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mercoledì 23 gennaio 2019

Keith Haring. Diari. Parte Terza


English Version

Keith Haring
Diari
Traduzione di Giovanni Amadasi e Giuliana Picco
Premessa di David Hockney
Introduzione di Robert Farris Thompson


Milano, Mondadori, 2001, p.345

Recensione di Francesco Mazzaferro. Parte Terza

[Versione originale: gennaio 2019 - Nuova versione: aprile 2019]





Fig. 11) Alcune pagine dei quaderni originali dei Diari di Keith Haring

Torna alla Parte Prima


Fra l’interruzione dei Diari (26 luglio 1980) e la loro regolare ripresa (7 luglio 1986) passano sei anni. Per Keith Haring molto è cambiato. Benché ancora molto giovane (ha 28 anni), è divenuto famosissimo e gira tutto il mondo per far fronte alle richieste. Viaggi in aereo e attese negli aeroporti e negli hotel sono i momenti in cui Keith riesce a scrivere. Proprio per questo motivo, la seconda parte dei Diari finisce per avere il sapore di una cronaca di viaggio. New York e le sue frequentazioni finiscono in secondo piano; negli Stati Uniti sono riportate le esperienze fatte a Kansas City e Chicago; mentre ampio spazio è lasciato ai soggiorni in Europa e Asia.

Al di là della narrazione degli eventi personali, la seconda parte dei Diari approfondisce due aspetti importanti: in primo luogo testimonia dell’esistenza di una rete di artisti e protagonisti del mondo dell’arte che sostiene Haring quasi in ogni parte del mondo e dall’altro chiarisce come il suo successo – oltre ad essere dovuto alle sue qualità d’artista – derivi anche dalla sua enorme capacità di socializzare e di trasformare occasioni casuali d’incontro in amicizie consolidate nel tempo. In un’epoca come la nostra dove il valore degli artisti dipende soprattutto dal valore iconico delle immagini che producono, la letteratura artistica li ritrasforma in uomini che agiscono all’interno di ambiti sociali ben definiti. Non è soltanto la diffusione delle immagini sui media – insomma - a decidere il destino degli artisti.


Frammenti: Bruxelles-Amsterdam (1982) e Milano (1984)

Posto che l’intervallo nella stesura dei Diari – come detto – dura sei anni e va dal 1980 al 1986, i curatori delle memorie dell’artista hanno cercato, in qualche modo, di colmare questo vuoto andando alla ricerca di note sparse tra le carte di Haring. Del marzo 1982 è una breve pagina scritta all’aeroporto di Bruxelles: “È passato molto tempo dall’ultima volta che ho scritto qualcosa. Sono successe tante cose. Così tante che non sono stato in grado di scriverle. Probabilmente dovrei tenere un diario giornaliero, eppure non mi pare di essere sempre in grado di mettermi a scrivere” [62]. Keith si confronta con la cultura europea. Comprende che essa gli offre le stesse possibilità espressive d’azione urbana in quanto artista di strada: “Disegnare in strada con i gessetti ad Amsterdam mi ha fatto capire che lo posso fare in qualunque parte del mondo (e con risultati simili [63]. D’altro canto, in Europa emerge il suo ‘sentirsi americano’, ossia diverso rispetto alla cultura europea: “Ma mi manca New York (…). È buffo, ma venire qui mi ha fatto sentire ancora più contento di essere americano” [64]. Le poche righe del 1982 contengono un giudizio severo nei confronti di uno dei pittori che, in Olanda, è visto da decenni come ponte tra la cultura pittorica europea e quella americana, quel Willem de Kooning (1904-1997) che nasce a Rotterdam e si trasferisce giovanissimo negli Stati Uniti per poi imporvisi (dagli anni Cinquanta in poi) come uno dei maggiori esponenti dell’espressionismo astratto: “Vedere gli orribili nuovi dipinti di Willem de Kooning alla mostra dello Stedelijk mi spaventa. Preferirei morire che diventare così” [65]. Keith si compiace, invece, del proprio stile: “Comunque al punto in cui sto adesso mi sento piuttosto bene. Voglio dire, per certi aspetti è la situazione che ho sempre voluto o che ho sempre sognato [66].

