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Keith Haring
Diari
Traduzione di Giovanni Amadasi e Giuliana Picco
Premessa di David Hockney
Introduzione di Robert Farris Thompson
Milano, Mondadori, 2001, p.345
Recensione di Francesco Mazzaferro. Parte Prima
[Versione originale: gennaio 2019 - Nuova versione: aprile 2019]
[1] L’unica eccezione è un testo di Brooks Adams pubblicato su Art in America. 84, no. 10, (1996), che non sono riuscito purtroppo a consultare.
[2] Scherer, Hans - Turm bei Vollmond. Ein Maler der Ordnung: Keith Haring in seinen Tagebüchern [La torre in una notte di luna piena. Un pittore con un Sistema], in Frankfurter Allgemeine Zeitung, 27 dicembre 1997.
Recensione di Francesco Mazzaferro. Parte Prima
[Versione originale: gennaio 2019 - Nuova versione: aprile 2019]
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Fig. 1) L’edizione italiana dei Diari di Keith Haring, pubblicata nel 2001 da Arnoldo Mondadori e ristampata nel 2007 e 2012. Sulla copertina: Keith Haring, Senza titolo, 1983. |
Le memorie di un mito
Spesso la pubblicazione di testi scritti da artisti contemporanei ha come scopo principale quello di offrire un ausilio per
la comprensione della loro arte. Non vi è dubbio che la stragrande maggioranza
dei lettori dei Diari di Keith Haring
(1958-1990) li abbia acquistati con il desiderio di comprendere meglio il
pittore e la sua arte, così popolare nella nostra epoca, e non per studiarne i
meriti letterari. Io stesso ho acquistato i Diari
nell’elegante edizione Penguin Books del 2010 alla libreria dell’Albertina
di Vienna, subito dopo aver ammirato le sue opere e con ancora negli occhi le
impressioni della mostra “Keith Haring The Alphabet” (che si è tenuta tra il 16 marzo e il 24 giugno 2018).
Tuttavia questa – a mio parere – non è la
prospettiva giusta con cui recensire un testo di letteratura artistica. Al
centro vi deve essere lo scritto stesso, con le sue caratteristiche positive e
negative. Lo ha ben compreso lo storico d’arte statunitense Robert Farris
Thompson (1932-), oggi professore emerito a Yale e autore di molte opere
sull’arte africana e africo-americana, che ha scritto nel 1996 un ottimo
saggio introduttivo sul diario, il suo stile, la sua struttura e le differenze
rispetto alle memorie di altri artisti contemporanei, primo fra tutti quelle di
Andy Warhol (1928-1987). Thompson (la
cui introduzione è presente in tutte le numerose traduzioni dall'inglese pubblicate fino ad oggi) ha insomma fatto pienamente sua l’idea che la
personalità degli artisti si riveli anche esaminando le loro strategie comunicative, e
che il loro rapporto con la scrittura sia degno di studio ed attenzione. Cercherò
quindi di attenermi scrupolosamente alla centralità dell'analisi del testo in
sé, anche se ovviamente sono ben cosciente che l’artista è divenuto figura
iconica di molte battaglie (dalla lotta all’AIDS a quella contro il razzismo) e
che la sua arte – contraddistinta da un linguaggio figurato accessibile al
grande pubblico – è ormai universalmente conosciuta. Ne deriva che, ogni volta
che si parla di Haring, sembra difficile sfuggire alla tentazione di celebrare
un mito.
