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Heinrich Graf von Brühl (1700-1763). Ein sächsischer Mäzen in Europa.
[Il conte Heinrich von Brühl (1700-1763): un mecenate sassone in Europa].
A cura di Ute C. Koch e Cristina Ruggero
Convegno organizzato dalle Collezioni d’arte di Stato (Staatliche Kunstsammlungen) a Dresda e dalla Bibliotheca Hertziana – Max-Planck-Institut per la Storia dell’arte, Roma
Dresda, Sandstein Verlag, 2017, 547 pagine
Recensione di Francesco Mazzaferro. Parte Prima
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Fig. 1) Gli atti del convegno su Il conte Heinrich von Brühl (1700-1763). Un mecenate sassone in Europa, pubblicati nel 2017 |
Il conte
Heinrich von Brühl (1700-1763) fu ministro delle finanze e primo ministro del
Principato di Sassonia e Regno di Polonia (che, all’epoca comprendeva anche la
Lituania), uomo di fiducia di Augusto II e Augusto III, e grande mecenate d’arte,
con rapporti molto intensi con tutta l’area culturale italiana e francese. Alla
sua figura, come politico e uomo di cultura, collezionista e promotore d’arte è
stato dedicato un convegno internazionale, che si è tenuto in due fasi, la prima il 13-14
marzo 2014 a Dresda e la seconda il 20-21 marzo 2014 a Roma. Gli atti sono stati
pubblicati nel 2017 nella lingua originale degli oratori: in tedesco, italiano,
francese ed inglese.
Si
tratta – storicamente – di un atto dovuto, volto a rivalutare una figura che ha sofferto
una delegittimazione sistematica (e certamente eccessiva) a opera del maggior
nemico politico di von Brühl, quel Federico II di Prussia che lo odiava a tal
punto da far pubblicare falsi pamphlet contro la sua persona e da ordinare alle
truppe prussiane che marciavano sulla Sassonia, durante la Guerra dei Sette Anni
(1756-1763), di distruggerne sistematicamente tutte le proprietà. La vittima più celebre della violenza prussiana fu il Belvedere di Dresda, fatto erigere qualche anno prima dal conte sassone sulla riva ‘nobile’ dell’Elba, autentico gioiello dell’arte rococò.
Quando la guerra finì nel 1763, la Sassonia era a pezzi e non fu più in grado di
onorare i propri impegni finanziari. Von Brühl fu messo agli arresti dalla
stessa casa di Sassonia, accusato di aver condotto una vita del tutto al di
sopra dei propri mezzi e di aver portato le finanze pubbliche al disastro. Il
conte morì prima della sentenza del processo che lo riguardava; la sua
assoluzione postuma suona quindi come una beffa, e peraltro non dispensò gli
eredi dall’obbligo di trovare una transazione concordataria coi creditori.
Proprio dal processo provengono, comunque, le carte che permettono di
ricostruire con grande precisione gli averi di von Brühl, e, in particolare, le opere
d’arte in suo possesso al momento della morte.
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Fig. 3) Jean-Joseph Balechou, Ritratto del conte von Brühl come primo ministro. Incisione tratta da un dipinto perduto di Louis de Silvestre, 1750 |
Gli atti
del convegno consentono di ricostruire, piuttosto, come, negli anni d’oro della Casata
di Wettin, von Brühl sia stato fondamentale non solo per assicurare e
mantenere forti i legami tra Sassonia e Polonia, ma anche per fare di Dresda,
Lipsia e Varsavia centri d’arte e di cultura di altissimo livello, attrarre, ad esempio, un folto numero di artisti italiani e costituire collezioni d’arte
pubbliche e private provenienti dal nostro paese. Due casi su tutti: nel 1727 Augusto
II il Forte compra a Roma una trentina di statue dalla famiglia Albani; nel
1745 (con una decisione che ha risonanza in tutta Europa) Augusto III acquista le
collezioni estensi di Modena. Von Brühl coltiva rapporti diretti con Anton
Raphael Mengs (1728-1779) e Johann Joachim Winckelmann (1717-1768) nel corso
della loro permanenza romana; si serve di Francesco Algarotti (1712-1764),
Luigi Crespi (1708-1770) e Giovanni Lodovico Bianconi (1717-1781) per
selezionare opere d’arte italiane, antiche o moderne, potenzialmente
acquistabili. I beni vengono comperati dai regnanti di Sassonia anche grazie
alla politica finanziaria del conte, che fa della Sassonia-Polonia uno dei
regni più ricchi d’Europa proprio in una contingenza storica in cui le casate
italiane sono in situazione di grande difficoltà finanziaria e hanno urgente
bisogno di liquidità. Von Brühl non esita a beneficiare delle medesime condizioni
di precarietà finanziaria dei regnanti italiani anche a titolo personale,
arricchendo le sue collezioni spesso a prezzi convenienti. In virtù di una
specie di legge del contrappasso, qualche decennio dopo, fu invece la Sassonia
stessa (e il suo ex ministro delle finanze e primo ministro) a finire in
dissesto economico. La collezione di quadri di von Brühl fu venduta dagli eredi
a Caterina II di Russia per far cassa.
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Fig. 4) La Terrazza di Brühl a Dresda, nella sistemazione attuale, che comprende edifici ottocenteschi come l’Accademia di Belle Arti (in primo piano). |
Il
corposo volume degli atti comprende sezioni che si occupano della figura del
conte come uomo pubblico e collezionista, ma spaziano anche sul collezionismo
sassone del Settecento, sui rapporti culturali tra Italia e Dresda e sul
mecenatismo europeo dell’epoca. Di tutto ciò parlerò nelle due parti che
costituiscono questa recensione. Solo due parole, invece, per accennare alle
numerose opere architettoniche fatte edificare da von Brühl (ad esempio, i
suoi palazzi a Dresda ed Varsavia), argomento solo marginalmente in linea con
l’interesse principale di questo blog. Probabilmente von Brühl sarebbe oggi
soprattutto orgoglioso della sistemazione della fortezza sull’Elba, trasformata
in un complesso di costruzioni rococò su progetto
dell’architetto francesizzante Johann Christoph Knöffel: la Galleria, la Biblioteca, il Belvedere, il
Palazzo Brühl e i Giardini. Ancora oggi si parla della terrazza sulla sponda nobile
dell’Elba come della Terrazza di Brühl, ovvero Brühlsche Terrasse.