Appartengono sempre ai frammenti alcune pagine scritte in occasione di un viaggio in Italia nel giugno 1984. In quell’occasione Haring ricorda che quella non era la prima volta che visitava il nostro Paese: l’anno prima aveva dipinto a Milano il negozio Fiorucci (“La nostra prima visita a Milano nel 1983 fu per dipingere completamente con lo spray il negozio di Fiorucci. Lo dipingemmo in tredici ore” [67]). Nel 1984 Keith è ancora a Milano per cercare materiali per un’installazione che deve presentare alla Biennale di Venezia e perché ha intenzione di realizzare con materiali locali alcune opere destinate ad esse esposte in una personale a lui dedicata nella galleria milanese di Salvatore Ala (1941–2014). Ad esempio, vuol dipingere vasi in terracotta e si reca a tal proposito in un laboratorio nel capoluogo lombardo: “Sono abituato a lavorare in questo modo; visitare un paese e produrre arte sul posto. (…) Ho iniziato visitando un laboratorio alla periferia della città dove producono oggetti in terracotta. Ho scelto vasi di varie dimensioni e forme e il giorno successivo ho iniziato sistematicamente a sabbiarli, lavarli e quindi a decorarli con inchiostro indelebile. (…) Il confronto tra la storia della pittura su vaso e l’approccio contemporaneo con il pennarello, la giustapposizione di simboli nuovi e antichi producono un’ironica mescolanza di opposti” [68].

Alla creazione delle opere per la mostra organizzata da Salvatore Ala lavora assieme a Angel Ortiz (1967-), pittore graffitista americano che si firma semplicemente ‘L.A.2’. Insieme i due dipingono alcune sculture in gesso (acquistate a Torino), un totem e altre strutture in legno realizzate appositamente da una famosa ditta di arredamento a Milano. A proposito di una delle sculture in gesso acquistate a Torino (si tratta di un modello del David di Michelangelo), Keith scrive: “Mi piacerebbe soltanto che Michelangelo potesse vederle, ma anche questa volta dico che forse le vedrà [69]. 



Fig. 12) Il poster della mostra: “Keith Haring – About Art” tenutasi a Palazzo Reale a Milano tra il 21 febbraio e il 18 giugno 2017
Le pitture e le sculture italiane sono tra le prime opere che Haring dipinge in acrilico fluorescente (si è detto nella prima parte di questo post come, inizialmente, l’approccio al colore dell’artista fosse quanto mai circospetto): “I dipinti, che costituivano il corpo centrale della mostra, erano realizzazioni esclusivamente mie. Sono alcuni dei miei primi lavori con i colori acrilici su mussola tesa. Decisi di iniziare a dipingere con gli acrilici a causa della grande gamma di colori che avevo ignorato nei miei precedenti lavori su vinile [70].

Il tono usato per descrivere l’esperienza milanese è pieno di entusiasmo: “A Milano trovai molte nuove idee e immagini che andarono a finire direttamente nel lavoro. Stavo in galleria a dipingere fino a tardi ogni sera, finché le mani mi facevano male (…) Un’altra cosa grandiosa della mostra fu l’inaugurazione. (…) Vennero molte persone, molti giovani, gente della moda e appassionati d’arte e persino il sindaco di Milano” [71]. Il sindaco, per la cronoca, era Carlo Tognoli (1938-). La recente mostra: “Keith Haring: About Art” tenutasi al Palazzo Reale di Milano è stata anche l’occasione per tornare a esporre di nuovo (oltre a molte altre opere) la produzione di quelle settimane italiane. 