Anche le memorie dell’artista hanno
registrato un successo universale. Del testo dei Diari esistono versioni – oltre che in inglese (1996) e in
italiano (2001) – anche in tedesco (1997), spagnolo (2001), coreano (2010),
cinese e francese (2012) e ceco (2013). È interessante notare come tutte le
versioni presentino l'introduzione di Robert
Farris Thompson, senza che, nelle singole edizioni nazionali, vi siano altri contributi critici, in sostituzione o in aggiunta. Anche consultando il sito
della Fondazione Keith Haring (http://www.haring.com)
non sono riuscito a identificare altri studi che siano specificamente dedicati
ai Diari [1]. Ovviamente vi sono
alcune buone recensioni di stampa pubblicate quando le memorie sono comparse
sul mercato [2] e i curatori delle mostre non hanno mancato di citare frasi di
Keith contenute nel testo per documentare le loro tesi sull’artista; eppure
sembra mancare uno studio più sistematico. Ovviamente, il mio non è un
tentativo di colmare questo vuoto. Spero che un testo che è stato talmente
letto e apprezzato (la rete è piena di commenti personali) e il cui contenuto
– al momento in cui scrivo questo post – è addirittura disponibile
integralmente su due siti [3], possa trovare un giorno l’interesse di altri
studiosi, che ne vogliano analizzare altre prospettive interpretative.
Il
ruolo dei Diari nella letteratura
artistica di fine Novecento
Il testo delle memorie di Keith Haring
viene pubblicato per la prima volta in inglese nel 1996, a sei anni dalla
prematura scomparsa dell’artista, a cura della già citata Keith Haring
Foundation. Keith, morto nel 1990 a 32 anni non ancora compiuti, ha lasciato
quaderni scritti a penna, stesi in modo molto ordinato e spesso decorati da
suoi disegni. “Dalle notazioni presenti
nei suoi diari – scrivono i curatori Julia Green e David Stark – è evidente come Keith Haring aspettasse
che venissero letti da qualcuno. Lasciò decine di taccuini manoscritti,
contenenti disegni e un’ampia varietà di materiali: da articolate riflessioni
sulla produzione in corso a notazioni minime, schizzi, citazioni ed elenchi di
letture. A volte gli scritti sono incentrati sulla sua attività, altre volte
sui rapporti interpersonali o sugli eventi della vita quotidiana” [4].
Come capita spesso, abbiamo quindi a che
fare con testi non ancora pronti per la pubblicazione, ma ‘perfezionati’ a quel
fine dagli eredi o dalle fondazioni che ne custodiscono i materiali. Al
contrario delle memorie di Marina Abramović – scritte dall’artista serba insieme a James Kaplan – o alle conversazioni di Jeff Koons con il critico e storico dell’arte Norman Rosenthal, dove ogni parola
conta, perché è stata pesata e concordata con l’artista, qui molto materiale è
frutto di una stesura improvvisa e forse non ancora conclusa; ha, insomma, il
vantaggio della freschezza e immediatezza e lo svantaggio della discontinuità.
Semmai – studiando le numerose pagine originali, che sono state postate sul web
dal Brooklyn Museum (http://keithharing.tumblr.com/)
– quel che manca all’edizione dei Diari
è la riproduzione dei disegni sui taccuini, che sono anch’essi testimonianza
del mondo figurativo dell’artista e sono stati invece sostituiti dall’editore
con un apparato d’immagini ‘standard’ in bianco e nero (venti foto) in linea con
lo stile più conosciuto del pittore. Vorrei notare come alcuni disegni nei
taccuini – espressione della sua spontaneità – siano molto fumettistici e
stilisticamente molto diversi dal linguaggio elaborato da Haring per la sua
arte; credo si possa forse trarre da ciò la conclusione che la diversa
’iconografia ‘classica’ di Haring, quella che è generalmente ritenuta come una
figurazione ‘spontanea’, sia in realtà il risultato di una codificazione
intenzionale e dunque di un processo di astrazione. Non a caso si parla spesso
dell’arte di Haring come di un vero e proprio linguaggio (è la tesi principale
della mostra di Vienna).
