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mercoledì 9 gennaio 2019

Keith Haring. Diari. Parte Prima


English Version

Keith Haring
Diari
Traduzione di Giovanni Amadasi e Giuliana Picco
Premessa di David Hockney
Introduzione di Robert Farris Thompson


Milano, Mondadori, 2001, p.345

Recensione di Francesco Mazzaferro. Parte Prima

[Versione originale: gennaio 2019 - Nuova versione: aprile 2019]

Fig. 1) L’edizione italiana dei Diari di Keith Haring, pubblicata nel 2001 da Arnoldo Mondadori e ristampata nel 2007 e 2012. Sulla copertina: Keith Haring, Senza titolo, 1983.

Le memorie di un mito

Spesso la pubblicazione di testi scritti da artisti contemporanei ha come scopo principale quello di offrire un ausilio per la comprensione della loro arte. Non vi è dubbio che la stragrande maggioranza dei lettori dei Diari di Keith Haring (1958-1990) li abbia acquistati con il desiderio di comprendere meglio il pittore e la sua arte, così popolare nella nostra epoca, e non per studiarne i meriti letterari. Io stesso ho acquistato i Diari nell’elegante edizione Penguin Books del 2010 alla libreria dell’Albertina di Vienna, subito dopo aver ammirato le sue opere e con ancora negli occhi le impressioni della mostra “Keith Haring The Alphabet” (che si è tenuta tra il 16 marzo e il 24 giugno 2018).

Tuttavia questa – a mio parere – non è la prospettiva giusta con cui recensire un testo di letteratura artistica. Al centro vi deve essere lo scritto stesso, con le sue caratteristiche positive e negative. Lo ha ben compreso lo storico d’arte statunitense Robert Farris Thompson (1932-), oggi professore emerito a Yale e autore di molte opere sull’arte africana e africo-americana, che ha scritto nel 1996 un ottimo saggio introduttivo sul diario, il suo stile, la sua struttura e le differenze rispetto alle memorie di altri artisti contemporanei, primo fra tutti quelle di Andy Warhol (1928-1987). Thompson (la cui introduzione è presente in tutte le numerose traduzioni dall'inglese pubblicate fino ad oggi) ha insomma fatto pienamente sua l’idea che la personalità degli artisti si riveli anche esaminando le loro strategie comunicative, e che il loro rapporto con la scrittura sia degno di studio ed attenzione. Cercherò quindi di attenermi scrupolosamente alla centralità dell'analisi del testo in sé, anche se ovviamente sono ben cosciente che l’artista è divenuto figura iconica di molte battaglie (dalla lotta all’AIDS a quella contro il razzismo) e che la sua arte – contraddistinta da un linguaggio figurato accessibile al grande pubblico – è ormai universalmente conosciuta. Ne deriva che, ogni volta che si parla di Haring, sembra difficile sfuggire alla tentazione di celebrare un mito.    

Fig. 2) Tre edizioni in lingua inglese dei Diari di Keith Haring, pubblicate rispettivamente da Viking Penguin a New York e Fourth Estate a Londra nel 1996, da Penguin Books a Londra-New York in un’edizione Penguin Classics Deluxe nel 1997 e sempre da Penguin Classics nel 2010.

Anche le memorie dell’artista hanno registrato un successo universale. Del testo dei Diari esistono versioni – oltre che in inglese (1996) e in italiano (2001) – anche in tedesco (1997), spagnolo (2001), coreano (2010), cinese e francese (2012) e ceco (2013). È interessante notare come tutte le versioni presentino l'introduzione di Robert Farris Thompson, senza che, nelle singole edizioni nazionali, vi siano altri contributi critici, in sostituzione o in aggiunta. Anche consultando il sito della Fondazione Keith Haring (http://www.haring.com) non sono riuscito a identificare altri studi che siano specificamente dedicati ai Diari [1]. Ovviamente vi sono alcune buone recensioni di stampa pubblicate quando le memorie sono comparse sul mercato [2] e i curatori delle mostre non hanno mancato di citare frasi di Keith contenute nel testo per documentare le loro tesi sull’artista; eppure sembra mancare uno studio più sistematico. Ovviamente, il mio non è un tentativo di colmare questo vuoto. Spero che un testo che è stato talmente letto e apprezzato (la rete è piena di commenti personali) e il cui contenuto – al momento in cui scrivo questo post – è addirittura disponibile integralmente su due siti [3], possa trovare un giorno l’interesse di altri studiosi, che ne vogliano analizzare altre prospettive interpretative. 


