English Version
Francesco Mazzaferro
La Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura di Giovanni Gaetano Bottari
Parte Seconda
![]() |
Fig. 33) Giovanni Zanobio Weber, Medaglia di Giovanni Gaetano Bottari, Firenze, Bargello, 1760 circa. Fonte: Wikimedia Commons |
Perché
una raccolta di lettere d’artisti?
Come spiegare le ragioni della comparsa
della Raccolta nel 1754? Giovanna Perini Folesani [40] vede in essa il culmine di una tradizione secentesca di
collezionismo delle lettere degli artisti, che risale al Bellori (1613-1696) e al Malvasia (1616-1693),
ovvero a scrittori d’arte che Bottari apprezza come punti di riferimento
assoluti della sua estetica: non a caso uno dei due personaggi dei suoi Dialoghi sopra le tre arti del disegno (1754) è il Bellori, mentre il Malvasia è in
essi continuamente citato.
La studiosa spiega che vi è evidenza di
un primo tentativo di Bellori di pubblicare la propria raccolta di lettere nel
1665 [41]. Nel discorso dell’Idea del
1664, peraltro, è inserita una lettera di Guido Reni. Quanto al Malvasia, aveva
preparato una raccolta di lettere d’artisti (tra le quali centocinquanta dell’Albani e sessanta dei Carracci) che aveva cercato, invano, di pubblicare nel 1672, come progetto
indipendente, ma correlato alla Felsina
Pittrice. Alle lettere, in particolare, Malvasia riserva comunque un ruolo
fondamentale anche nella sua Felsina:
“Ecco allora che per l’avvocato Malvasia,
rivestitosi della toga dello storico, il documento scritto (la lettera in
particolare) è, al pari della testimonianza verbale, una voce che dialoga, come
in un tribunale, con altre favorevoli ed altre avverse, un elemento su cui
l’arringa difensiva può poggiare o che,
all’inverso, essa deve confutare: al fine dichiarato di ottenere infine un
giudizio, auspicabilmente favorevole” [42].
![]() |
Fig. 34) A sinistra, Le vite de' pittori, scultori et architetti moderni di Giovanni Pietro Bellori (1672) (Fonte: https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k851200q. A destra: Felsina Pittrice di Carlo Cesare Malvasia (1678) (Fonte: https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:Title_page_of_%27Felsina_pittrice%27_by_Malvasia_-_HathiTrust_(Getty_Research_Institute).jpg) |
Secondo la Perini, Bellori e Malvasia
sarebbero dunque i veri primi ideatori di una raccolta di lettere d’artisti, mentre
a Bottari spetterebbe solo il merito di aver stampato per primo una pubblicazione
legata a un progetto ideato in realtà nel secolo precedente. Per quali ragioni
i progetti di Bellori e Malvasia non si concretizzano, mentre quello di Bottari
ha successo? Nel Seicento i tempi per pubblicare una raccolta di lettere non
sono ancora maturi – scrive la studiosa – perché la lettera, in fin dei conti è
un “documento fine a se stesso,
svincolato da una individualità biografica da accertare storicamente o da una
teoria da svolgere o confutare” [43]. In altre parole, per scrittori di
forte identità estetica come Bellori e Malvasia scrivere una ‘semplice’
raccolta di testi neutri e privi di un orientamento uniforme non avrebbe avuto
alcun senso. A ciò si aggiunge il problema (già menzionato nella prima parte di questo post)
che, mentre compilare una storia della poesia in forma antologica non pone
problemi di autori non rappresentati, scrivere una storia dell’arte tramite le
lettere degli artisti è un’impresa molto difficile, perché si scontra con
l’assenza di documenti per molti di quelli più rappresentativi, e l’abbondanza
per artefici del tutto minori. Bisogna dunque attendere il Settecento e la sua
“storiografia di profilo debole” [44],
dunque una fase in cui, sostanzialmente, la semplice erudizione diviene il fine
esclusivo della ricerca storica, perché una raccolta di lettere d’artisti possa
apparire: “Insomma, non è fortuito se la
prima silloge di lettere di artisti esce a metà Settecento e non prima: la sua
eterogeneità, additività ed apparente oggettività corrispondono ad un livello
di documentazione pura, di indifferenza teleologica, o almeno di attrazione,
impossibili ad attuarsi entro un contesto di motivazione teorica e polemica concreta
della storiografia secentesca” [45].
![]() |
Fig. 35) A sinistra: Paolo Gherardo, Nuovo libro di lettere de i piu rari auttori della lingua volgare Italiana, 1545. Fonte: https://books.google.de/books?id=R7JdAAAAcAAJ&pg=PP7&hl=it&source=gbs_selected_pages&cad=3#v=onepage&q&f=false. A destra: Dionigi Atanagi, Delle Lettere facete et piacevoli di diversi grandi Huomini et chiari ingegni, 1601. Fonte: https://fr.maremagnum.com/libri-antichi/delle-lettere-facete-et-piacevoli-di-diversi-homini-grandi/138084715 |
Mi permetto di
dissentire, in particolare sull’idea che la raccolta di Bottari nasca in un ambiente di
‘pensiero debole’, per usare una categoria filosofica post-strutturalista del
tardo Novecento. Quanto detto sulle ragioni ‘ideologiche’ dello
strumento delle fonti storiche da parte dei giansenisti smentisce, a mio
parere, la tesi di Perini Folesani. Inoltre, non si potrebbe comprendere
appieno il significato della Raccolta,
se non si considerasse che la forma epistolare s’impone, nell’Europa di fine
Seicento, come strumento chiave di comunicazione tra coloro che si interessano
di cultura, e che ciò non avviene esclusivamente come contatto privato, ma
anche come testimonianza destinata ad una circolazione più ampia.
Questo non significa affatto,
ovviamente, che Bottari non faccia uso sistematico, come fonte per la Raccolta (in particolare nel Tomo V del
1766) delle numerose cinquecentine veneziane che offrono a loro volta serie di
lettere di uomini illustri (pubblicate e curate, fra gli altri, da Paolo
Manuzio, Paolo Gherardo, Ludovico Dolce, Dionigi Atanagi, Bernardino Pino e
Francesco Turchi) né che non sia
cosciente dell’esistenza già nel primo Seicento di una concettualizzazione
dello strumento epistolare (si pensi a L'idea
di varie lettere usate nella secretaria d'ogni principe, e signore con diversi
principii concetti, e fini di lettere missive di Benedetto Pucci,
pubblicata nel 1608). Tuttavia, proprio nel Settecento, la lettera diviene
strumento fondamentale non solamente per la comunicazione bilaterale, ma anche
per la diffusione del sapere. Si parla, non a caso, di République des lettres, con l’espressione coniata da Pierre Bayle (1647-1706)
nel 1684. I maggiori uomini di cultura si scrivono e conservano la loro
corrispondenza, anche nella prospettiva della pubblicazione. Anche nel caso
dell’arte, con la diffusione delle riviste che dibattono di temi artistici, la
pubblicazione delle lettere diviene forma privilegiata di discussione estetica
[46].
![]() |
Fig. 36) A sinistra: Il frontespizio della Raccolta delle più belle poesie francesi del 1692, la prima antologia letteraria dei tempi moderni. Fonte: https://books.google.de/books?id=szBbAAAAQAAJ&printsec=frontcover&hl=it . A destra: il terzo volume della collezione latina di poeti italiani, co-edita da Giovanni Gaetano Bottari nel 1719. Fonte: https://archive.org/details/carminaillustriu03bott/page/n7 |
Un secondo processo - contemporaneo al
primo - è quello della diffusione delle raccolte di testi. Nel mondo francese
esce nel 1692 il Recueil des plus belles
pièces des Poètes français, tant anciens que modernes, una collezione in
cinque volumi attribuita a Bernard Le Bouyer (or Bovier) De Fontenelle (1657-1757).