Oltre a presentare gli avvenimenti della
vita dell’artista dal suo personale punto di vista, i Diari documentano una fase importante dell’arte americana degli
anni Ottanta, quando nell’East Village di New York, uno dei quartieri di
Manhattan conosciuto per la propria vitalità ribelle, nasce un’arte ispirata al
mondo del graffito e alla stilizzazione dell’immagine. Oltre a Keith Haring,
quell’ambiente comprende Jean-Michel Basquiat (1960-1988) e Kenny Scharf
(1958-) (entrambi vengono citati più volte nei Diari). Testi su questioni di critica d’arte di questi tre artisti
sono considerati insieme anche da Kristine Stiles e Peter Selz nella loro
monumentale antologia Theories and
Documents of Contemporary Art: A Sourcebook of Artists’ Writings [5]. Insomma
a questa triade spetta un ruolo importante non solamente nella produzione
artistica dell’East Village, ma anche nella loro documentazione con l'elaborazione di scritti di riferimento.
Vorrei però subito aggiungere che Haring e
i suoi sodali vivono in una fase storica in cui la documentazione del percorso
artistico degli artisti è ormai consegnata a molte forme di espressione, e non
solamente alla scrittura: ad esempio, il film Downtown 81, girato appunto nel 1981 da Edo Bertoglio (1951-) con
la partecipazione in prima persona di Basquiat narra in forma romanzata una
giornata della vita dell’artista di colore all’East Village ed è una forma
poetica di autobiografia. Quindici anni dopo (nel 1996), il pittore e regista Julian
Schnabel (1951-) ha girato un film di successo su Basquiat, inaugurando così
una fortunata carriera di cineasta e rafforzando il mito cinematografico
dell’artista. Non è escluso che anche Haring – che non aveva alcun timore di
affidarsi a circuiti commerciali per vendere oggetti che riproducessero la
propria arte a prezzo molto contenuto – avrebbe un giorno scelto il grande
schermo come strumento di comunicazione.
I Diari permettono di ricostruire
l’intreccio delle relazioni personali (delle amicizie e delle inimicizie) tra
artisti newyorchesi dell’epoca. La semplice consultazione dell’ottimo indice
analitico presente nell’edizione Penguin Classic del 2010 (ma stranamente non
in quella italiana) permette di orientarsi fra i punti di riferimento di Keith.
Tra gli artisti il più citato è George Condo (1957-), figura di spicco
dell’East Village degli anni Ottanta, seguito da Andy Warhol. Vi sono poi
Francesco Clemente (1952-) e Julian Schnabel (già citato per il film su Basquiat),
sostanzialmente coetanei di Haring. Sono numerose le frequentazioni anche con
scrittori, soprattutto con William Burroughs (1914-1997), che fu anche pittore,
e con protagonisti del mondo dello spettacolo, prima fra tutti Grace Jones
(1948-).
Un testo discontinuo
Si diceva che i testi dei Diari sono caratterizzati da evidenti
discontinuità. Ciò è vero con riferimento a due aspetti specifici. In primo
luogo, Haring interrompe la stesura delle sue memorie per sei anni, e anche in diverse altre occasioni lascia ampia intervalli temporali fra un ricordo e l'altro; in seconda istanza, lo stile degli scritti
dei primi anni è molto diverso da quello delle fasi successive. All’inizio
Keith è un giovane che sta ancora studiando, s’interroga su questioni estetiche
e manifesta chiare preferenze e avversioni. La sua vita è, per molti versi,
ancora quella di un adolescente tra adolescenti. Inizia gli studi (frequenta l’Ivy School of Professional Art di Pittsburgh
tra 1976 e 1978) con l’obiettivo di concentrarsi su quella che gli americani
chiamano commercial art (che potremmo forse definire una sorta di arte
applicata), ma decide poi di dedicarsi alla visual
art (in fondo, un concetto molto allargato di belle arti) alla School of Visual Arts di New York tra
1978 e 1980. La vera eredità dei primi
anni dei suoi studi è l’idea di utilizzare materiali e tecniche commerciali per
diffondere le sue immagini. I Diari testimoniano l’incrocio della
cultura del graffito con la creatività di un artista che ha preferenze
estetiche consolidate, ad esempio in tema di forma e di colore.
