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Giovanni Mazzaferro
Lady Christiana Herringham tra storia delle tecniche artistiche e conservazione del patrimonio
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Christiana Herringham, Donna con cuffia bianca e nastro rosa e bianco, 1900 circa Fonte: https://www.royalholloway.ac.uk/about-us/events/christiana-herringham-artist-campaigner-collector/ |
A Londra si sta svolgendo in
questi giorni (per la precisione dal 14 gennaio a fine marzo 2019) una piccola
mostra intitolata Christiana Herringham:
artist, campaigner, collector. L’esposizione è allestita presso il Royal
Halloway dell’Università di Londra, dove è conservata la collezione
dell’artista e ricercatrice inglese. A curare l’allestimento sono state
Michaela Jones e Laura MacCulloch. Fra qualche giorno (il 2 marzo) si terrà inoltre una giornata di studi dedicata a Christiana Herringham and her Circle.
Conosco Lady Christiana
Herringham per essere stata l’autrice della seconda traduzione inglese del Libro dell’Arte di Cennino Cennini,
pubblicata nel 1899 col titolo The Book
of the Art of Cennino Cennini. A Contemporary Practical Treatise on
Quattrocento Painting, Translated from the Italian, with Notes on Medieval Art
Methods by Christiana J. Herringham, London, George Allen [1]. La
tentazione di assimilarla alla prima traduttrice inglese dell’opera, ovvero
Mary P. Merrifield, per chi, come il sottoscritto, ha
curato l’edizione di un libro dedicato alle lettere di quest’ultima, è,
ovviamente, molto alta.
Sicuramente dei punti di contatto
ci furono, a cominciare dal fatto che entrambe furono donne dalla vita
straordinaria (assai più tragica quella della Herringham). Tutte e due, oggi,
sarebbero considerate storiche delle tecniche artistiche; tutte e due godettero
di grande considerazione ai loro tempi. Basti pensare alle parole che, in una
conversazione degli anni Settanta del Novecento, Daniel V. Thompson (autore
della terza traduzione inglese) spende in merito al
vero e proprio culto che nell’Inghilterra degli anni Trenta del Novecento
aleggiava attorno all’edizione cenniniana della Herringham. Entrambe
sono poi cadute nell’oblio, da cui, a dire il vero, Herringham è uscita prima
di Merrifield. A Christiana ha infatti dedicato una monografia nel 1980 Mary
Lago (1919-2001) [2]. La recente riorganizzazione delle collezioni del Royal
Halloway ha permesso di riscoprire gli album delle fotografie e centoventi fra
schizzi e acquarelli eseguiti dall’autrice [3]. Quasi contemporanea è la
pubblicazione di un saggio di Meaghan Clarke dedicata alla ricercatrice
inglese, con indicazione della bibliografia precedente [4]. A Lady Herringham
sta poi dedicando il suo PhD Michaela Jones, che è in procinto di pubblicare un
articolo sull’argomento in Tempera
Painting 1800-1950. Experiment and Innovation from the Nazarene Movement to
Abstract Art (London, Archetype, di prossima pubblicazione).
Una vita drammatica
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Christiana Jane Powell Herringham c.1885 (c) Jean Vernon-Jackson collection Source: https://twitter.com/RHULexhibitions?lang=it |
Christiana Jane Powell (1852-1929)
nacque da famiglia divenuta benestante in coincidenza col grande boom economico
dell’Inghilterra ai tempi della rivoluzione industriale. Le iniziative
imprenditoriali del padre furono diversificate, ma la più importante fu
senz’altro la presidenza di una banca privata. Educata secondo principi di
morigeratezza e di filantropia, quando sposa Wilmot Herringham nel 1880,
Christiana è una donna ricca. Il padre ha diviso il patrimonio in parti uguali
tra i molti figli già prima di morire, e, in realtà, Christiana ha per tutta la
vita una rendita che la rende indipendente rispetto al marito, futuro medico di fama. Va peraltro detto che Wilmot mai attinge al
patrimonio della moglie. Christiana ha una grande passione per l’arte e si
afferma come copista di quadri del Quattrocento. La sua è una vera e propria
professione (non a caso Mary Lago intitola la sua prefazione Introduction to an Artist), che la donna
conduce anche dopo la nascita dei due figli, Christopher (1882) e Geoffrey
(1884). A nove anni (1891) Christopher si ammala, e, nonostante tutte le cure
del caso, lunghi soggiorni in Egitto per via del clima caldo e la costante
vicinanza della madre, muore nel 1893. Christiana si butta completamente nel
lavoro e, fra la fine del secolo e il primo decennio del successivo, pubblica
la traduzione di Cennino, fonda la Society
of Tempera Painters (1901), è una delle quattro fondatrici del National Art Collections Fund, partecipa
attivamente alla vita culturale del paese impegnandosi in prima persona per la
tutela del patrimonio artistico, non disdegna l’impegno politico schierandosi
apertamente per il voto alle donne. Scopre, infine, il suo grande interesse per
l’India dove di reca, prima nel 1906-7, poi negli inverni del 1909-10 e 10-11,
con lo scopo preciso di copiare gli ‘affreschi’ buddhisti delle grotte di
Ajanta (oggi patrimonio dell’Unesco). La sua è la prima mappatura sistematica
di uno dei luoghi più straordinari dell’arte indiana dei primi secoli dopo
Cristo.
