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Giovanni Mazzaferro
Una copia delle Vite giuntine (1568) posseduta da Marcantonio Vasari e custodita in Fondazione Cavallini Sgarbi
Fig. 1) Frontespizio del secondo tomo delle Vite di Giorgio Vasari (1568) in Fondazione Cavallini Sgarbi |
La Fondazione Cavallini Sgarbi
conserva due esemplari delle Vite di Giorgio Vasari: uno è della princeps,
stampata nel 1550 (nota anche come edizione Torrentiniana), e l’altro è della
seconda edizione (o Giuntina), pubblicata nel 1568. Ho avuto modo di osservarli
personalmente di recente e credo valga la pena soffermarsi sui tre volumi della
versione stampata nel 1568 per almeno due motivi [1]: il primo è che in tutti i
frontespizi dei tre tomi in questione compare la firma di possesso di
Marcantonio Vasari; il secondo è che nell’ultimo volume le pagine da 892 a 981
presentano una serie di quarantasei correzioni eseguite a mano che evidenziano
la presenza di un anonimo revisore di tutta la sezione dedicata alla Descrizione degli apparati per le nozze di
Francesco de’ Medici e Giovanna d’Austria.
Marcantonio Vasari
Fig. 2) Frontespizio del terzo tomo delle Vite di Giorgio Vasari (1568) in Fondazione Cavallini Sgarbi |
Nell’albero genealogico della
famiglia Vasari curato nel 1930 da Alessandro Del Vita i Marcantonio Vasari
sono, in realtà, due [2]. Il primo è nipote di Giorgio; si tratta del figlio
secondogenito di Ser Pietro (1526-1595), fratello dell’artista aretino. Non
sappiamo quando nacque, mentre è certo che morì il 23 agosto 1606. Marcantonio
era fratello più anziano del più noto Giorgio Vasari il Giovane (1562-1625). Giorgio il Giovane,
a sua volta, diede nome Marcantonio al penultimo dei suoi figli (1608-1668), in
ricordo del fratello morto due anni prima. Di quest’ultimo sappiamo veramente
poco, se non che fu avviato alla vita sacerdotale.
Non che per il primo (ovvero di
Marcantonio di Pietro) le cose vadano molto meglio. Tuttavia il nipote di
Vasari compare frequentemente nel carteggio dello scrittore aretino, dal 1569
al 1573, e dall’analisi complessiva delle lettere che lo riguardano appare
chiaro l’interessamento di Giorgio per le sorti del giovane nipote. Le missive
provengono quasi tutte dal fiorentino monsignor Guglielmo Sangalletti
(1524-1599), tesoriere e cameriere segreto di Papa Pio V (1504-1572), punto di
riferimento di Giorgio Vasari per le commissioni artistiche provenienti dal
Pontefice. La vicenda appare chiara, anche se si ricava dalle sole risposte del
prelato. Nel maggio del 1569 Vasari scrive a Sangalletti per informarlo che il
priore di Santa Maria Novella è in viaggio per Roma e che andrà a fargli visita
per parlargli di una questione relativa a Marcantonio; ai primi di giugno lo
stesso Sangalletti conferma l’avvenuto colloquio e assicura che si interesserà
alle sorti del nipote di Vasari. Giorgio, su richiesta del fratello, sta
cercando di introdurre Marcantonio presso la corte papale, primo passo per
un’auspicata importante carriera ecclesiastica. Gli accordi preliminari durano
qualche mese, e vanno di pari passo con l’esecuzione di quadri commissionati
dal Papa o dallo stesso Sangalletti, finché quest’ultimo, il 25 novembre, non
scrive che la sera prima sono arrivati presso di lui Pietro Vasari con suo
figlio Marcantonio. Il mittente si ripromette di presentare il giorno dopo il ragazzo
al Cardinal Alessandrino. In effetti, come risulta chiaro dalle lettere
successive, Marcantonio entra a far parte della corte di Michele Bonelli,
Cardinal nipote di Pio V, noto anche come Cardinal Alessandrino. In realtà,
molte delle missive degli anni successivi non contengono altro che generiche
rassicurazioni sullo stato di salute di Marcantonio e sul regolare andamento
dei suoi studi. Ma quanti anni ha, Marcantonio, quando entra nella corte
pontificia? Purtroppo non ci sono indicazioni in materia. Tuttavia ci sono indizi che fanno pensare che sia molto giovane e non arrivi ai diciotto anni (e sia nato,
quindi, poco dopo il 1550). Nella lettera del 25 novembre che ho citato in
precedenza (e in un paio di occasioni successive) Sangalletti parla di
Marcantonio definendolo ‘putto’ (“et di prima vista il putto mi piacie
sommamente e credo farà onore”).
