a Golub e a sua moglie Nancy
Spero (1926-2009) non sembra essere attiva in rete [88].
Minimalismi
In questa categoria associo minimalisti, post-minimalisti e
artisti concettuali. Si torna qui a parlare di artisti che, avendo ottenuto
molta attenzione nel secolo scorso, non hanno esitato a far uso costante della
scrittura come strumento di comunicazione: anzi, l’elemento concettuale della
loro arte (che li accomuna ai costruttivisti d’inizio Novecento) li ha spesso
spinti alla ricerca di coordinate teoriche che potessero offrire al pubblico
elementi di comprensione. In ordine cronologico di nascita vorrei ricordare Josef
Albers (1888-1976), Isamu Noguchi (1904-1988), Tony Smith (1912-1980), Ad
Reinhardt (1913-1967), Ellsworth Kelly (1923-2015), Sol LeWitt (1928-2007), Dan
Flavin (1933-1996), Carl Andre (1935-), Eva Hesse (1936-1970), Hans Haacke
(1936-), Frank Stella (1939-) e Robert Smithson (1938-1972).
Josef Albers si trasferisce negli Stati Uniti nel 1933 alla
presa del potere dei nazisti, portando con sé la spiccata vocazione alla
teorizzazione tipica della cultura artistica tedesca. Il suo manuale sull’Interazione del colore, prima
pubblicato in edizione limitata nel 1963 e poi oggetto di numerosissime
edizioni della Yale University Press dal 1971, viene tradotto in dodici lingue.
Il testo è uno dei punti di riferimento della Optical art. Albers è l’erede non solamente dell’insegnamento alla
Bauhaus (dove egli stesso insegna dal 1925), ma di una tradizione che risale
alla Farbenlehre di Goethe, la Teoria dei
colori del 1810. La Josef and Anni Albers Foundation custodisce un
ampissimo archivio e offre molte risorse agi studiosi [89].
La Ashton parla del manuale di Albers, ma trae la sua
citazione da un catalogo del 1962. Albers spiega come i colori, se avvicinati,
si influenzino l’un l’altro. “Azione,
reazione, interazione - o interdipendenza – sono cercati per rendere evidente
come i colori s’influenzino e modifichino a vicenda: lo stesso colore, ad
esempio - avvicinato ad un fondale oppure a colori diversi - sembra diverso. Ma
anche colori diversi possono essere resi uguali. E si può mostrare che tre
colori possono essere letti come quattro, e allo stesso modo tre colori come
due, e anche quattro come due. Tali inganni cromatici dimostrano che quasi mai vediamo
i colori indipendentemente tra loro e quindi invariati. Ogni colore cambia
continuamente: con il mutare della luce, con il mutare della forma e del
posizionamento, e con la precisa calibrazione della quantità (l'estensione
reale) o del numero (la ripetizione). E altrettanto influenti sono i
cambiamenti nella percezione che dipendono dai cambiamenti dell'umore e, di
conseguenza, dalla ricettività. Tutto ciò serve a rendere conto dell'esaltante
discrepanza tra fatto fisico ed effetto psichico del colore” [90].
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Fig. 54) A sinistra: il saggio di Dore Ashton su Noguchi. East and West del 1992. A destra: la raccolta di saggi e conversazioni dello scultore, pubblicata dall’editore Abrams nel 1994. |
Allo scultore Isamu Noguchi Dore Ashton dedica un saggio nel
1992. Oggi abbiamo a disposizione una sua raccolta di scritti e conversazioni,
pubblicata dall’editore Harry N Abrams, curata da Diane Apostolos-Cappadona e Bruce
Altshulera e sostenuta dalla Isamu Noguchi Foundation di Tokio. Pur non essendo formalmente un minimalista,
il suo interesse è tutto centrato su forme astratte e autorappresentative in
pietra o metallo. Il brano citato da Dore Ashton è tratto dal catalogo della già
citata mostra Fourteen Americans del
1946. “L'essenza della scultura è per me
la percezione dello spazio, il continuum della nostra esistenza. Tutte le
dimensioni sono solo misure di essa, come nella prospettiva relativa della
nostra visione si trovano il volume, la linea ed il punto, che danno forma,
distanza, proporzione. Il movimento, la luce e il tempo stesso sono anche
qualità dello spazio. Lo spazio è altrimenti inconcepibile. Questi sono gli
elementi essenziali della scultura e poiché il nostro concetto di essi cambia,
così deve cambiare la nostra scultura” [91]. Il Museo Noguchi di New York
conserva gli archivi dello scultore [92]. Vi è anche un Museo Noguchi a Tokio,
che non sembra offrire fonti primarie sul suo sito internet [93].