Tornata in Inghilterra (anzi, già
nel corso del viaggio di ritorno in nave), Christiana dà segni di squilibrio. È
convinta di essere spiata e perseguitata per aver reso noto al mondo le
immagini sacre della tradizione locale. Due mesi dopo è ricoverata in una casa
di cura per malattie mentali. Vi resterà fino alla morte, diciotto anni
dopo, dapprima facendo sentire la sua voce attraverso le lettere, la voce di una donna a volte
perfettamente logica, a volte perseguitata dagli incubi, poi sprofondando nel silenzio assoluto. È da escludersi che Christiana
si sia resa conto del mondo che veniva sconvolto dalla guerra mondiale e della
morte in battaglia, quasi subitanea (ottobre 1914), anche del secondo figlio;
così come certamente non si rese mai conto di essere diventata Lady, in seguito
alla nomina a Cavaliere del marito per i meriti avuti nel curare i soldati
inglesi sul fronte (1919). La vita di Christiana si chiude così nel 1929, in maniera del
tutto ingenerosa per una donna che molto aveva dato al mondo dell’arte inglese.
La traduzione del Libro dell’Arte
di Cennino Cennini
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Christiana Herringham, Santa Caterina (da Sandro Botticelli) Fonte: https://twitter.com/RHULexhibitions?lang=it |
Quando Christiana Herringham
pubblica la sua traduzione del Libro
dell’Arte di Cennino Cennini (1899) non è, a differenza di Mary P.
Merrifield, una perfetta sconosciuta. Da anni (probabilmente già da prima del
matrimonio) esercita l’attività di copista e si interessa allo studio della
tecnica della tempera. Di recente Meaghan Clarke ha tentato di far luce sulla
sua attività artistica. Spicca la realizzazione di una serie di copie di
artisti italiani del Quattrocento (soprattutto Botticelli); molte di queste
furono esposte alla Victorian Era Exhibition, tenutasi a Earls Court nel 1897 [5].
La traduzione di Cennino esce due anni dopo. A giustificarla – scrive
Christiana nella sua introduzione – sta il fatto che la versione di Mrs.
Merrifield era stata condotta su quella di Tambroni del 1821, che si basava su
un manoscritto poco affidabile conservato in Vaticano; quella della Herringham
è invece condotta sulla seconda edizione italiana, curata dai fratelli Milanesi
nel 1859, risultante dall’interpolazione dei codici Mediceo Laurenziano P.78.23
e Riccardiano 2190 [5]. Inoltre - continua l’autrice - la traduzione di
Merrifield, pur essendo scritta in uno stile piacevole, è spesso molto
scorretta [6] ed Herringham si trova nella necessità di dover emendare il testo
precedente [7].