Estate 1986: la riscoperta della scrittura

Il vero e proprio ritorno ai Diari si ha nel luglio 1986. Haring si trova a Montreux, in Svizzera, dove disegna, insieme ad Andy Warhol, il poster per il famosissimo jazz festival che vi si tiene ogni estate; Keith è un habitué del festival, di cui ha disegnato il poster anche nel 1983:  “È  passato così tanto tempo da quando ho provato a scrivere qualcosa su ciò che stava succedendo (sta succedendo) nella mia vita. Si è mosso tutto talmente in fretta che l’unico punto di riferimento sono i biglietti aerei e i vari articoli delle riviste in occasione di viaggi ed esposizioni. Un giorno suppongo che questo costituirà la mia biografia” [72]. È qui che compare per la prima volta l’idea che i Diari possano essere letti da qualcuno in futuro. Non manca anche un riferimento all’importanza della letteratura artistica: “Solo adesso mi rendo conto dell’importanza di una biografia. Voglio dire, ho sempre saputo che mi piaceva leggere (e ne ho tratto molto insegnamento) le biografie di artisti che ammiravo. Probabilmente è la mia principale fonte d’istruzione [73]. L’artista spiega di aver smesso di tenere le sue memorie anche per le critiche impietose ricevute da uno dei suoi insegnanti americani; ora, però, riscopre la qualità dei suoi scritti giovanili, attribuendo ad essi la capacità di spiegare lo sviluppo del suo stile. “All’inizio della ‘carriera’ (che parola orribile) fui distolto da un insegnante che giudicava le cose che io scrivevo pretenziose e fine a loro stesse. Anni dopo, leggendo ciò che scrissi nel 1978, non mi sembravano così pretenziose, almeno per quanto si riferisce a ciò che ‘volevo fare’, cose che effettivamente feci nei quattro o cinque anni a seguire” [74].

Quando ricomincia a scrivere, Keith prova a spiegarsi – anche in termini di stile pittorico – i motivi per cui il successo gli ha arriso. Attribuisce la circostanza all’uso della linea come elemento ‘primitivo’ (anche se il termine ‘primitivo’ non lo convince appieno) che è capace di creare un legame tra l’individuo e la sua essenza: in un’epoca di crescente complessità, la semplicità paga. L’arte gioca un ruolo fondamentale nella definizione dell’identità delle persone e il pittore comprende che il suo valore ha una valenza sociale: “La ‘responsabilità sociale’ che vedo nel mio lavoro si trova nella LINEA stessa. L’accettazione della mia LINEA è responsabile dell’accettazione di me come figura pubblica. Il collegamento con la cultura ‘primitiva’ (odio questa parola) è la chiave per capire come e perché la mia arte sia diventata del tutto accettabile e abbastanza naturale in un’epoca che si trova, tecnologicamente e ideologicamente, lontana dalle cosiddette culture ‘primitive’ ” [75].


Fig. 13) Il volume “Keith Haring a Milano” di Alessandra Galasso, pubblicato da Johan e Levi Editore nel 2017

Nella medesima pagina del diario Keith si sofferma sul suo rapporto con Andy Warhol. Si tratta di un artista ben diverso da lui, ma che considera comunque un maestro (e che raffigura spesso, in quegli anni, nelle vesti di uno strambo Micky Mouse): “Il mio movimento consiste di un’unica persona. Ci sono svariate persone il cui lavoro ha delle somiglianze, per certi aspetti e caratteristiche, con quello che sto facendo, ma nessuno le ha tutte. Persino Andy Warhol, a cui vengo spesso paragonato, è, di fatto, un tipo di artista molto, molto differente. Andy ha esercitato una grossa influenza come modello sia di cosa essere sia di cosa non essere” [76]. Ribadirà quelle parole di grande rispetto nel 1987, alla notizia della morte di Warhol: “La vita e il lavoro di Andy hanno reso possibile il mio lavoro. Andy aveva stabilito il precedente che rende possibile l’esistenza della mia arte. È stato il primo vero artista pubblico in senso globale, e la sua arte e la sua vita hanno cambiato il concetto di ‘arte e vita’ nel XX secolo. È stato il primo vero ‘artista moderno’. Andy probabilmente era l’unico, vero, artista pop” [77].


Vita e morte nei Diari

Fra le motivazioni che lo spingono a ricominciare i Diari compare anche la paura della morte [78]. Haring ne parla per la prima volta scrivendo a Montreaux, nel luglio 1986. Siamo negli anni che segnano il boom dell’AIDS. Keith ha visto morire molti suoi amici per quella malattia, probabilmente teme di poterla contrarre (cosa che avverrà realmente) e riflette quindi sulla caducità dell’esistenza umana. “La vita è così fragile. C’è una linea molto sottile tra vita e morte, Mi rendo conto di camminare su questa linea. Vivendo a New York e anche volando così spesso in aereo, mi trovo di fronte ogni giorno alla possibilità di morire” [79].

