Pagine

lunedì 4 giugno 2018

Arno Breker. Paris, Hitler et moi. Parte Seconda


English Version

Scritti di artisti tedeschi del XX secolo - 17

Arno Breker
Paris, Hitler et moi
Traduzione dal tedesco in francese di Jean-Pierre Tafforeau


Parigi, Presses de la cité, 1970, 300 pagine

Recensione di Francesco Mazzaferro. Parte Seconda

[Versione originale: maggio-giugno 2018 - Nuova versione: Aprile 2019]


Fig. 2 La copertina dell’edizione tedesca del 1972 delle memorie di Arno Breker. Il pittore è ritratto nel suo studio di Düsseldorf dal fotografo francese Ronald Hirlé con il busto di Jean Cocteau a sinistra. Il busto sulla destra non è riconoscibile.


Lo scoppio della Seconda guerra mondiale

Nel settembre 1939 scoppia la guerra e – stando alle memorie – lo scultore è vinto da un sentimento d’oppressione che lo porta a ritirarsi in una casa di campagna, poco fuori Berlino: teme di essere richiamato alle armi, si ricorda delle illusioni e delle tragedie recenti del 1914-1918 [61]. È Speer a convocarlo d’urgenza con una telefonata con cui gli intima di presentarsi la sera stessa a cena: Hitler vuole che il lavoro degli artisti sia intensificato, e considera la cosa come un accompagnamento necessario alle operazioni militari e come segno della fiducia totale nella vittoria: “Le attività artistiche non dovranno essere interrotte per qualsiasi motivo” [62]. Dopo la conclusione del patto tra Molotov e Ribbentrop, a sorpresa il ministro degli esteri russo – in visita a Berlino  – chiede di incontrare l’artista e gli propone, a nome di Stalin, di andare a Mosca per eseguire alcuni lavori monumentali [63]. Breker non manca di ricordare che il dittatore sovietico rinnovò la sua offerta qualche anno dopo, nel 1946, questa volta attraverso l’amministrazione militare americana.


La visita di Hitler a Parigi il 23 giugno 1943

Il 14 giugno 1940 la Wehrmacht entra a Parigi. Per la famiglia Breker – che abita a Berlino – si tratta di un evento traumatico, perché i coniugi hanno vissuto a lungo nella città francese e si sentono parigini. Con la moglie Demetra Messala (Δήμητρα Μεσσάλα - 1902-1956), ex-modella greca che ha posato per Picasso, Rodin e altri artisti attivi a Parigi, Breker parla a casa in francese e non in tedesco [64]. Alla notizia, la moglie è traumatizzata e dice al marito di non sapere più se considerare l’esercito tedesco come amico o nemico [65]. “Naturalmente, anch’io sentivo quanto questa città ci fosse sempre stata così vicina. Il successo militare non aveva potuto suscitare in noi la minima gioia. In fin dei conti, questa città era per me e per mia moglie la nostra seconda patria ed era ovvio che noi fossimo inquieti sul suo destino” [66]. Le memorie rivelano dunque due dimensioni parallele. Da un lato vi è quella personale ed emotiva dello scultore che ha studiato a Parigi nel 1925, ha vissuto nella capitale francese dal 1927 al 1932 e si è recato da ultimo a Parigi come membro della giuria internazionale per l’Esibizione universale del 1937.  Dall’altro vi è la testimonianza sulle tre ore che Hitler passa con lui a Parigi, che saranno peraltro – per un artista fallito come il dittatore nazista, ma pur sempre per un pittore che appartiene a una generazione in cui un passaggio a Parigi era considerato obbligatorio – le uniche della sua vita nella capitale francese.

A Parigi Hitler si pone due obiettivi: visitare i monumenti che ha sempre sperato di vedere e riflettere su come l’esperienza urbanistica della capitale francese si possa riflettere in modifiche ai suoi piani di ristrutturazione urbana delle maggiori città tedesche: non solamente Berlino, ma anche Monaco e la sua città natale in Austria, Linz.  È per questo motivo che Hitler si fa accompagnare da due architetti impegnati in quei progetti, ovvero Albert Speer (1905-1981) e Hermann Giesler (1898–1987), e, appunto da Breker, che è al tempo stesso conoscitore di Parigi e scultore impegnato nella ristrutturazione urbana pianificata per Berlino. Bisogna notare che, nelle speranze di Hitler, la guerra contro Francia e Inghilterra sarebbe stata presto vinta, permettendogli di tornare da dominatore agli obiettivi di trasformare la Germania nel più potente paese della terra, anche grazie a piani monumentali di rinnovamento delle città tedesche (con il suo nuovo nome di “Germania”, Berlino sarebbe dovuta divenire “la capitale del mondo” e dunque detronizzare simbolicamente proprio Parigi).

