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Hito Steyerl
[Art Duty Free. L'arte nell'età della guerra civile planetaria]
Duty Free Art. Art in the Age of Planetary Civil War
London, New York, Verso Publishers, 2017, 244 pagine
Recensione di Francesco Mazzaferro
[Versione originale: marzo 2018 - Nuova versione: aprile 2019]
[1] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, Londra, New York, Verso, 2017, 256 pagine. Citazione a pagina 164.
[2] Zaremba, Łukasz - To Work as a Pixel. Interview with Hito Steyerl. In Szum, 20 dicembre 2014. https://magazynszum.pl/to-work-as-a-pixel-interviev-with-hito-steyerl/.
[3] Baudelaire, Charles - L’Art romantique, Paris, Michel Lévy Frères, 1869, 471 pagine.
[4] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 188.
[5] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 188.
[6] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 18.
[7] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 97.
[8] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 150.
[9] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 181.
[10] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), pp. 182-183.
[11] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 189.
[12] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 79.
[13] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 81.
[14] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 41.
[15] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 16.
[16] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 15.
[17] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 3.
[18] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 8.
[19] Osborne, Peter – Anywhere or Not at All: Philosophy of Contemporary Art, London, New York, Verso, 2013, 282 pagine.
[20] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 78.
[21] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 78.
[22] Anderson, Benedict - Imagined Communities: Reflections on the Origin and Spread of Nationalism. New York, London, Verso, 2006, 240 pagine. La traduzione italiana è uscita nel 2009: Anderson, Benedict - Comunità immaginate. Origini e fortuna dei nazionalismi, Traduzione di M. Vignale, Milano, 2009, 238 pagine.
[23] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 184-185.
[24] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 2.
[25] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 192.
[26] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 157.
[27] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 169.
[28] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 169.
[29] Si veda: http://www.e-flux.com/journal/60/61045/proxy-politics-signal-and-noise/.
[30] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 31.
[Versione originale: marzo 2018 - Nuova versione: aprile 2019]
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Fig. 1) La copertina del libro |
L’occasione che mi ha spinto a leggere
l’ultimo libro di Hito Steyerl, artista nata nel 1966 a Monaco di Baviera e oggi residente a Berlino (dove insegna arte dei nuovi media all’Università
delle Arti) è stata del tutto fortuita. Avevo già visto la sua
video-installazione Factory of the Sun
al padiglione tedesco della Biennale di Venezia del 2015 (e l’ho rivista una
seconda volta alla mostra Come una falena
alla fiamma alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino); poi ho
trovato in libreria il volume che qui recensisco e il numero di Art Review che l’ha proclamata prima
nella classifica delle cento personalità più influenti e rappresentative
dell’arte contemporanea nel 2017 (per la classifica, si veda https://artreview.com/power_100/),
definendola “artista e teorica, teorica e
artista”. Va subito detto che il libro contiene una valutazione molto dura
proprio in merito a questo genere di classifiche, create in gran parte in modo
meccanico sulla base di algoritmi [1]. Steyerl, insomma è una delle
protagoniste del mondo dell’arte nei nostri giorni, ma anche una delle sue più
radicali contestatrici.
Ero curioso di capire quale ruolo una figura molto conosciuta per l’uso degli strumenti tecnologici
più sofisticati avesse riservato alla tradizionalissima parola scritta. Il libro
raccoglie i suoi contributi più recenti, quelli preparati per convegni e
riviste dal 2011 ad oggi, molto spesso pubblicati su una rivista affermata, ma
molto alternativa, l’e-flux journal (www.e-flux.com), disponibile solamente
sull’internet. L’autrice aveva trattato il tema della scrittura nel 2014, in
un’intervista al giovane critico polacco Łukasz Zaremba: “Io ho sempre scritto. Per molto tempo mi sono mantenuta come
scrittrice, come giornalista. Forse, questa è una delle ragioni per le quali io
cerco di assicurarmi che i miei articoli non siano mai descrizioni dei miei video. Un’altra ragione è la mia educazione come artista visiva.