Haring non termina gli studi, ma già nel
1980 conosce uno strepitoso successo, di livello planetario. Nel 1981 i Diari si interrompono e riprendono nel 1986 in
forma di memorie di viaggio di un artista ormai affermato e presente ovunque,
con un turbinio di spostamenti che lo vede viaggiare freneticamente fra
America, Europa e Asia. Manca insomma, il periodo più importante: quello durante il quale il successo di Keith diventa planetario. Scrivono i curatori: “Quando la carriera di Haring decollò e la sua vita cominciò a divenire
sempre più complicata, la scrittura si fece meno assidua, sovente ritagliata
nelle parentesi tranquille dei viaggi aerei: di conseguenza nei taccuini
troviamo notevoli salti temporali. In alcuni casi, per favorire una certa
continuità, è stato inserito del materiale scritto in altre occasioni” [6].
L'introduzione di Robert Farris Thompson
I Diari segnano, secondo l’autore del testo
introduttivo, una vera odissea spirituale che si apre con i sogni di un giovane
americano a Kutztown, il paesino dove vive la famiglia, e si conclude, cinque
mesi prima della scomparsa, in Italia, a Pisa, dove Haring completa il murale
sulla parete esterna del retro del cortile della chiesa di Sant’Antonio Abate. “Da Pittsburgh a Pisa si dispiega così
un’odissea spirituale tipicamente americana, un documento sulla vita e il
pensiero di un artista che ha simboleggiato l’America degli anni Ottanta in
tutto il mondo. Migliaia di persone hanno indossato le sue T-shirts, milioni
hanno conosciuto il suo stile. Era probabilmente uno dei pochissimi artisti dei
nostri tempi a potersi imbarcare su un volo transoceanico e vedere la propria
arte in entrambi i film proiettati a
bordo. (…) Il testo dei diari è, in poche parole, lo specchio di una vita
straordinaria: la creatività, il pensiero e il linguaggio di ogni giorno che
coglie i punti cruciali della contemporaneità” [7].
Lo studioso americano paragona le memorie
di Haring a quelle di Andy Warhol (che Keith
considerava un maestro) per giungere alla conclusione che le prime sono
molto più immediate e spontanee. Dei diari di Warhol scrive: “Quest’ultima testimonianza è un compendio affascinante, un grosso
elenco del telefono, che riguarda essenzialmente gesta di celebrità e annotazioni
personali su taxi e ristoranti, come se Warhol stesse scrivendo in parte per i
posteri e in parte per l’ufficio delle tasse” [8]. Sulle memorie di Keith
sostiene, invece: “I diari di Keith
Haring sono più ricchi. Dalle annotazioni scritte emergono infatti una
riflessione profonda, l’evoluzione di una personalità, l’evidenza di una
crescita. È raro trovare nei diari di Warhol una pagina di questo tenore: «Di
solito le persone più generose sono quelle che hanno meno da dare. L’ho
imparato per esperienza personale a dodici anni, quando consegnavo i giornali a
domicilio. Le mance migliori venivano dalla gente più povera. Ne rimasi
sorpreso, però ne feci tesoro»” [9].
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Fig. 3) I Diari di Andy Warhol, nella versione italiana (De Agostini editore) del 1989. |
I Diari
- scrive Thompson - si presentano in due diverse “formazioni” e subito aggiunge di voler usare questo termine (tecnicamente
impreciso) “in omaggio al processo di costruzione della
consapevolezza e dell’esperienza che questi diari rappresentano”
[10]. La prima fase, secondo il critico,
vede il prevalere della ricerca: nel testo sarebbe chiaramente ravvisabile un
elemento di romanticismo giovanile. Non a caso Thompson cerca di tracciare,
lungo due pagine della sua introduzione, un paragone tra i Diari e le lettere del poeta britannico John Keats (1795-1821) ad
amici e familiari. Questi riferimenti al romanticismo potrebbero sembrare
semplici fabulazioni di un giovane immaturo. Il critico dimostra invece che “la forza che stava dietro questa ricerca era
il gusto sicuro e ben strutturato di Haring” [11]. Keith non è infatti solamente un
graffitista di strada: una delle caratteristiche degli anni di
formazione è il confronto con l’arte delle generazioni direttamente precedenti.