Il ruolo dei Diari nella letteratura artistica di fine Novecento

Il testo delle memorie di Keith Haring viene pubblicato per la prima volta in inglese nel 1996, a sei anni dalla prematura scomparsa dell’artista, a cura della già citata Keith Haring Foundation. Keith, morto nel 1990 a 32 anni non ancora compiuti, ha lasciato quaderni scritti a penna, stesi in modo molto ordinato e spesso decorati da suoi disegni. “Dalle notazioni presenti nei suoi diari – scrivono i curatori Julia Green e David Stark – è evidente come Keith Haring aspettasse che venissero letti da qualcuno. Lasciò decine di taccuini manoscritti, contenenti disegni e un’ampia varietà di materiali: da articolate riflessioni sulla produzione in corso a notazioni minime, schizzi, citazioni ed elenchi di letture. A volte gli scritti sono incentrati sulla sua attività, altre volte sui rapporti interpersonali o sugli eventi della vita quotidiana”  [4].

Come capita spesso, abbiamo quindi a che fare con testi non ancora pronti per la pubblicazione, ma ‘perfezionati’ a quel fine dagli eredi o dalle fondazioni che ne custodiscono i materiali. Al contrario delle memorie di Marina Abramović – scritte dall’artista serba insieme a James Kaplan – o alle conversazioni di Jeff Koons con il critico e storico dell’arte Norman Rosenthal, dove ogni parola conta, perché è stata pesata e concordata con l’artista, qui molto materiale è frutto di una stesura improvvisa e forse non ancora conclusa; ha, insomma, il vantaggio della freschezza e immediatezza e lo svantaggio della discontinuità. Semmai – studiando le numerose pagine originali, che sono state postate sul web dal Brooklyn Museum (http://keithharing.tumblr.com/) – quel che manca all’edizione dei Diari è la riproduzione dei disegni sui taccuini, che sono anch’essi testimonianza del mondo figurativo dell’artista e sono stati invece sostituiti dall’editore con un apparato d’immagini ‘standard’ in bianco e nero (venti foto) in linea con lo stile più conosciuto del pittore. Vorrei notare come alcuni disegni nei taccuini – espressione della sua spontaneità – siano molto fumettistici e stilisticamente molto diversi dal linguaggio elaborato da Haring per la sua arte; credo si possa forse trarre da ciò la conclusione che la diversa ’iconografia ‘classica’ di Haring, quella che è generalmente ritenuta come una figurazione ‘spontanea’, sia in realtà il risultato di una codificazione intenzionale e dunque di un processo di astrazione. Non a caso si parla spesso dell’arte di Haring come di un vero e proprio linguaggio (è la tesi principale della mostra di Vienna).

Oltre a presentare gli avvenimenti della vita dell’artista dal suo personale punto di vista, i Diari documentano una fase importante dell’arte americana degli anni Ottanta, quando nell’East Village di New York, uno dei quartieri di Manhattan conosciuto per la propria vitalità ribelle, nasce un’arte ispirata al mondo del graffito e alla stilizzazione dell’immagine. Oltre a Keith Haring, quell’ambiente comprende Jean-Michel Basquiat (1960-1988) e Kenny Scharf (1958-) (entrambi vengono citati più volte nei Diari). Testi su questioni di critica d’arte di questi tre artisti sono considerati insieme anche da Kristine Stiles e Peter Selz nella loro monumentale antologia Theories and Documents of Contemporary Art: A Sourcebook of Artists’ Writings [5]. Insomma a questa triade spetta un ruolo importante non solamente nella produzione artistica dell’East Village, ma anche nella loro documentazione con l'elaborazione di scritti di riferimento.