Mi hanno insegnato che l’immagine non deve mai essere l’illustrazione di un
testo; e io la penso nello stesso modo a proposito dei miei scritti: anch’essi
non dovranno mai essere un’illustrazione delle mie immagini. Bisogna che tra
testi e immagini vi sia una tensione. Si tratta insomma di mantenere la
tensione e rispettare l’autonomia di ogni linguaggio” [2]. È la stessa tesi (contro l’ut pictura poiesis) teorizzata da Lessing nel suo Laocoonte ovvero sui confini tra poesia e pittura del 1766.
Mi si consenta dunque – in risposta al mio
interrogativo di partenza – di fare alcune considerazioni preliminari che
potranno forse sembrare sorprendenti rispetto alle intenzioni della Steyerl.
Vorrei infatti osservare che, in molte occasioni, la storia dell’arte ci ha
fatto conoscere artisti che si sono posti (almeno nella percezione della loro epoca
e di quelle successive) il problema di abbinare creazione delle immagini e
diffusione delle rispettive idee. Il loro obiettivo è stato quello di infrangere (con la forza di
nuove concezioni intellettuali che sovente vanno al di là della semplice
formulazione di preferenze estetiche innovative ed esprimono attraverso le
immagini nuove convinzioni ontologiche) strutture di pensiero storicamente
consolidate. L’espressione ‘pittore-filosofo’ è stata utilizzata per la prima
volta a proposito di Nicolas Poussin (1594-1665) negli Éloges de Nicolas Poussin da Nicolas Guibal (1725-1784) nel 1783.
Sempre nel Settecento è stata estesa ad Anton Raphael Mengs (1728–1779) da
Stefano Ticozzi (1762-1836). Non sorprende che il concetto nasca nell’epoca dei
lumi. Da allora si è parlato di “pittori filosofi” a proposito di un numero
straordinariamente alto di artisti, dell’Otto e del Novecento. Un altro filone
della creazione artistica che mi sembra rilevante è legato all’invenzione di
realtà virtuali: si pensi a Piranesi, ma anche a tutti i pittori metafisici del
Novecento.
Ebbene, per quanto Hito Steyerl si guardi
bene da citare uno qualsiasi di questi artisti (presumo che li considererebbe
probabilmente tutti espressione di un mondo a lei molto lontano) e nonostante
rivendichi l’indipendenza di opere d’arte e scrittura, dopo aver letto il suo
libro mi sono convinto che la sua riflessione si pone lungo la tradizione dei
pittori-filosofi. Si tratta di artisti che, in una negazione della realtà
terrena che punta a una ricostruzione filosofica di un mondo diverso, producono
parvenze di verità parallele. La Steyerl è in questo senso un’erede di Poussin.
Vorrei aggiungere che, quando nel 1869 viene pubblicato – ormai postumo – un
articolo di Charles Baudelaire sull’arte tedesca del secolo precedente (l’arte sorta
dalle concezioni del Winckelmann alla metà del Settecento, che influenza
nazareni e neoclassici), egli la bolla nel suo complesso con l’espressione “arte filosofica”, ovvero un’arte il cui
creatore ambisce a offrire una sintesi tra mondo esteriore e interiore.
Secondo un’espressione famosa, l’arte filosofica è per Baudelaire “un’arte plastica che ha la pretesa di
sostituire i libri, e dunque di competere con l’editoria per insegnare storia,
morale e filosofia” [3]. E dunque mi sembra che la Steyerl non sia
solamente l’espressione di un’arte filosofica e in fondo anti-romantica, ma
anche di una tradizione che è da secoli molto presente nella cultura tedesca.
Con la precisazione che, come spesso avviene, quel che per Baudelaire era un
termine negativo, va letto oggi in senso positivo: l’arte di Hito Steyerl
partecipa, nelle sue ambizioni, sia della filosofia morale come di quella
politica.
