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venerdì 8 marzo 2019

Francesco Mazzaferro. La 'Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura' di Giovanni Gaetano Bottari. Parte Seconda


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Francesco Mazzaferro
La Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura di Giovanni Gaetano Bottari


Parte Seconda

Fig. 33) Giovanni Zanobio Weber, Medaglia di Giovanni Gaetano Bottari, Firenze, Bargello, 1760 circa.
Fonte: Wikimedia Commons



Perché una raccolta di lettere d’artisti?

Come spiegare le ragioni della comparsa della Raccolta nel 1754? Giovanna Perini Folesani [40] vede in essa il culmine di una tradizione secentesca di collezionismo delle lettere degli artisti, che risale al Bellori  (1613-1696) e al Malvasia (1616-1693), ovvero a scrittori d’arte che Bottari apprezza come punti di riferimento assoluti della sua estetica: non a caso uno dei due personaggi dei suoi Dialoghi sopra le tre arti del disegno (1754) è il Bellori, mentre il Malvasia è in essi continuamente citato.

La studiosa spiega che vi è evidenza di un primo tentativo di Bellori di pubblicare la propria raccolta di lettere nel 1665 [41]. Nel discorso dell’Idea del 1664, peraltro, è inserita una lettera di Guido Reni. Quanto al Malvasia, aveva preparato una raccolta di lettere d’artisti (tra le quali centocinquanta dell’Albani e sessanta dei Carracci) che aveva cercato, invano, di pubblicare nel 1672, come progetto indipendente, ma correlato alla Felsina Pittrice. Alle lettere, in particolare, Malvasia riserva comunque un ruolo fondamentale anche nella sua Felsina: “Ecco allora che per l’avvocato Malvasia, rivestitosi della toga dello storico, il documento scritto (la lettera in particolare) è, al pari della testimonianza verbale, una voce che dialoga, come in un tribunale, con altre favorevoli ed altre avverse, un elemento su cui l’arringa  difensiva può poggiare o che, all’inverso, essa deve confutare: al fine dichiarato di ottenere infine un giudizio, auspicabilmente favorevole” [42].

Fig. 34) A sinistra, Le vite de' pittori, scultori et architetti moderni di Giovanni Pietro Bellori (1672) (Fonte: https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k851200q. A destra: Felsina Pittrice di Carlo Cesare Malvasia (1678) (Fonte:
https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:Title_page_of_%27Felsina_pittrice%27_by_Malvasia_-_HathiTrust_(Getty_Research_Institute).jpg)

Secondo la Perini, Bellori e Malvasia sarebbero dunque i veri primi ideatori di una raccolta di lettere d’artisti, mentre a Bottari spetterebbe solo il merito di aver stampato per primo una pubblicazione legata a un progetto ideato in realtà nel secolo precedente. Per quali ragioni i progetti di Bellori e Malvasia non si concretizzano, mentre quello di Bottari ha successo? Nel Seicento i tempi per pubblicare una raccolta di lettere non sono ancora maturi – scrive la studiosa – perché la lettera, in fin dei conti è un “documento fine a se stesso, svincolato da una individualità biografica da accertare storicamente o da una teoria da svolgere o confutare” [43]. In altre parole, per scrittori di forte identità estetica come Bellori e Malvasia scrivere una ‘semplice’ raccolta di testi neutri e privi di un orientamento uniforme non avrebbe avuto alcun senso. A ciò si aggiunge il problema (già menzionato nella prima parte di questo post) che, mentre compilare una storia della poesia in forma antologica non pone problemi di autori non rappresentati, scrivere una storia dell’arte tramite le lettere degli artisti è un’impresa molto difficile, perché si scontra con l’assenza di documenti per molti di quelli più rappresentativi, e l’abbondanza per artefici del tutto minori. Bisogna dunque attendere il Settecento e la sua “storiografia di profilo debole” [44], dunque una fase in cui, sostanzialmente, la semplice erudizione diviene il fine esclusivo della ricerca storica, perché una raccolta di lettere d’artisti possa apparire: “Insomma, non è fortuito se la prima silloge di lettere di artisti esce a metà Settecento e non prima: la sua eterogeneità, additività ed apparente oggettività corrispondono ad un livello di documentazione pura, di indifferenza teleologica, o almeno di attrazione, impossibili ad attuarsi entro un contesto di motivazione teorica e polemica concreta della storiografia secentesca” [45]. 

Fig. 35) A sinistra: Paolo Gherardo, Nuovo libro di lettere de i piu rari auttori della lingua volgare Italiana, 1545. Fonte: https://books.google.de/books?id=R7JdAAAAcAAJ&pg=PP7&hl=it&source=gbs_selected_pages&cad=3#v=onepage&q&f=false. A destra: Dionigi Atanagi, Delle Lettere facete et piacevoli di diversi grandi Huomini et chiari ingegni, 1601. Fonte: https://fr.maremagnum.com/libri-antichi/delle-lettere-facete-et-piacevoli-di-diversi-homini-grandi/138084715

Mi permetto di dissentire, in particolare sull’idea che la raccolta di Bottari nasca in un ambiente di ‘pensiero debole’, per usare una categoria filosofica post-strutturalista del tardo Novecento. Quanto detto sulle ragioni ‘ideologiche’ dello strumento delle fonti storiche da parte dei giansenisti smentisce, a mio parere, la tesi di Perini Folesani. Inoltre, non si potrebbe comprendere appieno il significato della Raccolta, se non si considerasse che la forma epistolare s’impone, nell’Europa di fine Seicento, come strumento chiave di comunicazione tra coloro che si interessano di cultura, e che ciò non avviene esclusivamente come contatto privato, ma anche come testimonianza destinata ad una circolazione più ampia.

Questo non significa affatto, ovviamente, che Bottari non faccia uso sistematico, come fonte per la Raccolta (in particolare nel Tomo V del 1766) delle numerose cinquecentine veneziane che offrono a loro volta serie di lettere di uomini illustri (pubblicate e curate, fra gli altri, da Paolo Manuzio, Paolo Gherardo, Ludovico Dolce, Dionigi Atanagi, Bernardino Pino e Francesco Turchi)  né che non sia cosciente dell’esistenza già nel primo Seicento di una concettualizzazione dello strumento epistolare (si pensi a L'idea di varie lettere usate nella secretaria d'ogni principe, e signore con diversi principii concetti, e fini di lettere missive di Benedetto Pucci, pubblicata nel 1608). Tuttavia, proprio nel Settecento, la lettera diviene strumento fondamentale non solamente per la comunicazione bilaterale, ma anche per la diffusione del sapere. Si parla, non a caso, di République des lettres, con l’espressione coniata da Pierre Bayle (1647-1706) nel 1684. I maggiori uomini di cultura si scrivono e conservano la loro corrispondenza, anche nella prospettiva della pubblicazione. Anche nel caso dell’arte, con la diffusione delle riviste che dibattono di temi artistici, la pubblicazione delle lettere diviene forma privilegiata di discussione estetica [46]. 