Nel maggio del 1572 Papa Pio V
muore, e Vasari, che si trova a Roma, scrive a Vincenzo Borghini parlando di
grande perdita, perché ‘asettavo’ [4] Marcantonio, e le cose tornano invece in
alto mare. Solo con lettera del 29 maggio 1573 (più di un anno dopo, quindi) l’artista
comunica a Borghini che il nuovo pontefice, Gregorio XIII, “ha dato [a
Marcantonio] un entrata di scudi 100 l’anno per il primo ufizio che vaca, o
cavalierato o altro”. Si tratta dell’ultima informazione desumibile dal
carteggio vasariano, da cui emerge, comunque, l’impegno costante dello zio per
far sì che un membro della propria famiglia possa beneficiare delle sue fortune
artistiche per intraprendere una brillante carriera ecclesiastica. Di
Marcantonio, peraltro, sappiamo poco altro. Lo incontriamo assieme ai fratelli
in un paio di occasioni dopo la morte di Giorgio (1574). Nel suo testamento,
redatto il 7 luglio 1606, Marcantonio si definisce «decano al presente della
Collegiata aretina», vale a dire della Pieve della città [5]. In sostanza, la
sua sembra essere stata una carriera ecclesiastica condotta nell’ambito dei
luoghi di origine. Non è da dimenticare, tuttavia, che Marcantonio scrisse,
verso la fine del Cinquecento, una biografia dello zio, rimasta incompiuta e
tuttora inedita, che, in sostanza ricalca quanto emerge dall’autobiografia
vasariana delle Vite e dalle Ricordanze, con qualche elemento di
novità. Il manoscritto è conservato presso l’Archivio Vasariano con segnatura
Codice 2 (già 36 bis) [6]. Non intendo certo operarne una valutazione qui, e
soprattutto cercare di capire se l’opera era destinata alla celebrazione
dell’artista nell’ambito di un disegno complessivo che, storicamente, fu
condotto (e coordinato?) dal fratello minore di Marcantonio, ovvero Giorgio
Vasari il Giovane [7].
Ciò che importa, in questa sede,
è il confronto fra la calligrafia della biografia e la firma presente nei
frontespizi dei tre tomi appartenenti alla Fondazione Cavallini Sgarbi. In
merito devo segnalare che, a mio parere, la firma dei tomi II e III (vedi foto
1 e 2) è di mano diversa da quella del primo volume (cfr. foto 3). Quest’ultima
è del tutto compatibile con la calligrafia della biografia [8] e lascia pochi
dubbi sul fatto che il proprietario dei testi sia stato Marcantonio di Pietro,
nipote di Giorgio, e non Marcantonio di Giorgio il giovane, suo pronipote.
Fig. 3) Frontespizio del primo tomo delle Vite di Giorgio Vasari in Fondazione Cavallini Sgarbi |
Mi sembra, inolte, del tutto
lecito pensare che l’esemplare in questione non sia mai finito sul mercato, e
abbia fatto parte di una dotazione iniziale lasciata nella disponibilità
dell’autore (e da costui distribuita come meglio ritenuto opportuno).
Cenni alla storia tipografica dell’edizione Giuntina
Per inquadrare meglio la serie di
correzioni che si trova alla fine del terzo tomo dell’esemplare custodito in
Fondazione Cavallini Sgarbi mi è necessario richiamare alcuni elementi
fondamentali sulla storia tipografica dell’edizione Giuntina. Si tratta di una
materia per molti versi ancora da esplorare. In generale, è noto che la
pubblicazione dei tre tomi fu un’impresa piena di difficoltà e foriera di
incomprensioni fra l’autore e il suo entourage
da una parte e gli stampatori dall’altra [9]. In particolare, i problemi
principali si verificano in sede di stampa del terzo e ultimo tomo, perché il
tempo stringe. Sono note le sollecitazioni del duca Cosimo perché l’opera esca
prima possibile e d’altro canto le lamentele di Jacopo Giunti per la confusione
e l’inadempienza da parte di Vasari e dei suoi collaboratori. Il risultato
fisico è un’opera in cui il terzo tomo contiene centinaia di errori e
incongruenze grossolane, come, ad esempio, il salto di numerazione in molte pagine e la ripetizione in altre. Un altro degli aspetti più noti è la
mancata corrispondenza fra indici e reale presenza nel testo dei luoghi e dei
nomi che vi sono citati. Tali incongruenze sono segno, per Carlo Simonetti,
della ricomposizione di intere biografie negli ultimi mesi di lavorazione della
pubblicazione [10]. Nuovi studi sembrano in realtà spiegare diversamente il
fenomeno. Sia Girotto sia Sorella, ad esempio, sottolineano l’importanza del casting-off, fenomeno assai frequente
all’epoca. In presenza di parti mancanti, che tardavano ad arrivare in
tipografia, si procedeva a un calcolo del tutto indicativo dello spazio che
tali parti avrebbero occupato e si andava oltre. In sostanza, l’indice è stato
stampato prima dell’ultima parte del volume. In presenza di errori materiali o
di calcoli errati, le cose si complicano drammaticamente [11].
In realtà, il vero problema della
Giuntina è che spesso viene consultata senza sapere esattamente cosa si cerca.
Non è affatto una notazione polemica. È capitato anche a me. All’improvviso
si crede di ravvisare un’anomalia e capita, ad esempio, al decimo esemplare che
si ha sotto mano. Il problema è che i nove precedenti sono sparsi in località
diverse e andarli a rivedere comporta un costo marginale elevatissimo. Per questo sarebbe fondamentale avere accesso
online al maggior numero possibile di esemplari. Né, sia chiaro, una volta
individuati aspetti particolari, li si interpreta univocamente. A p. 39
dell’introduzione della sua nuova edizione delle Vite giuntine [12], Enrico Mattioda segnala un esemplare del terzo
tomo conservato presso la Bibliothéque Nationale de France e consultabile su www.gallica.bnf.fr in cui un passo della
biografia di Baccio Bandinelli presenta un riferimento a don Vincenzio Borghini
introvabile altrove. L’unico modo per accorgersi di questa variante (che
effettivamente comporta una ricomposizione) è perché all’inizio dello stesso
tomo vi è una nota, scritta a mano in francese, che la segnala, e subito dopo
il frontespizio sono riportate le quattro pagine ‘normalizzate’
(449-450-455-456) destinate a sostituire le precedenti. Si tratta dell’unico caso
di questo tipo? Non lo so. Quello che mi pare certo è che Mattioda ne dà
un’interpretazione sbagliata: “questo passo ci mostra una linea di ricerca che
andrà proseguita nei prossimi anni e fa desiderare altri approfondimenti sul
testo delle Vite, almeno per
comprendere se i frequenti salti nella paginazione nascondano tagli,
ripensamenti, riscritture che forse qualche copia conserva” [13].