Un’ulteriore precisazione è necessaria
prima di analizzare più da vicino la raccolta degli scritti. Spesso si considera
l’arte contemporanea come una massa magmatica, che tuttavia vive di occasioni comuni in momenti espositivi e liturgie estetiche che ne segnano lo sviluppo:
le esposizioni regolari (biennali, triennali) ormai diffuse in tutte il mondo,
le fiere d’arte, le riviste, ecc. Ebbene, quel che può sembrare un universo
enormemente variegato, ma comunque espressione di un’opinione pubblica globale
d’intenditori e amatori del contemporaneo (capaci di dialogare a livello
planetario ed esprimere, sia pur in tutte le sue contraddizioni, l’esistenza di
un mondo transnazionale) è invece, per la Steyerl, terreno di scontro. Per lei
esistono un’arte globalizzata di regime e un’arte che pone invece radicalmente
in dubbio la legittimità e l’esistenza stessa di quel regime. La sua
installazione “Factory of the Sun”
narra in forma di video i medesimi conflitti di cui l’artista scrive in “Duty Free Art”. Un giorno si guarderà
forse alla sua arte con lo stesso distacco con cui prendiamo atto delle
passioni che mossero un Honorè Daumier (1808-1879) o un Gustave Courbet
(1819-1877) contro Luigi Filippo e Napoleone III; in quei giorni, tuttavia, la
loro arte era anche espressione di lotta politica. Nella mia recensione mi sono
permesso di fare citazioni selettive: ho evitato tutte quelle espressioni che
mi sembravano fuori misura e forse offensivi, proprio perché credo che molti
degli argomenti dell’artista vadano letti sine
ira et studio, cogliendo in essi quelle suggestioni che sono valide anche
per chi non ne condivide tutte le motivazioni.
Duty free art
Il titolo del libro si basa su uno dei
concetti chiave del pensiero della Steyerl. A suo parere, l’arte contemporanea
dovrebbe essere libera da ogni dipendenza, inclusa la pretesa di definire
identità politiche e territoriali (e dunque dovrebbe essere sempre free of duty, o per utilizzare
l’espressione più conosciuta, duty free);
dovrebbe insomma rifiutare ogni sponsorizzazione economica [4], basarsi su
piattaforme cooperative [5] ed essere anzi al servizio di un processo di
decrescita costruttiva [6], che segni un cambio di passo nel modello di
sviluppo globale. A suo parere un’arte di tal genere sarebbe qualcosa di più
complesso della semplice proclamazione di un’arte ‘autonoma’, perché l’artista
dovrebbe essere pienamente cosciente della dipendenza dell’arte contemporanea
dai sistemi di potere [7].
L’arte contemporanea è molto lontana da
questo paradigma, secondo la Steyerl. La produzione di opere d’arte, infatti, è
divenuta un elemento di accelerazione del sistema economico (usando un
neologismo, la Steyerl parla di ‘circolazionismo’
[8]). In pratica, l’arte è divenuta bene d’investimento per uno sparuto gruppo
di supermiliardari sparsi per il mondo, che la prendono in considerazione e la
comprano come alternativa alla moneta. Citando il collezionista californiano
Stefan Simchowitz, “l’arte continuerà la
sua funzione strutturale come moneta alternativa che serve a coprire il rischio
contro inflazione e svalutazione della moneta” [9].
“Invece
di essere moneta emessa da una nazione e amministrata da banche centrali –
scrive la Steyerl in un passaggio chiave di un suo saggio scritto apposta per essere inserito nel volume – l’arte è un
sistema di valore che ha la forma di una rete di contatti, è decentralizzato e
ben distribuito. Essa accresce la propria stabilità perché calibra credito e
disgrazia tra istituzioni o cricche in competizione tra loro. Mercati,
collezionisti, musei, pubblicazioni e l’accademia registrano asincronicamente
(o nella maggior parte dei casi, non riescono a farlo) mostre, scandali,
preferenze e prezzi. Come nel caso delle criptovalute, non vi è nessuna
istituzione centralizzata a garantire il valore; al contrario vi è un
guazzabuglio di sponsor, censori, blogger, sviluppatori, produttori, hipster,
commercianti, patrocinatori, corsari, collezionisti e figure molto più confuse.