Fig. 36) A sinistra: Il frontespizio della Raccolta delle più belle poesie francesi del 1692, la prima antologia letteraria dei tempi moderni. Fonte: https://books.google.de/books?id=szBbAAAAQAAJ&printsec=frontcover&hl=it . A destra: il terzo volume della collezione latina di poeti italiani, co-edita da Giovanni Gaetano Bottari nel 1719. Fonte: https://archive.org/details/carminaillustriu03bott/page/n7

Un secondo processo - contemporaneo al primo - è quello della diffusione delle raccolte di testi. Nel mondo francese esce nel 1692 il Recueil des plus belles pièces des Poètes français, tant anciens que modernes, una collezione in cinque volumi attribuita a Bernard Le Bouyer (or Bovier) De Fontenelle (1657-1757). La prima antologia italiana di epoca moderna è invece la Scelta di sonetti e canzoni de' più eccellenti autori d'ogni secolo, pubblicata come opera postuma da Agostino Gobbi (1684-1708) tra 1709 e 1711. È una storia antologica della poesia italiana in quattro volumi (il primo volume tratta la poesia fino al 1550, il secondo quelli dei secoli successivi e gli ultimi due le opere di poeti viventi). 

Fig. 37) La Raccolta Di Prose Fiorentine in un’edizione veneziana dell’editore Occhi del 1730-1734. Fonte: https://www.maremagnum.com/libri-antichi/prose-fiorentine-raccolte-dallo-smarrito-accademico-della/150795135

Bottari stesso partecipa a questo movimento ‘antologico’; ancora trentenne, infatti, contribuisce a Firenze alla redazione della Raccolta Di Prose Fiorentine (1716-1745) in cinque volumi e della raccolta Carmina illustrium poetarum italorum in undici volumi (1719-1726). Quanto alla prima, si tratta della continuazione di una collezione iniziata in pieno seicento dal filologo fiorentino Carlo Dati [47] (1619-1676) e interrotta alla sua morte; Bottari partecipa all’estensione settecentesca dell’opera promossa da Tommaso Buonaventuri [48] (1675-1731) e Rosso Antonio Martini (1696-1762), nell’ambito dell’Accademia della Crusca. Quanto alla seconda, curata da Bottari sempre insieme a Tommaso Buonaventuri, si tratta di una raccolta di versi latini composti da letterati italiani. Gli autori sono riportati (fin dal primo volume) in ordine alfabetico: ciò significa che l’immenso patrimonio di poesie era già stato sistemato prima che iniziasse la pubblicazione. 

Fig. 38) A sinistra: Il recente studio di Emmanuel Fraisse sulle antologie in Francia (2017). A destra: Il primo volume dello studio sull’Antologia in lingua tedesca (1970), che contiene fra l’altro una lista di un migliaio di antologie di vario argomento nel mondo tedesco tra il Settecento e oggi

Ovviamente, ciò non significa che non esistessero raccolte di testi letterari (a partire dal Parnasse des poètes françois modernes del 1571) nei secoli precedenti. Dalla fine del Seicento, tuttavia, si vede dappertutto un fiorire di antologie letterarie, che si consolida come fenomeno massiccio nel secolo successivo. Quali ne sono le ragioni? In Italia non si è ragionato molto sui motivi del fenomeno. Gli studi francesi [49] e tedeschi [50] sull’argomento identificano invece almeno tre cause, spesso fra loro strettamente correlate. In primo luogo, la diffusione crescente, dalla fine del Seicento, di repertori a supporto dell’erudizione (è l’elemento già individuato dalla Perini, che non può però essere interpretato come espressione di una cultura minore, ma è al contrario una delle prime espressioni dell’enciclopedismo); poi l’esplosione dell’editoria e del numero dei libri, che rende necessario offrire al lettore nuovi strumenti per poter avvicinare in modo selettivo la letteratura senza dover riempire le case di volumi e spendere cifre eccessive; infine, l’affermazione di una visione ‘ideologica’ della storia della letteratura, che spinge a ‘codificare’ il patrimonio letterario secondo una tesi interpretativa coerente che va, in realtà, al di là della produzione di un semplice florilegio di testi. Ad esempio, Fontenelle compila un’antologia della poesia francese per dimostrare la superiorità dei moderni sugli antichi, mentre Gobbi vuole proclamare il primato del petrarchismo attraverso i secoli, fino ai contemporanei. È poi evidente – nell’opera sulla letteratura latina di Bottari e Buonaventuri – la volontà di dimostrare l'ininterrotta vitalità dell’uso del latino nel mondo delle lettere in Italia, a partire da Petrarca e Poliziano fino al Settecento. L’accentuazione dei tre fattori (erudizione, editoria e ideologia) farà dell’antologia uno dei generi di maggior successo del secolo successivo, l’Ottocento. 


Fig. 39) Le pagine del Tomo II della Raccolta, in cui Gabburri spiega a Mariette i primi tentativi di realizzare una raccolta di lettere d’artisti, nella Firenze del 1729. Fonte: https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=gri.ark:/13960/t8hd9cn7n;view=1up;seq=288

Le origini fiorentine della Raccolta

Abbiamo già detto nella prima parte che quella di Bottari è una proto-antologia, che conserva alcuni elementi storici del repertorio erudito e inserisce in essi alcuni caratteri delle prime antologie. Passando dalla teoria alla prassi, e dunque dalla teoria della forma antologica alla realtà storica, sono assolutamente convinto che per cercare le radici della Raccolta occorra guardare a quel che succede negli anni in cui Bottari è attivo a Firenze (e partecipa, insieme a Rosso Antonio Martini e a Tommaso Buonaventuri, alle già citate raccolte di prose fiorentine e di poesie latine). Una fonte importante è una delle lettere stesse, contenuta nel Tomo II della Raccolta: Francesco Maria Niccolò Gabburri (1675-1742) scrive il 4 ottobre 1732 una lunghissima lettera a Pierre-Jean Mariette e gli racconta di un primo progetto di pubblicazione di lettere d’artisti che è rimasto interrotto per la morte dell’abate Antonio Maria Salvini (1653-1729) [51]. Sono passati tre anni e un gruppo di intellettuali fiorentini riprende il progetto di Salvini. Gabburri parla dell’intenzione di Rosso Antonio Martini di pubblicare un tomo di Lettere dei Pittori, Scultori, e Architetti e comunica di aver contribuito facendogli avere alcune missive di Salvator Rosa (che definisce “assai curiose”, ossia interessanti). Aggiunge di aspettare altre lettere dai corrispondenti bolognesi e chiede a Mariette se possa fargli avere epistole di pittori francesi, cercandole a Parigi; spiega, infine che il tutto dovrà infine essere passato a Martini come coordinatore dell’opera. Rosso Antonio Martini (anche chiamato il ‘Ripurgato’) è stato accademico della Crusca dal 1719, direttore delle Stamperie reali (dove Bottari ha lavorato giovanissimo) e direttore degli archivi dell’Accademia. È una figura centrale per organizzare l’esame sistematico dei grandi archivi fiorentini e identificare lettere d’artisti. Le origini della Raccolta, insomma, sono fiorentine e risalgono agli anni tra il secondo e il terzo decennio del Settecento.

Fig. 40) Salvator Rosa, Autoritratto, 1645. Fonte: Wikimedia Commons

Oltre alla lettera di Gabburri, la Raccolta ci offre altre testimonianze della ricerca di lettere degli artisti (“lettere pittoresche”), che sembra divenire uno dei temi principali dello scambio epistolare proprio intorno al 1732. La rete di corrispondenti va al di là della Toscana e comprende rapporti diretti tra Parigi e Bologna, alla ricerca di notizie sugli emiliani del primo Seicento.  Il disegnatore e conoscitore bolognese Giampietro Zanotti informa Mariette, il 3 giugno, di possedere alcune lettere dell’Albani, di Guido Reni, dell’Algardi, di Ludovico Carracci e di altri,e si dice pronto a farle copiare; aggiunge poi che un suo ‘amico’ possiede molte lettere dell’Albani (originariamente in mano al Malvasia), anche se non ha alcuna idea del loro contenuto (e non può verificare la notizia perché l’amico è fuori città). Il 5 agosto Zanotti scrive al fiorentino Gabburri per rettificare l’informazione: le lettere dell’Albani – che si speravano custodite dall’amico – non si trovano più, ed egli può solo fornire copia delle sue; il 6 settembre invia tali copie a Firenze, ammettendo di aver pensato che il numero di lettere d’artisti in suo possesso fosse più alto (molte sono andate perse in un trasloco). Altre vengono inviate il 4 ottobre. Dunque, la ricerca di testi bolognesi ha – almeno in quella circostanza – fortuna limitata.  