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Fig. 55) L’intervista di Tony Smith a Samuel Wagstaff, Jr. su Artforum del 1966 |
Lo scultore Tony Smith è considerato uno degli artisti che
hanno segnato il passaggio da un’arte di tipo espressionista a una produzione
(prevalentemente scultorea) di tipo minimalista. In un’intervista al curatore Samuel
Wagstaff, Jr. (1921-1987), pubblicata su Artforum nel 1966, Smith
spiega il meccanismo creativo che lo conduce a una riduzione delle forme: “Sono interessato all'inscrutabilità e alla
misteriosità dell’oggetto. (...) Quando inizio a progettare, esso è quasi
banale e poi naturalmente si riduce nel senso di un'economia. Non sono
consapevole di come luce e ombra cadano sui miei pezzi. Sono semplicemente a
conoscenza della forma base. Sono interessato all’oggetto, non agli effetti, le
piramidi sono solo geometria, non un effetto” [94]. Non è stata ancora
pubblicata alcuna raccolta di scritti né vi sono testi dell’artista messi in
rete dalla fondazione, sebbene vi sia una lista di interviste e dichiarazioni
tra 1966 e 1978 [95].
Ad Reinhardt è stato elemento di contatto tra astrazione
espressionista e minimalismo, al punto che critici diversi lo hanno collocato
alternativamente in uno o nell’altro ambito. E tuttavia nei suoi scritti egli
ha giudizi durissimi nei confronti della scuola di New York. Il testo citato dalla Ashton nega valore all’action
painting come fenomeno di azione fisica. “La pittura è speciale, separata, una questione di meditazione e
contemplazione, per me non è un’azione fisica o uno sport sociale. È quanta più
coscienza possibile” [96]. Sono parole tratte dal catalogo della mostra The new decade; 35 American painters and
sculptors curata dal critico e storico dell’arte John I. H. Baur (1909-1987)
al MoMa di New York nel 1955. Una collezione di scritti di Ad Reinhardt è stata
pubblicata da Viking Press nel 1975 a cura di Barbara Rose, e ripubblicata da University
of California Press nel 1991 e nel 2008. Il titolo (Art as Art) fa
chiaro riferimento all’idea dell’arte per l’arte. Una selezione di scritti e
conversazioni con l’artista è stata pubblicata in tedesco nel 1994 e ristampata
nel 1998.
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Fig. 57) Il volume intervista di Hans Ulrich Obrist a Ellsworth Kelly, intitolato Thumbing through the Folder: A Dialogue on Art and Architecture, pubblicato nel 2010 |
Il minimalismo di Ellsworth Kelly è associato ai contrasti
dei colori del cosiddetto hard-edge
painting (la pittura a contrasti netti), la reazione californiana
all’espressionismo astratto newyorkese. La pagina della Fondazione Kelly offre una lista molto ampia di dichiarazioni
dell’artista a partire dai tardi anni Quaranta; non esiste tuttavia una
raccolta a stampa di tale materiale [97]. Da segnalare anche un’intervista con Hans
Ulrich Obrist rilasciata nel 2009. Il brano citato da Dore Ashton è tratto
da un’intervista con uno dei più famosi storici dell’arte e curatori del secolo
scorso, ovvero Henry Geldzahler (1935-1994), pubblicata nel 1964. “Non mi interessano i contrasti. Sono
interessato alla massa e al colore, al bianco e nero. I contrasti si verificano
perché le forme hanno il massimo effetto. Voglio che le masse abbiano il loro
effetto. Quando lavoro con forme e colori, ottengo i contrasti. ... nel mio
lavoro, è impossibile separare i bordi dalla massa e dal colore” [98].
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Fig. 58) Il volume di testi di critica d’arte di Sol Lewitt, a cura di Adachiara Zeri, pubblicato da Editrice Inonia nel 1994 |
Il nome di Sol LeWitt è indissolubilmente legato alla
nascita di concettualismo e minimalismo. I suoi brevi Paragraphs on Conceptual Art [99], pubblicati sulla rivista Artforum del giugno 1967, sono
considerati come uno dei testi principali di questo orientamento. Ad essi si
aggiunge un numero limitato di altri scritti, pubblicati in cataloghi fin dalla
fine degli anni Settanta [100]. I Testi
critici di Sol Lewitt sono stati raccolti in inglese e italiano da Adachiara
Zevi nel 1994 (editore Editrice Inonia nella serie “Libri di A.E.I.U.O. :
Incontri Internazionali d'Arte”). Dore Ashton pubblica alcuni brani dei Paragraphs: “Mi riferirò al tipo di arte in cui sono coinvolto come ‘arte
concettuale’. Nell'arte concettuale l'idea o il concetto è l'aspetto più
importante dell'opera. Quando un artista utilizza una forma concettuale di
arte, significa che tutta la pianificazione o le decisioni vengono prese in
anticipo e l'esecuzione è una questione di pura meccanica. L'idea diventa una
macchina che produce l'arte. Questo tipo di arte non è teorica o illustrativa;
è intuitiva, è coinvolta con tutti i tipi di processi mentali ed è senza scopo”
[101].