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Fig. 5) Piano per la sistemazione della Terrazza di Brühl nel 1761, dopo la distruzione del Belvedere nel 1759. |
Parte di
quel complesso (ad esempio il Belvedere) fu distrutto dalle truppe prussiane
durante l’attacco a Dresda del 1759. Il Palazzo Brühl, finito nel 1744, fu invece distrutto nel 1900 per far spazio ad altri edifici
pubblici. Il conte fece anche edificare Palazzo Brühl-Marcolini nei sobborghi della
città (costruito anch’esso da Johann Christoph Knöffe, fu trasformato nel 1849
in un ospedale e parzialmente bombardato nel 1945). Fece inoltre ristrutturare
due castelli (ancora esistenti) fuori città, rispettivamente a Nischwitz e
Pförten. In Polonia
von Brühl fece poi costruire il Palazzo Brühl, nel centro di Varsavia, e una
residenza di campagna a Wola.
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Fig. 6) Johann Christoph Knöffel, Facciata e pianta del Palazzo Brühl-Marcolini, 1746. Fonte: Barbara Bechter, Der Brühlsche Garten in Dresden-Friedrichstadt, in: Die Gartenkunst, 19 (2007), Nr. 1, pp. 1-46. Si veda. http://archiv.ub.uni-heidelberg.de/artdok/2415/1/Bechter_Der_Bruehlsche_Garten_in_Dresden_Friedrichstadt_2007.pdf |
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Fig. 7) Quel che è rimasto dell’ingresso del Palazzo Brühl-Marcolini nei sobborghi di Dresda, oggi integrato nell’ospedale di Friedrichstadt |
Von Brühl personaggio pubblico
Wie die Schrift Friedrich den Großen zu einem Gewinner und Heinrich von Brühl zu einem Verlierer der Geschichte machte
[Come la scrittura ha fatto di Federico il Grande un vincitore e di Heinrich von Brühl un perdente della storia]
Frank Metasch
Auf dem weg in den Bankrott.
Die sächsischen Staatsschulden unter Heinrich Graf von Brühl
[Sulla via della bancarotta: il debito pubblico della Sassonia sotto il conte von Brühl]
Reino Liefkes
The Triumph of Amphitrite: The Resurrection of Count Brühl's Lost Table Fountain at the Victoria and Albert Museum, London
[Il Trionfo di Anfitrite: la resurrezione della perduta fontana da tavola del conte Brühl al Victoria and Albert Museum di Londra]
Claudia Bodinek
Ein Tafelservice für den Grafen. Das Brühlsche Allerlei reviewed
[Un servizio da tavola per il conte: l'Allerlei di Brühl rivisitata]
La storica dell’arte tedesca Claudia Bodinek dedica un articolo alla collezione di ceramiche di von Brühl, che raggiungeva 2500 oggetti [5] (a Brühl appartiene fra l’altro un famoso servizio chiamato Brühlsches Allerlei: Allerlei vuol dire che il servizio è talmente diversificato da comprendere ogni tipologia esistente di ceramica). Le dimensioni della collezione del conte si spiegano con il fatto che era stato nominato co-direttore prima (1733) e direttore unico poi (1739) della fabbrica di porcellana di Meißen, a quei tempi una realtà economica di primaria importanza a livello europeo. Svolgendo quella funzione, von Brühl, già dal 1733, è autorizzato a fornirsi direttamente presso la fabbrica anche per le sue necessità, senza pagamento alcuno. Non si pensi che si trattasse di esigenze marginali: si ritiene che le necessità della casa reale e del primo ministro in certi momenti assorbissero un terzo della produzione di Meißen. Va peraltro detto che parte delle necessità del conte erano determinate dall’esigenza protocollare di fare regali di natura diplomatica (si ricordi l’episodio sopra citato del regalo del 1747 al ministro degli esteri francese).
Martin Schuster
«die Galerie ist Ihr Werk, und ich habe davon die Ehre, Sie jedoch den Ruhm...». Carl Heinrich von Heineken und die Publikation der Gemäldegalerie von Heinrich von Brühl
«la Galleria è la sua opera, e io ho l'onore, ma lei la fama...». Carl Heinrich von Heineken e la pubblicazione della galleria dei quadri di Heinrich von Brühl
Maria Lieber, Josephine Klingebeil-Schieke
Kulturtransfer e provenienze: la biblioteca privata di Heinrich von Brühl nel contesto della cultura di corte sassone
Eva Manikowska
Tra Venezia e Dresda. Il gabinetto di quadri di Bernardo Bellotto nella Salzgasse
Sven Pabstmann
Olga Popova
Andre Belosselsky as Art Agent of Catherine II in Dresden Seen Through His Correspondence With Alexander Golitsyn
[Andre Belosselsky agente artistico di Caterina II a Dresda visto alla luce della sua corrispondenza con Alexander Golitsyn]
NOTE
[1] Luh, Jürgen – Wie die Schrift Friedrich den Großen zu einem Gewinner und Heinrich von Brühl zu einem Verlierer der Geschichte machte, pp 24-34, in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) Ein sächsischer Mäzen in Europa. Akten der internationalen Tagung zum 250. Todesjahr, a cura di Ute C. Koch e Cristina Ruggero. Convegno organizzato dalle Collezioni d’arte di Stato (Staatliche Kunstsammlungen) a Dresda e dalla Bibliotheca Hertziana – Max-Planck-Institut per la Storia dell’arte, Roma, Dresda, Sandstein Verlag, 2017, 547 pagine.
[2] Metasch, Frank – Auf dem Weg in den Bankrott. Die sächsischen Staatsschulden unter Heinrich Graf von Brühl, pp. 35-50, in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), 2017.
[3] Koch, Ute C. – Die Tapisserien im Besitz von Heinrich Graf von Brühl, pp. 54-69, in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), 2017.
[4] Liefkes, Reino – The Triumph of Amphitrite, pp. 70-87, in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), 2017.
[5] Bodinek, Claudia – Ein Tafelservice für den Grafen. Das Brühlsche Allerlei reviewed, pp. 88-97, in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), 2017.
[6] Schuster, Martin - „die Galerie ist Ihr Werk, und ich habe davon nur die Ehre, Sie jedoch den Ruhm“ Carl Heinrich von Heineken und die Publikation der Gemäldegalerie von Heinrich Graf Brühl, pp. 98-113, in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), 2017.
[7] Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), pp. 470-473.
[8] Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), pp.473-475.
[9] Schuster, Martin - „die Galerie ist Ihr Werk (citato), p. 110.
[10] Lieber, Maria e Klingebeil-Schiele, Josephine – Kulturtransfer e provenienze: la biblioteca private di Heinrich von Brühl nel contest della cultura di corte sassone, pp. 114-129, in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), 2017.