La prima antologia italiana di epoca moderna è invece la Scelta di sonetti e canzoni de' più eccellenti autori d'ogni secolo,
pubblicata come opera postuma da Agostino Gobbi (1684-1708) tra 1709 e 1711. È
una storia antologica della poesia italiana in quattro volumi (il primo volume
tratta la poesia fino al 1550, il secondo quelli dei secoli successivi e gli
ultimi due le opere di poeti viventi).
![]() |
Fig. 37) La Raccolta Di Prose Fiorentine in un’edizione veneziana dell’editore Occhi del 1730-1734. Fonte: https://www.maremagnum.com/libri-antichi/prose-fiorentine-raccolte-dallo-smarrito-accademico-della/150795135 |
Bottari stesso partecipa a questo
movimento ‘antologico’; ancora trentenne, infatti, contribuisce a Firenze alla
redazione della Raccolta Di Prose
Fiorentine (1716-1745) in cinque volumi e della raccolta Carmina illustrium poetarum italorum in
undici volumi (1719-1726). Quanto alla prima, si tratta della continuazione di
una collezione iniziata in pieno seicento dal filologo fiorentino Carlo Dati
[47] (1619-1676) e interrotta alla sua morte; Bottari partecipa all’estensione
settecentesca dell’opera promossa da Tommaso Buonaventuri [48] (1675-1731) e Rosso
Antonio Martini (1696-1762), nell’ambito dell’Accademia della Crusca. Quanto
alla seconda, curata da Bottari sempre insieme a Tommaso Buonaventuri, si
tratta di una raccolta di versi latini composti da letterati italiani. Gli autori
sono riportati (fin dal primo volume) in ordine alfabetico: ciò significa che
l’immenso patrimonio di poesie era già stato sistemato prima che iniziasse la
pubblicazione.
Ovviamente, ciò non significa che non
esistessero raccolte di testi letterari (a partire dal Parnasse des poètes françois modernes del 1571) nei secoli
precedenti. Dalla fine del Seicento, tuttavia, si vede dappertutto un fiorire
di antologie letterarie, che si consolida come fenomeno massiccio nel secolo
successivo. Quali ne sono le ragioni? In Italia non si è ragionato molto sui
motivi del fenomeno. Gli studi francesi [49] e tedeschi [50] sull’argomento
identificano invece almeno tre cause, spesso fra loro strettamente correlate.
In primo luogo, la diffusione crescente, dalla fine del Seicento, di repertori
a supporto dell’erudizione (è l’elemento già individuato dalla Perini, che non
può però essere interpretato come espressione di una cultura minore, ma è al
contrario una delle prime espressioni dell’enciclopedismo); poi l’esplosione
dell’editoria e del numero dei libri, che rende necessario offrire al lettore
nuovi strumenti per poter avvicinare in modo selettivo la letteratura senza
dover riempire le case di volumi e spendere cifre eccessive; infine,
l’affermazione di una visione ‘ideologica’ della storia della letteratura, che
spinge a ‘codificare’ il patrimonio letterario secondo una tesi interpretativa
coerente che va, in realtà, al di là della produzione di un semplice florilegio
di testi. Ad esempio, Fontenelle compila un’antologia della poesia francese per
dimostrare la superiorità dei moderni sugli antichi, mentre Gobbi vuole
proclamare il primato del petrarchismo attraverso i secoli, fino ai
contemporanei. È poi evidente – nell’opera sulla letteratura latina di Bottari
e Buonaventuri – la volontà di dimostrare l'ininterrotta vitalità dell’uso del
latino nel mondo delle lettere in Italia, a partire da Petrarca e Poliziano
fino al Settecento. L’accentuazione dei tre fattori (erudizione, editoria e
ideologia) farà dell’antologia uno dei generi di maggior successo del secolo
successivo, l’Ottocento.
![]() |
Fig. 39) Le pagine del Tomo II della Raccolta, in cui Gabburri spiega a Mariette i primi tentativi di realizzare una raccolta di lettere d’artisti, nella Firenze del 1729. Fonte: https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=gri.ark:/13960/t8hd9cn7n;view=1up;seq=288 |
Le origini fiorentine della Raccolta
Abbiamo già detto nella prima parte che
quella di Bottari è una proto-antologia, che conserva alcuni elementi storici
del repertorio erudito e inserisce in essi alcuni caratteri delle prime
antologie. Passando dalla teoria alla prassi, e dunque dalla teoria della forma
antologica alla realtà storica, sono assolutamente convinto che per cercare le
radici della Raccolta occorra
guardare a quel che succede negli anni in cui Bottari è attivo a Firenze (e
partecipa, insieme a Rosso Antonio Martini e a Tommaso Buonaventuri, alle già
citate raccolte di prose fiorentine e di poesie latine). Una fonte importante è
una delle lettere stesse, contenuta nel Tomo II della Raccolta: Francesco Maria Niccolò Gabburri (1675-1742) scrive il 4
ottobre 1732 una lunghissima lettera a Pierre-Jean Mariette e gli racconta di
un primo progetto di pubblicazione di lettere d’artisti che è rimasto
interrotto per la morte dell’abate Antonio Maria Salvini (1653-1729) [51]. Sono
passati tre anni e un gruppo di intellettuali fiorentini riprende il progetto
di Salvini. Gabburri parla dell’intenzione di Rosso Antonio Martini di
pubblicare un tomo di Lettere dei
Pittori, Scultori, e Architetti e comunica di aver contribuito facendogli
avere alcune missive di Salvator Rosa (che definisce “assai curiose”, ossia interessanti). Aggiunge di aspettare altre
lettere dai corrispondenti bolognesi e chiede a Mariette se possa fargli avere
epistole di pittori francesi, cercandole a Parigi; spiega, infine che il tutto
dovrà infine essere passato a Martini come coordinatore dell’opera. Rosso
Antonio Martini (anche chiamato il ‘Ripurgato’) è stato accademico della Crusca
dal 1719, direttore delle Stamperie reali (dove Bottari ha lavorato
giovanissimo) e direttore degli archivi dell’Accademia. È una figura centrale
per organizzare l’esame sistematico dei grandi archivi fiorentini e
identificare lettere d’artisti. Le origini della Raccolta, insomma, sono fiorentine e risalgono agli anni tra il
secondo e il terzo decennio del Settecento.
Oltre alla lettera di Gabburri, la Raccolta ci offre altre testimonianze
della ricerca di lettere degli artisti (“lettere pittoresche”), che sembra
divenire uno dei temi principali dello scambio epistolare proprio intorno al
1732. La rete di corrispondenti va al di là della Toscana e comprende rapporti
diretti tra Parigi e Bologna, alla ricerca di notizie sugli emiliani del primo
Seicento. Il disegnatore e conoscitore
bolognese Giampietro Zanotti informa Mariette, il 3 giugno, di possedere
alcune lettere dell’Albani, di Guido Reni, dell’Algardi, di Ludovico Carracci e
di altri,e si dice pronto a farle copiare; aggiunge poi che un suo ‘amico’
possiede molte lettere dell’Albani (originariamente in mano al Malvasia), anche
se non ha alcuna idea del loro contenuto (e non può verificare la notizia
perché l’amico è fuori città). Il 5 agosto Zanotti scrive al fiorentino
Gabburri per rettificare l’informazione: le lettere dell’Albani – che si
speravano custodite dall’amico – non si trovano più, ed egli può solo fornire
copia delle sue; il 6 settembre invia tali copie a Firenze, ammettendo di aver
pensato che il numero di lettere d’artisti in suo possesso fosse più alto
(molte sono andate perse in un trasloco). Altre vengono inviate il 4 ottobre.
Dunque, la ricerca di testi bolognesi ha – almeno in quella circostanza –
fortuna limitata.