Tuttavia il problema non è
solamente di ordine filologico. Come noto, Merrifield decide di tradurre
Cennino per dare un suo personale contributo alla conoscenza e alla diffusione
della pratica dell’affresco in anni in cui si è deciso di decorare con tale
tecnica (monumentale per eccellenza) le pareti del nuovo Parlamento, in corso
di ricostruzione dopo il devastante incendio del 1834. Con Herringham, invece,
l’attenzione si sposta decisamente verso la pratica della tempera. Come scrive
giustamente Margherita d’Ayala Valva, la versione Herringham si inserisce a
pieno titolo in una serie di edizioni di autori (spesso ‘pittori-artigiani’)
che considerano “il Libro dell’Arte come un manuale da cui essi potevano ancora
imparare qualcosa, da cui potevano trarre, oltre che ricette e indicazioni
tecniche, persino una lezione di modernità” [8]. Ciò non vuol dire che la
‘modernità’, per questi autori, consista nel progresso tecnologico o nei nuovi
metodi di produzione; anzi, il più delle volte (si veda Renoir) la ‘modernità’
è malata, ed essere ‘veramente’ moderni significa, piuttosto, recuperare, anche
dal punto di vista pratico, le tecniche e le modalità di produzione di una
volta; in questo ambito, e naturalmente alla luce dei precedenti preraffaelliti
e della profonda ammirazione che nutre per Ruskin, si spiega l’interesse di
Herringham per la tempera.
Nel licenziare la sua versione,
Christiana dice di essersi basata, appunto, sulla versione Milanesi, ma di aver
fatto ricorso anche alla
traduzione tedesca di Albert Ilg del 1871. Un conto è la traduzione
e un conto la valutazione complessiva dell’opera. Su quest’ultimo piano,
Herringham non può essere più lontana dallo studioso tedesco: per Ilg Cennino è
testimone di un’arte morente. Non si trattava certo del primo a sostenere
posizioni di questo tipo. Nel 1847, nel secondo volume dei suoi Sketches of the History of Christian Art
Lord Lindsay parla del Libro dell’arte
come di “questo lascito morente di un
uomo che, nella sua amabile, ma cieca idolatria del passato, può essere
considerato l’ultimo dei seguaci di Giotto” [9].
Per Herringham, invece, il Libro dell’arte è tutt’altro che
un’eredità morente e davvero ha una ‘valenza pratica moderna’: “il motivo per cui ho intrapreso una nuova
traduzione è che realmente ho usato il trattato per imparare la pittura a
tempera e per molti anni ho cercato di ricavarne come riuscire a produrre, con
questo metodo, i vari effetti pittorici del XV secolo, non senza aver letto
anche tutto quanto d’altro vi potesse essere di pertinente sulla materia” [10].
Quello di Herringham non è un esercizio antiquario, ma una proposta per il
pittore moderno.
Non a caso, le ultime ottanta
pagine ospitano apparati critici volti ad approfondire gli aspetti tecnici dei
procedimenti pittorici, con intento chiaramente pedagogico. Si parte con un
primo capitoletto di natura generale, volto a confermare che la pittura a
tempera italiana si serviva del tuorlo dell’uovo, per poi spiegare meglio il
procedimento illustrato nel trattato cenniniano e studiare il comportamento chimico
di veicoli basati sull’uso dell’uovo. Si passa poi a considerare l’affresco e le
sue analogie con la tempera, l’uso della prima pittura a olio (prima dei van
Eyck, per capirsi), la preparazione dei supporti, la doratura, i pigmenti usati
da Cennino, le vernici utilizzate dai primitivi. Sotto questo punto di vista,
l’approccio di Herringham è sicuramente scientifico-tecnico, esattamente come
lo era stato nel caso di Mrs. Merrifield; entrambe – si è detto – sarebbero oggi
considerate storiche delle tecniche artistiche. Tuttavia non mancano le
differenze.