Il valore dipende da una combinazione di chiacchiere, circolazione di idee e uso
abusivo di informazioni privilegiate. Frodatori e artisti dell’imbroglio si
mischiano in totale confusione con professori pontificanti, galleristi in piena
crisi di nervi e studenti senza un soldo. Quest’ecologia informale può
certamente essere soggetta a condizionamenti esterni, ma dal momento che tutti
lo fanno, a volte l’effetto reciproco si neutralizza (sia pure a livelli
altamente manipolati). L’arte è al tempo stesso molto malleabile e inerte,
sublime, dopata, opaca, bizzarra e sfacciata: un gioco in cui la maggior parte
dei fenomeni trascendentali sono nella lista d’attesa dei collezionisti” [10].
Potrebbe sembrare una condanna senza
attenuanti, ma in realtà non lo è: l’arte è infatti – secondo l’autrice – la
prima forma di un sistema economico anarchico, interamente basato su meccanismi
alternativi, non legati alla produzione di beni, ma alla creazione di contatti:
“Il risultato è un solido groviglio di
lealtà feudali e inimicizie raggianti, amore rigettato e invidia fervente,
energie vitali e brame messe in comune. In breve, il valore non è nel prodotto,
ma nella rete; non nel tentativo di aggirare o predire il mercato, ma nella
creazione di scambio” [11].
Vi è però una seconda ragione per la quale
l’arte è definita come “duty free”.
Per motivi di tassazione gli investitori conservano le opere da loro acquistate
in porti franchi internazionali (il più famoso è Ginevra [12], ma molti altri
sono stati aperti, come ad esempio a Singapore, nel Principato di Monaco e in
Lussemburgo) dove le opere non sono soggette a tasse, ma non possono essere
viste da nessuno. E qui si manifesta una contraddizione: l’arte non è arte se
non può essere vista, ma oggi la sua visibilità è minacciata dal fatto che in
gran parte è conservata in “musei segreti”
[13] dove non la può vedere nessuno, se non quando è spostata provvisoriamente
per eventi espositivi in giro per il mondo.
Se dunque vi è stata una fase durante la
quale l’arte contemporanea era visibile a una parte crescente dell’umanità
grazie alle grandi esposizioni universali (si pensi a Guernica, esposto all’esterno del Padiglione spagnolo a Parigi nel
1937), i nostri anni – scrive la Steyerl – sono contrassegnati dall’emergere di
un’enorme asimmetria tra chi può godere della bellezza (è il famoso 1% della
società che detiene una quota assolutamente sproporzionata di beni) e chi da
essa è invece esclusa. Fino a qualche anno fa (quando si credeva ancora al
valore liberatorio della globalizzazione), si sperava che l’internet potesse
creare una comunità globale di intellettuali per liberare le energie di cui
tutto il mondo è pieno; oggi l’internet è invece vissuto come sovrastruttura
che manipola l’opinione pubblica mondiale, un “tecno-leviatano” [14] che opera attraverso strumenti di “stupidità artificiale decentralizzata”
[15]: sono “tecnologie sociali di
frammentazione (…): robot che azionano account twitter, si comportano come agitatori
informatici, provocano fughe d’informazione e interruzioni dell’internet,
tutti strumenti attivati per accelerare una regola autocratica (…).
L’innovazione distruttrice causa polarizzazione sociale attraverso la
decimazione dei posti di lavoro, la sorveglianza di massa e la confusione
algoritmica” [16]. Alla robotizzazione è dedicata la più recente
installazione di Hito Steyerl, presentata a Münster nel 2017 in occasione di “Skulptur Projekte 2017”, l’esposizione
decennale di scultura.