Dan Flavin è oggi molto conosciuto per le sue composizioni
di luce fluorescente, che l’autrice mette in correlazione col costruttivismo
del primo Novecento. Il testo è tratto dall’articolo An Autobiographical Sketch…
in daylight or cool white pubblicato su Artforum del 1965, uno
scritto assai breve per la verità in cui l’artista – di cui si inizia a parlare
in quegli anni – riflette sul concetto kantiano del sublime. La Ashton sceglie
un passo dell’articolo in cui si illustrano le ragioni estetiche della scelta
del mezzo (il neon illuminato che divide lo spazio), evitando le parti più
teoriche. “Con il tempo, sono giunto a
queste conclusioni per quel che riguarda la luce fluorescente e su cosa si
sarebbe potuto fare con essa in modo plastico. L'intero contenitore spaziale
interno e le sue parti-pareti, il pavimento e il soffitto, avrebbero sostenuto
la striscia di luce, ma non ne avrebbero limitato il suo effetto se non per
avvolgerlo. (…) Comprendendo ciò, sapevo che lo spazio reale di una stanza
poteva essere suddiviso e modificato includendo un’illusione di luce reale
(luce elettrica) in punti cruciali della composizione della stanza” [102]. Si tratta ancora oggi del testo più importante di Flavin. Non
esiste, peraltro, una sua raccolta di scritti e il Dan Flavin Art Institute non
sembra offrire risorse elettroniche su fonti primarie [103].
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Fig. 59) La collezione di scritti di Carl Andre, pubblicata nel 2005 da MIT Press a cura di James Meyer |
Del poeta e scultore minimalista Carl Andre esiste dal 2005
una raccolta di scritti che copre gli anni 1959-2006 a cura di MIT Press.
Inoltre la Tate Publishing di Londra e The Carl Andre and Melissa L. Kretschmer
Foundation stanno lavorando alla creazione di un catalogo elettronico della sua
produzione lirica, che comprende circa 1500 poesie [104]. Per la sua antologia
la Ashton utilizza il testo di una conferenza tenuta nel 1968. Il brano
riflette – nello stile molto vicino all’aforisma – la natura concettuale
dell’arte di Andre: “Non vi è un contenuto
simbolico nel mio lavoro. Non è come una formula, ma come una reazione chimica.
Una buona opera d'arte, una volta esposta e mostrata ad altre persone, è un
fatto sociale. (...) L'arte dell'associazione è quando l'immagine è associata a
cose diverse da ciò che l'opera stessa è. L'arte dell'isolamento ha il suo
focus con un'associazione minima con le cose e non con se stessa. L'idea è
l'esatto contrario della comunicazione multimediale. Il mio lavoro è
esattamente l'opposto dell'arte dell'associazione. Cerco di ridurre al minimo
la funzione di creazione delle immagini del mio lavoro” [105].
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Fig. 60) Il diario di Eva Hesse, pubblicato nel 2016 |
Eva Hesse è stata una giovane scultrice postminimalista,
vissuta tra Stati Uniti e Germania, morta giovanissima a causa di una tragica
malattia. Di lei restano i Diari,
pubblicati nel 2016 a cura di Barry Rosen e Tamara Bloomberg, e il mito di
un’esistenza d’artista tanto intensa quanto infelice. Così come molta parte dei
Diari, anche il brano citato da Dore
Ashton, risalente al 1969 e tratto dal catalogo di una mostra newyorkese, è in
versi:
“Volevo arrivare alla non arte, al non referenziale,
al non antropomorfo, al
non geometrico, al non, al niente,
al tutto, ma di un
altro tipo, visione, specie,
totalmente da un altro
punto di riferimento ...
quella visione o il
concetto si realizzeranno tramite rischio totale,
libertà, disciplina.
Lo farò” [106].
Gli archivi dell’artista sono disponibili alla Smithsonian
Institution [107].
Hans Haacke è uno scultore concettuale che molto ha scritto
della propria arte, a partire dal testo Framing
and Being Framed del 1975, in cui si confronta con sociologi e politologi.