Vorrei però subito aggiungere che Haring e i suoi sodali vivono in una fase storica in cui la documentazione del percorso artistico degli artisti è ormai consegnata a molte forme di espressione, e non solamente alla scrittura: ad esempio, il film Downtown 81, girato appunto nel 1981 da Edo Bertoglio (1951-) con la partecipazione in prima persona di Basquiat narra in forma romanzata una giornata della vita dell’artista di colore all’East Village ed è una forma poetica di autobiografia. Quindici anni dopo (nel 1996), il pittore e regista Julian Schnabel (1951-) ha girato un film di successo su Basquiat, inaugurando così una fortunata carriera di cineasta e rafforzando il mito cinematografico dell’artista. Non è escluso che anche Haring – che non aveva alcun timore di affidarsi a circuiti commerciali per vendere oggetti che riproducessero la propria arte a prezzo molto contenuto – avrebbe un giorno scelto il grande schermo come strumento di comunicazione.

I Diari permettono di ricostruire l’intreccio delle relazioni personali (delle amicizie e delle inimicizie) tra artisti newyorchesi dell’epoca. La semplice consultazione dell’ottimo indice analitico presente nell’edizione Penguin Classic del 2010 (ma stranamente non in quella italiana) permette di orientarsi fra i punti di riferimento di Keith. Tra gli artisti il più citato è George Condo (1957-), figura di spicco dell’East Village degli anni Ottanta, seguito da Andy Warhol. Vi sono poi Francesco Clemente (1952-) e Julian Schnabel (già citato per il film su Basquiat), sostanzialmente coetanei di Haring. Sono numerose le frequentazioni anche con scrittori, soprattutto con William Burroughs (1914-1997), che fu anche pittore, e con protagonisti del mondo dello spettacolo, prima fra tutti Grace Jones (1948-).


Un testo discontinuo

Si diceva che i testi dei Diari sono caratterizzati da evidenti discontinuità. Ciò è vero con riferimento a due aspetti specifici. In primo luogo, Haring interrompe la stesura delle sue memorie per sei anni, e anche in diverse altre occasioni lascia ampia intervalli temporali fra un ricordo e l'altro;  in seconda istanza, lo stile degli scritti dei primi anni è molto diverso da quello delle fasi successive. All’inizio Keith è un giovane che sta ancora studiando, s’interroga su questioni estetiche e manifesta chiare preferenze e avversioni. La sua vita è, per molti versi, ancora quella di un adolescente tra adolescenti. Inizia gli studi (frequenta l’Ivy School of Professional Art di Pittsburgh tra 1976 e 1978) con l’obiettivo di concentrarsi su quella che gli americani chiamano commercial art  (che potremmo forse definire una sorta di arte applicata), ma decide poi di dedicarsi alla visual art (in fondo, un concetto molto allargato di belle arti) alla School of Visual Arts di New York tra 1978 e 1980.  La vera eredità dei primi anni dei suoi studi è l’idea di utilizzare materiali e tecniche commerciali per diffondere le sue immagini.  I Diari testimoniano l’incrocio della cultura del graffito con la creatività di un artista che ha preferenze estetiche consolidate, ad esempio in tema di forma e di colore.

Haring non termina gli studi, ma già nel 1980 conosce uno strepitoso successo, di livello planetario. Nel 1981 i Diari si interrompono e riprendono nel 1986 in forma di memorie di viaggio di un artista ormai affermato e presente ovunque, con un turbinio di spostamenti che lo vede viaggiare freneticamente fra America, Europa e Asia. Manca insomma, il periodo più importante: quello durante il quale il successo di Keith diventa planetario. Scrivono i curatori: “Quando la carriera di Haring decollò e la sua vita cominciò a divenire sempre più complicata, la scrittura si fece meno assidua, sovente ritagliata nelle parentesi tranquille dei viaggi aerei: di conseguenza nei taccuini troviamo notevoli salti temporali. In alcuni casi, per favorire una certa continuità, è stato inserito del materiale scritto in altre occasioni” [6].