Ama profondamente Mark Rothko (1903–1970), almeno quanto rifiuta le geometrie
di Frank Stella (1936-).
A
partire dagli anni di New York, Haring inizia a mettere fra loro insieme gli
aspetti che diverranno caratteristici della sua arte: temi della vita politica
e sociale, uso di spazi pubblici (nei primi anni soprattutto gli spazi
pubblicitari nelle stazioni della metropolitana) ed elaborazione di un
linguaggio lineare di ‘sapore’ geroglifico. Citando il collega Jonathan
Fineberg, Thompson
spiega che, in questa fase di ancora piena giovinezza, “Haring creò delle icone culturali di massa in cui tutti si potevano
riconoscere” [12]. E aggiunge: “Le
annotazioni di Haring rivelano come, in una ricca mescolanza di Keats,
biografie artistiche, mostre retrospettive e molte, molte altre fonti, egli
elaborò il suo personale pensiero filosofico su linea, forma colore” [13].
Il
successo planetario di questo nuovo linguaggio – reso possibile anche dalla
documentazione fotografica e video dei suoi graffiti – sconvolge la vita del
ventiduenne, al punto che Haring, travolto da richieste che gli giungono da
ogni parte del mondo, non riesce più a scrivere. Si è già detto che (con
l’eccezione di qualche pagina scritta all'aeroporto di Bruxelles nel 1982) nulla si
può leggere degli anni che segnano la sua conclamata affermazione e lo portano
ad abbandonare gli studi e proiettarsi in una dimensione internazionale, tra
Stati Uniti, Europa e Asia. La stesura
dei Diari riprende infatti solamente nell’estate 1986, quando Keith sente nuovamente
la necessità di documentare la propria vita d’artista. Thompson
scrive che, in quell’occasione, Haring ha riletto le pagine degli anni
precedenti e scoperto come esse non siano “pretenziose
e piene di sé” [14], ma si rivelino, a distanza di qualche anno, testi di
natura programmatica sulla sua arte.
L’introduzione non può che sottolineare
come un successo così rapido ed esteso porti con sé, inevitabilmente, anche
elementi di incoerenza. "Le
contraddizioni nella parte finale dei suoi diari divengono più acute: naif,
sofisticato, sexy, puritano, sicuro di sé, problematico, un uomo socievole che,
alla fine, si fece progettare il suo appartamento nello stile del Ritz" [15].
Rientrano tra le contraddizioni che i Diari fanno emergere con nettezza la sua sessualità quasi
compulsiva e il tema dell’innocenza, che si esprime nel continuo richiamo
all’infanzia nei dipinti. Parleremo di tutto ciò nella seconda e terza parte
del post.
Il saggio di Robert Farris Thompson offre
infine due ulteriori riflessioni estetiche, che si estendono adentrambe le
fasi dei Diari. La prima è sul
rapporto tra Haring e l’arte del suo secolo, la seconda sull’arte di Haring e
la danza (lo studioso americano, oltre a essere critico d’arte, è autore di numerose
opere sulla danza nel mondo afro-americano). Sul primo tema, si è già fatto
riferimento alla sua ostilità per Stella (si potrebbe aggiungere anche quella
per A. R. Penck (1939–2017)). Il suo
amore incondizionato va invece per Pierre Alechinski (1927-) e il movimento CoBra, Fernand Léger (soprattutto nella
fase tra 1942 e 1955), Jean Debouffet (1901–1985), Jean Tinguely (1925-1991) e
Niki de Saint-Phalle (1930-2002). La lezione di Léger è fondamentale per Haring
– scrive Thompson – al fine della comprensione delle modalità con cui separare
colore e disegno. Non si comprenderebbe infine l’iconografia di Keith se non si
considerasse l’impatto che ebbero su di lui i balli che animavano la sua vita
notturna, dalla breakdance all’electric boogie.