Duty
free art, a seconda dei casi, può dunque essere
un’arte amica o nemica, ed è anche nel campo della produzione d’arte
contemporanea che si combatte una vera e propria guerra civile planetaria,
definita come il mix di una serie di conflitti regionali tradizionali (ad
esempio in Siria, nelle regioni curde in Turchia), nuove forme di guerra non
convenzionale attraverso gli strumenti della tecnologia (è la storia di Factory of the Sun), un aumento della
diseguaglianza economica e l’impossessamento di proprietà attraverso l’uso dei
diritti d’autore sulle immagini in un mondo governato dall’internet. Steyerl,
citando il filosofo Giorgio Agamben, scrive che questa sorta di guerra civile è
caratterizzata dal termine greco antico στάσις (stasi), che indica al tempo
stesso guerra civile e immutabilità, estremo dinamismo e impossibilità di
cambiare. È un processo in cui “quel che
era privato è privatizzato usando violenza, e quel che prima era un odio
privato diventa il nuovo spirito pubblico” [17]. È una guerra che si svolge
non solamente nei teatri d’odio del mondo, ma anche nelle sale dei musei, e il
cui obiettivo non è preservare il passato, ma impedire il futuro. Ed è una
guerra che l’arte può vincere: la funzione dei musei, dunque, non deve essere
quella di “preservare il passato, ma
piuttosto di creare il futuro degli spazi pubblici, il futuro dell’arte e il
futuro come tale” [18].
Perché i musei non sono spazi neutrali
L’autrice nota che la neutralità dei musei
(e della loro funzione, che è quella di organizzare tempo e spazio della visita)
è sempre e solo apparente. In linea con Peter Osborne [19], considera, in
particolare, pura finzione l’impressione che i musei di arte contemporanea
suscitano, quando ispirano al pubblico l’idea di un’universalità di valori.
Contrariamente a quel che io penso, secondo Hito Steyerl non esiste un’arte
contemporanea globale: “L’arte
contemporanea ci mostra la mancanza di un tempo e uno spazio globali. Inoltre,
proietta un’unità fittizia su una varietà di idee differenti di tempo e spazio,
in tal modo fornendoci una superficie comune là dove non ve n’ è nessuna”
[20]. In queste pagine la Steyerl è severissima con l’arte contemporanea, che “è resa possibile dal capitale neoliberale
più l’internet, le biennali, le fiere dell’arte, commenti paralleli
sull’internet e diseguaglianze economiche crescenti. Si aggiungano guerre
asimmetriche (che causano una vasta redistribuzione di ricchezza), speculazione
sul mercato immobiliare, evasione fiscale, riciclaggio di denaro sporco e
mercati finanziari deregolamentati” [21].
Hito Steyerl cita il saggio Imagined Communities: Reflections on the
Origin and Spread of Nationalism di Benedict Anderson [22], confermando che
per creare una nazione può non essere necessario che quella nazione esista, ma
è invece assolutamente indispensabile definirne la sua identità all’interno di
un museo. L’autrice fa riferimento in particolare al Louvre, che diviene
simbolo di potere dall’epoca rivoluzionaria in poi ed è preso d’assalto ogni
volta che vi è un’insurrezione nella Parigi dell’Ottocento; cita poi il
progetto di Assad di creare un nuovo Museo Nazionale di Siria a Damasco e
l’esistenza di scambi di corripondenza della famiglia Assad con l’architetto Rem
Koolhaas negli archivi di WikiLeaks; menziona infine un caso molto specifico,
quello del museo municipale di Diyarbakir, che nel 2014 viene trasformato in
campo profughi per la minoranza Yazida, perseguitata dall’Isis in Iraq, e
diviene dunque luogo dove l’identità di quel gruppo si cementa (prima che
l’Isis compia un orribile attentato nel museo stesso). L’autrice non dimentica
infine come i totalitarismi del Novecento (nazismo e stalinismo) abbiano prima
svuotato e poi riempito gli spazi museali, utilizzando il concetto di arte
degenerata per eliminare il dissenso e accusando gli artisti di atteggiamenti
elitari ogni volta che non si adeguavano alle direttive di regime [23].