![]() |
Fig. 41) Ignazio Enrico Hugford, Matilde di Canossa dona il suo patrimonio alla chiesa, 1750-1755. Fonte: Wikimedia Commons |
La Raccolta
del 1754 confermerà molte di queste informazioni. In primo luogo Bottari
scriverà nell’introduzione che la raccolta ‘primigenia’ era pronta molti anni
prima. Poi attesterà il ruolo del gruppo di amici fiorentini, ringraziando in
primo luogo Rosso Antonio Martini e, oltre a lui, anche il pittore Ignazio
Enrico Hugford (1703-1778), nato in Toscana, ma di origini inglesi. Va detto fin
d’ora che i due continueranno a sostenere lo sforzo di Bottari per decenni:
tracce del contributo di Martini si troveranno fino al Tomo III (1759), con
sessantacinque lettere di ambito cinquecentesco toscano, mentre Hugford, presente anche nel Tomo II (1757) con un centinaio di lettere
inviate da molti mittenti a Gabbiani e Gabburri, verrà ancora ringraziato nel
Tomo V (1766) per le ‘molte lettere’ da lui raccolte e ivi pubblicate e
comparirà come corrispondente ancora nel Tomo VI (1768).
Bottari come scrittore d'arte negli anni Cinquanta
Qual è dunque l’intenzione di Bottari,
nel riprendere, negli anni Cinquanta del Settecento, il lavoro di Salvini,
Gaburri e Rosso Martini di vent’anni prima? Secondo Serenella Rolfi Ožvald [52], lungi dal voler
assemblare testi per mere ragioni di erudizione, egli vuole affermare un nuovo
modo di narrare la storia dell’arte, affiancandolo al meccanismo consolidato
del racconto biografico (che conosce perfettamente, apprestandosi a curare la
prima edizione commentata delle Vite del Vasari nel 1759-1760, e avendo già citato con grande dovizia sia le Vite del Vasari sia la Felsina Pittrice del Malvasia nei propri
Dialoghi sopra le tre arti del disegno del
1754). Si tratta del metodo moderno della raccolta cronologica delle lettere
degli artisti, che fa parlare direttamente “professori” e “personaggi”. La studiosa
nota che la Raccolta non solamente
contiene lettere del passato (tratte da archivi e biblioteche, a cui Bottari ha
accesso privilegiato sia per effetto della propria posizione professionale sia
grazie a una rete di amici che lo appoggiano nella ricerca) ma, a partire dalla
trasformazione dell’opera da un singolo volume (1754) in una serie di tomi (dal
1757 in poi) comprende anche le lettere che il Bottari stesso scambia con altri
protagonisti del dibattito estetico, come il già citato Mariette. Alcune
missive (ad esempio quella di Luigi Crespi a Bottari sulla vita del padre
Giuseppe Maria, probabilmente risalente al 1756 e pubblicata nel Tomo III, o
quella del decoratore Giovanni Battista Ponfredi (o Ponfreni) (1714-1795) al
conte Nicola Soderini sulla vita del suo maestro, il pittore Marco Benefial,
pubblicata nel Tomo V e datata 1764) non sono altre che surrogati di vite di
artisti, secondo l’antico modello vasariano. Seguendo la moda del tempo, alcuni
testi pubblicati in saggi o in articoli di riviste del tempo vengono poi
addirittura ‘trasformati’ artificialmente da Bottari in lettere per poter
apparire nella Raccolta. Non si
tratta di manipolazioni o falsi, ma dell’espressione della passione di quegli
anni per tutto ciò che è letterario,
nel senso originale del termine ‘lettera’.
Una lettura della Raccolta come nuova forma di racconto della storia dell’arte è
anche proposta nel 1984 da Paola Barocchi: “Tutto
ciò è reso possibile da un’equanime coscienza storica che, pur attingendo alle
più famose antologie letterarie, non si lascia tentare dall’astrattezza
dell’ecfrasi, ma si preoccupa di valorizzare nelle testimonianze dei
conoscitori, collezionisti ed eruditi le fortune degli artisti e delle opere e
i loro contesti. In questo senso la simultaneità della Raccolta di lettere e della riedizione vasariana attinge una
piena coerenza nella evidente contrarietà alle aspirazioni divulgative e
riduttive dei contemporanei Abecedari. Nasce così proprio in seno alla
epistolografia artistica una sorta di
storia della storia, che in un certo modo anticipa la grande storia del Lanzi e
la sua duplice disponibilità per l’antico ed il moderno” [53]. Raccogliere
le lettere significa, al tempo stesso, verificare di prima mano il racconto dei
biografi (Vasari, Baldinucci, Malvasia e molti altri) [54] e confrontarsi
direttamente con il mondo di rapporti degli artisti. Gli stessi primi emuli di
Bottari (compresi Ticozzi e Gualandi, con l’esclusione invece di Gaye e,
aggiungo io, anche di Guhl, questi ultimi impregnati di elementi di positivismo grazie agli studi a
Berlino) non si rendono dunque conto, secondo la Barocchi, della novità
metodologica del genere antologico, che offre un nuovo strumento per
comprendere il contesto socio-culturale entro il quale si muovono gli artisti.
Alla
ricerca di una chiave di lettura: i Dialoghi
sopra le tre arti del disegno (1754)
Ancora una volta, però, è obbligatorio
farsi una domanda: la Raccolta di lettere
è solo una (lodevolissima) collazione erudita oppure ne esiste una chiave di
lettura che va al di là dell’assemblaggio di testi? Per cercare di rispondere a
questa domanda ho letto anche i Dialoghi
sopra le tre arti del disegno, preparati e pubblicati da Bottari in
parallelo al tomo del 1754. I due
personaggi virtuali dei Dialoghi sono
Giovanni Pietro Bellori (1613-1696) e Carlo Maratta (1625–1713), ovvero due
figure centrali della vita artistica romana che erano mancati quando Giovanni
Gaetano aveva rispettivamente sette e ventiquattro anni. Sono entrambi esponenti di quel modo di
pensare l’arte che viene spesso citato come classicismo romano. Il dialogo ha
il tono di una conversazione tra amici che si lasciano convincere l’uno
dall’altro, condividendo le stesse opinioni di fondo (mancano, insomma, toni
particolarmente dialettici).
![]() |
Fig. 42) Carlo Maratta, Ritratto di Giampietro Bellori, senza data. Fonte: Wikimedia Commons |
![]() |
Fig. 43) La Vita di Carlo Maratti, scritta da Gianpietro Bellori nel 1689. Fonte: https://www.walkaboutbooks.net/pages/books/19542/giampietro-bellini-giovanni/vita-di-carlo-maratti-pittore-scritta-da-giampietro-bellori-fin-allanno-mdclxxxix-continuata-e |
Va detto, in primo luogo, che i Dialoghi sono ovviamente un testo di
natura letteraria e che rivelano a mio parere grande facilità di scrittura (si
leggono ancora, a quasi trecento anni di distanza, in modo spedito). A
differenza di quel che mi aspettavo, non si tratta né di un testo di estetica
sul bello né di una trattazione sullo stile (come avrebbe fatto pensare la
presenza di Bellori). Non è neppure una conversazione sulla tecnica pittorica,
come potrebbe suggerire la scelta di dare la parola anche a un pittore come
Maratta. Il tema delle cinque conversazioni virtuali è, infatti, la difficoltà
– direi quasi l’impossibilità – degli artisti (qui chiamati ‘professori’, lo
stesso termine utilizzato nella Raccolta
del 1754) di farsi capire dai loro interlocutori, se non da uno sparuto gruppo
di ‘intendenti’.
![]() |
Fig. 44) La prima edizione dei Dialoghi sopra le tre arti del disegno di Giovanni Gaetano Bottari, pubblicata nel 1754 a Lucca. Fonte: https://www.exlibrisroma.it/fr/9864-dialoghi_sopra_le_tre_arti_del_disegno |
I Dialoghi
trattano, insomma, un tema molto moderno: l’artista è un uomo solo,
incompreso, vittima della presunzione dei potenti e dell’ignoranza dei più,
intrappolato da valutazioni estetiche che sono il più delle volte rivolte al
passato e impediscono di comprendere il presente, ostacolando il rinnovamento
delle arti. Nulla di più lontano dalla valutazione neoclassica secondo cui
l’artista può affermarsi come campione dell’imitazione del passato secondo
canoni precisi, dal momento che il passato non può che confermare le miserie
del presente. Insomma, le numerosissime citazioni di scrittori d’arte del
passato (tratte dagli scritti d’arte di Vasari, Baldinucci, Malvasia, Ridolfi)
non mirano mai a confermare obblighi d’imitazione neoclassicista al fine di
recuperare la dignità dell’arte, ma servono a confermare che quella
dell’artista è una conditio humana
che è sempre misera e irreparabile (e questo spiega forse perché il
Winckelmann abbia un’opinione negativa sui Dialoghi,
che considera “sciocchi, asciutti e
puerili” [55]). Motivo per il quale i Dialoghi
si concludono con un tono sostanzialmente pessimista, introdotto sempre dal
Maratta: non vi è forse speranza, per l’artista, di potersi far comprendere
completamente.