I Diari rappresentano, purtroppo, anche il lugubre elenco dei decessi di molti giovani amici, verificatisi nel giro di pochi anni. Keith dedica una pagina affettuosa a Francesca Alinovi (1948–1983) [80], critica d’arte specializzata nel graffitismo americano, vittima a Bologna di un delitto passionale che all’epoca fece molto scalpore. Sarebbe stata Francesca – a suo avviso – ad avergli fatto la miglior intervista della sua vita. Keith vede la morte negli occhi del giovanissimo amico designer Martin Burgoyne (1963-1986) [81], ammalatosi di AIDS e deceduto subito dopo; è raggiunto in Giappone dalla notizia della scomparsa del pittore inglese Brion Gysin (1916-1986) [82], padre storico del graffitismo sin dagli anni Sessanta, morto di cancro; viene a sapere in Brasile della morte inaspettata di Andy Warhol (1928-1987) [83], spentosi dopo un’operazione chirurgica di routine. Vengono poi a mancare, a causa dell’HIV, anche il suo agente e ‘angelo custode’ Bobby Breslau (1943-1987) [84], manager del negozio aperto a New York (il Pop Shop) e l’ex compagno Juan Dubose (1988) [85]. Infine, vi è l’assurda scomparsa dell’amico fotografo, scrittore e collezionista Yves Arman (1954-1989) [86], che muore in un incidente stradale proprio mentre sta viaggiando dalla Costa Azzurra a Madrid per incontrare Keith.  L’artista ne è sconvolto, tanto da dedicare molte pagine delle sue memorie al ricordo di Yves e della sua famiglia. Molto si è scritto sull’atmosfera di morte che circonda Haring in quegli anni, anche tenendo conto che sapeva di essere sieropositivo e che il passaggio da una fase ‘silente’ a quella finale della malattia era all’epoca ineluttabile. Il 28 marzo 1987 Haring scrive: “I miei amici stanno cadendo come mosche e so nel mio cuore che è solo l’intervento divino che mi ha tenuto vivo così a lungo. Non so se mi restano cinque mesi o cinque anni, ma so di avere i giorni contati. Questa è la ragione per cui i miei progetti e le mie attività sono così importanti per me” [87].

Se però mi è concesso un elemento di stupore, in questo lugubre elenco, vorrei far notare che i Diari non contengono alcun riferimento alla morte di Jean-Michel Basquiat (1960-1988). L’amico di Keith è vittima di un’overdose di eroina il 12 agosto 1988. Non vi sono notazioni di alcun tipo tra il 31 luglio (l’artista sta tornando da Tokio a New York) e il 22 agosto 1988 (sta viaggiando da New York a Parigi). Eppure Haring definisce Jean-Michel come il suo pittore preferito, insieme a George Condo (è un’affermazione del marzo 1987) [88], e ribadisce il medesimo giudizio nell’aprile dello stesso anno [89]. Come mai ne ignora la morte un anno dopo? Va detto che tutte le pagine dal 22 agosto al 6 settembre (che si riferiscono a eventi tenutisi a Parigi, Düsseldorf, Anversa, Losanna, Ginevra, Montecarlo, ancora Düsseldorf, infine Parigi e a New York) sono una semplice sequenza di punti non sviluppati in prosa. Nulla compare nei Diari tra ottobre 1988 e febbraio 1989. Forse che Keith è talmente sconvolto da non voler scrivere sul tema; o non riesce più a stendere i propri pensieri in modo logico? Certamente, nei mesi seguenti, l’artista dipinge una tela in memoria di Basquiat (dal titolo ‘Un mucchio di corone’) e nel mese di novembre è uno degli oratori in una cerimonia commemorativa organizzata dagli amici, dopo che le esequie in agosto si sono tenute in forma strettamente privata per volere della famiglia [90]. 

Le reazioni alla scomparsa degli amici, a ogni modo, non sono mai scontate o banali: attraverso quelle esperienze sembra che l’artista vada percorrendo una maturazione interiore sul tema della morte che si avvia ben prima della coscienza, nel marzo 1987, di avere sintomi che gli fanno pensare di aver contratto il virus dell’HIV [91]. Ecco un breve estratto dalle pagine che verga alla notizia della morte di Brion Gysin (vedi sopra), con il quale ha sviluppato un profondo senso di comunanza estetica: “Al mio arrivo a Tokio ho appreso che Brion Gysin era morto. (…) Sono sicuro che sta bene. Penso che molta gente abbia imparato tanto da Brion. Sfortunatamente gran parte del suo valore è passato inosservato o perlomeno è rimasto sconosciuto. So di essere fortunato ad averlo incontrato e ad aver goduto di due anni della sua vita. È una leggenda [92]. 