[11] Lieber, Maria e Klingebeil-Schiele, Josephine – Kulturtransfer e provenienze (citato), pp.118-119.
[12] Lieber, Maria e Klingebeil-Schiele, Josephine – Kulturtransfer e provenienze (citato), p. 220.
[13] Brückner, Jenny – « Ein vornehmer Herr hat ein Kabinett…» Dresdner Sammler im 18. Jahrhundert , pp. 194-211, in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), 2017.
[14] Manikowska, Ewa – Tra Venezia e Dresda. Il gabinetto di quadri di Bernardo Bellotto nella Salzgasse, pp. 212-220, in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), 2017.
[15] Lieber, Maria e Klingebeil-Schiele, Josephine – Kulturtransfer e provenienze (citato), p. 213.
[16] Pabstmann, Sven – Rembrandt, Rubens, Permeser – Ruhm und Glanz barocker Kunstsammlungen in Leipzig. Anmerkungen zur Sammlungsgeschichte der Stadt Leipzig um 1700, pp. 221-237, in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), 2017.
[17] Oleńska, Adriana – Magnificentia principis. Brühl’s Artistic Activities in Poland as a Means of Political Self-Propaganda, pp. 238-255, in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), 2017.
[18] Popova, Olga - Andre Belosselsky as Art Agent of Catherine II in Dresden Seen Through his Correspondence with Alexander Golitsyn, pp. 256-267, in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), 2017.
Lo storico tedesco Jürgen Luh (1963-) si
sofferma sul diverso modo con cui Federico il Grande di Prussia (1712-1786) e
von Brühl fecero uso della propaganda a
mezzo stampa [1]; due diversi approcci che (sia chiaro: oltre alle sorti della
guerra dei Sette Anni) determinarono il successo del primo e segnarono la damnatio memoriae del secondo, tanto che
di von Brühl si è continuato a parlar male
per centinaia di anni (sia dalla gran parte degli storiografi tedeschi
sia in romanzi storici come quelli dello scrittore polacco Jósef Ignacy
Kraszweski). Federico fece un uso attivo e consapevole della stampa, mentre
Heinrich, in sostanza, se ne disinteressò. Il sovrano prussiano, ad esempio,
espresse giudizi trancianti su von Brühl nelle sue memorie (Historie de mon temps, 1746), scritte quando aveva solo trent’anni, e
fu l’artefice di quella che oggi chiameremmo un’autentica fake news,
commissionando nel 1760 a Johann Heinrich Gottlob von Justi (1717–1771) uno
scritto di pura diffamazione, falsamente definito come un pamphlet scampato dal
fuoco (ma in realtà inesistente). Il testo si intitolava “La Vie Et Le Caractère De Mr. Le Comte De Bruhl, Premier Ministre De Sa
Majesté Le Roi De Pologne Et Électeur De Saxe: Pièce Échappé Du Feu”.
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Fig. 8) Johann Heinrich Gottlob von Justi, La Vie Et Le Caractère De Mr. Le Comte De Bruhl, Premier Ministre De Sa Majesté Le Roi De Pologne Et Électeur De Saxe: Pièce Échappé Du Feu, 1760 |
Il Primo Ministro sassone, invece, non mise
mai per iscritto le sue ragioni e si limitò, nel 1761, a commissionare
all’incisore Michael Keyl (1722-1798) un album volto a documentare la
distruzione del Belvedere a Dresda perpretata dai prussiani. Anche se
una delle incisioni che vi sono contenute descrive Federico II come un despota nemico
dell’arte e della libertà, Jürgen Luh sostiene insomma che Federico II fosse
molto più efficace nell’orientare l’opinione pubblica europea di quanto non
sia stato il primo ministro di Sassonia-Polonia.
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Fig. 9) Profilo del Belvedere fatto costruire da Heinrich von Brühl sulla sponda dell’Elba nel 1751 (e poi distrutto dai prussiani nel 1759) in una incisione di Michael Keyl, Dresda, 1761 |
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Fig. 10) Michael Keyl, Belvedere que S.E. Monseigneur le Premier Ministre Comte de Bruhl fit bâtir l'an 1751. Cet ornement de Dresde précieux modèle de l’architecture détruit de fond en comble par ordre de S.M. le Roi de Prusse l'an 1759, Dresda, 1761. Fonte: https://polona.pl/item/belvedere-que-se-monseigneur-le-premier-ministre-comte-de-bruhl-fit-batir-lan-1751,NTg1MjUwOQ/2/#item |
L’odio di Federico II per von Brühl,
peraltro, pare si nutrisse di risentimenti
personali: il padre, Federico Guglielmo I di Prussia (1688-1740) ebbe sempre
grande considerazione del giovane von Brühl, e pochissima del figlio, che
preferiva dilettarsi di filosofia piuttosto che prepararsi a regnare. È certo che, a un certo punto, von Brühl informò Federico Guglielmo I
che suo figlio aveva intenzione di abbandonare la corte e fuggire da Berlino.
Come segno di gratitudine, il monarca lo premiò con una delle più alte
onorificenze prussiane, mai concesse a uno straniero: l’Ordine dell’Aquila nera
(il simbolo dell’onorificenza compare nel ritratto del conte dipinto da Louis
de Silvestre del 1730 – cfr. fig. 2).
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Fig. 11) Bernardo Bellotto, La vecchia Kreuzkirche a Dresda, 1750 |
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Fig. 12) Bernardo Bellotto, Le rovine della vecchia Kreuzkirche a Dresda, 1765 |
Frank Metasch
Auf dem weg in den Bankrott.