La cronaca della visita di Hitler a Parigi ha ovviamente un ruolo centrale nelle memorie, se si pensa che il titolo francese dell’opera è appunto Paris, Hitler et moi e che la copertina riproduce una foto di quell’avvenimento. È interessante notare che, un anno prima di Paris, Hitler et moi, escono in tedesco anche le memorie di Albert Speer [67], che presentano un resoconto molto simile di quelle tre ore del primissimo mattino del 23 giugno 1940 (dalle 5 alle 8). La corrispondenza è talmente evidente che ci si può forse interrogare se i due autori non si siano scambiati appunti e opinioni in sede di redazione. Ad esempio, sia Breker sia Speer scrivono del tentativo di Hitler di dare una lauta mancia a un custode che ha aperto l’Opera nelle primissime ore della giornata (probabilmente non sono ancora le sei) e del rifiuto sdegnoso di quest’ultimo: il custode non vuole essere pagato dal nemico. Nel 1977 vengono poi pubblicate anche le memorie di Hermann Giesler, dal titolo Un altro Hitler, che confermano anch’esse il racconto di Breker su Hitler durante le tre ore a Parigi [68].

La scelta degli edifici visitati da Hitler insieme a Breker e agli altri accompagnatori è certamente determinata dalla mancanza di tempo e legata senz'altro a ragioni di sicurezza, ma rivela molto probabilmente anche i suoi gusti estetici. Come pittore, Hitler produce una serie di acquarelli che svelano il suo interesse verso l’architettura; tutte e tre le memorie di Breker, Speer e Giesler sottolineano l’enorme interesse e la preparazione di Hitler in tema d’architettura. I suoi gusti – sia in pittura sia in architettura - sono di natura prettamente accademica. A Parigi si appassiona in particolare per edifici di architettura storicista (molto per il neobarocco dell’Opera Garnier, assai meno per il neoclassico dell’Eglise de la Madeleine, per nulla per il Panthéon, anch’esso neoclassico) progettati e completati nel corso dell’Ottocento. Oggi la passione per le diverse realizzazioni storiciste dell’architettura ottocentesca non viene più avvertita, ma per un austriaco come Hitler doveva essere ancora ben presente (vorrei ricordare in proposito le polemiche sulla scelta dei diversi stili storicisti del Ring di Vienna, alimentate da Albert Ilg (1847-1896)).

L’altro elemento che sembra interessare Hitler è la monumentalità della città con i suoi edifici e le sue piazze e viali di riferimento: l’Avenue des Champs-Élysées, l’Arc de Triomphe, la Tour Eiffel, il Louvre, la Place de la Concorde, la Place Vendôme, e la tomba di Napoleone alla Basilique des Invalides. Difficile dire, invece, se l’ammirazione di Hitler per una serie di opere ‘eroiche’ di scultori accademici (Guillaume Coustou, Jean-Baptiste Carpeaux, François Rude), artisti tutto sommato oggi  dimenticati, rifletta i suoi gusti o sia piuttosto frutto del fatto che Breker, anch’egli scultore, le evidenzia durante il veloce passaggio in macchina.

A ogni modo, il racconto di Breker inizia il 22 giugno, quanto la Gestapo lo visita a sorpresa nella sua casa berlinese e gli ingiunge di prepararsi a partire entro un’ora, senza specificarne le ragioni. Il racconto non nasconde l’inquietudine dei coniugi. Lo scultore viene accompagnato all’aeroporto militare di Berlino da ufficiali delle SS che non rispondono a nessuna delle sue domande e imbarcato su un aereo militare per il trasporto delle truppe. Poco dopo si trova al quartier generale di Hitler a Brûly-de-Pesche, in Belgio, dove Hitler passa il periodo tra il 6 ed il 28 giugno 1940 per dirigere la campagna di Francia in un villino-bunker nascosto nella foresta. Lì viene ricevuto amichevolmente da Speer (che evidentemente sa bene come lo scultore si sia spaventato e non esita a prenderlo benevolmente in giro) e si incontra subito dopo con Hitler – apparentemente di ottimo umore – e lo stato maggiore. Gli viene spiegato che il giorno successivo il gruppo si sposterà in aereo a Parigi di primissimo mattino e che a lui competerà di guidare Hitler nella capitale francese. Vi è solo il tempo di ricevere alcune brevi istruzioni da Hitler in persona.

Ecco quel che Hitler gli dice, secondo le memorie: “Ho intenzione di scoprire Parigi con lei, Speer e Giesler. Sapendo che lei è un parigino di lunga data, volevo che lei mi tracciasse sulla carta di Parigi un piano di visita con i luoghi più importanti per quel che riguarda l’architettura e gli aspetti cruciali della città. Come le ho spiegato, ho dovuto agire in questo modo per mancanza di tempo” [69]. Hitler rivela poi i suoi interessi di artista mancato: “Parigi mi ha sempre affascinato. Da anni avevo il desiderio ardente di visitarla. L’era politica in cui sono entrato dopo il 1918 e l’andamento degli avvenimenti hanno reso impossibile questo desiderio… Adesso si sono aperte per me le porte di Parigi! Da allora non ho avuto nessun’altra idea in testa se non visitare questa metropoli dell’arte con i miei artisti” [70].