Un’affermazione su cui non si può concordare, posto che, in questo caso, la
ricomposizione avviene in un’area del tomo in cui non c’è alcun salto di
pagina, e che, come detto, tali salti sono la combinazione di errori materiali
e prassi del casting-off e non di
censure o tagli dell’ultimo minuto.
Correzioni redazionali
Ci sono poi casi in cui appare
evidente che lo stampatore interviene accorgendosi di un errore ritenuto grave
solo dopo che la stampa è stata fatta e, molto probabilmente, a rilegatura
avvenuta. Siamo di fronte, insomma, a correzioni redazionali, fenomeno all’epoca
molto più comune di quanto si possa ritenere [14]. Una è molto famosa. Si
tratta della dicitura che compare sotto il ritratto di Girolamo Genga. In
origine viene stampato “CRISTOFANO SCVLTORE”. Poi, all’ultimo momento, e,
anzi, quando la distribuzione dell’opera è già cominciata si provvede a
incollare a mano un’etichetta che riporta la corretta dicitura “GIROLAMO GENGA
PIT. / Architetto”. La maggior parte degli esemplari giunti sino a noi hanno
l’etichetta, o l’avevano. Col tempo, infatti, la colla ha finito di fare il
proprio lavoro e l’etichetta si è staccata, lasciando però chiare tracce di sé,
posto che tutta l’area si è ingiallita.
Fig. 4) La correzione in corrispondenza del ritratto di Girolamo Genga nell'esemplare delle Vite giuntine (1568) in Fondazione Cavallini Sgarbi |
‘Gratioso’ / ‘gradito’: fu un vero errore?
Meno famosa, ma di particolare
importanza per quanto riguarda l’esemplare Cavallini Sgarbi, è invece una correzione
che si trova a p. 941 (fascicolo YYyyy3r) in cui nel verso ‘Pel gratioso
inclito et pio’ il termine ‘gratioso’ è cassato e, a lato, una mano che sembra
sempre la stessa scrive ‘gradito’.
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Fig. 5) La correzione 'gratioso/gradito' nell'esemplare Cavallini Sgarbi |
Che io sappia, la prima ad
accorgersi che si tratta di una correzione redazionale è Ruth Mortimer, nel
secondo volume del suo repertorio bibliografico sulle cinquecentine italiane [15].
Da allora, l’intervento è segnalato, ma non gli è attribuita particolare
importanza. Eppure una riflessione va fatta; se fra centinaia (o addirittura
migliaia) di errori, un tipografo sente il bisogno di prendere un garzone e
fare una correzione a mano su migliaia di copie di un libro già stampato e in
corso di distribuzione vuol dire che, all’epoca, l’errore doveva essere
considerato grave, esattamente come scrivere sotto il ritratto di un artista un
nome sbagliato. O ci sono altre possibili spiegazioni?
Cerchiamo di comprendere il
contesto. Ci troviamo, in realtà, nell’ambito del capitolo dedicato da Vasari
agli Accademici del Disegno e, ancora più nello specifico, nella seconda parte
di esso, che accoglie un’ “operetta scritta per via d’esercitazione da persona
otiosa” da un anonimo e che descrive gli apparati allestiti per l’ingresso di Giovanna
d’Austria a Firenze in occasione delle sue nozze con Francesco I de Medici
(1565). Oggi sappiamo che la ‘persona otiosa’ è Giovan Battista Cini (1528-1586),
membro dell’Accademia fiorentina, protetto di Cosimo e collaboratore del Vasari
[16]. In realtà, l’inserimento delle pagine di Cini fu poco gradito ai Giunti, che
si lamentavano della mancanza di ‘novità’ del materiale. In una lettera del 20
settembre 1567 Vasari scrive a Borghini: “… Intanto il Cino combatte coi
Giunti, che non vorreno aver a stampare queste mascherate, entrate et trionfi,
perché guasta la loro bottega” [17]; nella stessa lettera riferisce di
aver parlato con Cosimo, che ha fatto capire che è giunta l’ora di arrivare a
pubblicare. Solo l’11 ottobre Cini consegna la prima parte della sua Descrizione degli apparati; sulla
seconda non abbiamo indicazioni precise. Una cosa è certa: la confusione deve
essere stata enorme, e i tempi dedicati alla revisione del testo dell’accademico
fiorentino praticamente nulli.
In questo contesto, si diceva,
rientra la vicenda della sostituzione redazionale di ‘gratioso’ con ‘gradito’.