Die sächsischen Staatsschulden unter Heinrich Graf von Brühl
[Sulla via della bancarotta: il debito pubblico della Sassonia sotto il conte von Brühl]
Lo storico tedesco Frank Metasch prende in
esame alcuni degli aspetti più generali della storia finanziaria della Sassonia
nel Settecento e cerca di individuare l’origine del dissesto economico sassone sotto
il conte von Brühl [2]. Già a inizio secolo (quando il conte era soltanto un bambino) il paese aveva bisogno di mezzi finanziari ingenti per mantenere la
corte e l’esercito; fu introdotta una tassazione generale dei consumi, che
comprimette l’economia, ma non riuscì comunque a coprire il fabbisogno. La
Sassonia ebbe quindi i conti in rosso per molti anni; per onorare i debiti fu
creata una banca di stato nel 1698 e una lotteria nel 1713. Quella sassone,
peraltro, fu una situazione perfettamente in linea con la tendenza generale
delle case regnanti in Germania e in Europa: solamente la Prussia consolidò in
quegli anni le proprie finanze e arricchì il suo patrimonio. Per qualche tempo
anche von Brühl riuscì a stabilizzare le traballanti finanze sassoni. Furono,
quelli, anni di successo professionale, tanto che il conte passò in breve tempo
da incarichi amministrativi a posizioni dirigenziali, fino a divenire nel 1733
l’equivalente del direttore generale del tesoro, nel 1738 ministro del tesoro e
nel 1746 primo ministro. Fino al 1737 i conti della Sassonia non furono del
tutto disastrosi, grazie all’accentramento della macchina fiscale che
consentiva di aumentare le imposte. Va detto comunque che non vi era alcuna
trasparenza: il livello dell’indebitamento non era reso pubblico ed era
fortemente legato alle spese militari, su cui non vi era alcuna possibilità di
discutere (si pensi alle operazioni militari sassoni in Polonia, ma anche alla
partecipazione alle campagne austriache contro l’impero ottomano). Nessuno
sapeva quale fosse il livello d’indebitamento dei regnanti (era un segreto
ben custodito; il debito non era strutturato nella forma di titoli pubblici di
emissione; gli interessi erano patteggiati bilateralmente con i creditori). Ciò
spiega perché quando nel 1763, alla fine della Guerra dei Sette Anni, i
rappresentanti degli Stati sociali furono per la prima volta informati del
disastro dei conti, l’indebitamento risultò essere cresciuto del 800% rispetto
alla precedente informativa che risaliva al 1749. Metà delle entrate fiscali
servivano per pagare i soli interessi sul debito e la pressione fiscale era
tale da erodere ogni speranza di crescita. Fu appunto solo nel 1763 (anno delle
dimissioni e della morte di von Brühl) che si presero decisioni drastiche che
riportarono il bilancio in equilibrio.
Von Brühl collezionista
Ute C. Kock
Die Tapisserien im Besitzvon Heinrich Graf von Brühl
[Gli arazzi di proprietà del conte Heinrichvon Brühl]
[Gli arazzi di proprietà del conte Heinrichvon Brühl]
Le grandi collezioni di arazzi, porcellane,
quadri e libri di von Brühl furono il risultato di anni di incessante politica
di acquisti, ma anche di regali vari ricevuti dai sovrani.
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Fig. 13) Johann Christoph Knöffel, Progetto per il Palazzo Brühl a Dresda, 1744 |
Nel suo intervento, la storica dell’arte
Ute C. Koch esamina la collezione di arazzi francesi del conte [3]. Oggi si sa
che von Brühl conservava nel suo Palazzo a Dresda, al momento della morte, una
serie di dodici arazzi prodotta dalla Manufacture
des Gobelins di Parigi, e più precisamente da Michel Audran (1701–1771) e
Mathieu Monmerqué (senza data di nascita-1749). Gli arazzi riproducevano la
serie oggi perduta dei Mesi di Luca
(originariamente creata da un anonimo maestro fiammingo del 1500 e all’epoca
attribuita per errore a Luca di Leida). La serie fu inviata dalla Francia a von
Brühl come regalo di nozze; la cosa incredibile è che, però, non si trattava
del suo matrimonio, ma di uno che riguardava la casa di Sassonia e i Borbone di
Francia nel 1746 (celebrato sfarzosamente proprio al Palazzo Brühl-Marcolini).
La circostanza spiega comunque in quale stima il primo ministro fosse tenuto
nelle corti di tutta Europa. Von Brühl ebbe modo di sdebitarsi l’anno dopo (nel
1747), inviando un servizio di 1200 pezzi in porcellana al ministro degli
esteri francese. Gli eredi di von Brühl alienarono poi la proprietà degli
arazzi alla casa di Sassonia nell’ambito del concordato successivo al processo.
La maggior parte degli arazzi sono andati persi durante la Seconda Guerra
Mondiale, fatta eccezione per aprile (oggi al Louvre), agosto (al Museo
Puschkin di Mosca) e novembre (all’Hermitage di San Pietroburgo). Oltre alla
serie dei mesi, la collezione di tappezzeria di von Brühl comprendeva anche
opere del fiammingo Philippe Behagle (1641-1705): si trattava di sette pezzi
sulle Conquiste di Luigi XIV e la Glorificazione di Luigi XIV, prodotti a
Beauvais e Tournai. Nel castello di Pförten si trovavano, prima della Seconda
Guerra Mondiale, anche numerosi arazzi rappresentanti paesaggi, prodotti ad
Aubisson.
The Triumph of Amphitrite: The Resurrection of Count Brühl's Lost Table Fountain at the Victoria and Albert Museum, London
[Il Trionfo di Anfitrite: la resurrezione della perduta fontana da tavola del conte Brühl al Victoria and Albert Museum di Londra]
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Fig. 14) La ceramica di Meißen che riproduce il gruppo scultoreo Il trionfo di Anfitrite di Lorenzo Mattielli. È opera di Johann Joachim Kändler insieme a Johann Gottlieb Ehder, Johann Friedrich Eberlein e Peter Reinicke. Fonte: http://collections.vam.ac.uk/item/O1318531/the-triumph-of-amphitrite-fountain-kandler-johann-joachim/ |
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Fig. 15) Zacharias Longuelune e Lorenzo Mattielli, Il trionfo di Anfitrite, Parco del Palazzo Brühl-Marcolini, 1744-1746. Fotomontaggio del 2006 senza l’ospedale moderno sullo sfondo. Fonte: Barbara Bechter, Der Brühlsche Garten in Dresden-Friedrichstadt, in: Die Gartenkunst, 19 (2007), Nr. 1, pp. 1-46. Si veda: http://archiv.ub.uni-heidelberg.de/artdok/2415/1/Bechter_Der_Bruehlsche_Garten_in_Dresden_Friedrichstadt_2007.pdf |
Lo studioso inglese Reino Liefkes, del
Victoria and Albert Museum di Londra, dedica il suo contributo a un gruppo di
figure in porcellana, realizzato nel 1745 da Johann Joachim Kändler (1706-1775)
e altri artefici su richiesta di von Brühl. La serie è oggi esposta appunto al
museo londinese[4]. Le figure costituiscono un modellino in scala della
fontana che sempre il primo ministro di Sassonia e Polonia commissiona
all’architetto francese Zacharias Longuelune (1669-1748) e allo scultore
italiano Lorenzo Mattielli (1687-1748) nel 1744-1746 per il parco del suo
palazzo Brühl-Marcolini nei sobborghi di Dresda. La versione da tavola della
fontana, in porcellana, era utilizzata come ornamento nei pranzi di gala.