Fig. 41) Ignazio Enrico Hugford, Matilde di Canossa dona il suo patrimonio alla chiesa, 1750-1755.
Fonte: Wikimedia Commons

La Raccolta del 1754 confermerà molte di queste informazioni. In primo luogo Bottari scriverà nell’introduzione che la raccolta ‘primigenia’ era pronta molti anni prima. Poi attesterà il ruolo del gruppo di amici fiorentini, ringraziando in primo luogo Rosso Antonio Martini e, oltre a lui, anche il pittore Ignazio Enrico Hugford (1703-1778), nato in Toscana, ma di origini inglesi. Va detto fin d’ora che i due continueranno a sostenere lo sforzo di Bottari per decenni: tracce del contributo di Martini si troveranno fino al Tomo III (1759), con sessantacinque lettere di ambito cinquecentesco toscano, mentre Hugford, presente anche nel Tomo II (1757) con un centinaio di lettere inviate da molti mittenti a Gabbiani e Gabburri, verrà ancora ringraziato nel Tomo V (1766) per le ‘molte lettere’ da lui raccolte e ivi pubblicate e comparirà come corrispondente ancora nel Tomo VI (1768).   


Bottari come scrittore d'arte negli anni Cinquanta

Qual è dunque l’intenzione di Bottari, nel riprendere, negli anni Cinquanta del Settecento, il lavoro di Salvini, Gaburri e Rosso Martini di vent’anni prima? Secondo Serenella Rolfi Ožvald [52], lungi dal voler assemblare testi per mere ragioni di erudizione, egli vuole affermare un nuovo modo di narrare la storia dell’arte, affiancandolo al meccanismo consolidato del racconto biografico (che conosce perfettamente, apprestandosi a curare la prima edizione commentata delle Vite del Vasari nel 1759-1760, e avendo già citato con grande dovizia sia le Vite del Vasari sia la Felsina Pittrice del Malvasia nei propri Dialoghi sopra le tre arti del disegno del 1754). Si tratta del metodo moderno della raccolta cronologica delle lettere degli artisti, che fa parlare direttamente “professori” e “personaggi”. La studiosa nota che la Raccolta non solamente contiene lettere del passato (tratte da archivi e biblioteche, a cui Bottari ha accesso privilegiato sia per effetto della propria posizione professionale sia grazie a una rete di amici che lo appoggiano nella ricerca) ma, a partire dalla trasformazione dell’opera da un singolo volume (1754) in una serie di tomi (dal 1757 in poi) comprende anche le lettere che il Bottari stesso scambia con altri protagonisti del dibattito estetico, come il già citato Mariette. Alcune missive (ad esempio quella di Luigi Crespi a Bottari sulla vita del padre Giuseppe Maria, probabilmente risalente al 1756 e pubblicata nel Tomo III, o quella del decoratore Giovanni Battista Ponfredi (o Ponfreni) (1714-1795) al conte Nicola Soderini sulla vita del suo maestro, il pittore Marco Benefial, pubblicata nel Tomo V e datata 1764) non sono altre che surrogati di vite di artisti, secondo l’antico modello vasariano. Seguendo la moda del tempo, alcuni testi pubblicati in saggi o in articoli di riviste del tempo vengono poi addirittura ‘trasformati’ artificialmente da Bottari in lettere per poter apparire nella Raccolta. Non si tratta di manipolazioni o falsi, ma dell’espressione della passione di quegli anni per tutto ciò che è letterario, nel senso originale del termine ‘lettera’.

Una lettura della Raccolta come nuova forma di racconto della storia dell’arte è anche proposta nel 1984 da Paola Barocchi: “Tutto ciò è reso possibile da un’equanime coscienza storica che, pur attingendo alle più famose antologie letterarie, non si lascia tentare dall’astrattezza dell’ecfrasi, ma si preoccupa di valorizzare nelle testimonianze dei conoscitori, collezionisti ed eruditi le fortune degli artisti e delle opere e i loro contesti. In questo senso la simultaneità della Raccolta di lettere e della riedizione vasariana attinge una piena coerenza nella evidente contrarietà alle aspirazioni divulgative e riduttive dei contemporanei Abecedari. Nasce così proprio in seno alla epistolografia artistica una sorta di storia della storia, che in un certo modo anticipa la grande storia del Lanzi e la sua duplice disponibilità per l’antico ed il moderno” [53]. Raccogliere le lettere significa, al tempo stesso, verificare di prima mano il racconto dei biografi (Vasari, Baldinucci, Malvasia e molti altri) [54] e confrontarsi direttamente con il mondo di rapporti degli artisti. Gli stessi primi emuli di Bottari (compresi Ticozzi e Gualandi, con l’esclusione invece di Gaye e, aggiungo io, anche di Guhl, questi ultimi impregnati di elementi di positivismo grazie agli studi a Berlino) non si rendono dunque conto, secondo la Barocchi, della novità metodologica del genere antologico, che offre un nuovo strumento per comprendere il contesto socio-culturale entro il quale si muovono gli artisti.


Alla ricerca di una chiave di lettura: i Dialoghi sopra le tre arti del disegno (1754)

Ancora una volta, però, è obbligatorio farsi una domanda: la Raccolta di lettere è solo una (lodevolissima) collazione erudita oppure ne esiste una chiave di lettura che va al di là dell’assemblaggio di testi? Per cercare di rispondere a questa domanda ho letto anche i Dialoghi sopra le tre arti del disegno, preparati e pubblicati da Bottari in parallelo al tomo del 1754. I due personaggi virtuali dei Dialoghi sono Giovanni Pietro Bellori (1613-1696) e Carlo Maratta (1625–1713), ovvero due figure centrali della vita artistica romana che erano mancati quando Giovanni Gaetano aveva rispettivamente sette e ventiquattro anni.  Sono entrambi esponenti di quel modo di pensare l’arte che viene spesso citato come classicismo romano. Il dialogo ha il tono di una conversazione tra amici che si lasciano convincere l’uno dall’altro, condividendo le stesse opinioni di fondo (mancano, insomma, toni particolarmente dialettici).

Fig. 42) Carlo Maratta, Ritratto di Giampietro Bellori, senza data.
Fonte: Wikimedia Commons
Fig. 43) La Vita di Carlo Maratti, scritta da Gianpietro Bellori nel 1689.
Fonte: https://www.walkaboutbooks.net/pages/books/19542/giampietro-bellini-giovanni/vita-di-carlo-maratti-pittore-scritta-da-giampietro-bellori-fin-allanno-mdclxxxix-continuata-e

Va detto, in primo luogo, che i Dialoghi sono ovviamente un testo di natura letteraria e che rivelano a mio parere grande facilità di scrittura (si leggono ancora, a quasi trecento anni di distanza, in modo spedito). A differenza di quel che mi aspettavo, non si tratta né di un testo di estetica sul bello né di una trattazione sullo stile (come avrebbe fatto pensare la presenza di Bellori). Non è neppure una conversazione sulla tecnica pittorica, come potrebbe suggerire la scelta di dare la parola anche a un pittore come Maratta. Il tema delle cinque conversazioni virtuali è, infatti, la difficoltà – direi quasi l’impossibilità – degli artisti (qui chiamati ‘professori’, lo stesso termine utilizzato nella Raccolta del 1754) di farsi capire dai loro interlocutori, se non da uno sparuto gruppo di ‘intendenti’.