La conversazione continua con riferimento alle finalità politiche della visita: “Parigi per me è un modello … Sono sicuro che ne trarremo grandi insegnamenti… Noi potremmo confrontare con Parigi i nostri progetti di trasformazione delle nostre città più importanti, progetti che, per la maggior parte, sono già pronti… È per me di grande interesse poter comprendere la struttura della città, che mi è famigliare in teoria, e di sperimentarne direttamente la forza d’attrazione” [71]. Quanto segue non può che piacere a Breker che (come abbiamo già visto nella prima parte di questo post) è convinto che il nazismo possa essere il custode di un’intesa franco-tedesca: “Avrei ben potuto decidere di marciare alla testa delle mie truppe sotto l’Arco di Trionfo… Il colpo classico delle grandi parate… Ma io non voglio – con un qualsiasi pretesto – infliggere questa sofferenza al popolo francese dopo la sconfitta. Intendo evitare qualsiasi ostacolo che possa compromettere l’intesa franco-tedesca che – sono sicuro – sarà possibile” [72]. La parata militare con le truppe sotto l’Arco di Trionfo (spesso riprodotta nei libri di storia) si era già tenuta il giorno 14 – all’ingresso delle truppe nella città ormai demilitarizzata –, ma senza Hitler, e il dittatore non volle quindi ripeterla in sua presenza la settimana successiva.

La visita-lampo coi tre artisti (e una delegazione militare più ampia al seguito, che comprendeva l’inseparabile capo della cancelleria Martin Bormann e i rappresentanti della Wehrmacht, su richiesta del maresciallo Keitel che non vuol certo perdere l’occasione di offrire una vetrina ai suoi alti ufficiali) è anche un evento celebrativo da mostrare ai cinegiornali tedeschi (venne ampiamente documentata da Heinrich Hoffmann (1885–1957) fotografo ufficiale di Hitler) senza per questo umiliare i francesi. Lo storico francese Cédric Gruat ha scritto, nel suo recente saggio “Hitler à Paris – Juin 1940” [73] dedicato a quel giorno, che Hitler intese fornire un’immagine rassicurante al mondo (e in particolare agli Stati Uniti), non distruggendo Parigi, ma facendovi visita per testimoniare la sua ammirazione per i simboli d’arte della capitale  francese. Breker spiega che a lui e a Giesler viene comunque chiesto di indossare un’uniforme militare [74], in modo che le riprese apparissero come il momento di un’azione bellica. E tuttavia le immagini documentano come Hitler, almeno in quelle tre ore, ponga sempre gli ufficiali dell’esercito in seconda fila e si faccia sempre circondare da quelli che sono, a suo parere, gli interpreti di un disegno estetico-ideologico di dominazione del mondo.

La notte del 22 – continua l’artista -  non vi fu modo di prendere sonno. Breker prepara un percorso che confermi l’idea di come “lo spirito del classicismo (…) impregni l’architettura francese in modo dominante” [75] e, al tempo stesso, testimoni come la città sia permeata, grazie a Napoleone, da “un’influenza imperiale che sembrava convenire particolarmente ai piani e alle concezioni di Hitler” [76]. Il giorno dopo, arrivato a Parigi, siede nella prima macchina del corteo insieme a Hitler, Speer e Giesler. La prima tappa è una visita all’Opera, palazzo in stile neo-barocco costruito dall’architetto Charles Garnier tra 1861 e 1875. “Prima di far ingresso all’interno, facemmo il giro dell’edificio a piedi. Hitler sembrava essersi preparato minuziosamente per questa visita. Conosceva perfettamente la planimetria dell’opera, le sue misure esatte e mille altri dettagli. (…) Lo stile Secondo Impero di Garnier gli sembrava familiare. (…) L’uso della pietra in quasi tutte le sue varietà europee, la qualità dell’architettura, la riuscita apparentemente facile dell’aspetto funzionale, la concezione artistica dell’insieme lo affascinavano. Non vi era però nulla che rivelasse l’entusiasmo meravigliato di un profano. Chi parlava era un uomo per il quale tali problemi sembravano famigliari fino al minimo dettaglio” [77]. Anche Speer scrive che l’Opera fu l’edificio preferito di Hitler a Parigi e quello che egli volle esaminare con maggior cura [78].

Il racconto di Breker continua: “Hitler sottolineò in particolare l’equilibrio d’insieme raggiunto grazie all’inserimento delle sculture. Vide in particolare nel «Gruppo della Danza» di Carpeaux un’opera geniale. Le grandi porte furono aperte, entrammo nella hall. Davanti a noi vi era lo scalone maestoso, vero e proprio capolavoro di Garnier. (…) Salimmo le scale lentamente ed entrammo nel foyer. Hitler rimase pietrificato dall’ammirazione. Il più bel teatro del mondo, esclamò in raccoglimento” [79]. Il dittatore nazista chiede poi di visitare il salone per i balletti, il palco presidenziale e altri locali.