Claudia Bodinek
Ein Tafelservice für den Grafen. Das Brühlsche Allerlei reviewed
[Un servizio da tavola per il conte: l'Allerlei di Brühl rivisitata]
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Fig. 16) Un esemplare facente parte della Brühlsches Allerlei, 1745 |
La storica dell’arte tedesca Claudia Bodinek dedica un articolo alla collezione di ceramiche di von Brühl, che raggiungeva 2500 oggetti [5] (a Brühl appartiene fra l’altro un famoso servizio chiamato Brühlsches Allerlei: Allerlei vuol dire che il servizio è talmente diversificato da comprendere ogni tipologia esistente di ceramica). Le dimensioni della collezione del conte si spiegano con il fatto che era stato nominato co-direttore prima (1733) e direttore unico poi (1739) della fabbrica di porcellana di Meißen, a quei tempi una realtà economica di primaria importanza a livello europeo. Svolgendo quella funzione, von Brühl, già dal 1733, è autorizzato a fornirsi direttamente presso la fabbrica anche per le sue necessità, senza pagamento alcuno. Non si pensi che si trattasse di esigenze marginali: si ritiene che le necessità della casa reale e del primo ministro in certi momenti assorbissero un terzo della produzione di Meißen. Va peraltro detto che parte delle necessità del conte erano determinate dall’esigenza protocollare di fare regali di natura diplomatica (si ricordi l’episodio sopra citato del regalo del 1747 al ministro degli esteri francese).
«die Galerie ist Ihr Werk, und ich habe davon die Ehre, Sie jedoch den Ruhm...». Carl Heinrich von Heineken und die Publikation der Gemäldegalerie von Heinrich von Brühl
«la Galleria è la sua opera, e io ho l'onore, ma lei la fama...». Carl Heinrich von Heineken e la pubblicazione della galleria dei quadri di Heinrich von Brühl
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Fig. 17) Pierre-Étienne Moitte da Frans Mieris, L’uovo rotto, 1754 ca. e l’originale di Frans Mieris (seconda metà del Seicento), oggi all’Hermitage. |
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Fig. 18) Pierre François Tardieu da Peter Paul Rubens, Perseo e Andromeda, 1754, ca. e l’originale del 1620-1625, oggi all’Hermitage |
Si stima che la quadreria del conte comprendesse oltre seicento dipinti. Se ne occupa lo storico
dell’arte di Dresda Martin Schuster [6]. L’unico strumento per ricostruirla almeno
parzialmente, in assenza di un catalogo, è – per Schuster - la Recueil d'estampes gravées d'après les tableaux de la galerie de S. E.
M. le Comte de Brühl, il cui primo volume fu
pubblicato nel 1754, con l’indicazione di sole cinquanta, selezionatissime,
opere (la lista precisa è riprodotta in appendice del volume [7]). La raccolta
di stampe (il cui modello è ovviamente la Recueil Crozat di Pierre-Jean Mariette) fu stampata in duecento copie; le immagini erano state
tradotte a stampa da ventuno diversi incisori (soprattutto francesi), scelti allo
scopo tramite una specie di concorso. Negli anni immediatamente precedenti e
successivi fu pubblicata in due parti anche la raccolta a mezzo stampa dei
quadri contenuti nella collezione di Augusto III di Sassonia: il coordinamento
dei due progetti (quello per la galleria reale e quello per la collezione
privata di von Brühl) fu affidato al medesimo studioso: Carl Heinrich von
Heineken (1707–1791). Il problema principale, nel caso della raccolta von Brühl
, è che fu pensata in due volumi e comunque non con l’obiettivo di fornire una
visione esaustiva della collezione, ma con criteri antologici, secondo i
dettami del gusto dell’epoca. Il secondo volume della raccolta non uscì mai: la
sua pubblicazione fu impedita dalla guerra con la Prussia prima, e
dall’alienazione delle opere a Caterina II di Russia nel 1768 da parte degli
eredi del conte (la pagina web dell’Hermitage consente di identificare i quadri
secondo la loro provenienza: all’indirizzo
https://www.arthermitage.org/Collection-of-Count-von-Bruhl-Dresden.html
si possono vedere 74 opere inventariate nel 1769 come provenienti dalla
collezione Brühl). Sulla base del ritrovamento dei rami realizzati per le
incisioni, Schuster è in grado di ricostruire un insieme di trentacinque opere
che erano destinate a essere comprese nel secondo volume della Recueil (fra esse compaiono dipinti di Paolo Veronese, Nicolas
Poussin, Bernardo Bellotto, Hans Holbein). Anche in questo caso, la lista
completa è proposta nell’appendice [8].
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Fig. 19) Johann Christoph Teucher da Giuseppe Maria Crespi, La morte di San Giuseppe, 1754 ca. e l’originale del 1712, oggi all’Hermitage`. |
Come furono scelte le cinquanta opere
analizzate nel primo volume? Nell’introduzione alla prima parte della Recueil, von Heineken spiega di aver
selezionato gli artisti migliori, assicurandosi anche di rappresentare le
diverse scuole geografiche. Aggiunge però che la maggior parte delle opere
proviene dalla Francia e dalle Fiandre, sia pur con una significativa presenza
italiana. Quanto ai fiamminghi, von Brühl possedeva opere di Rembrandt, David
Teniers il giovane, Jacob Isaaksz, van Ruisdael, Philips Wouwerman, Ferdinand
Bol, Frans Mieris, Gerrit Dou e Peter Paul Rubens (di quest’ultimo sette
dipinti). Dalla Francia provengono tele di Valentin de Boulogne, Antoine
Watteau e Nicolas Lancret. Quanto agli italiani, von Brühl aveva nella sua
raccolta opere di Paris Bordone, Annibale Carracci, Johann Carl Loth
(monacense, ma attivo a Venezia), Francesco Trevisani, Luca Giordano e Giuseppe
Maria Crespi (oltre ad altre erroneamente attribuite all’epoca e a Correggio e
Caravaggio). Gli spagnoli erano rappresentati da Jusepe de Ribeira.
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Fig. 20) François Basan da David Teniers il giovane, Il vecchio narratore di storie, 1745 ca, e l’originale del 1640 circa, oggi all’Hermitage. |
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Fig. 21) Carl Ludwig Wüst da Antoine Watteau, Sacra famiglia, 1754 ca e l’originale del 1719, oggi all’Hermitage. |
La Recueil
von Brühl dà comunque una misura tangibile dell’importanza che la pittura
‘contemporanea’ del nord Europa rivestiva nell’ambito della
collezione (all'opposto, la Recueil
di stampe tratte dalla collezione di Augusto III era tutta incentrata sugli
italiani). Schuster si sofferma, infine, su uno dei pochissimi quadri della
raccolta ancor oggi a Dresda: si tratta di una delle tante versioni del Giudizio di Paride che Rubens dipinse.