![]() |
Fig. 45) La seconda versione dei Dialoghi sopra le tre arti del disegno di Giovanni Gaetano Bottari, pubblicata nel 1770 a Firenze. Il frontespizio – pur contenendo nella base dell’altare il riferimento al titolo – è ripreso da un’immagine molto precedente, disegnata da Niccolò Berrettoni (1637-1682) e incisa da Benoît Farjat (1646-1724). Berrettoni e Farjat collaborarono con Carlo Maratta, uno dei protagonisti dei Dialoghi. Fonte: https://archive.org/details/dialoghisopralet00bott/page/n7 |
I primi due dialoghi sono tutti
centrati sul tema del rapporto tra artista e potere. Nel primo di essi la
conversazione è sostenuta da numerose e lunghe citazioni di passaggi di Vasari,
tutti a dimostrare come anche i maggiori pittori e scultori (lo stesso
Michelangelo) si siano dovuti e potuti ritagliare con grande difficoltà spazi
di autonomia dagli uomini di governo, e come le decisioni arbitrarie di questi
ultimi li abbiano spesso messi in difficoltà. Nel secondo dialogo continua la
presenza vasariana, ma compaiono anche per la prima volta (come se vi fosse una
gerarchia implicita nell’ingresso in scena) passi di altri scrittori d’arte
toscani (Baldinucci) oppure emiliani (Carlo Cesare Malvasia, il contemporaneo Giampietro
Zanotti, quest’ultimo citato ben tre volte) oppure latini (Vitruvio). Il tema
non varia, ma è qui esteso all’architettura. I potenti pagano una miseria gli
architetti valenti (come Brunelleschi) e ricoprono d’oro chi lavora male. Per
paura dei costi, gli incarichi sono assegnati a progetti di secondo piano il
cui prezzo finale è doppio rispetto all’inizio. Anche i migliori architetti
(Bernini) sono vittime dell’invidia. Vi è una progressione cronologica che
porta Bellori e Maratta addirittura a toccare temi recenti per Bottari, come
l’inutile polemica sulla solidità della cupola di San Pietro che si sviluppa
tra 1742 e 1753, ovvero quando sia Bellori sia Maratta sono morti da decenni
[56]. È evidente che Bottari si riserva il diritto di violare ogni coerenza
temporale per sollecitare l’attenzione del lettore su questioni attuali e
urgenti. Da un punto di vista geografico, la discussione tra i due protagonisti
virtuali nasce su temi fiorentini, si sviluppa su questioni romane e si allarga
poi alle difficoltà incontrate dagli architetti a Venezia e Mantova, in una
specie di panoramica che vuol toccare tutte le scuole maggiori. L’ingiustizia è
ovunque, non vi è alcun porto sicuro per l’artista. Poi si torna a discutere di
arte a Roma, per concentrarsi ancora una volta sulle difficoltà della
costruzione di San Pietro (Bottari mette in bocca a Maratta parole poco
generose nei confronti della facciata del Maderno, poco rispettosa dei piani
originali di Michelangelo). Vengono poi di nuovo citati temi contemporanei al
lettore (il rifacimento della facciata di Villa Medici nel 1741). Bellori
conclude sostenendo che il buon gusto si sta esaurendo e che gli architetti
sono sempre meno capaci.
![]() |
Fig. 46) Alessandro Galilei, La facciata di San Giovanni dei Fiorentini, Roma, 1733. Fonte: Wikimedia Commons. |
Anche il terzo dialogo è tutto centrato
sull’architettura e sull’equilibrio difficilissimo che essa richiede tra
capacità ingegneristiche (che si devono apprendere) e di disegno (che sono
innate nell’artista): questo mix rende il mestiere dell’architetto difficile e
professionalmente rischioso. Il leitmotiv della conversazione è ancora una
volta l’incomunicabilità: “Chi studia
l’architettura non la professa, e chi la professa, non la studia” [57]. I
due protagonisti discutono innanzi tutto i meriti di un’architettura basata
sulle buone pratiche costruttive (e citano il caso del Brunelleschi, che riesce
a costruire la cupola nonostante le eccezionali difficoltà tecniche, e del
Fontana, che fa issare la Colonna Antonina risolvendo all’ultimo minuto una
serie di imprevisti). Vengono poi tessute le lodi di Alessandro Galilei e, tra gli architetti tecnicamente più validi, del Borromini.
L’architettura è vista come esercizio logico (e paragonato al gioco degli
scacchi). I cattivi architetti non conoscono la tecnica, realizzano edifici che
crollano durante la costruzione; con la loro imperizia, causano gravi incidenti
sul lavoro, che addebitano all’impreparazione delle maestranze. La padronanza
delle tecniche, tuttavia, è condizione necessaria, ma non sufficiente: vi sono
opere tecnicamente perfette, ma orribili da un punto di vista estetico (e qui
Bottari fa un nuovo salto avanti nel tempo, dedicando una solenne stroncatura
alla Fontana di Trevi avviata da Nicola Salvi nel 1731 e ancora in costruzione
negli anni della pubblicazione). Ciò spiega il gran numero di architetti che
furono prima pittori o scultori (Michelangelo, Bernini e molti altri). Molti
altri li copiano, ma producono edifici senza grazia (e molte chiese le cui
facciate sono, a parere dei dialoganti, inaccettabili, come ad esempio quella
di San Pietro); le eccezioni di ‘puri architetti’ che ‘disegnano’ senza essere
loro stessi artisti universali sono poche (Brunelleschi, Buontalenti,
Borromini, Vignola) e comunque sempre interpretabili. Quanto alle fonti di
storia dell’arte qui citate, Bottari ritorna ai classici latini (Plinio e
Vitruvio) e a Vasari.
Con il quarto dialogo si torna al tardo
Cinquecento e al barocco (con citazioni frequenti di Malvasia, Baldinucci e
Ridolfi): le vittime dell’incomprensione dei committenti sono nomi di primo
piano come Tiziano, Correggio, Paolo Veronese, Agostino e Annibale Carracci, Guido Reni, Poussin, Taddeo Zuccari, il
Domenichino, ma anche artisti meno conosciuti come Fabrizio Boschi, Simone
Cantarini, Angelo Michele Colonna e Agostino Mitelli. In alcuni casi le loro
opere sono stravolte a causa di richieste assurde, in altri gli artisti sono
sottopagati, in altri ancora a loro sono preferiti colleghi di seconda classe
(a Domenichino sono preferiti lo Spagnoletto e Lanfranco, che, chiaramente, a
Bottari non piacciono). In particolare
Annibale Carracci e il Domenichino sono visti come il prototipo dell’artista
vittima di un destino crudele, come pure dell’ignoranza e dell’invidia umana.
![]() |
Fig. 47) La terza edizione dei Dialoghi a cura dell’editore Simoni di Napoli del 1772 (con un errore nella copertina, dove l’anno di pubblicazione è erratamente indicato come 1372) Fonte: https://openlibrary.org/books/OL24988201M/Dialoghi_sopra_le_tre_arti_del_disegno |
Il quinto, e ultimo, dialogo è una
variazione sul tema, sempre sostenuta da molteplici citazioni del Malvasia, del
Baldinucci e del Ridolfi. Da buon giansenista, Bottari non crede affatto
all’infallibilità papale (anche in tema d’arte) e sembra riservare una
particolare attenzione ai casi in cui sono i Papi a fare errori clamorosi.