A p. 941 (fascicolo YYyyy3r.) compaiono non uno, ma due componimenti poetici
che però non sono fra loro fisicamente separati (è saltata, insomma,
l’originaria spaziatura). Si tratta di un grave errore del compositore, e non a
caso ancor oggi si ritiene, a torto, che si sia di fronte a un’unica
‘canzonetta’ quando invece Cini, introducendole, scrive: “di cui sonando e
cantando le lodi come nelle seguenti canzonette, facendo nella seconda un nuovo
et allegrissimo e molto vezzoso ballo” [18]. Ebbene, nessun intervento
redazionale segnala il salto di spaziatura, mentre si provvede a cancellare
‘gratioso’ e a sostituirlo con ‘gradito’ nella seconda canzonetta, di cui
riporto qui sotto la parte iniziale, interessata dalla correzione:
“Imeneo, dunque, ognun chiede,
Imeneo vago ed adorno:
Deh, che lieto e chiaro giorno,
Imeneo, teco oggi riede!
Imeneo, per l’alma e diva
Sua GIOVANNA, ognor si sente
Dal gran Ren ciascuna riva
Risonar soavemente;
E non men l’Arno lucente
Pelgrazioso inclito e pio
GRADITO
Suo Francesco aver desio
D’Imeneo lodar si vede” [19]
Imeneo vago ed adorno:
Deh, che lieto e chiaro giorno,
Imeneo, teco oggi riede!
Imeneo, per l’alma e diva
Sua GIOVANNA, ognor si sente
Dal gran Ren ciascuna riva
Risonar soavemente;
E non men l’Arno lucente
Pel
Suo Francesco aver desio
D’Imeneo lodar si vede” [19]
Il senso della frase è abbastanza
chiaro. Così come il Reno invoca la presenza di Imeneo (o Imene), protettore
del rito dei matrimoni, per la sua Giovanna d’Austria, così fa l’Arno per il
suo Francesco de’ Medici, ‘gratioso, inclito e pio’. La sostituzione di
‘gratioso’ con ‘gradito’ non si spiega con ragioni metriche (siamo sempre in
presenza di un ottonario).
A questo punto, le ipotesi sono
due. O noi (io) oggi non siamo in grado di percepire la gravità dell’errore (in
fondo stiamo parlando di un aggettivo riferito al figlio di Cosimo, patrono del
Cini e potrebbe esserci, in quel ‘gratioso’ una connotazione di ridicolo od
offensivo che personalmente non colgo) oppure, sino a ora, abbiamo seguito una
pista sbagliata. La sostituzione di ‘gratioso’ con ‘gradito’ non è la
sistemazione di un errore, ma un ripensamento dell’ultimo minuto dell’autore
(ossia del Cini) probabilmente sostenuto da Vasari. Si colgono meglio, in
questo contesto, le lamentele che Jacopo Giunti indirizza a Borghini nella sua
lettera del 9 ottobre 1567, in cui descrive la stampa delle Vite come ‘una febbre continua di 4
anni’, si lamenta dei ritardi del Cini nella consegna del materiale e aggiunge
“ci rovina un mondo queste simili cose che la mia stamperia patisce, et noi
soli ne habbiamo il danno et non ms Giorgio ne altri” e prega Dio di farlo
venire fuori, in un modo o nell’altro da “questi scarpelli, squadre, et
pennelli, che ci hanno peruntratto scarpellato da vero, et squadrato per
huomini di buona pasta, et dipinti a fresco” [20]. È in un contesto di
esasperazione di questo tipo, che, a mio avviso, va collocato anche il
ripensamento di Cini: l’ennesima battaglia fra un autore (o un gruppo di
autori), forte del sostegno del Duca, e lo stampatore, che cede, mettendo un
garzone a correggere a mano tutte le copie.
La correzione avviene sicuramente
dopo che le forme tipografiche del fascicolo sono state scomposte, ma comunque
molto presto, visto che la netta maggioranza degli esemplari la presenta. Non
sono in grado di fornire dati quantitativi, esattamente per il motivo di cui
parlavo prima, ovvero che non sempre si ha modo di accorgersi immediatamente di
un fenomeno ripetuto (e io non me ne sono accorto subito). Per quanto mi
riguarda però, posso dire che l’unico esemplare che non presenta la correzione
è, forse, quello segnato Smith-Lesouef S-5376 che ho citato per la sostituzione
di un passo dedicato a Borghini [21]. Al contrario l'intervento mi risulta
essere stato operato in venti altre copie che ho consultato direttamente od
online [22]. Pare evidente che gli esemplari distribuiti prima di decidere di
operare la correzione siano stati, al massimo, poche decine. Improbabile che si
sia ricorsi a un sistema di timbri: tendenzialmente la mano che opera la
modifica sembra la stessa, con una maggiore o minore tendenza a scrivere una
‘d’ svolazzante.
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Fig. 6) La correzione 'gratioso/gradito' nell'esemplare di Francoforte UB 15/152 Fonte: http://edocs.ub.uni-frankfurt.de/volltexte/2006/3477/ |
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Fig. 8) La correzione 'gratioso/gradito' nell'edizione delle Vite della Biblioteca Nacional de España R/41691 Fonte: http://bdh-rd.bne.es/viewer.vm?id=0000186192&page=1 |
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Fig. 9) La correzione 'gratioso/gradito' nell'edizione delle Vite Biblioteca Universitaria di Siviglia Fondo Antiguo |
Le correzioni nell’esemplare Cavallini Sgarbi
Anche l’esemplare Cavallini Sgarbi
presenta la sostituzione di ‘gratioso’ con ‘gradito’, ma con due particolarità:
la mano, come subito evidente, è assolutamente diversa rispetto a quella dei
casi precedenti (si veda, ad esempio, la ‘g’ iniziale) ed è invece del tutto
coerente con le altre modifiche contenute nella stessa copia dell’opera.