Mrs. Merrifield vs. Lady Herringham
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Christiana Herringham, Ritratto di Smeralda Bandinelli, Copia da Botticelli, Fonte: http://www.the-athenaeum.org/art/full.php?ID=279559 |
La più evidente appare essere,
senza dubbio, quella che Merrifield, dopo aver tradotto il libro di Cennino e
aver scritto un’antologia sulla tecnica dell’affresco (The Art of Fresco Painting [11]), si dedica soprattutto alla
pittura a olio. I suoi Original Treatises
del 1849 [12] sono il risultato di una spedizione ufficiale in Italia voluta
dal governo inglese alla ricerca delle ricette degli antichi maestri, dove per
tali si intendono i lombardi, gli emiliani e, soprattutto, i veneti. Gli
‘antichi maestri’ della Merrifield sono Tiziano, Veronese, Tintoretto, ovvero i
grandi coloristi del Cinquecento; quelli della Herringham sono gli artisti del
Quattrocento, specialmente se fiorentini. Merrifield non si reca mai a Firenze,
un fatto che Herringham non potrebbe nemmeno concepire. Ancora: Merrifield crede ciecamente nel
progresso dell’umanità (che coincide sostanzialmente con quello dell’Impero
inglese) e presenta appunto la sua traduzione di Cennino (ma anche i suoi
successivi lavori) come strumento formidabile per il progresso di una nuova
arte inglese. Merrifield è una donna di incrollabili certezze; Herringham (e le
sue vicende personali lo confermano) di grande inquietudine. La prima ha come
bussola Charles Lock Eastlake e l’establishment vittoriano; la seconda guarda a
Ruskin e a William Morris. Proprio all’approccio ruskiniano si deve – scrive
Meaghan Clarke – l’attenzione di Christiana non solo per la tempera, ma anche
per l’architettura e per la conservazione degli antichi edifici. La questione
del ‘patrimonio artistico’ è, senza dubbio, l’aspetto che più allontana le due
donne. Herringham si pone sempre il problema della mappatura e della
conservazione degli edifici, non esitando a schierarsi contro restauri che
ritiene poco ortodossi. Così, ad esempio, nel 1905, scrivendo sul Burlington Magazine e sul Times si schiera contro gli interventi
progettati per la Basilica di San Marco a Venezia (come non pensare a Ruskin?).
Merrifield, sostanzialmente, non sembra cogliere urgenza e importanza della
cosa.
La Society of Tempera Painters
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Christiana Herringham, Madonna col Bambino (copia da Cosmè Tura) Fonte: https://twitter.com/RHULexhibitions?lang=it |
Per motivi di spazio non posso
dedicare molta attenzione alla Society of
Tempera Painters, fondata dalla Herringham nel 1901 (successivamente
divenuta Society of Mural Decorators and
Painters in Tempera). Basti dire però che, del nucleo originario, non
faceva parte alcun accademico, ma rientravano invece personaggi come Roger Fry
(1866-1934), prima della sua ‘svolta’ post-impressionista. I rapporti fra Fry e
Christiana furono sempre di rispetto e stima reciproca. In quegli anni, ad
esempio, nasceva il Burlington Magazine
e Roger non esitava a mettere a disposizione le colonne del giornale alla
Herringham non solo in veste di ‘fustigatrice’ di restauri sbagliati (come
abbiamo visto poco fa), ma soprattutto come esperta della tecnica a tempera, e
quindi conoscitrice dei primitivi. La traduzione di Cennino operata da
Christiana divenne presto il testo sacro della Società dei Pittori in Tempera;
fu ristampato nel 1920 e nel 1932 e godette di grande fama fino alla traduzione
successiva di D.V. Thompson.
Il National Art Collections Fund
Nel 1903 Christiana Herringham
contatta lo storico dell’arte Dugald Sutherland MacColl (1859-1948) per dar
seguito a una proposta che quest’ultimo ha lanciato sulla Saturday Review nel settembre del 1900. MacColl propone la
creazione di un’associazione privata (sul modello di quella degli Amici del
Louvre) che si faccia carico di mantenere in Inghilterra, e donare a musei,
opere d’arte su cui incombe il rischio imminente di esportazione all’estero. Le
circostanze storiche, rispetto anche solo a qualche decennio prima, sono
cambiate drasticamente. La Gran Bretagna è sempre stata, per tradizione,
un’acquirente di quadri e altri manufatti artistici (specialmente italiani e
fiamminghi) facendo affidamento su una secolare pratica collezionistica da
parte dell’aristocrazia locale e abbinandovi (a metà degli anni ’50) una
sistematica mappatura delle opere d’arte potenzialmente disponibili sul mercato
ai fini dell’arricchimento delle raccolte della National Gallery. Si pensi, in
questo senso, ai
diari di viaggio di Charles Lock Eastlake, direttore, appunto, della
National Gallery. In corrispondenza degli anni ’80 dell’Ottocento, però, le
cose cambiano. La grande depressione agricola colpisce duramente i proprietari
terrieri (ovvero la nobiltà), sia in termini di rendita sia in relazione al
valore dei loro possedimenti, che crolla improvvisamente. Nel 1894, poi, è
introdotta una tassa patrimoniale dell’8% in sede di passaggi ereditari da una
generazione all’altra. Molti aristocratici reagiscono mettendo in vendita le
loro collezioni d’arte per fare liquidità. Sull’altro fronte, quello della
domanda, si muovono i nuovi milionari americani, ma soprattutto agiscono i
compratori istituzionali tedeschi, a partire da quel Wilhelm von Bode (1845-1929),
responsabile dei musei berlinesi, che è la vera e propria incarnazione di
un’aggressiva politica di acquisti negli anni dell’Impero guglielmino (ne
abbiamo già parlato per i riflessi sul mercato italiano). Mary Lago
fa notare, correttamente, che i tedeschi hanno un’ottima conoscenza delle
collezioni private inglesi grazie a scritti come quelli di Gustav Friedrich
Waagen e Johann David Passavant. “Bode
era così ben informato che nel 1857 il Principe Alberto [n.d.r. consorte
della Regina Vittoria] lo aveva coinvolto
come principale organizzatore della British Art Treasure Exhibition di Manchester, “la prima grande esposizione destinata al pubblico di opere d’arte
provenienti da collezioni private inglesi” [13]". In un paese in cui non
esiste ancora nessuna forma di limitazione all’esportazione di manufatti
artistici, i potenziali acquirenti stranieri si muovono indisturbati come
avvoltoi pronti a colpire al minimo cenno di debolezza patrimoniale di questa o
quella famiglia aristocratica. Ha inizio quello che in Inghilterra viene
chiamato convenzionalmente il “Great Exodus”.