Sul tema Keith ritorna mesi dopo. Per lui Gysin non è stato solamente un pittore, ma anche un maestro di vita. Non solo: come compagno di vita di William Burroughs, Gysin è al tempo stesso uno dei primi esponenti di una comunità gay che non ha paura di esporsi al giudizio del pubblico e uno degli eroi della beat generation americana, sia in letteratura sia in pittura. Ha, insomma, aperto a Keith la strada per integrarsi in una delle correnti storiche della cultura statunitense del dopoguerra. “Brion Gysin e William Burroughs mi hanno influenzato in maniera incredibile e sono stati per me illuminanti. Brion, dopo essere diventato un amico, è stato una sorta di maestro (come Andy). Ho imparato parecchio dalle nostre conversazioni, ma penso di aver imparato in eguale misura anche dalle sue ‘opere’. È importante che il suo lavoro sia disponibile per le generazioni future di artisti. Il loro lavoro mi ha fornito una struttura sulla quale costruire e all’interno della quale comprendere ciò che già avevo fatto [93].


Una vita da Globetrotter 

Le pagine successive dei Diari vedono Haring viaggiare dalla Svizzera in India (passando da Milano, dove è festeggiato a una cerimonia al Castello con mille scolari [94], e Roma, dove incontra per caso Grace Jones, con cui ha già lavorato) [95]. Poi è a Tokio, e di nuovo a New York dopo una tappa di due giorni a Milano, il cui aeroporto è in pratica un luogo che gli permette di incontrare amici in città [96]. Nelle pagine di quei mesi compare per la prima volta il riferimento all’uso di cocaina [97] (nel corso di alcune notti italiane con amici). Da Nuova Delhi Keith scrive poi una lunga lettera allo psicologo Timothy Leary (1920-1996) [98], che fino a quel momento conosceva solo di vista, per averlo incontrato in un locale notturno newyorchese. A indurre l’artista a farlo è la lettura in volo dell’autobiografia dello psicologo, intitolata Flashbacks. Leary sostiene da decenni, fra l’altro, il valore terapeutico dell’uso – sotto controllo medico – delle droghe, e teorizza addirittura che le persone possano espandere la loro personalità cercando in altri la materializzazione di pensieri che essi stessi avevano generato, attraverso meccanismi di re-imprinting e re-programming. Dopo la lettera inviata dall’India diverrà amico di Timothy e della moglie Barbara, dedicando loro diverse pagine nei Diari.

Keith scrive a Timothy che la lettura di Flashbacks gli ha cambiato la vita e gli rivela di aver iniziato a disegnare secondo quello che sarebbe divenuto il suo stile lineare proprio dopo avere assunto LSD, per la prima volta, a 15 anni [99]. Parla di quanto siano determinanti gli incontri accidentali nella vita (incontri che gli hanno consentito di creare comunanze spirituali improvvise con grandi menti della cultura delle generazioni precedenti) e racconta a questo proposito il primo contatto con i grandi esponenti della letteratura americana della cosiddetta beat generation, avvenuto nel 1978.  Narra in particolare le vicende del primo incontro con William Burroughs (1914-1997) – scrittore e pittore –, in occasione della partecipazione casuale ad un evento a New York. Infine racconta delle sue esperienze con Grace Jones (1948-), la cantante e modella a cui non solo ha dedicato disegni, ma sul cui corpo ha realizzato dipinti in occasione di un concerto sempre a New York al Paradise Garage nel 1985. E termina spiegando che la comunità di artisti che si riuniva in quel night club era divenuta la sua famiglia. A proposito: nei Diari Keith nomina la nonna e la sorella, ma mai padre e madre.