Fig. 44) La prima edizione dei Dialoghi sopra le tre arti del disegno di Giovanni Gaetano Bottari, pubblicata nel 1754 a Lucca. Fonte: https://www.exlibrisroma.it/fr/9864-dialoghi_sopra_le_tre_arti_del_disegno

I Dialoghi trattano, insomma, un tema molto moderno: l’artista è un uomo solo, incompreso, vittima della presunzione dei potenti e dell’ignoranza dei più, intrappolato da valutazioni estetiche che sono il più delle volte rivolte al passato e impediscono di comprendere il presente, ostacolando il rinnovamento delle arti. Nulla di più lontano dalla valutazione neoclassica secondo cui l’artista può affermarsi come campione dell’imitazione del passato secondo canoni precisi, dal momento che il passato non può che confermare le miserie del presente. Insomma, le numerosissime citazioni di scrittori d’arte del passato (tratte dagli scritti d’arte di Vasari, Baldinucci, Malvasia, Ridolfi) non mirano mai a confermare obblighi d’imitazione neoclassicista al fine di recuperare la dignità dell’arte, ma servono a confermare che quella dell’artista è una conditio humana che è sempre misera e irreparabile (e questo spiega forse perché il Winckelmann abbia un’opinione negativa sui Dialoghi, che considera “sciocchi, asciutti e puerili” [55]). Motivo per il quale i Dialoghi si concludono con un tono sostanzialmente pessimista, introdotto sempre dal Maratta: non vi è forse speranza, per l’artista, di potersi far comprendere completamente.

Fig. 45) La seconda versione dei Dialoghi sopra le tre arti del disegno di Giovanni Gaetano Bottari, pubblicata nel 1770 a Firenze. Il frontespizio – pur contenendo nella base dell’altare il riferimento al titolo – è ripreso da un’immagine molto precedente, disegnata da Niccolò Berrettoni (1637-1682) e incisa da Benoît Farjat (1646-1724). Berrettoni e Farjat collaborarono con Carlo Maratta, uno dei protagonisti dei Dialoghi.
Fonte: https://archive.org/details/dialoghisopralet00bott/page/n7

I primi due dialoghi sono tutti centrati sul tema del rapporto tra artista e potere. Nel primo di essi la conversazione è sostenuta da numerose e lunghe citazioni di passaggi di Vasari, tutti a dimostrare come anche i maggiori pittori e scultori (lo stesso Michelangelo) si siano dovuti e potuti ritagliare con grande difficoltà spazi di autonomia dagli uomini di governo, e come le decisioni arbitrarie di questi ultimi li abbiano spesso messi in difficoltà. Nel secondo dialogo continua la presenza vasariana, ma compaiono anche per la prima volta (come se vi fosse una gerarchia implicita nell’ingresso in scena) passi di altri scrittori d’arte toscani (Baldinucci) oppure emiliani (Carlo Cesare Malvasia, il contemporaneo Giampietro Zanotti, quest’ultimo citato ben tre volte) oppure latini (Vitruvio). Il tema non varia, ma è qui esteso all’architettura. I potenti pagano una miseria gli architetti valenti (come Brunelleschi) e ricoprono d’oro chi lavora male. Per paura dei costi, gli incarichi sono assegnati a progetti di secondo piano il cui prezzo finale è doppio rispetto all’inizio. Anche i migliori architetti (Bernini) sono vittime dell’invidia. Vi è una progressione cronologica che porta Bellori e Maratta addirittura a toccare temi recenti per Bottari, come l’inutile polemica sulla solidità della cupola di San Pietro che si sviluppa tra 1742 e 1753, ovvero quando sia Bellori sia Maratta sono morti da decenni [56]. È evidente che Bottari si riserva il diritto di violare ogni coerenza temporale per sollecitare l’attenzione del lettore su questioni attuali e urgenti. Da un punto di vista geografico, la discussione tra i due protagonisti virtuali nasce su temi fiorentini, si sviluppa su questioni romane e si allarga poi alle difficoltà incontrate dagli architetti a Venezia e Mantova, in una specie di panoramica che vuol toccare tutte le scuole maggiori. L’ingiustizia è ovunque, non vi è alcun porto sicuro per l’artista. Poi si torna a discutere di arte a Roma, per concentrarsi ancora una volta sulle difficoltà della costruzione di San Pietro (Bottari mette in bocca a Maratta parole poco generose nei confronti della facciata del Maderno, poco rispettosa dei piani originali di Michelangelo). Vengono poi di nuovo citati temi contemporanei al lettore (il rifacimento della facciata di Villa Medici nel 1741). Bellori conclude sostenendo che il buon gusto si sta esaurendo e che gli architetti sono sempre meno capaci.

Fig. 46) Alessandro Galilei, La facciata di San Giovanni dei Fiorentini, Roma, 1733.
Fonte: Wikimedia Commons.

Anche il terzo dialogo è tutto centrato sull’architettura e sull’equilibrio difficilissimo che essa richiede tra capacità ingegneristiche (che si devono apprendere) e di disegno (che sono innate nell’artista): questo mix rende il mestiere dell’architetto difficile e professionalmente rischioso. Il leitmotiv della conversazione è ancora una volta l’incomunicabilità: “Chi studia l’architettura non la professa, e chi la professa, non la studia” [57]. I due protagonisti discutono innanzi tutto i meriti di un’architettura basata sulle buone pratiche costruttive (e citano il caso del Brunelleschi, che riesce a costruire la cupola nonostante le eccezionali difficoltà tecniche, e del Fontana, che fa issare la Colonna Antonina risolvendo all’ultimo minuto una serie di imprevisti). Vengono poi tessute le lodi di Alessandro Galilei  e, tra gli architetti tecnicamente più validi, del Borromini. L’architettura è vista come esercizio logico (e paragonato al gioco degli scacchi). I cattivi architetti non conoscono la tecnica, realizzano edifici che crollano durante la costruzione; con la loro imperizia, causano gravi incidenti sul lavoro, che addebitano all’impreparazione delle maestranze. La padronanza delle tecniche, tuttavia, è condizione necessaria, ma non sufficiente: vi sono opere tecnicamente perfette, ma orribili da un punto di vista estetico (e qui Bottari fa un nuovo salto avanti nel tempo, dedicando una solenne stroncatura alla Fontana di Trevi avviata da Nicola Salvi nel 1731 e ancora in costruzione negli anni della pubblicazione). Ciò spiega il gran numero di architetti che furono prima pittori o scultori (Michelangelo, Bernini e molti altri). Molti altri li copiano, ma producono edifici senza grazia (e molte chiese le cui facciate sono, a parere dei dialoganti, inaccettabili, come ad esempio quella di San Pietro); le eccezioni di ‘puri architetti’ che ‘disegnano’ senza essere loro stessi artisti universali sono poche (Brunelleschi, Buontalenti, Borromini, Vignola) e comunque sempre interpretabili. Quanto alle fonti di storia dell’arte qui citate, Bottari ritorna ai classici latini (Plinio e Vitruvio) e a Vasari.