Nel 1995 ha pubblicato, insieme al sociologo francese Pierre Bourdieu (1930–2002),
il testo della conversazione Free
Exchange. Una raccolta dei suoi scritti è stata pubblicata da MIT Press nel
2016 (Working Conditions. The Writings of
Hans Haacke) a cura di Alexander Alberro. Il brano citato dalla Ashton è
invece tratto da un’intervista del 1978, e spiega che non vi è arte senza un
significato politico più recondito. “Qualsiasi
prodotto o attività progettati per comunicare sentimenti e idee - e le opere
d'arte certamente appartengono a questa categoria - svolgono una funzione
sociale e sono quindi implicitamente, se non esplicitamente, anche di
importanza politica. Quello che sto dicendo qui non è ovviamente nuovo. Credo
che sia generalmente accettato nelle scienze sociali. La teoria in merito di
cultura da parte di critici e artefici, sia in Europa sia qui [negli Stati
Uniti], sembra muoversi anche in quella direzione
... [...] Non esiste alcun elemento strutturale assolutamente immune al
significato e alla storia. I significati, indipendentemente dal fatto che siano
riconosciuti o meno, hanno avuto un'importanza ideologica. La negazione della
loro esistenza non li cancella e la negazione di per sé è ideologicamente
abbastanza significativa” [108].
Frank Stella non è solamente uno degli artisti di
riferimento del XX secolo, ma uno tra quelli che si è certamente dedicato con
maggiore impegno alla letteratura artistica. Il suo saggio Working Space – in cui egli si confronta prima con la storia
dell’arte rinascimentale e barocca e poi con l’avanguardia del primo Novecento
– è stato pubblicato da Harvard University Press nel 1986, ed è comparso in
francese nel 1987 e giapponese nel 1989. Le sezioni del saggio su Caravaggio
sono comparse separatamente in italiano nel 2010 (editore Abscondita). Una
raccolta di suoi scritti è stata curata in inglese e tedesco da Franz-Joachim
Verspohl nel 2001. La sua corrispondenza e i suoi manoscritti sono oggi
disponibili allo Smithsonian Institute [109]. Forse la Ashton gli assegna
un’importanza inferiore a quella che oggi gli viene universalmente attribuita.
La breve citazione è tratta da una lezione tenuta a Brooklyn nel 1959, in cui
l’artista spiega l’uso della tecnica nella sua arte. “Due problemi dovevano essere affrontati. Uno era spaziale e l'altro
metodologico. Nel primo caso ho dovuto fare qualcosa a proposto della pittura
relazionale, ovvero del bilanciamento delle varie parti del dipinto l'una rispetto
all'altra. L’ovvia risposta è stata la
simmetria: rendere la stessa immagine dappertutto. Rimaneva comunque la questione
di come farlo in modo da rendere la profondità. Un'immagine simmetrica o una configurazione
posizionata simmetricamente su uno sfondo aperto non trova il suo bilanciamento
nello spazio illusionistico. La soluzione a cui sono arrivato (e probabilmente
ce ne sono molte altre, anche se ne conosco solo una, ovvero la densità del
colore), forza lo spazio illusionistico fuori dal dipinto a intervalli costanti
usando uno schema regolato. Rimaneva semplicemente il problema di trovare un
metodo di applicazione della pittura che seguisse e completasse la soluzione
progettuale. Ciò è stato fatto utilizzando la tecnica e gli strumenti degli
imbianchini” [110].
Robert Smithson è uno dei più giovani artisti inseriti
nell’antologia da Dore Ashton. La raccolta dei suoi scritti (The Writings of Robert Smithson) è stata
pubblicata nel 1979 a cura di Nancy Holt, qualche anno dopo la sua morte in un incidente aereo; una seconda raccolta (Robert Smithson: The Collected Writings) è stata curata da Jack
Flam nel 1998. Il testo citato dalla Ashton, dedicato all’applicazione del
concetto di entropia all’arte, è tratto da Artforum del 1966. Ci offre
una lettura teorica del minimalismo: “Invece
di farci ricordare (come i vecchi monumenti) il passato, i nuovi monumenti
sembrano farci dimenticare il futuro. Invece di essere realizzati con materiali
naturali, come marmo, granito o altri tipi di roccia, i nuovi monumenti sono
realizzati con materiali artificiali, plastica, cromo e luce elettrica. Non
sono costruiti per i secoli, ma piuttosto contro i secoli. Sono coinvolti in
una sistematica riduzione del tempo fino a frazioni di secondi, piuttosto che
nel rappresentare i lunghi spazi dei secoli” [111].
Pop Art
Si è
già detto nella prima parte di questo post che l’antologia non contiene alcun
riferimento ad Andy Warhol (1928-1987). Non può certo trattarsi di una
svista e deve essere segno di una marcata antipatia per l’artista più iconico
di quegli anni. La Pop art è invece presente in Twentieth-Century
Artists on Art con
Roy Lichtenstein (1923-1997), Robert Rauschenberg (1925-2008), George Segal
(1924-2000), Claes Oldenburg (1929-), Jasper Johns (1930-), James Rosenquist
(1933-2017) e Jim Dine (1935-). Dei loro testi va detto che molti sembrano
mettere in questione (probabilmente anche in toni sarcastici) le stesse basi
della Pop art, e non sembrano comunque particolarmente convincenti. Che la
Ashton non sia all’unisono con questa scuola è confermato del resto da una sua
intervista del 2013, concessa al critico d’arte americano James Panero: “Non sono mai stato interessata alla Pop art.