Art in the Age of Planetary Civil War
Il sottotitolo di Duty Free Art è “Art in the
Age of Planetary Civil War”. L’arte partecipa alla guerra civile planetaria
in molti modi. In un caso isolato (ma paradigmatico) le truppe separatiste
pro-russe di Kostantinovka, in Ucraina, liberano dal
piedistallo sopra cui si trovava e rimettono in moto un IS-3 (un vero e proprio
carro armato della Seconda Guerra Mondiale, che era parte integrante di un
monumento per celebrare la liberazione della città nel 1943) e lo portano in
battaglia nel giugno 2014. In questo caso, la storia invade l’arte. “Questa vicenda non è una storia nobile, quanto piuttosto qualcosa da essere studiato in nome dell'umanità per evitare che si ripeta. È una storia parziale,
partigiana e privatizzata, un’impresa dominata dai propri interessi, uno
strumento per sentirsi titolati, un ostacolo oggettivo alla coesistenza e una
nebbia temporanea che cattura le genti, tenendole per il collo prigioniere di
origini immaginarie” [24]. E, in futuro, i luoghi dell’arte potrebbero essere
il centro dello scontro, come raccontano i registi Doug Liman nel film “Senza domani” (in cui il Louvre è il luogo in cui si manifesta l’invasione degli alieni) e Alfonso Cuarón nel film “I figli degli uomini” (dove quel che
rimane dell’arte semi-distrutta dopo una guerra civile globale è conservato nei
locali della Tate Gallery di Londra, trasformata in un imprendibile bunker cui
solo una parte privilegiata dei sopravvissuti ha accesso). Il riferimento ovvio
è quello alla distruzione di Palmira e di molti altri siti archeologici della
Mesopotamia da parte di Daesh.
L’arte
in un mondo di tecnologia
Quale sarà la fisionomia dell’arte nel
mondo che verrà? Le stampanti 3D faciliteranno la creazione di superfici, in
linea con la tradizione figurativa [25]. Ma questa sarà la minore delle
innovazioni. Non si può escludere - scrive la Steyerl - che un giorno l’arte
possa interagire con il pubblico. Grazie al riconoscimento facciale e ai
programmi d’interazione tra i robot e la reazione del volto degli umani,
l’opera robotizzata saprà adattarsi al gusto dell’individuo. Non vi saranno
più, in questo mondo tecnologizzato, opere che non piaceranno. La
robotizzazione dell’arte accrescerà il potere di giudizio del pubblico, oppure
al contrario creerà una maggiore dipendenza dei cittadini da un potere
centralizzato? L’artista teme che si possa verificare il secondo fenomeno,
ponendo la necessità di ridefinire tutta la terminologia e i concetti di
critica d’arte diffusisi nel ventesimo secolo. Insomma, non sarà un riscatto
del pubblico verso un’arte contemporanea sempre più incomprensibile, ma
piuttosto un altro episodio dell’affermazione di un controllo globale sulla
società (l’autrice dedica due articoli ai pericoli di un nuovo fascismo).
In attesa delle nuove tecnologie, Hito
Steyerl non ha comunque paura di far uso di quelle già esistenti che si basano
sulla realtà virtuale. Invece di imitare la natura, l’artista può e anzi deve
cambiarla facendo uso delle tecnologie informatiche (e qui mi sembra che
concettualmente la Steyerl sia in linea con l’ideologia neoclassica, che
sostituisce l’imitazione degli antichi all’imitazione della natura; il gioco
elettronico è una nuova Arcadia). Molti dei suoi video rigettano ogni
riferimento alla natura e somigliano dunque a enormi schermi per giochi
elettronici. “Il punto è che i giochi non
sono una conseguenza del fatto che i computer rendono il mondo più irreale. Al
contrario, i giochi rendono i computer più reali. I giochi sono finzioni con
capacità di generare (generative fictions)” [26]. In altre parola,
l’autrice ritiene che possano generare “alcuni
cambiamenti nelle relazioni reali” [27]. Ed è per questo che si lamenta del
fatto che i suoi colleghi artisti tendano a negare il ruolo fondamentale del gioco
nell’arte, perché “socialmente
irrilevante o non abbastanza reale” [28].