Le
brevi Premesse di David Hockney e
Shepard Fairey
Nella prima edizione del 1896
l’introduzione di Farris Thompson è, a sua volta, preceduta da una breve
premessa (di una sola pagina) di David Hockney (1937-). In realtà si tratta di una semplice
testimonianza, per la verità un po’ singolare, perché del tutto slegata
rispetto alle memorie. Credo francamente che sia stata inserita dall’editore
nel volume come ‘marchio di garanzia’ per lettori poco convinti della grandezza
di Haring. A sbilanciarsi in suo favore è uno dei giganti dell’arte
contemporanea (la tiratura iniziale dell’edizione dei Diari nel 1996 è di sole 500 copie, un numero assai basso per un
gigante come il gruppo Penguin; il successo è talmente travolgente che esce un’edizione Penguin Classics
già nel 1997). Nella premessa, Hockney dice di “aver incontrato alcune volte Keith Haring all’inizio della sua carriera
grazie al mio amico Henry Geldzahler” [16]. La circostanza, peraltro, non è
menzionata nei Diari, dove il nome di
Hockney è citato una sola volta e, in modo molto indiretto, nel corso di una
trattativa commerciale a Düsseldorf [17].
Fig. 4) Sei edizioni dei Diari di Keith Haring. Dall’alto a sinistra in senso orario: (1) Edizione tedesca, tradotta da Wolfgang Krege e pubblicata nel 1997 da S. Fischer a Francoforte sul Meno. (2) Edizione spagnola, tradotta da Zoraida de Torre e pubblicata nel 2001 da Galaxia Gutenberg a Barcelona. (3) Edizione coreana, tradotta da Chu-hŏn Kang e pubblicata dall’editore Mango Media nel 2010 a Seul. (4) Edizione cinese, tradotta da Zhang Lingxin e pubblicata nel 2012 dall’editore Marco Polo a Pechino. (5) Edizione francese, tradotta da Stéphanie Alkofer e pubblicata nel 2012 da Flammarion a Parigi. (6) Edizione ceca, tradotta da Ladislav Nagy e pubblicato da Kniha Zlín a Praga nel 2013.
|
Nell’edizione Penguin Classics del 2010 il
testo di Hockney è sostituito da una premessa in quattro pagine di Shepard
Fairey (1970-), artista di strada americano molto affermato (è stato anche uno
degli artisti più vicini alla sinistra americana, compreso il movimento Occupy). Si tratta, anche in questo
caso, della testimonianza di un artista che non ha nulla a che fare coi Diari (dove il suo nome, non compare
mai). Fairey parla di Haring come di un modello che gli ha mostrato come l’arte
di strada possa avere qualità estetiche e i suoi motivi possano essere resi comuni
attraverso strumenti di grande diffusione presso il pubblico, come ad esempio
magliette e copertine di dischi [18].
Le pagine di Shepard Fairey sono più
politiche di quelle di Hockney e rivendicano per Haring il ruolo di “campione della giustizia sociale e credente
nell’interdipendenza dell’umanità” [19]. Mi sembra davvero interessante che
per due volte l’autore – volendo tessere gli elogi di Keith – usi il termine populism in un’accezione positiva, per
indicare una filosofia estetica che si rivolge agli strati più ampi della
popolazione, non avendo nessuna paura di utilizzare circuiti commerciali (la
proliferazione di gadget) per diffondere l’arte tra il numero maggiore di
persone possibile. Fairey si sofferma sul fatto che nei Diari si affermi il principio che l’arte si deve rivolgere a tutti
(e che i cittadini hanno anzi diritto all’arte). Il denaro non è dunque di per
sé diabolico, perché può consentire di realizzare obiettivi che l’artista
altrimenti non riesce a conseguire. Ovviamente, va detto che il testo di Fairey
precede di qualche anno l’elezione di Donald Trump e la diffusione del termine
populismo come forma di democrazia illiberale; dubito che oggi utilizzerebbe
nuovamente la stessa parola per esprimere le sue lodi nei confronti di Haring.