La seconda tappa è la Chiesa della Madeleine, costruzione neoclassica inaugurata nel 1842. Breker nota che Hitler conosce la storia complessa dell’edificio: “Hitler ci spiegò che la Madeleine era stata costruita sotto Napoleone I secondo i piani di Pierre Vignon per divenire il Tempio della Gloria. All’interno si mostrò più freddo. Forse non gli piaceva questo genere di costruzioni monumentali? Il parallelo troppo evidente con i templi antichi ne riduceva l’originalità e il significato storico?” [80]. Sembra strano che ad Hitler il neoclassicismo non piacesse, se si pensa allo stile di molte opere architettoniche naziste e alla passione del Führer per i progetti di Paul Ludwig Troost (1878–1934) e di Speer stesso. Ad ogni modo, l’interno della Madeleine proprio non lo attrae. Piace invece lo scalone esterno dove vengono scattate molte foto.

Poco lontano dalla Madeleine, giunto a Place de la Concorde, Hitler osserva dalla macchina i due edifici neoclassici che Ange-Jacques Gabriel ha disegnato, identici e simmetrici, per formare un lato della piazza (sono l’Hôtel de la Marine e l’ Hôtel de Crillon): “L’idea di chiudere una piazza con due facciate identiche gli sembra audace e degna di essere ripresa. Le proporzioni dei due edifici, le doppie colonne, l’armonia potente, la grazia degli edifici trasformano l’architettura in una struttura quasi aerea d’elevata musicalità. In questo concerto inebriante di ombre e luci egli vedeva un’atmosfera unica che riservava a Parigi un posto superiore a tutte le grandi città del mondo” [81].  Breker aggiunge che Hitler nota e ammira in particolare i due cavalli di Guillaume Coustou che dividono Place de la Concorde dai Campi Elisi.

Mentre il corteo percorre lentamente (su richiesta di Hitler) i Campi Elisi, Hitler riflette sul progetto del nuovo asse nord-sud di Berlino, in via di avanzata progettazione, che “per le sue dimensioni e la sua importanza nella configurazione di Berlino avrebbe meritato un paragone con gli  Champs-Élysées. Anche a Berlino un viale di prestigio era destinato a culminare là dove doveva essere eretto un arco di trionfo le cui dimensioni sarebbero state doppie di quello dell’Arc de Triomphe. (…) L’arco di trionfo di Berlino doveva essere il monumento commemorativo di tutti i momenti storici della nazione tedesca. Il progetto era stato disegnato da Hitler stesso durante la Prima Guerra Mondiale, nei giorni in cui era in ospedale per le sue ferite” [82].

“Per farsi un’idea delle sue dimensioni, si immagini che l’Arc de Triomphe poteva essere interamente collocato sotto la volta dell’arco di Berlino. La sua realizzazione era stata aggiudicata ad Albert Speer e seguiva scrupolosamente il disegno di Hitler. Come unici ornamenti scultorei, i bassorilievi che avrebbero dovuto decorare il fregio – di qualche decina di metri d’altezza – erano stati assegnati a me. Avevo già terminato un terzo del modellino in gesso, di altezza e lunghezza due volte inferiore. Non se n’è fatto nulla e l’Arc de Triomphe è rimasto il più grande. L’elemento eroico non ha più una funzione nella storia contemporanea dell’Europa. Qualunque cosa sia, nessun arco antico ha mai avuto proporzioni che lo rendessero così affascinante. E se si pensa alla decorazione, pochi bassorilievi hanno la perfezione della «Marsellaise» di François Rude. Sta di fatto che l’entusiasmo di Hitler non conosceva limiti quando ricordava il ritmo e le proporzioni che conferivano all’Arc de Triomphe la sua maestosità” [83]. 

Giunto al Trocadéro per ammirare sia la Tour Eiffel sia la città, Hitler “rese omaggio agli architetti parigini che – dotati di un senso della misura infallibile e sfolgorante – avevano saputo armonizzare in modo impressionante i differenti nuclei della struttura architettonica della capitale. Quanto alla Tour Eiffel, la considerava uno degli esempi più felici della sublimazione della tecnica e dell’elemento funzionale a partire dalla manifestazione di un’idea artistica di base” [84].