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Fig. 10) La correzione 'gratioso/gradito' nell'edizione Cavallini-Sgarbi (particolare) |
Ci troviamo di fronte, in
particolare, a quarantasei correzioni che riguardano esclusivamente le pagine
della Descrizione degli apparati del
Cini (per la precisione: da PPppp4v (p. 882) a DDDdddr1 (p. 981). Le modifiche
sono tutte segnalate qui in basso. Il più delle volte esse sono legate a
refusi, ma in determinate occasioni sembrano appunto far trapelare dei
ripensamenti: si pensi al caso del ‘gratioso’ e ‘gradito’, ma anche alla
correzione n. 29, in cui un ‘ultimamente’ è segnalato al posto di un ‘et’. Chi è l’autore di queste revisioni? Il Cini?
Borghini (che, notoriamente, assolveva a questo compito)? Un giovanotto di
bottega che ha in mano il manoscritto originale? Non ho avuto modo di far
confronti con altri originali del Cini, ma il sospetto è che proprio di lui si
tratti.
Chiunque sia stato, una cosa è
evidente: nessuna delle correzioni viene recepita, tranne, appunto, il
‘gratioso’ sostituito con ‘gradito’ di cui tanto si è detto. Se (come penso) si
tratta delle correzioni del Cini, appare chiaro che il riscontro del testo, di
un testo presentato dall’autore al tipografo in gravissimo ritardo, stampato
col fiato di Cosimo e Vasari sul collo, arriva fuori tempo massimo. E gli eredi
Giunti accettano di cassare a mano il solo ‘gratioso’, facendo scrivere
‘gradito’. Un lavoro – sia chiaro – che deve essere durato giorni. Non è
nemmeno escluso (anzi, sono propenso a credere che sia così) che siano i Giunti
a fornire al Cini una copia già rilegata (e in tal caso, l’esemplare
assumerebbe ancor maggior valore, ai fini della storia editoriale dell’opera [23]).
Poi, poiché la carta costa e buttar via un libro è un misfatto, l’esemplare non
viene immesso sul mercato, in quanto ‘rovinato’ dalle postille e finisce fra
quelli forniti in omaggio a Vasari, che lo destina alla circolazione familiare.
E da casa Vasari rispunta ora, all’interno della Fondazione Cavallini Sgarbi.
Correzioni presenti nell’esemplare di Marcantonio Vasari in Fondazione
Cavallini Sgarbi
Fig. 11) 'Leggasi sempre due': correzione n. 1 nell'esemplare Cavallini Sgarbi |
Fig. 12) “anch’egli sotto i pie di d’ITALUM FORTISS. DUCTOR”: correzione n. 8 nell'esemplare Cavallini Sgarbi |
- PPppp4v. rigo 17 (p. 882): “a quasi dua sue amate compagne” A LATO POSTILLA CHE INDICA: “leggasi sempre due”. In diverse occorrenze successive ‘dua’ è sottolineato come da correggere;
- QQqqq1r. rigo 27 (p. 883): “meritatamente Celebrato Antonio Giacomini” DIVENTA “meritatamente celebrato Antonio Giacomini”;
- QQqqq4r. rigo 28 (p. 891): “quell’affetione” DIVENTA “quell’Affetione”;
- RRrrr1r. rigo 35 (p. 893): “di dua altissimi” DIVENTA “di due altissimi”;
- RRrrr3r. rigo 31 (p. 897): “vasi d’oro e tutti pieni” DIVENTA “vasi d’oro tutti pieni”;
- SSsss1v. rigo 10 (p. 912): “dua grandi Vittorie” DIVENTA “due grandi Vittorie”;
- SSsss2v. rigo 19 (p. 904): “(che fu nella medesima forma che i descritti) era si come ivi gl’Imperadori” DIVENTA “(che nella medesima forma che i descritti era) si come ivi gl’Imperadori”
- SSsss3v. rigo 16 (p. 916): “anch’egli sotto i pie di ITALUM FORTISS. DUCTOR” DIVENTA “anch’egli sotto i pie di d’ITALUM FORTISS. DUCTOR”;
- UUuuu1r. rigo 23 (p. 923): “S. Piero, et Paulo” DIVENTA “S. Piero, et S. Paulo”;
- UUuuu1r. rigo 28 (p. 923): “di questi dua archi” DIVENTA “di questi due archi”;
- UUuuu2v. rigo 3 (p. 926): “e come a quella il Pesce, a quali 2. Cigni” DIVENTA “e come a quella il Pesce, a questa 2. Cigni”;
- UUuuu2v. rigo 21 (p. 926): “nondimeno ne presenti il piu fresco, piu verace, et senza dubbio il piu splendido” DIVENTA “nondimeno ne presenti il piu fresco, il piu verace, et senza dubbio il piu splendido”;
- UUuuu2v. rigo 26 (p. 926): “ma ben con grato animo degl’ottimi Cittadini fatto lor fusse” DIVENTA “ma ben con grato animo dagl’ottimi Cittadini fatto lor fusse”;