Ecco il testo critico che von Heineken abbinò all’opera. “Il giudizio di Paride. Altro quadro di Rubens, Olio su tela, lungo 23
pollici e alto 18 pollici, inciso da P.F. Tardieu, intagliato su rame da P.E.
Moette. Questa tela, che era già stata incisa da A. Sommelin, è molto famosa
e se ne vedono copie ovunque. Non vi è dubbio che nel caso del quadro conservato
nella galleria del Primo Ministro Brühl (di cui qui viene mostrata l’incisione
su rame e che proviene dall’eredità di Rubens) si tratti dell’originale. Basta
osservarlo per superare ogni dubbio; e non è esagerato dire che si tratta
dell’opera più bella che il pennello di Rubens abbia mai prodotto. Uomini che
mancano di gusto sostengono che il pittore abbia rappresentato nelle tre dee le
sue tre mogli, ma si sbagliano, poiché Rubens ha avuto solamente due mogli. La
prima era Catharine Brintes di Anversa, che morì dopo quattro anni di
matrimonio, la seconda era Helene Fourment, conosciuta per la sua bellezza e il
suo spirito. L’ha dipinta molte volte, ed è ben possibile che lei sia stata sua
modella per le sue forme femminili, forse anche per l’immagine di Venere in
questo quadro” [9].
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Fig. 22) Pierre François Tardieu e Pierre-Étienne Moitte da Peter Paul Rubens, Il giudizio di Paride, 1754 ca. e l’originale del 1636, oggi alla Pinacoteca di Dresda |
Maria Lieber, Josephine Klingebeil-Schieke
Kulturtransfer e provenienze: la biblioteca privata di Heinrich von Brühl nel contesto della cultura di corte sassone
In un articolo in italiano, Maria Lieber
(professoressa d’italianistica a Dresda) e Josephine Klingebeil-Schieke (sua
assistente) presentano uno studio approfondito sulla biblioteca del
conte von Brühl [10], composta di ben 70 mila volumi (ottomila dei quali
andarono persi già durante la Guerra dei Sette Anni). Dopo la morte del primo
ministro la biblioteca fu acquisita dalla casa di Sassonia. Le due autrici
sottolineano il valore della raccolta per l’immagine pubblica di von Brühl;
egli decise di creare una raccolta libraria di tali dimensioni soprattutto per
mettere in ombra quella di un’altra personalità politica del tempo, il conte
Heinrich von Bünau (1697-1762), che possedeva una biblioteca di 42 mila volumi.
La scelta di dar vita a una biblioteca mastodontica (i cui volumi erano
consultabili al pubblico) fu così convinta che, per ospitarla von Brühl fece
costruire nel 1747 un nuovo palazzo in stile rococò sulla riva dell’Elba,
progettato dall’architetto Johann Christoph Knöffel (era parte del già citato
complesso della cosiddetta Terrazza di Brühl). È un altro dei numerosi edifici
costruiti da von Brühl che fu distrutto a Dresda (nel 1897), a dimostrazione
dell’oblio in cui l’operato del primo ministro era caduto nel tempo. In un
celebre dipinto dell’epoca, opera di Bellotto, la biblioteca è chiaramente
riconoscibile: si tratta dell'edificio bianco e lungo sulla sinistra della
tela, sotto la cupola della Frauenkirche.
Sia
chiaro: avendo come priorità il superamento della raccolta del rivale Bünau, il primo ministro puntò innanzi tutto sulla quantità: comprò grandi quantità di
volumi non solo a Dresda, ma anche a Parigi. “La ricchezza di Brühl gli permise di acquisire costose opere di lusso,
stampe pergamenacee, esemplari di grandi dimensioni, exemplaires
réglés e manoscritti di considerevole valore. Era sua ambizione creare una
biblioteca universale, dando però grande rilievo alle opere sulle belle arti e
sulle scienze. Dai bibliotecari del principe elettore veniva considerata
particolarmente completa la sezione di matematica e fisica; rispetto a questa,
la sezione dedicata alla letteratura italiana, spagnola, inglese e francese era
di pari livello. La collezione di antiche rappresentazioni teatrali, raccolte
di poesie e romanzi in lingua francese era considerata unica in Germania. Per
l’acquisizione della biblioteca [dalla casa di Sassonia] furono esaminati con
scrupolo i singoli reparti e perciò si trovano cifre molto precise, che
attestano la relativamente ampia, omogenea e coerente entità della raccolta” [11].
L’ansia
di accumulare per poter primeggiare è stata storicamente motivo di giudizi
negativi sulla biblioteca; si è sottolineata la natura puramente esteriore dell’interesse
del conte per la cultura come pure sono stati evidenziati grosse criticità
tecniche (il catalogo frettoloso e superficiale). Lieber
e Klingebeil-Schieke
non si allineano a questo tipo di critiche: “Il valore aggiunto della biblioteca universale di Brühl stava da un
lato nella presenza di un ampio corpus «sulle materie della storia degli stati
esteri e le belle arti e le scienze», dall’altro nella rarità dei manoscritti,
incunaboli e stampe antiche. Dei 270 manoscritti italiani finora trovati nelle
biblioteche pubbliche della Sassonia, è stato dimostrato che ben 75 provengono
dalla biblioteca di Brühl” [12].
Il mondo del collezionismo in Sassonia
Jenny Brückner
«Ein vornehmer Herr hat ein Kabinett...». Dresdener Sammler im 18. Jahrhundert
«Un signore distinto deve avere un gabinetto...». Collezionisti a Dresda nel XVIII secolo
«Ein vornehmer Herr hat ein Kabinett...». Dresdener Sammler im 18. Jahrhundert
«Un signore distinto deve avere un gabinetto...». Collezionisti a Dresda nel XVIII secolo
La
storica tedesca Jenny Brückner mira a sottolineare, nel suo contributo, che il
mondo del collezionismo nella Dresda nel Settecento non si limitava alle
figure del re e del primo ministro [13], ma riguardava molti altri
soggetti, essendo espressione di una sensibilità diffusa. Avere una collezione
(di qualsiasi tipo essa fosse) era un comportamento socialmente condiviso.
Proprio in quegli anni, ad esempio, gli studi di scienze naturali subirono
un’enorme accelerazione proprio in virtù della condivisione sociale dei criteri
sistematici ed enciclopedici della cultura che li promosse.