La tappa successiva è al Dôme des Invalides, capolavoro barocco di Jules Hardouin-Mansart, e in particolare alla tomba di Napoleone al suo interno. “Nessuno poté sottrarsi alla solennità dell'atmosfera che vi regnava. Veniva dalla potenza del suo volume? Dall’illuminazione non abituale e unica che ne allarga lo spazio in modo sorprendente? Da questa luce bluastra che si diffonde dall’alto in basso? Nessuno avrebbe saputo dircelo. Ci avvicinammo alla rampa di marmo bianco che circonda la tomba di Napoleone. Hitler teneva il suo berretto con la mano sul petto. Si inchinò. Un silenzio solenne e maestoso ci attorniava. «Io desidero che le mie ceneri riposino sui bordi della Senna, nel cuore del popolo francese che ho tanto amato».  Semplice e commovente, il testamento di Napoleone è scritto sul marmo. Sempre muti, volgemmo lo sguardo al fondo circolare della cripta. Fissati ai piloni, fasci di bandiere gloriose e scolorite evocavano le vittorie e s’inclinavano davanti al sarcofago di porfido che conserva per l’eternità i resti di Napoleone. Sul suolo di mosaico di marmo leggemmo i nomi delle battaglie famose: Rivoli, le Piramidi, Marengo, Austerlitz, Jena, Friedland, Wagram, Moscova. Testimoni di questo istante storico, speravamo in segreto e attendevamo che Hitler stesso trovasse le parole a misura del luogo e del momento. Si verificò allora qualcosa di assolutamente inaspettato. Hitler si mise a parlare del Duca di Reichstadt, il figlio di Napoleone, i cui resti riposavano a Vienna. Gli sembrò che l’imperativo del momento fosse un gesto magnifico di riconciliazione con il popolo francese. Dette l’ordine di far trasferire le ceneri del Duca di Reichstadt a Parigi perché fossero poste a lato di quelle del padre. Arrivarono a Parigi in un’ora serale il 15 dicembre 1940, e furono portate fino alla cappella, scortate dalle fiaccole. Mancava l’ultimo segno di riconciliazione: il tricolore. Ma non era ancora tollerato nella capitale occupata. L’ordine di Hitler fu un gesto di riconciliazione, ma gli avvenimenti non permisero che trovasse un’eco positiva nel popolo francese” [85]. Il tema della sperata riconciliazione franco-tedesca sotto l’ombrello nazista si ripropone.

La visita continua con una sosta al Panthéon, edificio neoclassico di Jacques-Germain Soufflot. Breker spera che l’edificio piaccia a Hitler. Le memorie di Speer indicano che Hitler è favorevolmente colpito dalle sue proporzioni, ma le pagine di Breker sono molto diverse: “In modo sorprendente, l’edificio non risvegliò in Hitler la reazione che noi attendevamo. Anche gli interni, malgrado le loro proporzioni notevoli ed enormi, non sembrarono risvegliare il suo interesse. Non mi sembrò opportuno sollevare una discussione, anche perché avevamo appena completato una metà della visita” [86]. Breker aggiunge che – dal punto di vista monumentale – a Hitler non piacquero neppure le tombe dei grandi francesi (da Voltaire a Victor Hugo) verso i quali tuttavia mostrò ammirazione personale. Nelle sue memorie Giesler conferma le notizie riportate da Breker. Hitler esclama: “Mio Dio, non merita il suo nome, se si pensa al Pantheon di Roma con il suo interno classico, l’illuminazione originale che proviene dall’ampia apertura sul soffitto, combinando gravità con dignità. E poi vedi qualcosa del genere che sembra così triste anche in un giorno d’estate così luminoso come oggi” [87].

La fase successiva riporta il corteo sulla riva destra della Senna, lungo le piazze, le strade e gli edifici attorno al Louvre, in particolare rue de Rivoli e place Vendôme. Quanto al Louvre (che il corteo comunque non visita, perché la collezione d’arte è stata portata fuori Parigi per sicurezza già all’inizio della guerra, nel settembre 1939), le fonti sono discordanti: secondo Speer, non attira molto interesse. Breker invece scrive che la facciata classica di Claude Perrault – che egli stesso considera “una meraviglia del classicismo francese” [88] – suscita l’apprezzamento spontaneo del Führer: “Non esito a considerare questa grandiosa costruzione come una delle idee più geniali dell’architettura” [89]. Ma è Rue de Rivoli a suscitare – secondo tutte le fonti – l’entusiasmo di Hitler. Speer scrive: “Hitler non mostrò alcun interesse speciale per alcune delle opere architettoniche piú belle di Parigi: Place des Vosges, il Louvre, le Palais de Justice, e la Sainte Chapelle. Si risvegliò solamente quando vide la sequenza unitaria di case su Rue de Rivoli” [90]. Breker parla di “nobile rigore architettonico” [91] e ribadisce con più precisione: “La ripetizione infinita del medesimo motivo per quasi un chilometro non produce alcun senso di monotonia. Grazie all’austerità del prospetto, la suprema eleganza delle proporzioni e la sicurezza del dettaglio, rue de Rivoli suscita una sorta di quiete meravigliosa, riposante e così diversa dall’immagine della città cosmopolita. Il contrasto armonico dei suoi portici con il Louvre, edificio imponente e monumentale che ad essi si contrappone, dà alla via un accento estetico-urbanistico unico. Questa configurazione originalissima della strada come lunga fila di costruzioni uguali colpì moltissimo Hitler. Egli annunciò che, in una discussione imminente sulla trasformazione delle grandi città tedesche, il problema del tracciato delle strade sarebbe stato oggetto di un esame particolare” [92].  Il tema dell’omogeneità dell’architettura come elemento strutturale è confermato dall'interesse per Place Vendôme, tutta opera di Jules Hardouin-Mansart.