- UUuuu3r. rigo 20 (p. 927): “vi furono finti di color di bronzo dua tondi” DIVENTA “vi furono finti di color di bronzo due tondi”;
- UUuuu3v. rigo 17 (p. 928): “la quale al tutto simile alla dinanzi descritta direno esser stata” DIVENTA “la quale al tutto simile alla dinanzi descritta diremo esser stata”;
- UUuuu4v. rigo 16 (p. 930): “et de dua ascendenti” DIVENTA “et de due ascendenti”;
- XXxxx1r. rigo 31 (p. 929): “si volse” DIVENTA “volesse”;
- XXxxx1r. rigo 35 (p. 929): “et che la verace porta del Palazo in mezo mettano” DIVENTA “et che la verace porta del Palazo in mezo mettono”;
- XXxxx2v. rigo 27 (p. 932): “molto straordinario desiderio di fabbricare, et abbellire, et di procurare” DIVENTA “molto straordinario desiderio di fabbricare, et d’abbellire, et di procurare”;
- XXxxx3v. rigo 35 (p. 934): “si vedde” DIVENTA “si vide”;
- YYyyy1r. rigo 34 (p. 937): “visto l’habbian: ma chi sia, che cel creda?” DIVENTA “visto l’habbiam: ma chi sia, che cel creda?”;
- YYyyy3r. rigo 23 (p. 941): “gratioso” DIVENTA “gradito”;
- ZZzzz1v. rigo 40 (p. 947): “al Relatino” DIVENTA “al Re latino”;
- ZZzzz2r. rigo 15 (p. 948): “animali, et festoni, papaveri” DIVENTA “animali, et festoni, et papaveri”;
- ZZzzz2v. rigo 28 (p. 949): “si vidde” DIVENTA “si vide”;
- ZZzzz2v. rigo 29 (p. 949): “una parta” DIVENTA “una parte”;
- ZZzzz2v. rigo 36 (p. 949): “che quei di dantro fuori si fussero con quei di fuori honoratamente accordati” DIVENTA “che quei di dentro si fussero con quei di fuori honoratamente accordati”;
- ZZzzz4r. rigo 30 (p. 952) “et dall’altra dall’Ethere, della predetta Notte, et dal predetto Herebo nato” DIVENTA “et dall’altra dall’Ethere, dalla predetta Notte, et dal predetto Herebo nato”;
- ZZzzz4v. (p. 953): “attribuita et teneva a costoro compagnia” DIVENTA “attribuita, ultimamente teneva a costoro compagnia”;
- AAAaaa1v. rigo 24 (p. 957): “et portar in mano un vitello, che un sol Carro non senza cagione haveva” DIVENTA “et portar in mano un vitello, che un sol Corno non senza cagione haveva”;
- BBBbbb3r. rigo 1 (p. 968): “Carro duodecimo” DIVENTA “Carro duododicesimo”;
- BBBbbb3v. rigo 4 (p. 968): “Carro duodecimo” DIVENTA “Carro duododicesimo”;
- BBBbbb3v. rigo 20 (p. 968): “Il quale (come altrove si disse) da Mercurio fu addormentato, et ucciso. Si vedeva nella quinta historia” DIVENTA “Il quale (come altrove si disse) da Mercurio addormentato, et ucciso si vedeva nella quinta historia”;
- BBBbbb4r. rigo 27 (p. 969): “con sonanti Buccine” DIVENTA “con le sonanti Buccine”;
- BBBbbb4r. rigo 37 (p. 969): “con loro con men convenienza” DIVENTA “con loro con non men convenienza”;
- BBBbbb4r. rigo 41 (p. 969): “si vedeva gli alati” DIVENTA “si vedevan gli alati”;
- BBBbbb4v. rigo 13 (p. 970): “sur un stravagantissimo Carro” DIVENTA “sur uno stravagantissimo Carro”;
- CCCccc1r. rigo 4 (p. 971): “et tremula Canna dalle sorelle Naiade convertita” DIVENTA “et tremula Canna dalle sorelle Naiadi convertita”;
- CCCccc1r. rigo 14 (p. 971): “Ma Myagro lo Dio delle Mosche” DIVENTA “Ma Mylagro lo Dio delle Mosche”;
- CCCccc 3r. rigo 25 (p. 975): “si dice, che bere, et scorrere” DIVENTA “si dice, che di bere, et scorrere”;
- CCCccc 3v. rigo 14 (p. 976): “figurarlo” DIVENTA “figurandolo”;
- CCCccc4r. rigo 23 (p. 977): “poco innanzi seguita non havesse disturbato una buona quantità di Reverendissimi Cardinali, et alti signori” DIVENTA “poco innanzi seguita, non havesse disturbato una buona quantità di Reverendissimi Cardinali et alti signori”;
- CCCccc4r. rigo 34 (p. 977): “che vi si scorge ne nostri Artefici” DIVENTA “che vi si scorse ne nostri Artefici”;
- CCCccc4r. Rigo 40 (p. 977): “composta, distinta in dieci squadre” DIVENTA “composta et distinta in dieci squadre”;
- DDDddd1r. rigo 23 (p. 981): “pieno di tutte Gerarchie degl’Angeli, et de santi” DIVENTA “pieno di tutte le Gerarchie degl’Angeli, et de santi”;
- DDDdddr1. rigo 34 (p. 981): “religioso, et devoto componimento” DIVENTA “religioso, et devoto compimento”.