Con il quarto dialogo si torna al tardo Cinquecento e al barocco (con citazioni frequenti di Malvasia, Baldinucci e Ridolfi): le vittime dell’incomprensione dei committenti sono nomi di primo piano come Tiziano, Correggio, Paolo Veronese, Agostino e Annibale Carracci, Guido Reni, Poussin, Taddeo Zuccari, il Domenichino, ma anche artisti meno conosciuti come Fabrizio Boschi, Simone Cantarini, Angelo Michele Colonna e Agostino Mitelli. In alcuni casi le loro opere sono stravolte a causa di richieste assurde, in altri gli artisti sono sottopagati, in altri ancora a loro sono preferiti colleghi di seconda classe (a Domenichino sono preferiti lo Spagnoletto e Lanfranco, che, chiaramente, a Bottari non piacciono).  In particolare Annibale Carracci e il Domenichino sono visti come il prototipo dell’artista vittima di un destino crudele, come pure dell’ignoranza e dell’invidia umana.

Fig. 47) La terza edizione dei Dialoghi a cura dell’editore Simoni di Napoli del 1772 (con un errore nella copertina, dove l’anno di pubblicazione è erratamente indicato come 1372)
Fonte: https://openlibrary.org/books/OL24988201M/Dialoghi_sopra_le_tre_arti_del_disegno

Il quinto, e ultimo, dialogo è una variazione sul tema, sempre sostenuta da molteplici citazioni del Malvasia, del Baldinucci e del Ridolfi. Da buon giansenista, Bottari non crede affatto all’infallibilità papale (anche in tema d’arte) e sembra riservare una particolare attenzione ai casi in cui sono i Papi a fare errori clamorosi. Sisto IV (1414-1484) paga molto di più Cosimo Rosselli del Perugino o di Luca Signorelli per gli affreschi della Cappella Sistina; anche Sisto V (1521-1585) e Paolo V (1550-1621) fanno decorare la libreria Vaticana ad artisti di secondo piano e dimenticano i Carracci e la scuola bolognese. I Domenicani di Bologna preferiscono un frescante di pessime qualità, come Giovanni Valesio (1579-1650) al Tiarini, ma il risultato è un tale obbrobrio da obbligare il pittore a coprire la sua opera con la calce in una sola notte. Gli artisti possono essere anche vittima della malasorte: la sparizione delle opere è spesso conseguenza dell’incuria o dei restauri mal effettuati (e qui si cita, con Giotto, per la prima volta un artista del medioevo; il caso più grave è però la perdita degli affreschi di Guido Reni a S. Michele in Bosco a Bologna) e di crolli ed altri incidenti tecnici. Un capo-ingegnere inesperto determina la perdita di affreschi di Agostino Carracci nel convento dei Cappuccini di Parma, accelerandone la morte. Incidenti e sfortuna perseguitano il Cigoli e Giulio Romano. Vi sono poi opere di grandissimi del passato (Raffaello e Michelangelo) che richiederebbero salvataggi urgenti. L’opera si conclude in un tono di delusione e pessimismo. 

Fig. 48) A sinistra: un’edizione dei Dialoghi sopra le tre arti del disegno di Giovanni Battista Bottari del 1826. Fonte: https://archive.org/details/bub_gb_7_FYAAAAYAAJ/page/n3. A destra: la traduzione spagnola del 1806. Fonte: https://archive.org/details/dialogossobrelas00bott/page/n3

Resta da dire che i Dialoghi di Bottari (oggi quasi dimenticati) piacquero. Una nuova versione “corretta ed accresciuta” uscì a Firenze già nel 1770 e a Napoli nel 1772 (dunque con Bottari ancora in vita). Nel 1804 comparve un’edizione spagnola (Dialogos Sobre Las Artes del Diseño). Nuove edizioni videro la luce a Reggio Emilia nel 1826, 1832 e 1845. Evidentemente il testo si sposava bene con le inquietudini dell’epoca “romantica” e con l’idea dell’artista maledetto, che prevalse nella moda dei lettori duranti i decenni delle nuove edizioni ottocentesche.  Un altro indizio avvalora l’ipotesi, forse ardita, delle suggestioni preromantiche di un Bottari, nonostante egli appartenga sicuramente al mondo classicista. Si tratta dell’amicizia tra quest’ultimo e Piranesi [58], uno spirito ribelle che interpreta l’amore per l’architettura antica in senso completamente diverso da quello del Winckelmann.

Fig. 49) A sinistra: Pier Leone Ghezzi, Caricatura di Giovanni Battista Bottari, 1749. Fonte: https://www.britishmuseum.org/research/collection_online/collection_object_details.aspx?assetId=921413001&objectId=3086817&partId=1. A destra: Felice Polanzani, Frontespizio del volume di Piranesi Antichità Romane, raffigurante Giovan Battista Piranesi come busto romano, 1756. Fonte: Wikimedia Commons

I Dialoghi confermano l’idea – che conosciamo dal Bottari ‘intellettuale impegnato’, ovvero dal sostenitore di una tendenza religiosa (il giansenismo) minoritaria in Italia – di una visione difficile e complessa del rapporto tra arte e società. Bellori e Maratta non discorrono su questioni astratte o principi generali, ma sul destino delle persone. Essi si pongono sostanzialmente questioni comportamentali ed etiche: chi dipende da chi? Su chi ricadono le colpe di chi? Come ci si può difendere dai torti subiti? Ovviamente molte delle loro conversazioni ripresentano discussioni e figure retoriche per nulla originali. Ad esempio, la questione se per l’architettura conti di più la conoscenza tecnico-ingegneristica oppure la creatività dell’artista risale a Vitruvio, come documentato da una lunga citazione; inoltre sia nel Vasari sia nel Malvasia sono numerosi i casi in cui l’artista è vittima di un committente ignorante o stupido. Tuttavia Giovanni Gaetano vuole anche trasmettere al lettore un’idea precisa: gli artisti sono uomini che si mettono in gioco, prendono rischi e spesso falliscono. Fallire è possibile ed è una parte inevitabile della vita. La fortuna può arrivare agli artisti molto presto oppure solamente postuma, ma non dipende mai solamente dalle loro qualità.

Fig. 50) Giambattista Piranesi, Dedica a Giovanni Gaetano Bottari del volume Antichità Romane de' Tempi della Repubblica, e de' primi Imperatori, 1748. Fonte: https://www.metmuseum.org/art/collection/search/365873


La Raccolta nell'edizione del 1754

Proviamo ad utilizzare quanto appreso sui Dialoghi per leggere il volume della Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura nella versione preparata negli anni Trenta del Settecento, presentata alle autorità nel 1751 e stampata nel 1754. A quella data Giovanni Gaetano, molto probabilmente, ha in mente di dare alle stampe un solo volume, e lo struttura in modo tale che esso possa offrire un’idea complessiva della scrittura epistolare da parte degli artisti.

Fig. 51) Pierre Subleyras, Ritratto del cardinal Silvio Valenti Gonzaga, 1745. Fonte: Wikimedia Commons

La Raccolta è dedicata a Silvio Valenti Gonzaga (1690-1756), Segretario di Stato di Benedetto XIV (e dunque, di fatto, numero due della struttura politica dello Stato) e uomo molto interessato all’arte (è lui a fondare la Pinacoteca Capitolina e a raccogliere “un tesoro di stampe, di disegni, e di quadri da far invidia a un Monarca” [59]) Va detto che Bottari gli ha dedicato, sei anni prima, un suo scritto sui terremoti: “Lezioni tre sopra il tremoto dedicate all'e.mo, e r.mo principe il signor cardinale Silvio Valenti camarlengo di S. Chiesa, e segretario di Stato” (1748).