Dalla collina di Montmartre, ultima tappa del percorso parigino, Hitler ammira di nuovo la città e ringrazia chi lo ha accompagnato. Breker nota: “Rompendo il silenzio, Hitler dice: «Io ringrazio il destino, che mi ha permesso oggi di vedere questa città grandiosa che mi ha sempre affascinato. All’inizio delle ostilità, ho dato l’ordine alle mie truppe di aggirare la città e di evitare ogni combattimento nella sua periferia. Bisognava assolutamente preservare questa meraviglia della cultura occidentale, sbocciata davanti a noi; bisognava conservarla intatta per la posterità. Noi ci siamo riusciti.»” [93]. Speer, riferendosi al medesimo episodio, nota: “Hitler spiegò: «Avere la possibilità di vedere Parigi è stato il sogno della mia vita. Non posso dirvi quanto io sia stato oggi felice che il mio sogno si sia realizzato.» Per un momento, ho sentito pietà per lui: tre ore a Parigi, l’unica volta che ebbe modo di vedere la città, lo resero felice quando era all’apogeo dei suoi trionfi” [94]. E Breker, infine, usa un concetto simile: “Quell’istante non fu forse l’apogeo d’Hitler? Figura che personificava l’energia anonima di un popolo che un concorso di circostanze, tanto assurde quanto tragiche, aveva portato a scatenarsi” [95]. 

Alle 8 e 15 del mattino l’aereo decolla dall’aeroporto francese di Bourget per tornare al bunker di  Brûly-de-Pesche alle 10. La sera Hitler riceve tutti i partecipanti per la cena e traccia le conclusioni estetiche del suo viaggio: “Oggi vi dichiaro semplicemente che, come voi, anche io avrei fatto i miei studi a Parigi, se il destino non mi avesse spinto alla politica. Le mie sole ambizioni, prima della Prima guerra mondiale, erano d’ordine artistico. E Parigi, a partire dal XIX secolo, è il luogo dei destini artistici … Oggi ho anche dato ordine di riesaminare la maggior parte dei nostri progetti sul rinnovamento delle nostre città… La nostra architettura è troppo pesante, troppo grossolana… essa non conosce il gioco delle variazioni, anche nei dettagli, che rende possibile un arricchimento del tema” [96].


Al centro della nomenclatura nazista

La visita-lampo a Parigi a fianco di Hitler spinge Breker sempre più vicino al sistema di potere nazista. Si è già detto nella prima parte che la recente biografia di Jürgen Trimborn ha rivelato come questo avvicinamento sia caratterizzato dall’acquisizione di una serie di privilegi: il titolo di Professore nel 1937 e, nel 1940, l’acquisizione di un castello a Jäckelsbruch, nei pressi di Berlino, come pure la disponibilità di due ateliers: uno più piccolo nel giardino del castello e uno a qualche chilometro, a Käuzchensteig, che produce statue di grandi dimensioni e a ritmo industriale con il supporto di numerosa manodopera costituita da prigionieri francesi. Quello di Käuzchensteig, progettato da Hans Freese (1889-1953) doveva essere uno di una serie di venti ‘ateliers di stato’ creati in quegli anni in varie regioni della Germania (ad esempio Speer ne disegna un altro nei pressi di Monaco, che sarà poi assegnato ad un altro scultore di regime, Josef Thorak). Le memorie, in realtà, propongono una ricostruzione storica che non corrisponde a quella di Trimborn. L’acquisto-ristrutturazione del castello a Jäckelsbruch, ad esempio, è descritto come una decisione autonoma che comporta l’acquisto privato di un vecchio edificio del 1725 da due anziane signore che vogliono trasferirsi in un pensionato [97].

Per Trimborn è invece un’iniziativa di Stato (il capitolo della biografia che si occupa della vicenda s’intitola ‘Un castello per Breker’ [98]) sotto la supervisione di Speer, che affida la ristrutturazione dell’edificio a Friedrich Tamms (1904-1980), uno dei suoi più stretti collaboratori.  Nelle memorie Breker dice di aver speso 33mila marchi, ma in realtà fra acquisto, ristrutturazione, arredamento del castello, i documenti parlano di 225mila marchi complessivi pagati dal governo. Il castello viene consegnato a Breker nel luglio 1940, come regalo per i suoi quarant’anni. 

Hitler invita Breker – insieme alla moglie – alla sua residenza alpina di Berchetsgaden nel 1941 per chiedergli un parere sulle sorti del “Monumento nazionale a Richard Wagner”. L’opera era stata affidata nel 1933 a un altro scultore di regime (Emil Hipp 1893-1965), ma l’artista era in grave ritardo (e il monumento non fu infatti mai concluso). Martin Bormann vorrebbe interrompere il progetto di Hipp, assegnando il compito a un altro artista, ma Breker convince Hitler ad approvarne la continuazione [99]. Sulle alpi bavaresi, peraltro, trascorrono i mesi estivi tutti i gerarchi del regime: a pochi chilometri da Berchetsgaden, Hitler si è fatto costruire da Roderich Fick (1886–1955) un complesso residenziale dove gli ospiti del Führer possono alloggiare.  Lo scultore incontra nella residenza alpina anche Speer, che si è fatto costruire uno studio d’architettura, e ha modo di fare il punto su tutti i progetti in corso. Poche settimane dopo Bormann visita a sorpresa la residenza di Breker a Jäckelsbruch, per informarlo dell’attacco imminente all’Unione Sovietica [100].