MacColl, insomma, si pone il
problema della tutela del patrimonio artistico inglese. E a rispondergli per
prima (salvo due eccezioni insignificanti) è proprio Christiana Herringham, che
si offre di intervenire con uno stanziamento iniziale di duecento sterline.
Nasce il National Art Collections Fund
(oggi Art Fund), ovvero quella che è
l’associazione no-profit a favore dell’arte più famosa del mondo. Le vicende
dell’Art Fund sono in realtà molto
più complesse, e descritte con particolare maestria da Mary Lago, che coglie
l’occasione per tracciare un quadro movimentato e avvincente della scena
artistica inglese ai primi del Novecento. In particolare si corre il rischio,
nei primissimi mesi, che l’Art Fund non
diventi un’associazione aperta a tutti, ma che sia una struttura in mano all’Accademia
o alla stessa nobiltà terriera che è colpita dalla crisi. Un dato di fatto però
è innegabile. I quattro promotori dell’associazione furono MacColl, Herringham,
Roger Fry e Sir Claude Phillips (1846-1924); e si cominciò coi soldi messi da
Christiana Herringham. La fortunata storia dell’Art Fund spiccò il volo nel gennaio del 1906 con l’acquisizione,
per 45.000 sterline, della Venere Rokeby
di Velázquez,
in procinto di finire negli Stati Uniti. Senza il contributo di Christiana
Herringham (che, pure, scelse quasi subito un basso profilo, limitandosi a
rispondere di volta in volta a richieste di donazioni per acquisizioni
straordinarie), molto probabilmente, prima o poi, l’Art Fund sarebbe nato comunque, con l’intervento di qualcun altro.
Ma non sappiamo quanto tempo dopo. E certamente molte opere conservate in
collezioni private inglesi, nel frattempo, sarebbero state vendute all’estero.
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Diego Velazquez, Venere Rokeby, 1647-1651, Londra, The National Gallery Fonte: https://www.nationalgallery.org.uk/paintings/diego-velazquez-the-toilet-of-venus-the-rokeby-venus/ |
Ajanta
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Veduta odierna delle grotte di Ajanta Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Grotte_di_Ajanta#/media/File:Ajanta_(63).jpg |
Quando, nel 1906, Christina
Herringham si reca in India, in viaggio di piacere, e ha modo di vedere le
pitture delle grotte di Ajanta per la prima volta, in Inghilterra non si ha, di
fatto, nessuna idea del patrimonio artistico indiano. Si ritiene che non siano
mai esistite delle ‘belle arti’ locali e che lo sviluppo delle medesime nella
colonia britannica si identifichi, in sostanza, con l’introduzione di modelli
artistici occidentali nell’area. In generale – scrive Mary Lago – “il verdetto di funzionari governativi e
turisti era che pittura e scultura indiane erano di un erotismo
scioccante, socialmente e moralmente
inaccettabile, una visione da cui proteggere gli occhi di donne rispettabili”
[14]. Viene invece riconosciuta l’esistenza di un artigianato locale che si
punta a rafforzare in ottica puramente commerciale ai fini di dar vita a una
produzione che possa essere poi collocata sul mercato inglese.