Quanto alla struttura della Raccolta, Bottari sembra suggerire nell’introduzione che in realtà non vi sia ordine alcuno: “Si è osservato un tal quale ordine nel disporle, ma non del tutto esatto, poiché non è necessario, né si è potuto; perché mi sono sopravvenute molte lettere nel corso della stampa” [60]. Tuttavia, non mi pare che le cose stiano proprio così: se è vero che vi sono casi (limitati) in cui le lettere sono mal poste in ordine cronologico, nella grande maggioranza la struttura tiene.

Il volume contiene 203 lettere. La prima è del 1504, ed è per la verità l’unica dei primissimi anni del Cinquecento, rintracciata nell’archivio Gaddi a Firenze: si rivelerà poi, con il passare dei secoli e degli studi, un falso: è una supposta missiva di raccomandazione a Pier Soderini (1450-1522), gonfaloniere della Repubblica di Firenze, che Giovanna da Montefeltro delle Rovere (1463-1513) avrebbe inviato a a vantaggio di un giovane Raffaello Sanzio, allora ventunenne. La Raccolta non comprende alcun testo precedente, non solamente perché Bottari non sembra interessato ai primitivi, ma probabilmente anche perché la disponibilità di testi di quegli anni è assai più scarsa nei fondi archivistici fiorentini e toscani, a cui l’antologizzatore ha accesso. La lettera più recente è del 1665 ed è inviata da Salvator Rosa all’amico poeta, drammaturgo e filosofo pisano Giovanni Battista Ricciardi (1623-1686); è l’ultima di una lunga serie di lettere che Rosa manda allo stesso destinatario a partire dal 1652. 


Una raccolta di lettere identificate da Bottari selezionando i fondi archivistici dei destinatari

Le lettere sono presentate in ordine cronologico, ma in modo assai curioso. Invece che essere elencate e proposte secondo i rispettivi mittenti, sono organizzate per destinatari. Considerando le persone a cui le lettere sono spedite, vi sembrano essere cinque nuclei epistolari, corrispondenti alle figure dell’umanista Benedetto Varchi (1503-1565), del segretario di Cosimo I Jacopo Guidi (1514-1588), del notabile, scrittore e collezionista Ferrante Carlo (1578-1641) (si tratta dello pseudonimo di Ferdinando Carli [61]), di Cassiano dal Pozzo (1588–1657) e del commediografo Giovanni Battista Ricciardi (1623-1686) [62]. Con l’eccezione delle lettere spedite a Varchi (nel quadro della discussione sul paragone delle arti), non si tratta di carteggi di tema estetico.

Fig. 52) Tiziano, Ritratto di Benedetto Varchi, 1540. Fonte: Wikimedia Commons

In alcuni casi le missive documentano rapporti di vera amicizia tra i corrispondenti e gli artisti (Cassiano dal Pozzo e Nicolas Poussin; Giovanni Battista Ricciardi e Salvator Rosa); più spesso le lettere si riferiscono a commesse, transazioni d’affari, divergenze d’opinioni sulle commesse e rivelano la dipendenza dell’artista sia dal gusto del committente sia dalla sua posizione di potere, anche se in forme diverse: Jacopo Guidi è in condizioni di dettare le sue condizioni agli artisti, perché è lui a decidere l’accesso alle commissioni medicee; Ferrante Carlo, poeta che non ha avuto successo e vive alle dipendenze di cardinali prima in centri urbani della pianura padana e poi a Roma, non è invece solamente intermediario di Ludovico Carracci e Giovanni Lanfranco ed altri artisti, ma anche loro confidente; Cassiano dal Pozzo è un grande intellettuale che sta creando – per ragioni legate al suo desiderio di documentare il sapere – una delle maggiori biblioteche di Roma e, soprattutto, un’enorme collezione di  stampe (il Museo cartaceo), e ha rapporti di diversa consuetudine con gli artisti (e le artiste, come Giovanna Garzoni e Artemisia Gentileschi). Le lettere portano insomma viva testimonianza di quel che, nei Dialoghi, Bellori e Maratta avevano discusso in modo amabile: l’artista dipende dalle controparti, sia nel bene sia nel male. Ebbene, non sorprende che il traduttore tedesco delle lettere a metà Ottocento, Ernst Guhl, abbia visto in esse soprattutto uno strumento per studiare l’evoluzione del rapporto di potere tra artisti e società e che molte delle lettere facenti parte della Raccolta di Bottari siano state considerate con attenzioni da studiosi del mecenatismo come Francis Haskell. 

Fig. 53) Jan van den Hoecke, Ritratto di Cassiano dal Pozzo, tra 1630 e 1650. Fonte: Wikimedia Commons

Vi è un’importante eccezione, in cui chiaramente il lavoro di Bottari è partito dall’archivio di un mittente, e non di un destinatario: sono le ventuno lettere spedite da Vincenzo Borghini (1515-1580), filologo, letterato e grande amico di Giorgio Vasari, che aiutò sia nella redazione delle Vite sia nell’approntamento di programmi iconografici. I numerosi testi ruotano in realtà intorno ad una lettera di ben cinquanta pagine (e dunque in realtà una relazione) inviata al Granduca in occasione delle feste nuziali di Francesco I de’ Medici con Giovanna d’Austria. Seguono le lettere di Borghini a molti altri artisti (Vasari, Bronzino, Buontalenti, Caccini) impegnati nella stessa impresa, in cui Borghini si rivela uomo di grande inventiva come organizzatore di eventi, proponendo programmi iconografici di particolare inventiva.


I parallelismi tra Dialoghi e Raccolta nelle lettere degli artisti toscani del Cinquecento

Fig. 54) A sinistra: la citazione della lettera di Francesco da Sangallo a Benedetto Varchi nel primo dei Dialoghi sopra le tre arti del disegno. Fonte: https://archive.org/details/dialoghisopralet00bott/page/28. A destra: due pagine della lunga lettera di Francesco da Sangallo a Benedetto Varchi, nella Raccolta di lettere sulla pittura, scultura, ed architettura. Fonte: https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=gri.ark:/13960/t40s19s1q;view=1up;seq=41.

Considerando la sezione ‘fiorentina’ del volume (si tratta, grosso modo di un’ottantina di lettere), i parallelismi con il primo dei cinque Dialoghi sono numerosi. Le lettere di Michelangelo a Vasari documentano le difficoltà o addirittura l’impossibilità del grande artista a convincere le autorità in merito alla bontà dei suoi progetti (Papa Giulio III del Monte sulla cappella per la propria famiglia; Paolo III Farnese sulla fabbrica di San Pietro; Cosimo I dei Medici su un progetto (poi non utilizzato) per l’edificazione della Chiesa di San Giovanni dei Fiorentini a Roma). Analoghe sono le difficoltà avute con colleghi come Bartolomeo Ammannati nel caso dello scalone della Biblioteca Laurenziana a Firenze. Rispetto a quanto scritto nei Dialoghi, la Raccolta presenta nuovi episodi di incomprensione tra Michelangelo e il papato.