La retrospettiva del 1942 a Parigi

Nel 1941 Breker viene visitato da Jacques Benoist-Méchin (1901-1983), suo amico dal 1925, intellettuale di estrema destra, critico della democrazia, sostenitore di Hitler in seno al Comitato Francia-Germania creato a Parigi nel 1935 e teorico dell’idea di una “Nuova Europa” sotto il segno del nazismo. Breker lo descrive come vero patriota e promotore della riconciliazione franco-tedesca. In questa prospettiva, riceve dall’amico l’invito ufficiale del governo francese a esporre le proprie opere a Parigi. La sede è prestigiosa: l’Orangerie. Per l’artista è l’occasione della vita. Breker accetta a condizione che il suo fonditore di fiducia, Eugène Rudier (1875-1952), sia liberato dalla prigione (si era rifiutato di convertire a fini militari le officine di famiglia, utilizzate in passato da Rodin, Maillol e molti altri scultori) in modo da poter produrre a Parigi ventotto opere in bronzo [101]. Lo scultore ottiene da Speer l’autorizzazione di utilizzare fino a 80 tonnellate di bronzo, sottraendole a fini militari; sempre secondo le memorie, impedisce che il bronzo sia invece ottenuto fondendo statue già presenti nelle strade di Parigi [102].

Breker si reca più volte a Parigi, dove ha modo di ritrovare molti amici francesi di un tempo in posizioni importanti nel governo e nell’amministrazione collaborazionista, primo fra tutti il ministro dell’educazione nazionale Abel Bonnard  (1883–1968). Per preparare la mostra, ha ovviamente anche tutto il supporto dell’amministrazione tedesca a Parigi, e in particolare dell’ambasciatore Otto Abetz (1903–1958). In quell’occasione interviene a sostenere amici e a presentare suppliche riuscendo, a suo dire,  di far liberare lo scultore Louis Leygue (1905-1992), arrestato perché sospetto di appartenere alla resistenza, di impedire che le mogli dell’editore Charles Flammarion e del pittore André Derain (1880-1954) siano perseguitate come ebree e di evitare l’arresto di Picasso, che è rimasto a Parigi (se ne è già parlato nella prima parte). Nel 1943 è addirittura Hitler a intervenire intimandogli di smettere di occuparsi di politica e di prodigarsi per i francesi, minacciandolo di  impedirgli di tornare in Francia [103].

Alla conferenza stampa di presentazione della mostra all’Orangerie, nel maggio 1942, sono presenti i corrispondenti di 24 giornali. Breker spiega di essere stato invitato dal governo francese e prega i giornalisti di esercitare il diritto di critica in modo libero da condizionamenti politici. Afferma di conoscere bene la violenza delle controversie sulla stampa parigina in tempo di pace e spera che lo stesso si verifichi per lui. Alla domanda di un giornalista americano se esista un’arte nazionalsocialista, risponde: “Si può operare un’appendicite in modo cattolico o luterano?” [104] Di proposito, l’inaugurazione avviene senza la presenza di gerarchi di primo piano (Speer e Göring visitano privatamente la mostra nei giorni seguenti; Breker dedica alle due visite qualche pagina [105]). Bonnard, Benoist-Méchin e lo scultore Aristide Maillol – di cui Breker è grande ammiratore – tengono brevi discorsi d’apertura (quello di Bonnard è stato già recensito in questo blog come esempio dell’estetica del regime collaborazionista). L’evento diviene simbolicamente uno degli spartiacque tra gli esponenti della cultura francesi pronti a collaborare e quelli che decideranno invece di opporsi ai nazisti. Il mito vuole tuttavia che Picasso lo visiti giorni dopo, confuso tra il pubblico. 


La disfatta

Per lo scultore la disfatta militare significa innanzi tutto un improvviso trasloco dalla regione di Berlino. All’approssimarsi dei russi, che hanno ormai raggiunto il fiume Oder, Breker viene evacuato dal castello di Jäckelsbruch [106]. Fa parte di una lista di artisti creata nel settembre 1944 (i Gottbegnadeten, ovvero la lista dei benedetti dal Signore) il cui talento è considerato così importante per il destino dell’arte tedesca da essere protetti in una serie di rifugi nelle Alpi (si veda anche il caso di Arthur Kampf). Breker viene dunque trasferito sul lago di Starnberg, uno dei luoghi più belli della Baviera. Finita la guerra, è lì che viene a sapere dalla radio, nell’ottobre del 1945, che il primo ministro Laval (ovvero il capo del governo collaborazionista francese, con cui Breker ha tanto cooperato) è stato fucilato. “Lo choc fu talmente grande che, per molte settimane, non osammo più ascoltare la radio. La natura che ci attorniava ci permetteva di dimenticare gli avvenimenti. Non si potevano ancora prevedere le conseguenze della disfatta. La Germania scivolava nel caos. La calma momentanea che seguiva la tempesta era ingannevole. Ed era ancor più angosciante” [107]. 