Fine della Parte Prima
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NOTE
[2] Scherer, Hans - Turm bei Vollmond. Ein Maler der Ordnung: Keith Haring in seinen Tagebüchern [La torre in una notte di luna piena. Un pittore con un Sistema], in Frankfurter Allgemeine Zeitung, 27 dicembre 1997.
Si veda http://www.faz.net/aktuell/feuilleton/buecher/rezension-sachbuch-turm-bei-vollmond-11313117.html).
[3] Si vedano http://issuu-download.tiny-tools.com/pages.php?doc_id=151010201444-9b9db420ef1c1cefd1c0ca8c955b1692
[3] Si vedano http://issuu-download.tiny-tools.com/pages.php?doc_id=151010201444-9b9db420ef1c1cefd1c0ca8c955b1692
e https://full-english-books.net/english-books/full-book-keith-haring-journals-read-online.
[4] Haring, Keith, Diari, Traduzione di Giovanni Amadasi e Giuliana Picco, Premessa di David Hockney, Introduzione di Robert Farris Thompson, Milano, Mondadori, 2001, p.345. Citazione a pagina xxxviii.
[5] Haring è presente nell’antologia di Stiles e Selz con uno Statement nel 1984 pubblicato su Flash Art (ovvero un testo di un periodo non coperto dai Diari).
[6] Haring, Keith, Diari, (citato), p. xxxviii.
[7] Haring, Keith, Diari, (citato), pp. viii-ix.
[8] Haring, Keith, Diari, (citato), pp. ix-x.
[9] Haring, Keith, Diari, (citato), p. x.
[10] Haring, Keith, Diari, (citato), p. x.
[11] Haring, Keith, Diari, (citato), p. xi.
[12] Haring, Keith, Diari, (citato), p. xi.
[13] Haring, Keith, Diari, (citato), p. xiii.
[14] Haring, Keith, Diari, (citato), p. xv.
[15] Haring, Keith, Diari, (citato), pp. xv-xvi.
[16] Haring, Keith, Diari, (citato), p. v.
[17] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 151.
[18] Haring, Keith – Journals, Introduction by Robert Farris Thompson, Foreword by David Hockney, Penguin Books Classics, 464 pagine. Citazione a pagina xi.
[19] Haring, Keith – Journals, (citato), p. xi .
[4] Haring, Keith, Diari, Traduzione di Giovanni Amadasi e Giuliana Picco, Premessa di David Hockney, Introduzione di Robert Farris Thompson, Milano, Mondadori, 2001, p.345. Citazione a pagina xxxviii.
[5] Haring è presente nell’antologia di Stiles e Selz con uno Statement nel 1984 pubblicato su Flash Art (ovvero un testo di un periodo non coperto dai Diari).
[6] Haring, Keith, Diari, (citato), p. xxxviii.
[7] Haring, Keith, Diari, (citato), pp. viii-ix.
[8] Haring, Keith, Diari, (citato), pp. ix-x.
[9] Haring, Keith, Diari, (citato), p. x.
[10] Haring, Keith, Diari, (citato), p. x.
[11] Haring, Keith, Diari, (citato), p. xi.
[12] Haring, Keith, Diari, (citato), p. xi.
[13] Haring, Keith, Diari, (citato), p. xiii.
[14] Haring, Keith, Diari, (citato), p. xv.
[15] Haring, Keith, Diari, (citato), pp. xv-xvi.
[16] Haring, Keith, Diari, (citato), p. v.
[17] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 151.
[18] Haring, Keith – Journals, Introduction by Robert Farris Thompson, Foreword by David Hockney, Penguin Books Classics, 464 pagine. Citazione a pagina xi.
[19] Haring, Keith – Journals, (citato), p. xi .
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