Tra i
molti collezionisti citati nel saggio, sembra utile far breve riferimento a
Philipp Daniel Lippert (1702-1785) e a Giovanni Battista Casanova (1730–1795),
per i rapporti che essi ebbero con il mondo dell’arte. Lippert fu prima
disegnatore impegnato nel mondo della ceramica, poi pittore di corte dal 1739,
e infine professore di antichità all’Accademia di Belle Arti di Dresda, a
partire dal 1764. Collezionò e classificò gemme e mantenne relazioni frequenti
e stabili con Winckelmann e Mengs.
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Fig. 26) Crescentius Josephus Johannes Seydelmann, Ritratto di Giovanni Battista Casanova, ante 1795. |
Giovanni
Battista Casanova (1730–1795), fratello del più famoso Giacomo e anch’egli
(come Lippert) professore all’Accademia di Belle Arti di Dresda, collezionò di
tutto. Nelle sue raccolte erano conservati 1800 fra disegni e stampi, a cui
faceva ricorso per le sue lezioni. Fu anche intenditore di gemme (fu nominato
perito per fissare il valore della collezione di gemme del conte von
Brühl dopo la sua morte) ed ebbe una serie di cammei, che vendette a Caterina
II di Russia nel 1792 (sono oggi custoditi all’Hermitage). Casanova fu peraltro
agente commerciale per l’inviato russo a Dresda, il conte Andrey Mikhaylovich
Belosselsky (Андрей Михайлович Белосельский) (1735-1776) e proprio per questo,
nel 1768, agì come intermediario per la vendita della collezione von Brühl a
Caterina II.
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Fig. 27) Alexander Roslin, Ritratto di Andrey Mikhaylovich Belosselsky, 1762 |
Eva Manikowska
Tra Venezia e Dresda. Il gabinetto di quadri di Bernardo Bellotto nella Salzgasse
Nel suo
saggio, la storica dell’arte polacca Ewa Manikowska prova a far luce,
avvalendosi di un documento inedito da lei rintracciato presso l’Accademia
delle Scienze Lituana a Vilnius, sul gabinetto di quadri posseduti da Bernardo
Bellotto [14], nella sua abitazione a Dresda, sulla Salzgasse). A causa dello
scoppio della Guerra dei Sette Anni, Bellotto si vide costretto a fuggire
precipitosamente a Vienna, lasciando ai vicini di casa i suoi beni già
imballati e pronti per la partenza. Quei beni furono però distrutti dalle
truppe prussiane nel 1760. Due anni dopo, Bellotto redasse di suo pugno un Catalogo de danni ch’ho’ avuto, io, Bernardo
Bellotto de Canaletto l’anno 1760 (il testo autografo è disponibile in pdf
all’indirizzo http://elibrary.mab.lt/handle/1/6342, previa iscrizione al catalogo della
biblioteca dell’Accademia delle Scienze di Vilnius). Il documento è, di fatto,
una descrizione completa di tutti i beni presenti nella casa della Salzgasse, e
proprio per questo testimonia “l’incrocio
di diversi modelli culturali – veneziani e sassoni, di corte e borghesi – nati
all’interno del mondo artistico e dettati dai più prestigiosi collezionisti e
conoscitori. Esso mostra l’acculturamento del Bellotto e la sua abilità di
ricorrere a una larga gamma di convenzioni e linguaggi culturali” [15]. Tra
le influenze che si scoprono leggendo l’inventario, quella parigina risulta
essere fortissima.
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Fig. 28) Particolare della facciata del Cäsar- und Knöffelsches Haus, in una foto precedente il bombardamento del febbraio 1945. Fonte: https://de.wikipedia.org/wiki/C%C3%A4sar-_und_Kn%C3%B6ffelsches_Haus |
Bellotto
viveva all’epoca in un’abitazione di undici stanze nel Cäsar- und Knöffelsches Haus, complesso abitativo costruito nel
1746 dall’architetto Johann Christoph Knöffel (già
citato in precedenza) e severamente danneggiato nel 1760. Nello stesso edificio
avevano i loro appartamenti anche altri italiani importanti (mercanti, attori).
Si trattava di una moderna abitazione di lusso, arredata in parte secondo il
più recente stile aristocratico francese, in parte tenendo conto di
reminiscenze veneziane (ad esempio nella scelta degli specchi). Il clima
aristocratico era in linea con lo stile di vita nobiliare condotta dall’artista
già secondo la testimonianza di Heinrich von Heineken (anche di lui abbiamo già
scritto più volte) nella sua biografia sull’artista.
L’abitazione, del resto, aveva ben quattro
vani che avevano funzione di rappresentanza (biblioteca, gabinetto di
quadri, sala da pranzo e salotto). Nel catalogo manoscritto si fa poi
riferimento a due interi servizi di porcellana di Meißen, doni che il primo ministro von Brühl concedeva esclusivamente ad appartenenti agli strati più
alti della società. L’autografo elenca 550 libri per complessivi 1000 tomi (vi
comparivano esemplari di grandissimo pregio che il pittore aveva sicuramente
portato da Venezia).
Stando al documento inedito, il gabinetto
dei quadri di Bellotto era costituito da 59 tele: l’autrice sottolinea
acutamente che, stando alla descrizione delle abitazioni di Sebastiano Ricci e
di Antonio Pellegrini, a Venezia le tele erano distribuite in tutti i vani della casa; qui si afferma invece il gusto parigino che porta a radunare i
quadri in un’unica stanza, secondo la logica del Salon, utilizzando ogni centimetro quadrato di superficie
disponibile (si veda l’incisione qui sopra del prussiano Chodowiecki). Bellotto
ci fornisce ogni informazione utile su quadri e statue che gli appartenevano. I
nuclei fondanti del gabinetto erano tre: il primo era costituito da 18 tele
opera del pittore stesso; vi erano poi una serie di opere di pittori veneziani
contemporanei e quadri di maestri antichi. I pittori veneziani contemporanei
sono Giambattista Tiepolo, Giambattista Pittoni, Francesco Fontebasso, Jacopo
Amigoni e Gaspare Diziani, presenti spesso con bozzetti in olio su tela che
danno l’idea di come fossero le opere nelle loro dimensioni reali. Fra i maestri
antichi si rintracciano Rubens, Van Dyck, Veronese e Bassano. L’autrice coglie
l’occasione per operare un’analisi comparata fra il gabinetto di Bellotto e la
collezione di quadri che Heinrich von Heineken si vide costretto a vendere
all’incanto nel 1757 (sempre per via della guerra). Proprio a questo
scopo fu redatto un catalogo a stampa da cui risulta che anche von Heineken
amava l’arte veneziana, ma non disdegnava nemmeno i fiamminghi. È probabile che anche altri
artisti di riferimento a Dresda, come il
pittore di corte Louis de Silvestre (di chiaro gusto francese) e Giovanni
Battista Casanova (che forse riflette un influsso classicheggiante romano)
avessero i loro gabinetti personali in città.