Fine della Parte Prima
Vai alla Parte Terza 

NOTE

[61] Breker, Arno - Paris, Hitler et moi, Parigi, Presses de la Cité, 1970, 300 pagine. Citazione a pagina 88.

[62] Breker, Arno - Paris, Hitler et moi, (citato), p. 89.

[63] Breker, Arno - Paris, Hitler et moi, (citato), p. 91.

[64] Breker, Arno - Paris, Hitler et moi, (citato), p. 98.

[65] Breker, Arno - Paris, Hitler et moi, (citato), p. 97.

[66] Breker, Arno - Paris, Hitler et moi, (citato), p. 98.

[67] Speer, Albert - Erinnerungen : mit 78 zum Teil unbekannten Bild- und Textdokumenten auf Tafeln, Berlin, Propyläen-Verlag, 1969, 601 pagine.

[68] Giesler, Hermann - Ein anderer Hitler: Bericht seines Architekten: Erlebnisse, Gespräche, Reflexionen (Un altro Hitler. Un rapporto del suo architetto. Eventi, dialoghi e riflessioni), Leoni am Starnberger See, Druffel, 1977, 527 pagine.

[69] Breker, Arno - Paris, Hitler et moi, (citato), p. 96.

[70] Breker, Arno - Paris, Hitler et moi, (citato), p. 97.

[71] Breker, Arno - Paris, Hitler et moi, (citato), p. 97.

[72] Breker, Arno - Paris, Hitler et moi, (citato), p. 97.

[73] Gruat, Cédric - Hitler à Paris: juin 1940, Paris, Tirésias, 2010, 179 pagine.

[74] Breker, Arno - Paris, Hitler et moi, (citato), p. 98.

[75] Breker, Arno - Paris, Hitler et moi, (citato), p. 107.

[76] Breker, Arno - Paris, Hitler et moi, (citato), p. 109.

[77] Breker, Arno - Paris, Hitler et moi, (citato), p. 100.

[78] Si veda: http://www.eyewitnesstohistory.com/hitlerparis.htm ..

[79] Breker, Arno - Paris, Hitler et moi, (citato), p. 100-101.

[80] Breker, Arno - Paris, Hitler et moi, (citato), p. 102.

[81] Breker, Arno - Paris, Hitler et moi, (citato), p. 102.

[82] Breker, Arno - Paris, Hitler et moi, (citato), p. 103.

[83] Breker, Arno - Paris, Hitler et moi, (citato), pp. 103-104.

[84] Breker, Arno - Paris, Hitler et moi, (citato), p. 104.

[85] Breker, Arno - Paris, Hitler et moi, (citato), pp. 105-106.

[86] Breker, Arno - Paris, Hitler et moi, (citato), p. 106.

[87] Carruthers, Bob - Hitler's Propaganda Pilgrimage (Images of War), Barnsley, Pen and Sword Military, 144 pagine. Citazione a pagina 101.

[88] Breker, Arno - Paris, Hitler et moi, (citato), p. 108.

[89] Breker, Arno - Paris, Hitler et moi, (citato), p. 108.

[90] Si veda: http://www.eyewitnesstohistory.com/hitlerparis.htm .

[91] Breker, Arno - Paris, Hitler et moi, (citato), p. 108.

[92] Breker, Arno - Paris, Hitler et moi, (citato), pp. 108-109.

[93] Breker, Arno - Paris, Hitler et moi, (citato), p. 110.

[94] Si veda: http://www.eyewitnesstohistory.com/hitlerparis.htm .

[95] Breker, Arno - Paris, Hitler et moi, (citato), p. 114.

[96] Breker, Arno - Paris, Hitler et moi, (citato), p. 112.

[97] Breker, Arno - Paris, Hitler et moi, (citato), p. 119.

[98] Breker, Arno - Paris, Hitler et moi, (citato), pp. 255-262.

[99] Breker, Arno - Paris, Hitler et moi, (citato), pp. 121-131.

[100] Breker, Arno - Paris, Hitler et moi, (citato), pp. 131-132.

[101] Breker, Arno - Paris, Hitler et moi, (citato), p. 134.

[102] Breker, Arno - Paris, Hitler et moi, (citato), p. 136.

[103] Breker, Arno - Paris, Hitler et moi, (citato), p. 171.

[104] Breker, Arno - Paris, Hitler et moi, (citato), pp. 145-146.

[105] Breker, Arno - Paris, Hitler et moi, (citato), pp. 147-149.

[106] Breker, Arno - Paris, Hitler et moi, (citato), p. 166.

[107] Breker, Arno - Paris, Hitler et moi, (citato), p. 195.




Nessun commento:

Posta un commento