L'unico artista associato a quell’indirizzo che ho ammirato è stato Claes
Oldenburg, ma non direi nemmeno che sia esattamente un artista pop. Quindi l'ho
seguito e ho scritto su di lui, ma non tanto sugli altri. Con uno o due di loro
sono stata in rapporti amichevoli, ma non ho mai scritto su di loro” [112].
La Fondazione Lichtenstein offre un catalogo completo [113] di
tutti gli scritti di e sull’artista, universalmente conosciuto per le sue
stampe di chiara ispirazione fumettistica, prodotte a partire dal 1957. Nelle
poche parole introduttive, la Ashton lo ricorda invece anche (e forse
soprattutto) per le sue opere espressioniste dei primi anni Cinquanta. Il brano
nell’antologia è tratto da un’intervista con Gene R. Swenson (1934-2016) del
1963 [114]. Swenson era, all’epoca, un giovane critico d’arte che intervistava
i maggiori artisti pop di quegli anni (“What
is Pop Art? Answers from Eight Painters”) sulla rivista ARTNews.
Swenson (che, dopo essere stato una giovane promessa della critica d’arte, fu
vittima di gravi problemi di salute e sostanzialmente abbandonò il mestiere)
chiede: “Che cos’è la Pop Art?”.
Lichtenstein risponde: “Non lo so - l'uso
dell'arte commerciale come tema della pittura, suppongo. È stato difficile realizzare
un dipinto che fosse abbastanza spregevole da ottenere che nessuno lo volesse
mai appeso: tutti appendevano tutto. Ormai si accettava quasi di appendere uno
straccio di vernice gocciolante, tutti vi si erano abituati. L'unica cosa che
tutti odiavano era l'arte commerciale; a quanto pare non sono riusciti ad
odiarla abbastanza” [115]. La
critica successiva interpretò le parole di Lichtenstein come un tentativo
sarcastico di evitare il confronto con il tema [116].
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Fig. 64) La collezione di scritti e interviste di Robert Rauschenberg edita in più lingue dalla casa editrice Polígrafa a cura di Sam Hunter nel 2007. Qui la copertina dell’edizione americana. |
Una raccolta di scritti e interviste di Robert Rauschenberg
è stata pubblicata dalla casa editrice Polígrafa
simultaneamente in francese, spagnolo e inglese nel 2007. La citazione
menzionata da Dore Ashton è straordinariamente breve e risale al 1959 (tratta
dal catalogo della mostra Sixteen
Americans al MoMa di New York). Lo stile è quello stringato di un aforisma:
“La pittura è legata sia all'arte che
alla vita. Nessuna delle due cose può essere realizzata. Cerco di agire in quel
divario tra i due elementi” [117]. La Robert Rauschenberg Foundation
offre un’amplissima offerta di materiali digitalizzati (compresa corrispondenza,
interviste e articoli) [118].
George Segal è famoso per le sue sculture basate su calchi
in gesso. Il suo è un vero e proprio ritorno al realismo, come egli scrive nel
1978 nel catalogo di una mostra tenutasi a Minneapolis. “Ho introdotto molto realismo nel mio lavoro, come correzione ad alcuni
eccessi che ho notato nella pittura astratta degli anni '50. Lo consideravo un
sano rimedio a riferimenti che erano diventati sempre più pallidi e tenui – ed
erano ormai distaccati dalle esperienze di vita” [119]. Il brano continua
con accenti quasi leonardeschi sulla necessità di osservare sempre gli uomini e
i loro movimenti, ad esempio cogliendo le loro espressioni mentre si è alla
guida della macchina durante la notte profonda, mentre si stagliano contro le luci
di New York. Dello scultore non è stata pubblicata una raccolta di scritti.
L’archivio dei manoscritti è oggi custodito dall’Università di Princeton [120].
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Fig. 65) La raccolta di scritti di Claes Oldenburg pubblicata dal MoMa di New York nel 2013 |
Claes Oldenburg, lo si è detto, è forse l’unico artista pop
che piaccia alla Ashton. Una raccolta dei suoi scritti tra 1956 e 1969 è stata
pubblicata sotto il titolo Claes
Oldenburg: Writing on the Side nel 2013: è stato edita dal MoMa di New
York, con la curatela affidata a Achim Hochdörfer, Maartje Oldenburg e Barbara
Schröder. Comprendono, oltre ad articoli e saggi, anche ampie citazioni dei
suoi diari. La Fondazione dedicata a Claes Oldenburg e alla moglie Coosje van
Bruggen presenta una lista di suoi scritti [121]. Le citazioni nell’antologia
sono tratte da un articolo pubblicato sul mensile statunitense Artforum nel 1966. In esso l'artista spiega i
suoi meccanismi creativi, basati sull’imitazione di oggetti della vita
quotidiana: “Uso un’ingenua imitazione.