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A sinistra: immagine odierna di uno dei dipinti murali di Ajanta; a destra: disegno di Lady Heringham pubbicato nel 1915 Fonte: https://en.wikipedia.org/wiki/Christiana_Herringham#/media/File:Aj2.jpg |
Delle grotte di Ajanta (oggi
patrimonio dell’Unesco), nella regione del Deccan e delle loro pitture si hanno
solo pochissimi cenni nella letteratura di viaggio. Si trovano, innanzi tutto,
in un’area particolarmente impervia; poi, per una serie di coincidenza, che
dimostrano però anche la scarsa importanza attribuita al sito, la
documentazione visiva raccolta sui dipinti in questione (del tutto parziale)
era andata persa in due distinti incendi una volta che i disegni erano stati
portati in Inghilterra. Quelli di Ajanta sono dipinti murali risalenti all’età
buddhista, fra III secolo avanti Cristo e VII dopo Cristo. Naturalmente, chi li
vede per la prima volta, non se ne rende conto e confonde la testimonianza di
una civiltà (e di una religione) scomparsa con l’induismo. Né una visione è
semplice; le immagini (che tecnicamente non sono veri e propri affreschi, nel
senso che non furono tutte dipinte su un intonaco umido) si trovavano in
situazioni disastrose, dentro grotte abitate da migliaia e migliaia di
pipistrelli (che ovviamente avevano sedimentato guano da secoli) e invase
dall’acqua per lunghi mesi dell’anno. Chistiana vede le immagini, o, meglio,
vede una porzione del tutto parziale di esse, e decide di dedicarsi negli anni seguenti
alla riproduzione delle medesime prima che scompaiano definitivamente, a
testimonianza di una civiltà che, fino a quel momento, è stata considerata
primitiva, perché priva di impostazione prospettica e di virtuosismi
coloristici. Siamo davvero di fronte a un caso di ‘riscoperta dei primitivi’,
dove questa volta i primitivi non sono Cennino o i quattrocentisti italiani, ma
artisti che hanno lasciato la loro eredità culturale dall’altra parte del
mondo. Mary Lago dedica molte pagine all’avventura indiana della Herringham
(che molto probabilmente, stando all’autrice, ispira la figura di Mrs. Moore in
Passaggio in India di Edward Morgan
Forster). Per motivi di spazio non posso certo soffermarmi sui particolari.
Alcune cose però vanno dette. Nell’inverno 1909-1910 e 1910-1911 Herringham
passa diversi mesi, assieme a un manipolo di altri coraggiosi da lei coordinati, a copiare le
immagini delle grotte di Ajanta. Immagini e testimonianze che acquistano un
senso proprio davanti ai suoi occhi, in condizioni lavorative del tutto
estreme. Si tratta di un’esperienza totalizzante e che senza alcun dubbio, a
giudicare dalle lettere, coinvolge Christiana anche (e soprattutto) su un piano
emotivo. Fatte le dovute proporzioni, l’approccio di Herringham ai dipinti
murali di Ajanta è molto simile a quello di Ruskin per le pietre di Venezia.
Entrambi vivono in profonda simbiosi con un mondo che rischia di scomparire e ne
documentano analiticamente le testimonianze. Il risultato del frenetico lavoro
di Christiana ha un suo sbocco editoriale nella pubblicazione, nel 1915, sotto
il patrocinio della Royal India Society di un volume contenente alcuni dei
disegni di Christiana [15]. Una ristampa anastatica di quell’opera, eseguita a
New Delhi nel 1998 è oggi consultabile su Internet [16]. Vi compare, fra l’altro, uno scritto di
Christiana in cui la copista fa presente, per correttezza, di avere omesso
alcune lacune delle opere ai fini di una miglior intellegibilità delle medesime.
Ben difficilmente la disegnatrice inglese ebbe coscienza dell’avvenuta
pubblicazione e, soprattutto, di aver raggiunto il suo obiettivo, ovvero di
aver posto all’ordine del giorno il problema della conservazione del sito. Come
detto proprio all’inizio, la sua salute mentale peggiorò rapidamente, tanto da
consigliare il ricovero due mesi dopo il ritorno in Inghilterra e sprofondarla
in un mondo di fantasmi.
NOTE
[1] Per le edizioni cenniniane
dal 1821 al 1900 mi permetto di rinviare in questo blog al mio Cennino
Cennini e il “Libro dell’Arte”: Censimento delle edizioni a stampa. Parte
prima: dal 1821 al 1900.