Knokke

Nonostante quanto scritto sul suo ‘sentirsi americano’ in Europa, Keith dimostra di essere sempre più attratto dal Vecchio Continente, tanto da dire di trovarvi conforto (“Mi sento più ottimista dopo essere stato in Europa e mi pare che sarebbe una buona idea viverci più a lungo” [100]). Le vicende europee finiscono per prevalere su quelle americane. Fino ad ora si è molto parlato di Milano e dell’Italia, ma i viaggi riguardano anche Belgio, Olanda, Germania e Francia. Sono lì alcuni dei luoghi prediletti del pittore americano. In realtà, Keith si muove tra queste destinazioni in modo vorticoso, come se non potesse rimanere a lungo in uno stesso luogo. Nel febbraio 1987, ad esempio, inizia una serie di viaggi di alcuni mesi che da New York lo portano prima a Knokke (Belgio), Düsseldorf e Monaco (Germania) e poi di nuovo a New York per assistere ad una cerimonia in ricordo di Andy Warhol. Da lì riparte subito per Parigi, va a Tokio e torna in Belgio (Bruxelles, Anversa, Knokke).

In tutta questa serie di capitali e metropoli, la cittadina belga di Knokke, piccola località balneare, sembra stonare. In realtà vi vive un’attiva comunità di artisti pop che si riconoscono attorno a Roger Nellens (1937-), pittore e collezionista. Per Nellens e famiglia la scultrice e pittrice Niki de Saint Phalle ha costruito tra 1973 e 1975 una casa a forma di drago, la Dragon House. Per molti versi, la spiaggia belga diviene uno dei centri del mondo di Keith. Proprio a Knokke Keith sembra interrompere, almeno per brevi periodi, i suoi frenetici spostamenti per trovare un po’ di pace. Nel giugno 1987, presso il locale Casinò (il più grande in Belgio) si tiene una sua retrospettiva. Haring vi si ferma un mese e, comunque, vi torna regolarmente mentre viaggia in Europa; gli sembra di trovarsi in quello che considera un paradiso, e non esita a invitare altri artisti a raggiungerlo lì per passare qualche ora di relax insieme. Vive ospite di Nellens alla Dragon House; trasforma un locale – chiamato Penguin, di fronte al Casinò ed un tempo utilizzato come casa da té – nel suo atelier; e scrive in quei giorni con grande senso del dettaglio tutte le sensazioni che prova nella cittadina. Credo che siano giorni in cui si sente parte di una grande famiglia. Le citazioni che seguono documentano anche l’enorme rete di contatti personali che il pittore è riuscito a crearsi in Europa, e che viene a trovarlo a Knokke per festeggiarlo. “È sorprendente quanti uccelli ci siano qua. Sono seduto fuori su un tavolo fatto da Niki de Saint-Phalle che ha anche due enormi sculture di persone sedute. Sto di fronte alla casa del Drago, dove alloggiamo. È davvero surreale. Scrivere con calma, ascoltare gli uccelli e guardare questo drago” [101].

Mi sveglio. La gente sta già arrivando. (…) Per il pranzo sono venuti molti amici conosciuti negli ultimi due mesi in Europa (…)  Era come un matrimonio (…) quando è arrivato il momento di andare al Casino ero già esausto. Al Casino siamo dovuti stare in fila davanti al grande murale mentre si facevano discorsi in fiammingo, francese e poi in inglese (il sindaco). Roger ha tenuto un breve discorso in inglese e lo ha concluso dicendo «Che la musica abbia inizio». (…) È stato abbastanza sorprendente: non l’avevo mai fatto prima. Una grande ‘inaugurazione’. La gente si è precipitata all’interno della mostra, ma soprattutto verso di me” [102]. Ritorno a casa e mi imbatto in Niki de Saint-Phalle, che è arrivata per la mostra. Non le piacciono i gala di inaugurazione, ma voleva vedere i lavori e anche la gente che vive nel suo Drago. Non è mai stato veramente abitato da quando esiste: e sono quindici anni. La mostra le è piaciuta ed è interessata a scambiare qualcosa, un giorno o l’altro” [103].  

L’estate del 1987 a Knokke termina con un’ultima opera, un murale sulla spiaggia al Surf Club. A Knokke tornerà, sempre ospite di Roger Nellens alla Dragon House, nell’ottobre del 1987 [104], nel settembre 1988 [105] e ancora nel giugno 1989 [106]. L’ultima estate prima di morire.