Questo non perché non ho immaginazione o perché desidero dire qualcosa sul
mondo di tutti i giorni. Io imito 1. oggetti e 2. oggetti creati, ad esempio
segni. Oggetti realizzati senza l'intenzione di creare "arte" e che
ingenuamente contengono al tempo stesso una magia funzionale. Cerco di ampliarla
ancora facendo uso della mia ingenuità, che non è artificiale” [122].
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Fig. 66) La raccolta di scritti di Jasper Johns pubblicata dal MoMa di New York nel 1997 |
A Jasper Johns il MoMa di New York ha dedicato una
collezione di Scritti, note di diario ed interviste nel 1997, a cura di Kirk
Varnedoe e Christel Hollevoet. Il breve testo citato da Dore Ashton, tratto da
un catalogo del MoMa del 1959, si riferisce a Cézanne, Duchamp e Leonardo. Da
essi egli trae ispirazioni diverse, che lo aiutano a confrontarsi con una
moltitudine di impulsi provenienti dalla natura. “In generale, sono contrario alla pittura che riguarda le concezioni
della semplicità. Tutto mi sembra molto complesso” [123]. Johns è stato uno
dei fondatori della Foundation for
Contemporary Arts di New York nel 1963.
La ricca collezione di scritti di James Rosenquist è
documentata dal sito internet dedicato all’artista [124]. La citazione
nell’antologia è tratta da una monografia dell’artista Michael Compton (1947-)
sull’arte pop. Rosenquist riflette nel 1964 sulla natura commerciale della sua
creazione. “Penso che abbiamo una società
libera; questa società libera consente delle invasioni di campo, come capita
alle società commerciali. Così mi sono orientato, come un pubblicitario o una
grande azienda, a questa inflazione visiva – tipica della pubblicità
commerciale che è uno dei fondamenti della nostra società” [125].
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Fig. 67) Raccolte di poesie di Jim Dine |
In alcuni brani tratti da diverse interviste Jim Dine, padre
del movimento americano Neo-dada, esprime per la verità dubbi e incertezze
sulla Pop art stessa, considerata troppo esteriore. “In questo senso, non mi sento molto puro. Non mi occupo esclusivamente
dell'immagine popolare. Mi preoccupo di essa più come parte del mio paesaggio.
Sono sicuro che tutti sono sempre stati consapevoli di quel paesaggio, del
paesaggio artistico, del vocabolario dell'artista, del dizionario dell'artista”
[126]. È per molti versi sorprendente che non vi sia nessun riferimento alla
sua produzione in versi, dal momento che Dine, oltre a dipingere, è stato anche poeta. Sono sue le raccolte Diary
of a Non-Deflector: Selected Poems (1987) e This Goofy Life of Constant
Mourning (2004). Nel 2015 è uscito un volume che presenta tutte le sue poesie
con il titolo Poems to work on.
Arte immateriale, installazioni e performance
La Ashton non rinuncia a indagare le ragioni dei
movimenti che hanno a che fare con l’idea della smaterializzazione dell’arte
(che assume ovviamente forme molto diverse negli anni Settanta e Ottanta). In
ordine cronologico di nascita vorrei qui ricordare Allen Kaprow (1927-2006),
Robert Irwin (1928-), Öyvind Fahlström (1928-1976), Donal Judd (1928-1994),
Robert Morris (1931-2018) e Christo (1935-).
Allen Kaprow – uno degli inventori dell’happening
negli anni Cinquanta – scrive d’arte a partire dalla fine di quel decennio, sia
con testi di critica - ad esempio sull’eredità di Jackson Pollock (1958) – sia
su temi filosofici – come il saggio The
Meaning of Life (1990). Dore Ashton cita un passo del suo pamphlet Some recent happenings del 1966,
ristampato nel 2007: “Un Happening è un
insieme di eventi eseguiti o percepiti in più di un tempo e di un luogo. I suoi
ambienti materiali possono essere costruiti, presi o diretti direttamente da
ciò che è disponibile o leggermente modificati; così come le sue attività
possono essere inventate o banali. Un Happening,a differenza di uno spettacolo
teatrale, può accadere in un supermercato, guidando lungo un'autostrada, sotto
una pila di stracci e nella cucina di un amico, sia in una sola volta che in
sequenza. Se in sequenza, il tempo può estendersi fino a più di un anno.