L'introduzione di Robert Farris Thompson

I Diari segnano, secondo l’autore del testo introduttivo, una vera odissea spirituale che si apre con i sogni di un giovane americano a Kutztown, il paesino dove vive la famiglia, e si conclude, cinque mesi prima della scomparsa, in Italia, a Pisa, dove Haring completa il murale sulla parete esterna del retro del cortile della chiesa di Sant’Antonio Abate. “Da Pittsburgh a Pisa si dispiega così un’odissea spirituale tipicamente americana, un documento sulla vita e il pensiero di un artista che ha simboleggiato l’America degli anni Ottanta in tutto il mondo. Migliaia di persone hanno indossato le sue T-shirts, milioni hanno conosciuto il suo stile. Era probabilmente uno dei pochissimi artisti dei nostri tempi a potersi imbarcare su un volo transoceanico e vedere la propria arte in entrambi i film proiettati a bordo. (…) Il testo dei diari è, in poche parole, lo specchio di una vita straordinaria: la creatività, il pensiero e il linguaggio di ogni giorno che coglie i punti cruciali della contemporaneità”  [7].

Lo studioso americano paragona le memorie di Haring a quelle di Andy Warhol (che Keith  considerava un maestro) per giungere alla conclusione che le prime sono molto più immediate e spontanee. Dei diari di Warhol scrive: “Quest’ultima testimonianza è un compendio affascinante, un grosso elenco del telefono, che riguarda essenzialmente gesta di celebrità e annotazioni personali su taxi e ristoranti, come se Warhol stesse scrivendo in parte per i posteri e in parte per l’ufficio delle tasse” [8]. Sulle memorie di Keith sostiene, invece: “I diari di Keith Haring sono più ricchi. Dalle annotazioni scritte emergono infatti una riflessione profonda, l’evoluzione di una personalità, l’evidenza di una crescita. È raro trovare nei diari di Warhol una pagina di questo tenore: «Di solito le persone più generose sono quelle che hanno meno da dare. L’ho imparato per esperienza personale a dodici anni, quando consegnavo i giornali a domicilio. Le mance migliori venivano dalla gente più povera. Ne rimasi sorpreso, però ne feci tesoro»” [9]. 

Fig. 3) I Diari di Andy Warhol, nella versione italiana (De Agostini editore) del 1989.

I Diari - scrive Thompson - si presentano in due diverse “formazioni” e subito aggiunge di voler usare questo termine (tecnicamente impreciso) “in omaggio al processo di costruzione della consapevolezza e dell’esperienza che questi diari rappresentano” [10].  La prima fase, secondo il critico, vede il prevalere della ricerca: nel testo sarebbe chiaramente ravvisabile un elemento di romanticismo giovanile. Non a caso Thompson cerca di tracciare, lungo due pagine della sua introduzione, un paragone tra i Diari e le lettere del poeta britannico John Keats (1795-1821) ad amici e familiari. Questi riferimenti al romanticismo potrebbero sembrare semplici fabulazioni di un giovane immaturo. Il critico dimostra invece che “la forza che stava dietro questa ricerca era il gusto sicuro e ben strutturato di Haring” [11]. Keith non è infatti solamente un graffitista di strada: una delle caratteristiche degli anni di formazione è il confronto con l’arte delle generazioni direttamente precedenti. Ama profondamente Mark Rothko (1903–1970), almeno quanto rifiuta le geometrie di Frank Stella (1936-).

A partire dagli anni di New York, Haring inizia a mettere fra loro insieme gli aspetti che diverranno caratteristici della sua arte: temi della vita politica e sociale, uso di spazi pubblici (nei primi anni soprattutto gli spazi pubblicitari nelle stazioni della metropolitana) ed elaborazione di un linguaggio lineare di ‘sapore’ geroglifico. Citando il collega Jonathan Fineberg, Thompson spiega che, in questa fase di ancora piena giovinezza, “Haring creò delle icone culturali di massa in cui tutti si potevano riconoscere” [12]. E aggiunge: “Le annotazioni di Haring rivelano come, in una ricca mescolanza di Keats, biografie artistiche, mostre retrospettive e molte, molte altre fonti, egli elaborò il suo personale pensiero filosofico su linea, forma colore” [13].