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Fig. 13) “et portar in mano un vitello, che un sol Corno non senza cagione haveva”: correzione 30 nell'esemplare Cavallini Sgarbi |
NOTE
[1] Ringrazio Vittorio Sgarbi per
avermi dato accesso alla Fondazione e Pietro Di Natale per la cortesia e la
disponibilità che mi ha sempre dimostrato per rendermi più agevole la
consultazione.
[2] Alessandro Del Vita, L’origine e l’albero genealogico della
famiglia Vasari in «Il Vasari», III, 1930, pp. 51-75.
[3] La fonte è, ovviamente, il
carteggio di Giorgio Vasari curato da Karl Frey e pubblicato fra 1923 e 1940.
Ho consultato la versione online, disponibile sul sito della Fondazione
Memofonte all’indirizzo http://www.memofonte.it/ricerche/giorgio-vasari/#carteggio. Da notare
che, rispetto alle missive riguardanti Marcantonio elencate da Margherita
Melani (cfr M. Melani, Padre Resta e
Vasari. Postille edite e inedite a confronto in La réception des Vite de Giorgio Vasari dans l’Europe des XVIe-XVIIIe
siècles, a cura di Corinne Lucas Fiorato e Pascal Dubus, Ginevra, Droz,
2017, in particolare p. 194 n. 12), ve ne sono altre da aggiungere, in cui il
figlio di Pietro non è indicato col nome proprio, ma semplicemente come
‘nipote’. Si tratta in particolare delle lettere spedite da monsignor Guglielmo
Sangalletti a Vasari nelle seguenti date: 22.5.1569, 3.6.1569, 11.6.1569,
6.7.1569, 29.7.1569, 24.10.1569, 4.11.1569, 21.11.1569 e 25.11.1569.
[4] In dialetto aretino ‘asettare’
significa preparare lo scaldino da mettere a letto o, anche, apparecchiare.
Vasari, in sostanza, stava preparando il campo per la concessione di un qualche
beneficio al nipote. Vedi lettera del 2 maggio 1572.
[5] Alessandro Del Vita, L’origine e l’albero genealogico… cit, p. 71 n.
43.
[6] Si veda la scheda di Anna Maria
Bracciante in Giorgio Vasari. Principi,
letterati e artisti nelle carte di Giorgio Vasari, Firenze, EDAM, 1981, p.
313.
[7] Sull’argomento segnalo la
recentissima tesi di dottorato (10 dicembre 2018) di Michele Bellotti sostenuta
presso l’Université Sorbonne-Nouvelle- Paris 3 col titolo Un livre jamais paru? Le manuscrit Riccardiano 2354 et l’héritage
épistolaire de Giorgio Vasari.
[8] Ringrazio Claudia Borgia, della
Soprintendenza Archivistica e Bibliografica della Toscana che gentilmente mi ha
fornito copia di una pagina della biografia scritta da Marcantonio.
[9] Sulle incongruenze e le varianti
della Giuntina hanno scritto in tanti, a partire da Rosanna Bettarini nella sua
Premessa all’edizione critica Bettarini-Barocchi delle Vite vasariane. Si veda
Giorgio Vasari, Le Vite de’ più
eccellenti pittori scultori e architettori nelle redazioni del 1550 e 1568.
Testo a cura di Rosanna Bettarini, commento secolare a cura di Paola Barocchi,
Firenze, Sansoni e S.P.E.S. 1966-1986, 8 vol. Nel caso specifico Vol. I, p.
IX-XLVIII. Recente, ma non sempre convincente e, soprattutto, basato sul
confronto fra un numero limitato di esemplari è Carlo Maria Simonetti, La vita delle «Vite» vasariane. Profilo
storico di due edizioni, Firenze, Leo S. Olschki, 2005. Fra i contributi
recenti mi sembrano di particolare interesse Antonio Sorella, Primi appunti sulla stampa delle Vite di
Torrentino (1550) e dei Giunti (1568) in «Horti Hesperidum», 2016, 1, pp.
25-114, consultabile online all’indirizzo http://www.horti-hesperidum.com/hh/rivista/horti-hesperidum-2016-vi-1-studi-su-vasari/174-2/ e
soprattutto Carlo Alberto Girotto, (Ré)écrire
les vies dans l’atelier typographique. Quelques questions bibliographiques dans
l’edition giuntina des Vite (1568) de Giorgio Vasari. in Le livres des Giunta: de Venise et Florence
à la Normandie, Apr 2016, Caen, France, 2017 all’indirizzo https://hal-univ-paris3.archives-ouvertes.fr/hal-01531221/document.
[10] Simonetti propone una lista delle
incongruenze fra testo e indici che sono sintomo di ricomposizione e ne deduce
che nella prima versione del Terzo tomo l’opera si doveva concludere a p. 988,
mentre in realtà termina a p. 1006.