L'Happening viene eseguito secondo un piano, ma senza prove, pubblico o
ripetizione. È arte, ma sembra più vicino alla vita” [127]. Da ricordare
che nel 1993 è stata pubblicata una raccolta di scritti dell’artista, dal
titolo Saggi sull’unione di arte e vita (University of
California Press), a cura di Jeff Kelley, poi ripubblicata in una
versione ampliata nel 2003 dallo stesso editore. L’archivio di Allen Kaprow è
custodito alla Fondazione Getty [128].
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Fig. 69) Notes Toward a Conditional Art: Writings of Robert Irwin, Getty Publications, 2011 |
Di Robert Irwin è stata pubblicata nel 2011 una selezione di
scritti a cura di Matthew Sims. L’artista ha sempre scritto molto (il suo ricco
fondo archivistico è conservato presso la Getty Foundation [129]). Gli
esperimenti minimalisti con la luce sono descritti nel 1976 in un passaggio che
Dore Ashton trae da un catalogo del MoMa: “Ogni
elemento ha le sue immagini; ha anche la sua fisicità. Può essere affrontato su
entrambi i livelli. Ho allontanato la storia dell'arte moderna dalle immagini e
ho cercato di affrontarla solo in termini di fisicità. Se si considera che
abbiamo occhi molto focalizzati sull'immagine, questo è molto difficile (l'intelletto
è un sistema di messa a fuoco). Quindi mi sono impegnato a realizzare ciò che
alcuni chiamavano "far meno è più", cosa che non è affatto vera; stavo
solo cercando di eliminare le immagini a favore della fisicità. Volevo massimizzare la fisicità minimizzando le immagini” [130].
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Fig. 70) Raccolte di scritti di Öyvind Fahlström in inglese (2008) e francese (1982) |
Il poeta e scrittore Öyvind Fahlström è oggi considerato un
antesignano dell’arte multimediale, per aver integrato disegno, poesia, pittura
e testi teatrali in installazioni neo-dadaiste di forte impegno sociale. Nato e
cresciuto in Svezia, si trasferì prima a Parigi e poi a New York. La sua
produzione comprende pieces teatrali, film, testi per installazioni e scritti
d’estetica in svedese, ad esempio il Manifesto
per una poesia concreta del 1953), studiati da Antonio Sergio Bessa in un
saggio del 2008 intitolato Oyvind
Fahlstrom: The Art of Writing. In precedenza, una sua raccolta di scritti
era uscita in francese nel 2002 (Essais
choisis) a cura di Vincent Pécoil. Quanto al brano citato dalla Ashton, ci
vengono presentati alcuni pensieri del 1966 raccolti nel catalogo di una mostra
tenutasi al MoMa del 1982, in cui si parla dell’interazione tra l’arte e la riforma
sociale. L’arte è una fusione di divertimento e comprensione della realtà (a fusion of ‘pleasure’ and ‘insight’)
[131]. Compito dell’artista è di creare arte secondo procedure che consentano
anche a chi non ha mezzi finanziari di divertirsi e comprendere la realtà;
dunque la trasformazione dell’arte da bene di consumo (un quadro) a forma
aleatoria (un happening) ha in realtà anche un significato di
democratizzazione dell’arte. “La pittura, la scultura, ecc.
rappresentano oggi il mezzo artistico più arcaico, e dipendono ancora da
mecenati feudali che pagano in modo esorbitante l'unicità e la magia del
feticcio. (...) È tempo di incorporare i progressi della tecnologia per creare
opere d'arte prodotte in serie, ottenibili sia da ricchi sia da non ricchi.
Opere in cui l'artista mette tanta qualità nella concezione e il produttore
tanta qualità nella produzione, così come si trova nelle migliori opere d'arte
fatte a mano. Il valore della forma variabile: non avrai mai esattamente lo
stesso pezzo del tuo vicino” [132].
Donald Judd ha scritto molto, a partire dalla fine degli
anni Cinquanta. Una selezione davvero ristretta di testi è offerta sul sito
internet della Fondazione Judd [133]. La prima raccolta di scritti di Judd è
comparsa nel 1975, ad opera della New York University Press. Una nuova (e
corposa) antologia (più di mille pagine) è stata pubblicata nel 2016 a cura
della Judd Foundation e di David Zwirner Books; ad essa è seguita la
recentissima raccolta di interviste, ad opera degli stessi editori (2019). La
dichiarazione scelta da Dore Ashton, tratta da un articolo dell’artista del 1965,
tratta del tema della complessità nell’arte, che è rimasta immutata, ma si
esprime in forme diverse. L’arte delle epoche precedenti si traduceva nella
rappresentazione prospettica di spazi e contenuti; l’arte astratta nella
dimensione e nei lineamenti; quella posta in essere invece da Judd nell’unità
formale. “Nel lavoro tridimensionale il
tutto è realizzato secondo scopi complessi, e questi non sono dispersi ma
affermati da una forma. Non è necessario che in un'opera vi siano molte cose da
guardare, confrontare, analizzare una ad una, contemplare. La cosa nel suo
insieme, la sua qualità nel suo insieme, è ciò che è interessante” [134].