Il successo planetario di questo nuovo linguaggio – reso possibile anche dalla documentazione fotografica e video dei suoi graffiti – sconvolge la vita del ventiduenne, al punto che Haring, travolto da richieste che gli giungono da ogni parte del mondo, non riesce più a scrivere. Si è già detto che (con l’eccezione di qualche pagina scritta all'aeroporto di Bruxelles nel 1982) nulla si può leggere degli anni che segnano la sua conclamata affermazione e lo portano ad abbandonare gli studi e proiettarsi in una dimensione internazionale, tra Stati Uniti, Europa e Asia.  La stesura dei Diari riprende infatti solamente nell’estate 1986, quando Keith sente nuovamente la necessità di documentare la propria vita d’artista. Thompson scrive che, in quell’occasione, Haring ha riletto le pagine degli anni precedenti e scoperto come esse non siano “pretenziose e piene di sé” [14], ma si rivelino, a distanza di qualche anno, testi di natura programmatica sulla sua arte.  

L’introduzione non può che sottolineare come un successo così rapido ed esteso porti con sé, inevitabilmente, anche elementi di incoerenza. "Le contraddizioni nella parte finale dei suoi diari divengono più acute: naif, sofisticato, sexy, puritano, sicuro di sé, problematico, un uomo socievole che, alla fine, si fece progettare il suo appartamento nello stile del Ritz" [15].  Rientrano tra le contraddizioni che i Diari fanno emergere con nettezza la sua sessualità quasi compulsiva e il tema dell’innocenza, che si esprime nel continuo richiamo all’infanzia nei dipinti. Parleremo di tutto ciò nella seconda e terza parte del post.

Il saggio di Robert Farris Thompson offre infine due ulteriori riflessioni estetiche, che si estendono adentrambe le fasi dei Diari. La prima è sul rapporto tra Haring e l’arte del suo secolo, la seconda sull’arte di Haring e la danza (lo studioso americano, oltre a essere critico d’arte, è autore di numerose opere sulla danza nel mondo afro-americano). Sul primo tema, si è già fatto riferimento alla sua ostilità per Stella (si potrebbe aggiungere anche quella per A. R. Penck  (1939–2017)). Il suo amore incondizionato va invece per Pierre Alechinski (1927-) e il movimento CoBra, Fernand Léger (soprattutto nella fase tra 1942 e 1955), Jean Debouffet (1901–1985), Jean Tinguely (1925-1991) e Niki de Saint-Phalle (1930-2002). La lezione di Léger è fondamentale per Haring – scrive Thompson – al fine della comprensione delle modalità con cui separare colore e disegno. Non si comprenderebbe infine l’iconografia di Keith se non si considerasse l’impatto che ebbero su di lui i balli che animavano la sua vita notturna, dalla breakdance all’electric boogie.


Le brevi Premesse di David Hockney e Shepard Fairey

Nella prima edizione del 1896 l’introduzione di Farris Thompson è, a sua volta, preceduta da una breve premessa (di una sola pagina) di David Hockney (1937-). In realtà si tratta di una semplice testimonianza, per la verità un po’ singolare, perché del tutto slegata rispetto alle memorie. Credo francamente che sia stata inserita dall’editore nel volume come ‘marchio di garanzia’ per lettori poco convinti della grandezza di Haring. A sbilanciarsi in suo favore è uno dei giganti dell’arte contemporanea (la tiratura iniziale dell’edizione dei Diari nel 1996 è di sole 500 copie, un numero assai basso per un gigante come il gruppo Penguin; il successo è talmente travolgente che esce un’edizione Penguin Classics già nel 1997). Nella premessa, Hockney dice di “aver incontrato alcune volte Keith Haring all’inizio della sua carriera grazie al mio amico Henry Geldzahler” [16]. La circostanza, peraltro, non è menzionata nei Diari, dove il nome di Hockney è citato una sola volta e, in modo molto indiretto, nel corso di una trattativa commerciale a Düsseldorf [17].



Fig. 4) Sei edizioni dei Diari di Keith Haring. Dall’alto a sinistra in senso orario: (1) Edizione tedesca, tradotta da Wolfgang Krege e pubblicata nel 1997 da S. Fischer a Francoforte sul Meno. (2) Edizione spagnola, tradotta da Zoraida de Torre e pubblicata nel 2001 da Galaxia Gutenberg a Barcelona. (3) Edizione coreana, tradotta da Chu-hŏn Kang e pubblicata dall’editore Mango Media nel 2010 a Seul. (4) Edizione cinese, tradotta da Zhang Lingxin e pubblicata nel 2012 dall’editore Marco Polo a Pechino. (5) Edizione francese, tradotta da Stéphanie Alkofer e pubblicata nel 2012 da Flammarion a Parigi. (6) Edizione ceca, tradotta da Ladislav Nagy e pubblicato da Kniha Zlín a Praga nel 2013.