L’immagine
in un mondo interconnesso
Se per secoli i pittori, almeno da Cennino
Cennini in poi, si sono dedicati alla questione della produzione dell’immagine
tramite il controllo della tecnologia dei pigmenti, nell’era dell’immagine
elettronica Hito Steyerl si dedica alle procedure di creazione elettronica. È
il tema dell’installazione How Not to be
Seen: A Fucking Didactic Educational .MOV File, presentata nel 2013 al MoMA
di New York e successivamente in molte altre sedi, come serie di cinque lezioni
su visibilità ed invisibilità.
In Duty
Free Art, la Steyerl si concentra sull’illusione che ogni immagine sia una
creazione personale, quando invece essa è quasi sempre il risultato
dell’interazione con reti informatiche amplissime e onnipresenti. È il tema
dello scritto Proxy Politics: Signal and
Noise del 2014, originariamente pubblicato sulla rivista e-flux [29], e ripubblicato nel volume
del 2017.
“Qualche
tempo fa ho incontrato una persona estremamente interessante: uno sviluppatore
di programmi informatici. Stava lavorando sulla tecnologia della fotocamera per
smartphone. La fotografia è pensata, in termini tradizionali, come la
riproduzione di quel che è esteriore attraverso strumenti tecnologici,
idealmente grazie alla capacità di rappresentarla in un contesto preciso. Ciò è
ancora vero? Lo sviluppatore mi ha spiegato che la tecnologia per le macchine
fotografiche da telefono è molto differente da quella per le macchine
fotografiche originali: le lenti sono minuscole e fanno sostanzialmente schifo.
Di conseguenza, metà dei dati catturati dalla camera sono sostanzialmente ‘rumore’.
Il trucco, allora, è di scrivere l’algoritmo che neutralizzi il rumore, o in
altri termini, consenta di riconoscere le immagini dall’interno del rumore. Ma
come può la camera del telefono farlo? È molto semplice: il telefono scansiona
tutte le altre figure immagazzinate nella camera o sui social media ed esplora
tutti i contatti presenti. Analizza le foto che sono state già prese, o quelle
che sono associate al proprietario, e cerca di combinare facce e forme per
legarle a lui. Combinando quel che proprietario e la sua rete di contatti hanno
già fotografato, l’algoritmo indovina quel che egli potrebbe aver voluto
fotografare ora. Crea la fotografia presente sulla base di foto precedenti,
sulla base della memoria del telefono e della memoria della rete. Questo nuovo
paradigma è chiamato fotografia computazionale. Il risultato potrebbe essere
un’immagine di qualcosa che non è mai esistito, ma che l’algoritmo pensa che
voi vogliate vedere. Questo tipo di fotografia è speculativo e relazionale”
[30]. Insomma, l’accelerazione tecnologica che consente a qualche miliardo di
persone di produrre in un solo giorno molte più immagini nel mondo intero di
quanto non sia stato fatto nel corso di anni è dovuta interamente alla disponibilità
di strumenti fotografici individuali a prezzo relativamente basso e a calcoli
probabilistici basati sulla nuova potenza delle reti informatiche. Sempre più
quella tecnologia (già oggi utilizzata, per esempio, dalle grandi reti
informatiche per setacciare le immagini che il pubblico posta continuamente,
identificando ed escludendo attraverso algoritmi immagini inaccettabili, come
quelle che mostrano un sesso maschile) filtrerà il contributo dell’individuo
con logiche proprietarie definite dai giganti dell’informatica.