Sisto IV (1414-1484) paga molto di più Cosimo Rosselli del Perugino o di Luca
Signorelli per gli affreschi della Cappella Sistina; anche Sisto V (1521-1585)
e Paolo V (1550-1621) fanno decorare la libreria Vaticana ad artisti di secondo
piano e dimenticano i Carracci e la scuola bolognese. I Domenicani di Bologna
preferiscono un frescante di pessime qualità, come Giovanni Valesio (1579-1650) al Tiarini, ma il risultato è un tale obbrobrio da obbligare il pittore a
coprire la sua opera con la calce in una sola notte. Gli artisti possono essere
anche vittima della malasorte: la sparizione delle opere è spesso conseguenza dell’incuria
o dei restauri mal effettuati (e qui si cita, con Giotto, per la prima volta un
artista del medioevo; il caso più grave è però la perdita degli affreschi di
Guido Reni a S. Michele in Bosco a Bologna) e di crolli ed altri incidenti
tecnici. Un capo-ingegnere inesperto determina la perdita di affreschi di
Agostino Carracci nel convento dei Cappuccini di Parma, accelerandone la morte.
Incidenti e sfortuna perseguitano il Cigoli e Giulio Romano. Vi sono poi opere
di grandissimi del passato (Raffaello e Michelangelo) che richiederebbero
salvataggi urgenti. L’opera si conclude in un tono di delusione e pessimismo.
![]() |
Fig. 48) A sinistra: un’edizione dei Dialoghi sopra le tre arti del disegno di Giovanni Battista Bottari del 1826. Fonte: https://archive.org/details/bub_gb_7_FYAAAAYAAJ/page/n3. A destra: la traduzione spagnola del 1806. Fonte: https://archive.org/details/dialogossobrelas00bott/page/n3 |
Resta da dire che i Dialoghi di Bottari (oggi quasi
dimenticati) piacquero. Una nuova versione “corretta ed accresciuta” uscì a
Firenze già nel 1770 e a Napoli nel 1772 (dunque con Bottari ancora in vita).
Nel 1804 comparve un’edizione spagnola (Dialogos
Sobre Las Artes del Diseño). Nuove edizioni videro la luce a Reggio Emilia
nel 1826, 1832 e 1845. Evidentemente il testo si sposava bene con le
inquietudini dell’epoca “romantica” e con l’idea dell’artista maledetto, che
prevalse nella moda dei lettori duranti i decenni delle nuove edizioni
ottocentesche. Un altro indizio avvalora
l’ipotesi, forse ardita, delle suggestioni preromantiche di un Bottari,
nonostante egli appartenga sicuramente al mondo classicista. Si tratta
dell’amicizia tra quest’ultimo e Piranesi [58], uno spirito ribelle che
interpreta l’amore per l’architettura antica in senso completamente diverso da
quello del Winckelmann.
![]() |
Fig. 49) A sinistra: Pier Leone Ghezzi, Caricatura di Giovanni Battista Bottari, 1749. Fonte: https://www.britishmuseum.org/research/collection_online/collection_object_details.aspx?assetId=921413001&objectId=3086817&partId=1. A destra: Felice Polanzani, Frontespizio del volume di Piranesi Antichità Romane, raffigurante Giovan Battista Piranesi come busto romano, 1756. Fonte: Wikimedia Commons |
I Dialoghi
confermano l’idea – che conosciamo dal Bottari ‘intellettuale impegnato’,
ovvero dal sostenitore di una tendenza religiosa (il giansenismo) minoritaria
in Italia – di una visione difficile e complessa del rapporto tra arte e
società. Bellori e Maratta non discorrono su questioni astratte o principi
generali, ma sul destino delle persone. Essi si pongono sostanzialmente
questioni comportamentali ed etiche: chi dipende da chi? Su chi ricadono le
colpe di chi? Come ci si può difendere dai torti subiti? Ovviamente molte delle
loro conversazioni ripresentano discussioni e figure retoriche per nulla
originali. Ad esempio, la questione se per l’architettura conti di più la
conoscenza tecnico-ingegneristica oppure la creatività dell’artista risale a
Vitruvio, come documentato da una lunga citazione; inoltre sia nel Vasari sia
nel Malvasia sono numerosi i casi in cui l’artista è vittima di un committente
ignorante o stupido. Tuttavia Giovanni Gaetano vuole anche trasmettere al lettore
un’idea precisa: gli artisti sono uomini che si mettono in gioco, prendono
rischi e spesso falliscono. Fallire è possibile ed è una parte inevitabile
della vita. La fortuna può arrivare agli artisti molto presto oppure solamente
postuma, ma non dipende mai solamente dalle loro qualità.
![]() |
Fig. 50) Giambattista Piranesi, Dedica a Giovanni Gaetano Bottari del volume Antichità Romane de' Tempi della Repubblica, e de' primi Imperatori, 1748. Fonte: https://www.metmuseum.org/art/collection/search/365873 |
La Raccolta nell'edizione del 1754
Proviamo ad utilizzare quanto appreso
sui Dialoghi per leggere il volume
della Raccolta di lettere sulla pittura,
scultura ed architettura nella versione preparata negli anni Trenta del
Settecento, presentata alle autorità nel 1751 e stampata nel 1754. A quella
data Giovanni Gaetano, molto probabilmente, ha in mente di dare alle stampe un
solo volume, e lo struttura in modo tale che esso possa offrire un’idea
complessiva della scrittura epistolare da parte degli artisti.
![]() |
Fig. 51) Pierre Subleyras, Ritratto del cardinal Silvio Valenti Gonzaga, 1745. Fonte: Wikimedia Commons |
La Raccolta
è dedicata a Silvio Valenti Gonzaga (1690-1756), Segretario di Stato di
Benedetto XIV (e dunque, di fatto, numero due della struttura politica dello
Stato) e uomo molto interessato all’arte (è lui a fondare la Pinacoteca
Capitolina e a raccogliere “un tesoro di
stampe, di disegni, e di quadri da far invidia a un Monarca” [59]) Va detto
che Bottari gli ha dedicato, sei anni prima, un suo scritto sui terremoti: “Lezioni tre sopra il tremoto dedicate all'e.mo,
e r.mo principe il signor cardinale Silvio Valenti camarlengo di S. Chiesa, e
segretario di Stato” (1748).
Quanto alla struttura della Raccolta, Bottari sembra suggerire
nell’introduzione che in realtà non vi sia ordine alcuno: “Si è osservato un tal quale ordine nel disporle, ma non del tutto
esatto, poiché non è necessario, né si è potuto; perché mi sono sopravvenute
molte lettere nel corso della stampa” [60]. Tuttavia, non mi pare che le
cose stiano proprio così: se è vero che vi sono casi (limitati) in cui le
lettere sono mal poste in ordine cronologico, nella grande maggioranza la
struttura tiene.
Il volume contiene 203 lettere. La
prima è del 1504, ed è per la verità l’unica dei primissimi anni del
Cinquecento, rintracciata nell’archivio Gaddi a Firenze: si rivelerà poi, con
il passare dei secoli e degli studi, un falso: è una supposta missiva di
raccomandazione a Pier Soderini (1450-1522), gonfaloniere della Repubblica di
Firenze, che Giovanna da Montefeltro delle
Rovere (1463-1513) avrebbe inviato a a vantaggio di un giovane Raffaello
Sanzio, allora ventunenne. La Raccolta
non comprende alcun testo precedente, non solamente perché Bottari non sembra
interessato ai primitivi, ma probabilmente anche perché la disponibilità di
testi di quegli anni è assai più scarsa nei fondi archivistici fiorentini e
toscani, a cui l’antologizzatore ha accesso. La lettera più recente è del 1665
ed è inviata da Salvator Rosa all’amico poeta, drammaturgo e filosofo pisano
Giovanni Battista Ricciardi (1623-1686); è l’ultima di una lunga serie di
lettere che Rosa manda allo stesso destinatario a partire dal 1652.