Fig. 55) Michelangelo, Pianta per la chiesa di San Giovanni dei Fiorentini, 1559
Fonte: https://operaduomo.firenze.it/blog/posts/disegni-architettonici-di-casa-buonarroti

È ovvio come il legame non possa essere stato semplicemente unidirezionale (dai Dialoghi alla Raccolta). È del tutto legittimo indagare anche il rapporto inverso: Bottari ha scelto il tema della dipendenza degli artisti dal mondo del potere come tema della conversazione fittizia anche perché ispirato dalle disavventure testimoniate nelle lettere fiorentine che conosce già da anni; in fondo, pone in bocca ai due protagonisti dei Dialoghi le stesse parole che legge nelle lettere.

Non sorprende dunque che la simmetria tra Dialoghi e Raccolta sia particolarmente evidente nella sezione toscana.


Parallelismi a proposito degli artisti emiliani del primo Seicento

La Raccolta del 1754 accoglie poi una quarantina di lettere di artisti emiliani, fra i quali protagonista assoluto è Ludovico Carracci (1555-1619), che compare come firmatario di sedici missive a Ferrante Carlo (dal 1608 alla morte) e destinatario di due lettere del cugino Annibale. Scrive a Ferrante anche Giovanni Lanfranco (1582-1647) con dieci lettere dal 1636 al 1641. Minore è la presenza di altri pittori di scuola bolognese come Guido Reni (due lettere), il Guercino (1591-1666) e Lavinia Fontana (1552-1614).

Fig. 56) Il caso del Domenichino sfruttato a Napoli, dove affresca la cappella e cupola di San Gennaro, e poi sostituito dal Lanfranco dopo che le sue opere sono state ricoperte con la calce. A sinistra ed al centro, nei Dialoghi sopra le tre arti del disegno (con citazioni dal Malvasia e dal Bellori). A destra, nella Raccolta di lettere sulla pittura, scultura, ed architettura.

Anche qui vi sono parallelismi: si è già detto che l’arte dei bolognesi fa irruzione nei Dialoghi nella seconda conversazione fittizia tra Bellori e Maratta e diviene poi predominante nel quarto dialogo, quando le citazioni dalle Vite di Vasari vengono prima affiancate e poi sostituite (in estensione e frequenza) da quelle tratte dalla Felsina Pittrice del Malvasia. Le due opere definiscono insomma lo stessa schema cronologico di sequenza della letteratura artistica, che vede Bologna (Malvasia e lettere di Carracci/Lanfranco e altri) come nuovo luogo di affermazione dell’arte dopo Firenze.

Fig. 57) Veduta interna della Reale cappella del Tesoro di San Gennaro nel Duomo di Napoli, con affreschi del Lanfranco e Domenichino, 1633-1643. Fonte: Wikimedia Commons

Seguendo le stesse tematiche affrontate per i fiorentini, nei Dialoghi i due interlocutori fittizi si scambiano informazioni sui casi in cui i bolognesi sono vittima di sfruttamento commerciale, e spendono molto tempo su Domenico Zampieri, detto il Domenichino (1581-1641), e in particolare sul caso della cappella e cupola di San Gennaro a Napoli, che viene documentato in numerosi passaggi dei Dialoghi con una citazione dal Malvasia [63] e una dal Bellori [64]. È in assoluto il caso peggiore di sfruttamento documentato dal Bottari: gli affreschi sono realizzati dal Domenichino sotto la minaccia di pittori locali, che lo costringono addirittura a scappare; nella storia narrata dal Malvasia e Bellori il pittore bolognese morì di crepacuore a Napoli per essere stato sostituito dal Lanfranco, dopo che i suoi affreschi erano stati ricoperti di calce. Il caso ritorna nella Raccolta: in una lettera del 23 gennaio 1632 a Cassiano del Pozzo è lo stesso pittore ad informare lo studioso sulle condizioni capestro a cui è stato sottoposto per l’esecuzione di quelle opere napoletane [65].

Fig. 58) Il pittore Giovanni Valesio come prototipo del pittore incapace, ingiustamente preferito ad altri (il Tiarini). A sinistra, il drastico giudizio nei Dialoghi. A destra: una lettera di Valesio a Ferrante Carlo, datata 1608. Fonte: https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=gri.ark:/13960/t40s19s1q;view=1up;seq=237

Situazione assolutamente opposta è quella dell’incisore e pittore bolognese Giovanni Valesio (1579-1650), che viene descritto nel Dialoghi come il prototipo dell’incapace che approfitta dell’ignoranza dei committenti (nello specifico i Padri Domenicani a Bologna, che lo preferiscono al Tiarini). Non credo sia un caso che la Raccolta includa una sua lettera a Ferrante Carlo (in sé e per sé del tutto priva di contenuto): è un’occasione per parlare di Valesio in entrambi i testi.


Le lettere degli artisti barocchi operanti a Roma e Napoli

Le ultime ottanta lettere della Raccolta del 1754 sono dedicate al barocco, e tra di esse, ben sessanta sono ricevute da Cassiano dal Pozzo (1588-1657). Nell’introduzione alla Raccolta Giovanni Gaetano ringrazia il Cardinale Albani per aver messo a sua disposizione la biblioteca e le carte di Cassiano: “Debbo ancora dare la debita lode all’Eminentiss. Sig. Cardinale Alessandro Albani possessore, e intelligentissimo di ogni più rara Antichità, e amante, e promotore con tutte le sue forze delle tre belle Arti, il quale gentilmente mi ha dato facoltà d’estrarre dalla sua copiosa libreria tutte quelle lettere, che ho stimate opportune, pervenute ad esso con i Libri del già famosissimo Cassiano del Pozzo” [66].

Tra i corrispondenti di Cassiano vi sono Nicolas Poussin (1594-1665) con ventitré lettere concentrate tra 1641 e 1642, Artemisia Gentileschi (1593-1654) con sei lettere tra 1630 e 1637, Pietro da Cortona (1596-1669) con sei lettere tra 1641 e 1646 e infine Pietro Testa (1612-1650) con tre lettere tra 1632 e 1637. Vi sono anche missive di artisti meno noti, come la miniaturista Giovanna Garzoni (1600-1670) con quattro lettere del 1630-1631 oppure di artefici oggi praticamente dimenticati, come l‘agostiniano Fra Giovanni Saliano, di cui non si conoscono data di nascita e morte. Implicitamente, la Raccolta offre dunque un’idea coerente dell’arte del barocco romano, basata sulla rete di conoscenze e le preferenze estetiche di un unico protagonista (che chiaramente predilige un barocco di stile classicista).

Fig. 59) Nicolas Poussin, I sette sacramenti - Il battesimo (I), 1642. Fonte: Wikimedia Commons

L’unico caso rilevante per questo periodo, al di fuori del carteggio di Cassiano, è costituito dalle sedici lettere inviate da Salvator Rosa (1615-1673) al già citato Giovanni Battista Ricciardi. Nei Dialoghi è considerato un artista sregolato, ma geniale (la fonte a cui si attinge sulla sua personalità è il Baldinucci).


Che cosa manca nella Raccolta del 1754 rispetto ai Dialoghi

Se si considera il contenuto dei Dialoghi come espressione del gusto di Bottari (e dunque come paradigma), che cosa manca alla Raccolta pubblicata lo stesso anno? Evidentemente, la copertura dell’architettura nella collezione di lettere è molto inferiore allo spazio a essa riservato nelle conversazioni fittizie tra Poussin e Maratta. Alcuni dei ‘maestri dell’arte’, come Guido Reni, sono sottorappresentati: nei Dialoghi Reni viene esaltato come il maggiore artista di sempre, nella Raccolta è presente con due sole lettere (una, brevissima, a un interlocutore sconosciuto [67] e l’altra al conte bolognese -Antonio Galeazzo Fibbia, in cui discute esclusivamente aspetti monetari). E ovviamente non vi sono gli artisti viventi, quelli con il quale Giovanni Bottari ha consuetudine personale.