Vi sono ovviamente implicazioni importanti
dal punto di vista dell’originalità dell’atto artistico, che diviene sempre più
difficile (l’algoritmo si basa sulla probabilità della ripetizione). Ma vi sono
anche aspetti più generali sul libero accesso alla visibilità informatica:
secondo quali criteri la sostanza dei dati catturati dagli strumenti
informatici viene identificata e separata dal rumore delle informazioni che non
hanno consistenza alcuna? In termini molto pratici, come si è sicuri che –
nell’identificare i materiali come terroristici, pornografici o comunque
inaccettabili – il sistema non marginalizzi volontariamente informazioni che
racchiudono invece un messaggio politico indesiderato? E come evitare che la
discussione collettiva sull’arte non venga distorta intenzionalmente da robot
informatici?
Concludendo
Si è fatto riferimento all’intervista
dell’autrice con Łukasz Zaremba nel 2014, in cui Hito Steyerl propone una
dicotomia tra le sue opere d’arte e i suoi scritti. Mi permetto rispettosamente
di non essere convinto su questo punto. Leggere Duty Free Art accresce, non diminuisce, la capacità di comprendere
la creazione dell’artista tedesca. Mi è senz’altro capitato più volte in questi
anni di leggere scritti e memorie di artisti che erano assolutamente
sorprendenti: dalle pagine traevo impressioni e informazioni che erano a volte
molto divergenti da quelle che la visione delle opere aveva procurato non
solamente a me, ma a gran parte del pubblico e della critica. Qui vi è
un’assoluta coerenza.
Si potrebbe ovviamente commentare gli
orientamenti politici dell’autrice, che chiaramente appartiene al campo degli
avversari più radicali della globalizzazione. E tuttavia mi sembra che in una
democrazia sia normale imbattersi in chi la pensa molto diversamente. Semmai,
un punto di debolezza mi sembra la dipendenza dallo sviluppo delle tecnologie:
se è vero che le ricette per la tempera e l’affresco di Cennino (all’incrocio
tra gotico e rinascimento) non sono molto diverse da quelle che si usavano
ancora nell’Ottocento, la velocità con la quale lo sviluppo tecnologico ha
travolto molte delle opere d’avanguardia del secondo Novecento è eccezionale.
Molte delle intuizioni di Hito Steyerl dipenderanno, in ultima analisi, non
solamente dalla permanenza delle tecnologie di cui si è servita, ma anche dalla
direzione che prenderà la tecnologia. Se l’elettronica sarà uno strumento di
liberazione od oppressione dell’umanità – nel campo dell’arte come in quello
della vita di tutti i giorni – non è ancora deciso.
NOTE
[1] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, Londra, New York, Verso, 2017, 256 pagine. Citazione a pagina 164.
[2] Zaremba, Łukasz - To Work as a Pixel. Interview with Hito Steyerl. In Szum, 20 dicembre 2014. https://magazynszum.pl/to-work-as-a-pixel-interviev-with-hito-steyerl/.
[3] Baudelaire, Charles - L’Art romantique, Paris, Michel Lévy Frères, 1869, 471 pagine.
[4] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 188.
[5] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 188.
[6] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 18.
[7] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 97.
[8] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 150.
[9] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 181.
[10] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), pp. 182-183.
[11] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 189.
[12] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 79.
[13] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 81.
[14] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 41.
[15] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 16.
[16] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 15.
[17] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 3.
[18] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 8.
[19] Osborne, Peter – Anywhere or Not at All: Philosophy of Contemporary Art, London, New York, Verso, 2013, 282 pagine.
[20] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 78.
[21] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 78.
[22] Anderson, Benedict - Imagined Communities: Reflections on the Origin and Spread of Nationalism. New York, London, Verso, 2006, 240 pagine. La traduzione italiana è uscita nel 2009: Anderson, Benedict - Comunità immaginate. Origini e fortuna dei nazionalismi, Traduzione di M. Vignale, Milano, 2009, 238 pagine.
[23] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 184-185.
[24] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 2.
[25] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 192.
[26] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 157.
[27] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 169.
[28] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 169.
[29] Si veda: http://www.e-flux.com/journal/60/61045/proxy-politics-signal-and-noise/.
[30] Steyerl, Hito - Art in the Age of Planetary Civil War, (citato), p. 31.
Molto interessante. Grazie per le stimolanti informazioni.
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