In Francia

La presenza di Keith in Francia è continua. A Parigi espone alla mostra per i dieci anni del Centre Georges Pompidou al Beaubourg [107]. Si incontra con i dirigenti della Fondazione Cartier [108] e discute con loro questioni estetiche. Molte pagine sono poi dedicate a giornate spese nel lusso, in Costa Azzurra, fra Nizza e Montecarlo, in compagnia dell’amico gallerista Yves Arman, di Claude Picasso (1947-), figlio di Pablo, e del pittore americano e grande amico George Condo (1957-). La realizzazione parigina più importante è un murale all’Hôpital Necker. Il Necker è un istituto ospedaliero per l’infanzia; i responsabili amministrativi dell’ente, quando lo incontrano per la prima volta, si raccomandano di non dipingere soggetti sconvenienti: “Poi l’Hôpital Necker voleva fare una riunione, così ci siamo affrettati per arrivarci e abbiamo trovato lì gli altri. C’erano parecchi esperti di pittura (?) e abbiamo incontrato i direttori dell’ospedale. L’Hôpital sembrava un po’ansioso per quello che avrei dipinto. (…) Disegnai uno schizzo veloce e spiegai perché non lavoravo seguendo ‘esatti’ piani o schizzi. Sembrarono un po’ più ‘rassicurati’ ” [109]. Per molti versi quella del murale parigino è una vera e propria impresa, specie da un punto di vista logistico. Il lavoro procede (ovviamente all’aperto) anche con la pioggia battente e richiede l’impiego di una gru. Il caso vuole che il giorno previsto per l’inaugurazione coincida con uno sciopero generale del personale medico. Keith si rende conto che la ‘sua’ politica è ben diversa da quella ‘della gente comune’. Gli capita addirittura l’incredibile: qualcuno disegna scritte sul suo murale, prima ancora che sia inaugurato (un vero e proprio paradosso per chi, come lui, ha realizzato migliaia di graffiti non autorizzati a New York):La politica è ‘fuori’ dalla mia politica riguardo al dipinto. L’ho disegnato per il piacere dei piccoli pazienti di questo ospedale, di oggi e di domani. È inevitabile che il murale sopravviva alle complicazioni del momento. Non penso che l’arte sia estranea alla politica, ma in questo caso il mio murale certamente non vuole sostenere la posizione politica di una parte o dell’altra. Il suo unico intento è dare un input creativo al processo di guarigione cercando di cambiare quello che prima era un edificio uggioso e noioso dandogli vita [110].


Germania e Svizzera

In Germania il punto di riferimento principale è il gallerista Hans Mayer (1940-), proprietario dell’omonima galleria a Düsseldorf, uno dei maggiori sostenitori dell’arte pop in Europa. Mayer introduce Haring in ambienti di altissimo livello, presentandogli, ad esempio, i Krupp.  L’artista americano espone le sue sculture a Münster in occasione della mostra decennale Skulptur Projekte [111]. Qualche mese dopo presenta le sculture alla Cologne Art Fair [112]. Scopre a Düsseldorf che la Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen ha una serie di opere di Warhol e degli altri artisti pop americani come non esiste negli Stati Uniti: “Andato con Hans a Kunstsammlung, a Düsseldorf, per vedere un’incredibile collezione. Warhol senza fine! Twombly, Rauschenberg, Beuys… Andy gode di molto maggior rispetto in Europa. Nessuno ha una collezione di Warhol in un museo come questo in America. Piccolo museo, grande luce” [113]. Anche in Germania Keith prende molto a cuore un progetto per bambini (chiamato Luna Luna), dipingendo giostre per parchi giochi (se ne occupa ad Augusta [114] e poi ad Amburgo [115]). È ancora oggi uno dei progetti più conosciuti del pittore.

In Svizzera è spesso a Losanna e Zurigo. A Losanna il suo punto di riferimento è Pierre Keller (1945-), fotografo e artista, evidentemente atipico ed estraneo ad un ambiente cittadino molto conservatore (e Keith ricorda come la sua diffusione di immagini in città, riprodotte su magliette e bottoni, sull’uso dei preservativi, incontri molta ostilità) [116]. Va pur detto che Haring ricambia il perbenismo locale immergendosi nella vita notturna di una discoteca punk, dove finisce per dipingere i corpi nudi di uomini e donne e farsi ritrarre da fotografi con immagini che scateneranno scalpore [117]. A Zurigo espone alla galleria di Bruno Bischofberger (1940-) [118] e realizza cartoni animati per bambini [119].