Nell’edizione Penguin Classics del 2010 il testo di Hockney è sostituito da una premessa in quattro pagine di Shepard Fairey (1970-), artista di strada americano molto affermato (è stato anche uno degli artisti più vicini alla sinistra americana, compreso il movimento Occupy). Si tratta, anche in questo caso, della testimonianza di un artista che non ha nulla a che fare coi Diari (dove il suo nome, non compare mai). Fairey parla di Haring come di un modello che gli ha mostrato come l’arte di strada possa avere qualità estetiche e i suoi motivi possano essere resi comuni attraverso strumenti di grande diffusione presso il pubblico, come ad esempio magliette e copertine di dischi [18].

Le pagine di Shepard Fairey sono più politiche di quelle di Hockney e rivendicano per Haring il ruolo di “campione della giustizia sociale e credente nell’interdipendenza dell’umanità” [19]. Mi sembra davvero interessante che per due volte l’autore – volendo tessere gli elogi di Keith – usi il termine populism in un’accezione positiva, per indicare una filosofia estetica che si rivolge agli strati più ampi della popolazione, non avendo nessuna paura di utilizzare circuiti commerciali (la proliferazione di gadget) per diffondere l’arte tra il numero maggiore di persone possibile. Fairey si sofferma sul fatto che nei Diari si affermi il principio che l’arte si deve rivolgere a tutti (e che i cittadini hanno anzi diritto all’arte). Il denaro non è dunque di per sé diabolico, perché può consentire di realizzare obiettivi che l’artista altrimenti non riesce a conseguire. Ovviamente, va detto che il testo di Fairey precede di qualche anno l’elezione di Donald Trump e la diffusione del termine populismo come forma di democrazia illiberale; dubito che oggi utilizzerebbe nuovamente la stessa parola per esprimere le sue lodi nei confronti di Haring.


Fine della Parte Prima
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NOTE

[1] L’unica eccezione è un testo di Brooks Adams pubblicato su Art in America. 84, no. 10, (1996), che non sono riuscito purtroppo a consultare.

[2] Scherer, Hans - Turm bei Vollmond. Ein Maler der Ordnung: Keith Haring in seinen Tagebüchern [La torre in una notte di luna piena. Un pittore con un Sistema], in Frankfurter Allgemeine Zeitung, 27 dicembre 1997. 
e https://full-english-books.net/english-books/full-book-keith-haring-journals-read-online.

[4] Haring, Keith, Diari, Traduzione di Giovanni Amadasi e Giuliana Picco, Premessa di David Hockney, Introduzione di Robert Farris Thompson, Milano, Mondadori, 2001, p.345. Citazione a pagina xxxviii.

[5] Haring è presente nell’antologia di Stiles e Selz con uno Statement nel 1984 pubblicato su Flash Art (ovvero un testo di un periodo non coperto dai Diari).

[6] Haring, Keith, Diari, (citato), p. xxxviii.

[7] Haring, Keith, Diari, (citato), pp. viii-ix.

[8] Haring, Keith, Diari, (citato), pp. ix-x.

[9] Haring, Keith, Diari, (citato), p. x.

[10] Haring, Keith, Diari, (citato), p. x.

[11] Haring, Keith, Diari, (citato), p. xi.

[12] Haring, Keith, Diari, (citato), p. xi.

[13] Haring, Keith, Diari, (citato), p. xiii.

[14] Haring, Keith, Diari, (citato), p. xv.

[15] Haring, Keith, Diari, (citato), pp. xv-xvi.

[16] Haring, Keith, Diari, (citato), p. v.

[17] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 151.

[18] Haring, Keith – Journals, Introduction by Robert Farris Thompson, Foreword by David Hockney, Penguin Books Classics, 464 pagine. Citazione a pagina xi.

[19] Haring, Keith – Journals, (citato), p. xi .




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