[11] Riporto qui di seguito la n. 17
p. 39 dello scritto di Sorella, che mi sembra mettere la parola fine
sull’ipotesi Simonetti: “Nella Giuntina, Borghini dovette procedere
diversamente, come dimostra un salto di una trentina di pagine nella
paginazione del terzo volume (nel fascicolo 4L, da 663 a 770, invece che a 740;
l’errore fu dovuto a un’inversione di posto dei caratteri, come si vede dalla
successione delle pagine della bianca e della volta:
663-634-635-666-667-638-639-670) che invece non c’è nell’indice, allestito
evidentemente prima sulla base del calcolo previsionale (casting-off) e
stampato prima dell’ultima parte del volume, evidentemente perché Vasari
tardava a consegnare quella parte del testo e i Giunti pretesero di continuare
la stampa almeno con le tavole fornite dal Borghini. Simonetti nel suo libro
citato, non essendosi accorto di questo salto di trenta numeri nella
paginazione, dedica molte pagine a dimostrare che i fascicoli del terzo volume
della Giuntina le cui pagine non corrispondono a quelle indicate negli indici
dello stesso volume fossero state ricomposte per volontà dell’autore. Constato
che alcuni storici dell’arte, seguendo Simonetti, stanno già proponendo varie
ipotesi riguardo alla composizione e ricomposizione di alcune biografie
dell’ultimo volume della Giuntina”.
[12] Giorgio Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori
e architettori. Edizione diretta da Enrico Mattioda, Alessandria, Edizioni
dell’Orso, 2017. Mattioda identifica l’esemplare come segnato Y a4-9.
In realtà si sbaglia. Si tratta dell’esemplare Smith-Lesouef S5376.
[13] Idem, p. 40.
[14] Si veda, ad esempio, Curt F.
Bühler, Manuscript Corrections in the
Aldine Edition of Bembo’s “De Aetna” in «The Papers of the Bibliographical
Society of America», vol. 45, n. 2 (Second Quarter, 1951), pp. 136-142.
[15] Harvard College Library,
Department of Printing and Graphic Arts, Catalogue
of Books and Manuscripts. Part II: Italian 16th Century Books Compiled by
Ruth Mortimer, Cambridge (Mass.), The Belknap Press of Harvard University
Press, 1974.
[16] Antonio Lorenzoni, Carteggio artistico inedito di don Vincenzio
Borghini (1515-1580), Firenze, Seeber, 1912.
[17] Per tutta questa parte si veda
Simonetti, La vita… cit. pp. 113-117.
[18] Si veda in particolare la nota al
testo nell’edizione Bettarini-Barocchi, cit… Testo vol. VI, 1987, p. 628, in
cui si fa presente che il primo componimento poetico è una ballata composta da
ottonari e il secondo si basa “su altro metro, misto di settenari ed
endecasillabi con rima interna”.
[19] Bettarini Barocchi, cit… Testo
vol VI, p. 322.
[20] Si veda Simonetti, cit., p. 115.
[21] L’esemplare è consultabile online
su gallica.fr e, quindi, non l’ho visto personalmente. In corrispondenza del
termine ‘gratioso’ mi pare di scorgere una cancellatura. A lato non figura
nulla. È anche vero che ‘à “l’intérieur de l’exemplaire un grand nombre de
notes manuscrites d’une main italienne et visible, même si elles ont été
vigoureusement lavées” (Girotto, cit. p. 28). Il fenomeno delle postille
slavate, cioè cancellate perché ritenute diminuire il valore di un volume è
comunissimo. Non escludo che, da una visione diretta, possa risultare che
‘gradito’ ci fosse e sia stato ‘eliminato’ in questo contesto.
[22] In particolare: Bologna, Bibl.
Archiginnasio 8.K.II.13 e MS BS 4224; Biblioteca Universitaria (BUB) A4 QB25;
Cesena, Bibl. Malatestiana NORI C 0243; Napoli, Bibl. Universitaria SALA VITI
RARI.C1 29; Austin(Texas), Bibl. Univ- UTA-HRC N6922 V2 1568; Brigham Young
University, Harold B. Lee Library, Vault 094.2 G441568; Brandeis University,
Rare da Vinci N6922 V2 1568, Brown University Library N6922 V2 1568; Caen
Biblioteca Universitaria Pierre Sineux Rés 155601/3; Cornell University, Kroch
Library Rare & Manuscripts N6922 V2 1568; Frankfurt UB 15/152; Indiana IU
Lilly N6922 V2 1568, Londra, Victoria & Albert Museum, S.C.87.C29; Madrid,
Biblioteca Nacional de España R/41691 e Ri34; Madrid, Biblioteca Complutense, E
67c. 15 n.5; Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, Rar 1933-3,2; Parigi,
Bibliothèque Nationale de France, Ya 4-9 8; Siviglia Biblioteca Universitaria
Fondo Antiguo.
[23] Bisogna comunque essere molto
cauti sotto questo punto di vista. Ho parlato volutamente di una delle prime
copie rilegate, e non di una delle prime stampate perché la stampa dei
fascicoli era in corso da quattro anni, mentre la rilegatura (anche dei primi
due tomi) è proprio l’ultima cosa a essere fatta, perché deve accogliere i
paratesti, fra cui il frontespizio. Niente di più facile che alcuni fascicoli
contenenti correzioni nel testo operate direttamente in piombo siano finiti
legati con altri cronologicamente stampati mesi dopo e magari non corretti;
insomma, quando si parla di Cinquecentine è sbagliato (o comunque pericoloso)
seguire l’idea che ci sia un’evoluzione delle copie dalle prime (piene di
errori) verso le ultime, tipograficamente ‘perfette’. Sul tema si veda già
Rosanna Bettarini in Vasari, Vite
cit… Testo, I, pp. XXX-XL e, ultimamente, Girotto, cit., pp. 18-24.
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