[2] Mary Lago, Christiana Herringham and the Edwardian Art
Scene, London, Lund Humphries Publishers, 1980. Americana, Mary Lago fu
anglista di fama, e insegnò a lungo presso l’Università del Missouri. I suoi
studi furono dedicati soprattutto al mondo letterario anglo-indiano (scrisse
molti libri su Rabindranath Tagore ed E.M. Forster). Il suo ‘incontro’ con
Christiana Herringham è quindi legato alle copie delle pitture murali di Ajanta
realizzate da Christiana fra 1910 e 1911.
[3] Si veda
[4] Meaghan Clarke, ‘The Greatest Living Critic’: Christiana
Herringham and the practise of connoisseurship in «Visual Resources. An
international journal on images and their uses», Volume 33, 2017 – Issue 1-2:
Special Issue: Women’s Expertise and the
Culture of Connoisseruship. Su Internet è disponibile una bozza a questo
indirizzo:
http://sro.sussex.ac.uk/68213/1/CLARKEHerringhamfinal.pdf.
È
questa che ho consultato e a cui faccio riferimento per le citazioni.
[5] Meaghan Clarke, ‘The Greates Living Critic’… cit. pp.
5-6.2
[6] Mary P. Merrifield non
conosceva perfettamente l’italiano. Per Mary p Merrifield si veda La
donna che amava i colori. Mary P. Merrifield: Lettere dall’Italia (1845-1846)
(a cura di Giovanni Mazzaferro). Milano, Officina Libraria, 2018.
[7] Si veda in
merito Giovanni Mazzaferro, Mary
P. Merrifield e la prima traduzione inglese del Libro dell’Arte di Cennino
Cennini: le recensioni a stampa. Si veda in particolare la
recensione apparsa su Atheneum il 15
marzo 1845.
[8] Margherita
d’Ayala Valva, Gli
“scopi pratici moderni” del Libro dell’arte
di Cennino Cennini: le edizioni primonovecentesche di Herringham, Renoir, Simi
e Verkade in «PARAGONE/ARTE» Anno LVI – Terza serie – N.
64 (669) – Novembre 2005, pp. 71-91. In particolare p. 71.
[9] Sketches of the History of Christian Art (John
Murray publisher, London, 1847, vol. II, p. 306: "this dying legacy of the man who, in his
amiable but blind idolatry of the past, might be fitly styled the Last of the
Giotto followers" (p. 306).
[10] The Book of
the Art of Cennino Cennini. A Contemporary Practical… cit., p. VI.
[11] M.P.
Merrifield, The Art of Fresco Painting, as Practised by the Old Italian and
Spanish Masters, with a Preliminary Inquiry into the Nature of the Colours Used
in Fresco Painting, with Observations and Notes, London-Brighton, Charles
Gilpin-Arthur Wallis, 1846.
[12] M.P.
Merrifield, Original Treatises, Dating
From the XII to XVIII Centuries on the Arts of Painting, in Oil, Miniature,
Mosaic, and on Glass; of Gilding, Dyeing, and the Preparation of Colours and
Artificial Gems; Preceded by a General Introduction; with Translations,
Prefaces, and Notes. 2 voll., London, John Murray, 1849.
[13] Mary Lago,
Christiana Herringham and the Edwardian Art Scene… quoted, pp. 62-63.
[14] Mary Lago,
Christiana Herringham and the Edwardian Art Scene… quoted, pp. 147.
[15] Ajanta Frescoes: Being Reproductions in
Colour and Monochrome in Some of the Caves at Ajanta After Copies Taken in the
Years 1910-1911 by Lady Herringham and Her Assistants, H. Milford, Oxford
University Press, 1915.
[16] Ajanta Frescoes by Lady Herringham with
Introductory Essays by Various Members of the Indian Society, New Delhi,
Arian Books International, 1998. Si veda: https://archive.org/details/in.gov.ignca.83267.
Su Ajanta, più in generale, si vedano, in italiano (o, meglio, in edizione
bilingue) i due volumi pubblicati di recente da Gangemi editore: Ajanta Dipinta – Painted Ajanta. Studio
sulla tecnica e sulla conservazione del sito rupestre indiano – Studies on the
techniques and the conservation of the indian rock art site. Roma, Gangemi,
2013.
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