Una raccolta di lettere identificate da
Bottari selezionando i fondi archivistici dei destinatari
Le lettere sono presentate in ordine
cronologico, ma in modo assai curioso. Invece che essere elencate e proposte
secondo i rispettivi mittenti, sono organizzate per destinatari. Considerando
le persone a cui le lettere sono spedite, vi sembrano essere cinque nuclei
epistolari, corrispondenti alle figure dell’umanista Benedetto Varchi (1503-1565),
del segretario di Cosimo I Jacopo Guidi (1514-1588), del notabile, scrittore e
collezionista Ferrante Carlo (1578-1641) (si tratta dello pseudonimo di
Ferdinando Carli [61]), di Cassiano dal Pozzo (1588–1657) e del commediografo Giovanni
Battista Ricciardi (1623-1686) [62]. Con l’eccezione delle lettere spedite a
Varchi (nel quadro della discussione sul paragone delle arti), non si tratta di
carteggi di tema estetico.
In alcuni casi le missive documentano
rapporti di vera amicizia tra i corrispondenti e gli artisti (Cassiano dal
Pozzo e Nicolas Poussin; Giovanni Battista Ricciardi e Salvator Rosa); più
spesso le lettere si riferiscono a commesse, transazioni d’affari, divergenze
d’opinioni sulle commesse e rivelano la dipendenza dell’artista sia dal gusto
del committente sia dalla sua posizione di potere, anche se in forme diverse:
Jacopo Guidi è in condizioni di dettare le sue condizioni agli artisti, perché è
lui a decidere l’accesso alle commissioni medicee; Ferrante Carlo, poeta che
non ha avuto successo e vive alle dipendenze di cardinali prima in centri
urbani della pianura padana e poi a Roma, non è invece solamente intermediario
di Ludovico Carracci e Giovanni Lanfranco ed altri artisti, ma anche loro
confidente; Cassiano dal Pozzo è un grande intellettuale che sta creando – per
ragioni legate al suo desiderio di documentare il sapere – una delle maggiori
biblioteche di Roma e, soprattutto, un’enorme collezione di stampe (il Museo cartaceo), e ha rapporti di
diversa consuetudine con gli artisti (e le artiste, come Giovanna Garzoni e
Artemisia Gentileschi). Le lettere portano insomma viva testimonianza di quel
che, nei Dialoghi, Bellori e Maratta
avevano discusso in modo amabile: l’artista dipende dalle controparti, sia nel
bene sia nel male. Ebbene, non sorprende che il traduttore tedesco delle
lettere a metà Ottocento, Ernst Guhl, abbia visto in esse soprattutto uno
strumento per studiare l’evoluzione del rapporto di potere tra artisti e
società e che molte delle lettere facenti parte della Raccolta di Bottari siano state considerate con attenzioni da
studiosi del mecenatismo come Francis Haskell.
![]() |
Fig. 53) Jan van den Hoecke, Ritratto di Cassiano dal Pozzo, tra 1630 e 1650. Fonte: Wikimedia Commons |
Vi è un’importante eccezione, in cui
chiaramente il lavoro di Bottari è partito dall’archivio di un mittente, e non
di un destinatario: sono le ventuno lettere spedite da Vincenzo Borghini (1515-1580),
filologo, letterato e grande amico di Giorgio Vasari, che aiutò sia nella
redazione delle Vite sia
nell’approntamento di programmi iconografici. I numerosi testi ruotano in
realtà intorno ad una lettera di ben cinquanta pagine (e dunque in realtà una
relazione) inviata al Granduca in occasione delle feste nuziali di Francesco I
de’ Medici con Giovanna d’Austria. Seguono le lettere di Borghini a molti altri
artisti (Vasari, Bronzino, Buontalenti, Caccini) impegnati nella stessa
impresa, in cui Borghini si rivela uomo di grande inventiva come organizzatore
di eventi, proponendo programmi iconografici di particolare inventiva.
I parallelismi tra Dialoghi e Raccolta nelle
lettere degli artisti toscani del Cinquecento
![]() |
Fig. 54) A sinistra: la citazione della lettera di Francesco da Sangallo a Benedetto Varchi nel primo dei Dialoghi sopra le tre arti del disegno. Fonte: https://archive.org/details/dialoghisopralet00bott/page/28. A destra: due pagine della lunga lettera di Francesco da Sangallo a Benedetto Varchi, nella Raccolta di lettere sulla pittura, scultura, ed architettura. Fonte: https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=gri.ark:/13960/t40s19s1q;view=1up;seq=41. |
Considerando la sezione ‘fiorentina’
del volume (si tratta, grosso modo di un’ottantina di lettere), i parallelismi
con il primo dei cinque Dialoghi sono
numerosi. Le lettere di Michelangelo a Vasari documentano le difficoltà o
addirittura l’impossibilità del grande artista a convincere le autorità in
merito alla bontà dei suoi progetti (Papa Giulio III del Monte sulla cappella
per la propria famiglia; Paolo III Farnese sulla fabbrica di San Pietro; Cosimo
I dei Medici su un progetto (poi non utilizzato) per l’edificazione della
Chiesa di San Giovanni dei Fiorentini a Roma). Analoghe sono le difficoltà
avute con colleghi come Bartolomeo Ammannati nel caso dello scalone della
Biblioteca Laurenziana a Firenze. Rispetto a quanto scritto nei Dialoghi, la Raccolta presenta nuovi episodi di incomprensione tra Michelangelo
e il papato.
![]() |
Fig. 55) Michelangelo, Pianta per la chiesa di San Giovanni dei Fiorentini, 1559 Fonte: https://operaduomo.firenze.it/blog/posts/disegni-architettonici-di-casa-buonarroti |
È ovvio come il legame non possa essere
stato semplicemente unidirezionale (dai Dialoghi
alla Raccolta). È del tutto legittimo
indagare anche il rapporto inverso: Bottari ha scelto il tema della dipendenza
degli artisti dal mondo del potere come tema della conversazione fittizia anche
perché ispirato dalle disavventure testimoniate nelle lettere fiorentine che
conosce già da anni; in fondo, pone in bocca ai due protagonisti dei Dialoghi le stesse parole che legge
nelle lettere.
Non sorprende dunque che la simmetria
tra Dialoghi e Raccolta sia particolarmente evidente nella sezione toscana.
Parallelismi a proposito degli artisti
emiliani del primo Seicento
La Raccolta
del 1754 accoglie poi una quarantina di lettere di artisti emiliani, fra i
quali protagonista assoluto è Ludovico Carracci (1555-1619), che compare come
firmatario di sedici missive a Ferrante Carlo (dal 1608 alla morte) e
destinatario di due lettere del cugino Annibale. Scrive a Ferrante anche
Giovanni Lanfranco (1582-1647)
con dieci lettere dal 1636 al 1641. Minore è la presenza di altri pittori di
scuola bolognese come Guido Reni (due lettere), il Guercino (1591-1666) e
Lavinia Fontana (1552-1614).
![]() |
Fig. 57) Veduta interna della Reale cappella del Tesoro di San Gennaro nel Duomo di Napoli, con affreschi del Lanfranco e Domenichino, 1633-1643. Fonte: Wikimedia Commons |
Seguendo le stesse tematiche affrontate
per i fiorentini, nei Dialoghi i due
interlocutori fittizi si scambiano informazioni sui casi in cui i bolognesi
sono vittima di sfruttamento commerciale, e spendono molto tempo su Domenico
Zampieri, detto il Domenichino (1581-1641), e in particolare sul caso della
cappella e cupola di San Gennaro a Napoli, che viene documentato in numerosi
passaggi dei Dialoghi con una
citazione dal Malvasia [63] e una dal Bellori [64]. È in assoluto il caso
peggiore di sfruttamento documentato dal Bottari: gli affreschi sono
realizzati dal Domenichino sotto la minaccia di pittori locali, che lo
costringono addirittura a scappare; nella storia narrata dal Malvasia e Bellori
il pittore bolognese morì di crepacuore a Napoli per essere stato sostituito
dal Lanfranco, dopo che i suoi affreschi erano stati ricoperti di calce. Il
caso ritorna nella Raccolta: in una
lettera del 23 gennaio 1632 a Cassiano del Pozzo è lo stesso pittore ad
informare lo studioso sulle condizioni capestro a cui è stato sottoposto per
l’esecuzione di quelle opere napoletane [65].