Pisa

L’ultima opera pubblicata eseguita da Haring prima della morte, tuttavia, è italiana e si trova a Pisa. Qui – stando ai Diari – Haring si reca per la prima volta per un sopralluogo il 12 giugno 1989; il 19 inizia a realizzare Tuttomondo, sulla parte esterna della canonica della chiesa di Sant’Antonio Abate: “Pisa è incredibile. Non so da dove cominciare. Mi rendo conto ora che si tratta di uno dei progetti più importanti che io abbia mai fatto. Il muro fa veramente parte della chiesa. È attaccato all’edificio in cui vivono i frati. L’altra sera ho cenato con i frati e ho visitato la cappella. Tutte le esperienze riguardanti questo dipinto (gli assistenti, i frati, i giornalisti e i fotografi, il gruppo di ragazzini di Pisa) sono state davvero positive. (…) Ho impiegato quattro giorni per dipingere. In certi momenti c’era un’enorme folla. Sto in albergo direttamente di fronte al muro, così lo vedo prima di addormentarmi e quando mi sveglio. C’è sempre qualcuno che lo guarda (l’altra notte anche alle 4 del mattino). È davvero interessante vedere la reazione della gente. (…) È davvero una realizzazione. Sarà qui per molto, molto tempo e la città sembra amarlo. Sto seduto sul balcone a guardare la cima della Torre Pendente. È davvero molto bello qui. Se c’è un paradiso, spero che assomigli a questo” [120]. Approfitta del murale a Pisa per recarsi a Roma (dove ammira la Cappella Sistina), Napoli,  Amalfi e (di nuovo) Milano: “Oddio, amo l’Italia. È davvero uno dei miei posti favoriti al mondo. ‘Sembra’ giusto qui” [121]. L’ultima pagina dei Diari è dedicata alla Torre Pendente: “La torre è notevole. L’abbiamo vista alla luce del giorno e poi alla luce della luna. È veramente grandiosa e al tempo stesso esilarante. Ogni volta che la guardi, ti fa sorridere [122].

Fig. 14) Keith Haring, Tuttomondo (1989), Convento di Sant'Antonio, Pisa.
Fonte: Sailko tramite Wikimedia Commons

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NOTE

[62] Haring, Keith, Diari, Traduzione di Giovanni Amadasi e Giuliana Picco, Premessa di David Hockney, Introduzione di Robert Farris Thompson, Milano, Mondadori, 2001, p.345. Citazione a pagina 95 .

[63] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 95.

[64] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 95.

[65] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 96.

[66] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 96.

[67] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 107.

[68] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 106.

[69] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 107.

[70] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 108.

[71] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 108.

[72] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 117.

[73] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 117.

[74] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 117.

[75] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 117.

[76] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 119.

[77] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 139.

[78] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 119.

[79] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 119.

[80] Haring, Keith, Diari, (citato), pp. 109-110.

[81] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 119.

[82] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 128.

[83] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 135.

[84] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 136.

[85] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 293.

[86] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 292.

[87] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 146.

[88] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 146.

[89] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 156.

[90] Si veda Hoban, Phoebe – Basquiat. A Quick Killing in Art all’indirizzo
https://archive.nytimes.com/www.nytimes.com/books/first/h/hoban-basquiat.html .

[91] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 146.

[92] Haring, Keith, Diari, (citato), pp. 128-129.

[93] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 173.

[94] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 124.

[95] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 125.

[96] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 128.

[97] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 125.

[98] Haring, Keith, Diari, (citato), pp. 126-128.

[99] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 127.

[100] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 203.

[101] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 186.

[102] Haring, Keith, Diari, (citato), pp. 196-197.

[103] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 198.

[104] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 220.

[105] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 280.

[106] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 324.

[107] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 169.

[108] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 170.

[109] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 150.

[110] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 162.

[111] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 178.

[112] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 244.

[113] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 153.

[114] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 157.

[115] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 178.

[116] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 212.

[117] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 215.

[118] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 217.

[119] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 217.

[120] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 325.

[121] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 335.

[122] Haring, Keith, Diari, (citato), p. 339.





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