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Fig. 72) La raccolta degli scritti di Robert Morris, pubblicata nel 1994 da MIT press |
Gli scritti dello scultore Robert Morris sono stati raccolti
da MIT Press in occasione di una mostra al Guggenheim Museum di New York nel
1994. La Ashton lo presenta come uno degli artisti più preparati in termini
teorici, anche grazie alla sua formulazione di una teoria della percezione
basata sul concetto di gestalt (Gestalt è originariamente un termine che
significa forma. È un concetto tecnico legato alla percezione, ampiamente
usato nella psicologia, compresa la psicologia dell’arte). ”Le
caratteristiche di una gestalt sono che, che una volta che tutte le
informazioni su di essa sono stabilite, come gestalt, essa si esaurisce:
non si cerca, ad esempio, la gestalt di una gestalt. Inoltre, una
volta stabilita, essa non si disintegra. Si è quindi liberi dalla forma e legati
ad essa. Liberi o liberati a causa dell'esaurimento delle informazioni su di
essa, come forma, ed invece legati ad essa perché rimane costante e
indivisibile” [135].
Di Christo non abbiamo una raccolta di scritti (né il sito https://christojeanneclaude.net ne
indica una lista). Nel passo scelto da Dore Ashton per l’antologia l’artista
spiega di voler tornare all’epoca del decimo secolo dopo Cristo, quando l’arte
era monumentale e dunque non era un bene materiale da possedere, ma “una comunicazione molto più fluida (...)
molto più democratica di oggi. A quel tempo nessuno si occupava di possedere
l'arte perché la gente possedeva i re e gli dei, e c'era un legame completo; per
loro i re e gli dei erano la stessa cosa, ed erano il legame diretto con un'arte che era reale, esistente” [136]. Il testo
è tratto da un’intervista del 1979.
NOTE
[78] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art,
New York, Pantheon Books, 1985, 302 pagine. Il libro è consultabile
all’indirizzo https://archive.org/details/twentiethcentury0000asht.
Citazione a pagina 231.
[79] Si
veda: https://www.aaa.si.edu/collections/interviews/oral-history-interview-richard-lindner-10612.
[80] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art
(citato), p.193.
[82] L’articolo,
intitolato Rectangular Structure in My
Montage Paintings, è interamente consultabile su https://www.jstor.org/stable/1571921?seq=1#page_scan_tab_contents.
[83] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art
(citato), p.192.
[84] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art
(citato), p.215.
[86] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art
(citato), p.206.
[87] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art (citato),
p.206.
[90] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art
(citato), pp.188-189.
[91] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art
(citato), p.240.
[94] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art
(citato), p.253.
[96] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art
(citato), p.244.
[98] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art
(citato), p.222.
[101] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art
(citato), p.228.
[102] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art
(citato), p.204.
[103] Si
veda: https://diaart.org/visit/visit/the-dan-flavin-art-institute-bridgehampton-united-states.
[105] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art
(citato), p.189.
[106] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art
(citato), pp.216-217.
[108] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art
(citato), p.213.
[110] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art
(citato), p.256.
[111] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art
(citato), p.255.
[112] Si
veda https://hyperallergic.com/65051/renowned-art-historian-dore-ashton-talks-art-criticism-the-art-bubble-and-the-dedalus-foundation/.
[114] L’intervista
completa è accessibile alla pagina
[115] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art
(citato), p.229.
[116] Si veda: https://www.artspace.com/magazine/interviews_features/book_report/roy-lichtenstein-what-is-pop-art-55006.
[117] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art
(citato), p.243.
[118] Si
veda: https://www.rauschenbergfoundation.org/sites/default/files/RRFA_01_FindingAid-September2019.pdf.
[119] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art
(citato), p.248.
[122] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art
(citato), p.241.
[123] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art
(citato), p.220.
[124] Si veda: http://www.jamesrosenquiststudio.com/.
[125] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art
(citato), p.246.
[126] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art
(citato), p.201.
[127] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art
(citato), p.221.
[129] Si
veda: http://archives2.getty.edu:8082/xtf/view?docId=ead/940081/940081.xml;query=;brand=default.
[130] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art
(citato), p.218.
[131] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art
(citato), p.203.
[132] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art
(citato), p.204.
[134] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art
(citato), p.221.
[135] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art
(citato), p.233.
[136] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art
(citato), p.196
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