![]() |
Fig. 58) Il pittore Giovanni Valesio come prototipo del pittore incapace, ingiustamente preferito ad altri (il Tiarini). A sinistra, il drastico giudizio nei Dialoghi. A destra: una lettera di Valesio a Ferrante Carlo, datata 1608. Fonte: https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=gri.ark:/13960/t40s19s1q;view=1up;seq=237 |
Situazione assolutamente opposta è
quella dell’incisore e pittore bolognese Giovanni Valesio (1579-1650), che
viene descritto nel Dialoghi come il
prototipo dell’incapace che approfitta dell’ignoranza dei committenti (nello
specifico i Padri Domenicani a Bologna, che lo preferiscono al Tiarini). Non
credo sia un caso che la Raccolta
includa una sua lettera a Ferrante Carlo (in sé e per sé del tutto priva di
contenuto): è un’occasione per parlare di Valesio in entrambi i testi.
Le lettere degli artisti barocchi
operanti a Roma e Napoli
Le ultime ottanta lettere della Raccolta del 1754 sono dedicate al
barocco, e tra di esse, ben sessanta sono ricevute da Cassiano dal Pozzo (1588-1657).
Nell’introduzione alla Raccolta
Giovanni Gaetano ringrazia il Cardinale Albani per aver messo a sua
disposizione la biblioteca e le carte di Cassiano: “Debbo ancora dare la debita lode all’Eminentiss. Sig. Cardinale
Alessandro Albani possessore, e intelligentissimo di ogni più rara Antichità, e
amante, e promotore con tutte le sue forze delle tre belle Arti, il quale
gentilmente mi ha dato facoltà d’estrarre dalla sua copiosa libreria tutte
quelle lettere, che ho stimate opportune, pervenute ad esso con i Libri del già
famosissimo Cassiano del Pozzo” [66].
Tra i corrispondenti di Cassiano vi
sono Nicolas Poussin (1594-1665) con ventitré lettere concentrate tra 1641 e
1642, Artemisia Gentileschi (1593-1654) con sei lettere tra 1630 e 1637, Pietro da Cortona (1596-1669) con sei lettere tra 1641 e 1646 e infine Pietro Testa (1612-1650)
con tre lettere tra 1632 e 1637. Vi sono anche missive di artisti meno noti,
come la miniaturista Giovanna Garzoni (1600-1670) con quattro lettere del
1630-1631 oppure di artefici oggi praticamente dimenticati, come l‘agostiniano
Fra Giovanni Saliano, di cui non si conoscono data di nascita e morte.
Implicitamente, la Raccolta offre
dunque un’idea coerente dell’arte del barocco romano, basata sulla rete di
conoscenze e le preferenze estetiche di un unico protagonista (che chiaramente
predilige un barocco di stile classicista).
L’unico caso rilevante per questo
periodo, al di fuori del carteggio di Cassiano, è costituito dalle sedici
lettere inviate da Salvator Rosa (1615-1673) al già citato Giovanni Battista
Ricciardi. Nei Dialoghi è considerato
un artista sregolato, ma geniale (la fonte a cui si attinge sulla sua
personalità è il Baldinucci).
Che cosa manca nella Raccolta del 1754 rispetto ai Dialoghi?
Se si considera il contenuto dei Dialoghi come espressione del gusto di
Bottari (e dunque come paradigma), che cosa manca alla Raccolta pubblicata lo stesso anno? Evidentemente, la copertura
dell’architettura nella collezione di lettere è molto inferiore allo spazio a essa riservato nelle conversazioni fittizie tra Poussin e Maratta. Alcuni dei
‘maestri dell’arte’, come Guido Reni, sono sottorappresentati: nei Dialoghi Reni viene esaltato come il
maggiore artista di sempre, nella Raccolta
è presente con due sole lettere (una, brevissima, a un interlocutore
sconosciuto [67] e l’altra al conte bolognese -Antonio Galeazzo Fibbia, in cui
discute esclusivamente aspetti monetari). E ovviamente non vi sono gli artisti
viventi, quelli con il quale Giovanni Bottari ha consuetudine personale.
Sono forse queste lacune a giustificare
la continuazione dell’opera? Lo vedremo nella terza parte di questo post.
NOTE
[41] Perini, Giovanna – Le lettere degli artisti da strumento di comunicazione, a documento, a cimelio (citato), p. 172.
[42] Perini, Giovanna – Le lettere degli artisti da strumento di comunicazione, a documento, a cimelio (citato), p. 170.
[43] Perini, Giovanna – Le lettere degli artisti da strumento di comunicazione, a documento, a cimelio (citato), p. 177.
[44] Perini, Giovanna – Le lettere degli artisti da strumento di comunicazione, a documento, a cimelio (citato), p. 177.
[45] Perini, Giovanna – Le lettere degli artisti da strumento di comunicazione, a documento, a cimelio (citato), p. 179.
[46] Sulla pubblicazione di lettere d’artisti e di studiosi contemporanei sull’arte nelle riviste romane del Settecento, si veda Perini, Giovanna – Nuove Fonti per la ‘Kunstliteratur’ Settecentesca in Italia: i giornali letterari. In Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia, Serie III, Vol. 14, No. 2 (1984), pp. 797-827. Si veda:
https://www.jstor.org/stable/24306583?read-now=1&seq=17#page_scan_tab_contents.
[47] Su Carlo Roberto Dati si veda la voce nel Dizionario Biografico degli Italiani del 1987, a cura di Magda Vigilante. La voce è disponibile all’indirizzo:
[49] Fraisse, Emmanuel – Les Anthologies en France, Parigi, L’Hermattan, 2017, 310 pagine.
[50] Die deutschsprachige Antologie [L’antologia in lingua tedesca], a cura di Joachim Bark e Dietger Pforte, Francoforte sul Meno, V. Klostermann, 1970, in due volumi (216 e 341 pagine).
[51] Su Anton Maria Salvini si veda la voce nel Dizionario Biografico degli Italiani del 2017, a cura di Maria Pia Paoli. La voce è disponibile all’indirizzo:
https://letteraturaartistica.blogspot.com/2014/05/brian-tovey-cura-di-pouncey-index-of.html
[47] Su Carlo Roberto Dati si veda la voce nel Dizionario Biografico degli Italiani del 1987, a cura di Magda Vigilante. La voce è disponibile all’indirizzo:
http://www.treccani.it/enciclopedia/carlo-roberto-dati_(Dizionario-Biografico)/ .
[48] Su Tommaso Buonaventuri si veda la voce nel Dizionario Biografico degli Italiani del 1972, a cura di Paolo Cristofolini. La voce è disponibile all’indirizzo:
[48] Su Tommaso Buonaventuri si veda la voce nel Dizionario Biografico degli Italiani del 1972, a cura di Paolo Cristofolini. La voce è disponibile all’indirizzo:
[49] Fraisse, Emmanuel – Les Anthologies en France, Parigi, L’Hermattan, 2017, 310 pagine.
[50] Die deutschsprachige Antologie [L’antologia in lingua tedesca], a cura di Joachim Bark e Dietger Pforte, Francoforte sul Meno, V. Klostermann, 1970, in due volumi (216 e 341 pagine).
[51] Su Anton Maria Salvini si veda la voce nel Dizionario Biografico degli Italiani del 2017, a cura di Maria Pia Paoli. La voce è disponibile all’indirizzo:
http://www.treccani.it/enciclopedia/anton-maria-salvini_%28Dizionario-Biografico%29/ .
[52] Rolfi Ožvald, Serenella, Lettere ad un amico. Da Bottari al giornalismo artistico degli anni Ottanta del Settecento, in Le carte false. Epistolarità fittizia nel Settecento italiano, a cura di F. Forner, V. Gallo, S. Schwarze, C. Viola, Roma, 2017, pp. 469-490
(https://www.academia.edu/32003116/LETTERE_AD_UN_AMICO_DA_BOTTARI_AL_GIORNALISMO_ARTISTICO_DEGLI_ANNI_OTTANTA_DEL_SETTECENTO).