Sono forse queste lacune a giustificare la continuazione dell’opera? Lo vedremo nella terza parte di questo post.


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NOTE

[40] Perini, Giovanna – Le lettere degli artisti da strumento di comunicazione, a documento, a cimelio, in Documentary Culture: Florence and Rome from Grand-Duke Ferdinand I to Pope Alexander VII, atti del convegno (Firenze 1990), Bologna, 1992, pp. 165-183.

[41] Perini, Giovanna – Le lettere degli artisti da strumento di comunicazione, a documento, a cimelio (citato), p. 172.

[42] Perini, Giovanna – Le lettere degli artisti da strumento di comunicazione, a documento, a cimelio (citato), p. 170.

[43] Perini, Giovanna – Le lettere degli artisti da strumento di comunicazione, a documento, a cimelio (citato), p. 177.

[44] Perini, Giovanna – Le lettere degli artisti da strumento di comunicazione, a documento, a cimelio (citato), p. 177.

[45] Perini, Giovanna – Le lettere degli artisti da strumento di comunicazione, a documento, a cimelio (citato), p. 179.

[46] Sulla pubblicazione di lettere d’artisti e di studiosi contemporanei sull’arte nelle riviste romane del Settecento, si veda Perini, Giovanna – Nuove Fonti per la ‘Kunstliteratur’ Settecentesca in Italia: i giornali letterari. In Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia, Serie III, Vol. 14, No. 2 (1984), pp. 797-827. Si veda:
https://www.jstor.org/stable/24306583?read-now=1&seq=17#page_scan_tab_contents.

[47] Su Carlo Roberto Dati si veda la voce nel Dizionario Biografico degli Italiani del 1987, a cura di Magda Vigilante. La voce è disponibile all’indirizzo:
http://www.treccani.it/enciclopedia/carlo-roberto-dati_(Dizionario-Biografico)/ .

[48] Su Tommaso Buonaventuri si veda la voce nel Dizionario Biografico degli Italiani del 1972, a cura di Paolo Cristofolini. La voce è disponibile all’indirizzo:

[49] Fraisse, Emmanuel – Les Anthologies en France, Parigi, L’Hermattan, 2017, 310 pagine.

[50] Die deutschsprachige Antologie [L’antologia in lingua tedesca], a cura di Joachim Bark e Dietger Pforte, Francoforte sul Meno, V. Klostermann, 1970, in due volumi (216 e 341 pagine).

[51] Su Anton Maria Salvini si veda la voce nel Dizionario Biografico degli Italiani del 2017, a cura di Maria Pia Paoli. La voce è disponibile all’indirizzo: 
http://www.treccani.it/enciclopedia/anton-maria-salvini_%28Dizionario-Biografico%29/ .

[52] Rolfi Ožvald, Serenella, Lettere ad un amico. Da Bottari al giornalismo artistico degli anni Ottanta del Settecento, in Le carte false. Epistolarità fittizia nel Settecento italiano, a cura di F. Forner, V. Gallo, S. Schwarze, C. Viola, Roma, 2017, pp. 469-490
(https://www.academia.edu/32003116/LETTERE_AD_UN_AMICO_DA_BOTTARI_AL_GIORNALISMO_ARTISTICO_DEGLI_ANNI_OTTANTA_DEL_SETTECENTO).

[53] Barocchi, Paola - Fortuna della epistolografia artistica, in Studi Vasariani, Torino, 1984, pp. 83-111. Citazione a p. 92.

[54] Grisolia, Francesco: «Di queste bagattelle ella ben vede pieno il Vasari». Spigolature alle Vite nelle lettere di Domenico Maria Manni a Giovanni Gaetano Bottari, in Studi di Memofonte, Numero 8, 2012, pp. 95-120. 
http://www.memofonte.it/studi-di-memofonte/numero-8-2012/.

[55] Perini, Giovanna – Nuove Fonti per la ‘Kunstliteratur’ Settecentesca in Italia: i giornali letterari, citazione a pagina 813.

[56] Bottari, Giovanni Gaetano - Dialoghi sopra le tre arti del disegno, Reggio Emilia, Per Pietro Fiaccadori, 1826, pagine 216. Citazione alle pagine 60-61. Si veda: 
https://archive.org/details/bub_gb_7_FYAAAAYAAJ/page/n3 .

[57] Bottari, Giovanni Gaetano - Dialoghi sopra le tre arti del disegno (citato), Citazioni alle pagine 82, 95, 107 e 116.

[58] Si veda: Monferini, Augusta - Piranesi e Bottari, in Anna Lo Bianco, Piranesi e la cultura antiquaria, gli antecedenti e il contesto: Atti del convegno, 14-17 novembre 1979 (Roma: Multigrafica, 1983), pp. 221-29; Gallottini Angela - Vasi, Piranesi, Bottari: un’impresa editoriale tra Napoli e Roma, in: Arte e storia dell'arte, 2009; Casadio Martina - Bottari e gli incisori. Lettere di Bartolozzi, Billy, Caccianiga, Campiglia, Morghen, in: Studi di Memofonte, Numero 8, 2012. Il testo è disponibile a: 
http://www.memofonte.it/studi-di-memofonte/numero-8-2012/.

[59] Bottari, Giovanni Gaetano, Raccolta di lettere sulla pittura, scultura scritte da’ più celebri professori che in dette Arti fiorirono dal Secolo XV. al XVII., Roma, Per gli Eredi Barbiellini Mercanti di Libri e Stampatori a Pasquino, 1754, p. 328. Citazione a pagina v. 
https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=gri.ark:/13960/t40s19s1q;view=1up;seq=9

[60] Bottari, Giovanni Gaetano, Raccolta di lettere sulla pittura, scultura scritte da’ più celebri professori (citato), p. viii. 
https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=gri.ark:/13960/t40s19s1q;view=1up;seq=11

[61] Si veda la voce Ferdinando Carli, a cura di Martino Capucci , nel Dizionario Biografico degli Italiani (1977), disponibile all’indirizzo 
http://www.treccani.it/enciclopedia/ferdinando-carli_(Dizionario-Biografico)/.

[62] Si veda la voce Giovanni Battista Ricciardi, a cura di Salomé Vuelta García, nel Dizionario Biografico degli Italiani (2016), disponibile all’indirizzo 
http://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-battista-ricciardi_%28Dizionario-Biografico%29/.

[63] Bottari, Giovanni Gaetano - Dialoghi sopra le tre arti del disegno (citato), p. 201 
https://archive.org/details/dialoghisopralet00bott/page/200

[64] Bottari, Giovanni Gaetano - Dialoghi sopra le tre arti del disegno (citato), p. 220 
https://archive.org/details/dialoghisopralet00bott/page/220

[65] Bottari, Giovanni Gaetano, Raccolta di lettere sulla pittura, scultura scritte da’ più celebri professori (citato) 
https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=gri.ark:/13960/t40s19s1q;view=1up;seq=259

[66] Bottari, Giovanni Gaetano, Raccolta di lettere sulla pittura, scultura scritte da’ più celebri professori (citato), p. vii. 
https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=gri.ark:/13960/t40s19s1q;view=1up;seq=11

[67] Bottari, Giovanni Gaetano - Dialoghi sopra le tre arti del disegno (citato), p. 204








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