[53] Barocchi, Paola - Fortuna della epistolografia artistica, in Studi Vasariani, Torino, 1984, pp. 83-111. Citazione a p. 92.
[54] Grisolia, Francesco: «Di queste bagattelle ella ben vede pieno il Vasari». Spigolature alle Vite nelle lettere di Domenico Maria Manni a Giovanni Gaetano Bottari, in Studi di Memofonte, Numero 8, 2012, pp. 95-120.
[52] Rolfi Ožvald, Serenella, Lettere ad un amico. Da Bottari al giornalismo artistico degli anni Ottanta del Settecento, in Le carte false. Epistolarità fittizia nel Settecento italiano, a cura di F. Forner, V. Gallo, S. Schwarze, C. Viola, Roma, 2017, pp. 469-490
(https://www.academia.edu/32003116/LETTERE_AD_UN_AMICO_DA_BOTTARI_AL_GIORNALISMO_ARTISTICO_DEGLI_ANNI_OTTANTA_DEL_SETTECENTO).
[53] Barocchi, Paola - Fortuna della epistolografia artistica, in Studi Vasariani, Torino, 1984, pp. 83-111. Citazione a p. 92.
[54] Grisolia, Francesco: «Di queste bagattelle ella ben vede pieno il Vasari». Spigolature alle Vite nelle lettere di Domenico Maria Manni a Giovanni Gaetano Bottari, in Studi di Memofonte, Numero 8, 2012, pp. 95-120.
http://www.memofonte.it/studi-di-memofonte/numero-8-2012/.
[55] Perini, Giovanna – Nuove Fonti per la ‘Kunstliteratur’ Settecentesca in Italia: i giornali letterari, citazione a pagina 813.
[56] Bottari, Giovanni Gaetano - Dialoghi sopra le tre arti del disegno, Reggio Emilia, Per Pietro Fiaccadori, 1826, pagine 216. Citazione alle pagine 60-61. Si veda:
[55] Perini, Giovanna – Nuove Fonti per la ‘Kunstliteratur’ Settecentesca in Italia: i giornali letterari, citazione a pagina 813.
[56] Bottari, Giovanni Gaetano - Dialoghi sopra le tre arti del disegno, Reggio Emilia, Per Pietro Fiaccadori, 1826, pagine 216. Citazione alle pagine 60-61. Si veda:
https://archive.org/details/bub_gb_7_FYAAAAYAAJ/page/n3 .
[57] Bottari, Giovanni Gaetano - Dialoghi sopra le tre arti del disegno (citato), Citazioni alle pagine 82, 95, 107 e 116.
[58] Si veda: Monferini, Augusta - Piranesi e Bottari, in Anna Lo Bianco, Piranesi e la cultura antiquaria, gli antecedenti e il contesto: Atti del convegno, 14-17 novembre 1979 (Roma: Multigrafica, 1983), pp. 221-29; Gallottini Angela - Vasi, Piranesi, Bottari: un’impresa editoriale tra Napoli e Roma, in: Arte e storia dell'arte, 2009; Casadio Martina - Bottari e gli incisori. Lettere di Bartolozzi, Billy, Caccianiga, Campiglia, Morghen, in: Studi di Memofonte, Numero 8, 2012. Il testo è disponibile a:
[57] Bottari, Giovanni Gaetano - Dialoghi sopra le tre arti del disegno (citato), Citazioni alle pagine 82, 95, 107 e 116.
[58] Si veda: Monferini, Augusta - Piranesi e Bottari, in Anna Lo Bianco, Piranesi e la cultura antiquaria, gli antecedenti e il contesto: Atti del convegno, 14-17 novembre 1979 (Roma: Multigrafica, 1983), pp. 221-29; Gallottini Angela - Vasi, Piranesi, Bottari: un’impresa editoriale tra Napoli e Roma, in: Arte e storia dell'arte, 2009; Casadio Martina - Bottari e gli incisori. Lettere di Bartolozzi, Billy, Caccianiga, Campiglia, Morghen, in: Studi di Memofonte, Numero 8, 2012. Il testo è disponibile a:
http://www.memofonte.it/studi-di-memofonte/numero-8-2012/.
[59] Bottari, Giovanni Gaetano, Raccolta di lettere sulla pittura, scultura scritte da’ più celebri professori che in dette Arti fiorirono dal Secolo XV. al XVII., Roma, Per gli Eredi Barbiellini Mercanti di Libri e Stampatori a Pasquino, 1754, p. 328. Citazione a pagina v.
[59] Bottari, Giovanni Gaetano, Raccolta di lettere sulla pittura, scultura scritte da’ più celebri professori che in dette Arti fiorirono dal Secolo XV. al XVII., Roma, Per gli Eredi Barbiellini Mercanti di Libri e Stampatori a Pasquino, 1754, p. 328. Citazione a pagina v.
https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=gri.ark:/13960/t40s19s1q;view=1up;seq=9
[60] Bottari, Giovanni Gaetano, Raccolta di lettere sulla pittura, scultura scritte da’ più celebri professori (citato), p. viii.
[60] Bottari, Giovanni Gaetano, Raccolta di lettere sulla pittura, scultura scritte da’ più celebri professori (citato), p. viii.
https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=gri.ark:/13960/t40s19s1q;view=1up;seq=11
[61] Si veda la voce Ferdinando Carli, a cura di Martino Capucci , nel Dizionario Biografico degli Italiani (1977), disponibile all’indirizzo
[61] Si veda la voce Ferdinando Carli, a cura di Martino Capucci , nel Dizionario Biografico degli Italiani (1977), disponibile all’indirizzo
http://www.treccani.it/enciclopedia/ferdinando-carli_(Dizionario-Biografico)/.
[62] Si veda la voce Giovanni Battista Ricciardi, a cura di Salomé Vuelta García, nel Dizionario Biografico degli Italiani (2016), disponibile all’indirizzo
[62] Si veda la voce Giovanni Battista Ricciardi, a cura di Salomé Vuelta García, nel Dizionario Biografico degli Italiani (2016), disponibile all’indirizzo
http://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-battista-ricciardi_%28Dizionario-Biografico%29/.
[63] Bottari, Giovanni Gaetano - Dialoghi sopra le tre arti del disegno (citato), p. 201
[63] Bottari, Giovanni Gaetano - Dialoghi sopra le tre arti del disegno (citato), p. 201
https://archive.org/details/dialoghisopralet00bott/page/200
[64] Bottari, Giovanni Gaetano - Dialoghi sopra le tre arti del disegno (citato), p. 220
[64] Bottari, Giovanni Gaetano - Dialoghi sopra le tre arti del disegno (citato), p. 220
https://archive.org/details/dialoghisopralet00bott/page/220
[65] Bottari, Giovanni Gaetano, Raccolta di lettere sulla pittura, scultura scritte da’ più celebri professori (citato)
[65] Bottari, Giovanni Gaetano, Raccolta di lettere sulla pittura, scultura scritte da’ più celebri professori (citato)
https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=gri.ark:/13960/t40s19s1q;view=1up;seq=259
[66] Bottari, Giovanni Gaetano, Raccolta di lettere sulla pittura, scultura scritte da’ più celebri professori (citato), p. vii.
[66] Bottari, Giovanni Gaetano, Raccolta di lettere sulla pittura, scultura scritte da’ più celebri professori (citato), p. vii.
https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=gri.ark:/13960/t40s19s1q;view=1up;seq=11
[67] Bottari, Giovanni Gaetano - Dialoghi sopra le tre arti del disegno (citato), p. 204
[67] Bottari, Giovanni Gaetano - Dialoghi sopra le tre arti del disegno (citato), p. 204
https://letteraturaartistica.blogspot.com/2014/05/brian-tovey-cura-di-pouncey-index-of.html
Nessun commento:
Posta un commento