Sven Pabstmann
Rembrandt, Rubens, Permoser - Ruhm und Glanz barocker Kunstsammlungen in Leipzig. Anmerkungen zur Sammlunggeschichte der Stadt Leipzig um 1700
[Rembrandt, Rubens, Permoser: fama e splendore delle collezioni d'arte barocche a Lipsia. Considerazioni sulla storia del collezionismo a Lipsia nel Settecento]
[Rembrandt, Rubens, Permoser: fama e splendore delle collezioni d'arte barocche a Lipsia. Considerazioni sulla storia del collezionismo a Lipsia nel Settecento]
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Fig. 30) Peter Paul Rubens, Il miracolo della nave di Santa Walburga, 1611 circa |
Il
fenomeno del collezionismo non fu un’esclusiva di Dresda. Lo storico dell’arte
tedesco Sven Pabstmann si occupa del caso di Lipsia [16], capitale economica
della Sassonia, e sottolinea come almeno un centinaio di collezionisti siano vissuti in città tra metà Cinquecento e fine del Settecento. Come si è detto,
nella maggior parte dei casi si trattava di studiosi di scienze naturali. Tra i
molti collezionisti di arte cui si fa riferimento, vorrei ricordare il
farmacista Johann Heinrich Linck il vecchio (1674-1734), per i suoi rapporti
con il londinese Hans Sloane, e il commerciante Johann Christoph Richter
(1689-1751) che possedeva circa 300 quadri, fra cui opere di Rubens, Rembrandt,
van Dyck e Lucas Cranach. Ma l’attenzione di Pabstmann è rivolta soprattutto al
fratello minore del commerciante, ovvero al mercante Johann Zacharias Richter
(1696-1764) e al suo ‘Gabinetto di pittura’ (Malerey-Cabinett), di cui faceva parte anche Il miracolo della nave di Santa Walburga di Rubens. I figli di
Johann Zacharias (Johann Thomas e Johann Friedrich) continuarono ad alimentare
la collezione, che giunse fino a 400 tele, fra le quali opere di Veronese,
oltre a diverse decine di migliaia di incisioni in rame, e la resero
accessibile al pubblico (attirando visitatori da tutta la
Germania). La loro fu però l’ultima generazione a occuparsene e la collezione si
disperse in età napoleonica
Anna Oleńska
Magnificentia principis. Brühl Artistic Activities in Poland as a Means of Political Self.-Propaganda
[Magnificentia principis: le iniziative artistiche di Brühl in Polonia come strumento di auto-propoaganda]
Magnificentia principis. Brühl Artistic Activities in Poland as a Means of Political Self.-Propaganda
[Magnificentia principis: le iniziative artistiche di Brühl in Polonia come strumento di auto-propoaganda]
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Fig. 31) Johann Friedrich Knöbel e Joachim Daniel von Jauch, Palazzo Brühl a Varsavia, 1754-1759. Foto del 1939 |
Le
iniziative artistiche intraprese dal conte von Brühl in Polonia erano cariche
di significato politico. Se ne occupa il contributo della storica dell’arte
polacca Anna Oleńska [17]. Von Brühl, in Polonia (e Lituania) non era certo
amato, e a dimostrarlo sta la straordinaria fortuna che qui conobbe il falso
pamphlet fatto scrivere da Federico II di ci si è detto all’inizio. Il mecenatismo artistico di von Brühl fu il
tentativo (non necessariamente fortunato) di vedersi attribuito una nuova forma
di legittimazione a Varsavia (dove si era trasferito durante l'assedio di Dresda da parte delle truppe prussiane. Dapprima tentò di vedersi accreditare false origine familiari polacche e non riuscendo ad essere accettato in tale maniera, tentò di accattivarsi la locale aristocrazia facendo affluire opere d'arte nella capitale polacca.
Olga Popova
Andre Belosselsky as Art Agent of Catherine II in Dresden Seen Through His Correspondence With Alexander Golitsyn
[Andre Belosselsky agente artistico di Caterina II a Dresda visto alla luce della sua corrispondenza con Alexander Golitsyn]
Le
vicende del conte von Brühl portano inevitabilmente gli studiosi a occuparsi
anche del collezionismo della zarina Caterina II di Russia, che dal conte
sassone comprò le collezioni. La storica dell’arte russa Olga Popova osserva
come Caterina II, tra 1760 e 1780, si sia servita continuamente (e spesso con
spregiudicatezza) di nobili russi e di intermediari internazionali per entrare
in possesso di collezioni d’arte [18]. Del resto, uno dei suoi obiettivi
principali era quello di espandere e consolidare il patrimonio artistico russo.
In questo contesto, assume particolare rilievo la figura di Dimitri Alekseyevich
Golotsyn (Дмитрий Алексеевич Голицын) (1734-1803), ambasciatore russo prima in
Francia poi in Olanda, e infine vice-cancelliere russo, uomo molto vicino sia
alla zarina sia agli illuministi francesi. Fu grazie alla sua opera (e
all’amicizia di uomini come Diderot) che Caterina acquisì numerose collezioni:
quelle del Principe Charles-Joseph de Ligne, del belga Conte Cobenzl, di
François Tronchin e di Crozat.
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Fig. 32) Roars Fyodor Stepanovich, Ritratto di Alekseyevich Golotsyn, ca. 1760. |
L’acquisto
della collezione privata d’arte del Primo Ministro von Brühl nel 1768 fu un ulteriore
passo in questo senso. Il mediatore locale di Golotsyn fu il Principe Andrey
Mikhaylovich Belosselsky (ambasciatore prima a Londra, poi a Parigi e infine a
Dresda, tra 1766 e 1771), già incontrato per i contatti con Giovanni Battista
Casanova. Olga Popova esamina il carteggio intercorso tra Golotsyn e Belosselsky.
Al suo
arrivo a Dresda, Andrey Mikhaylovich si interessò in una prima fase alla
collezione di gemme di Lippert. Poi entrò in contatto con Giovan Battista
Casanova. La relazione tra i due divenne molto solida, al punto che Belosselsky,
nel 1771, accompagnò Casanova in Italia, in cerca di opere che potessero essere
acquisite o per le collezioni imperiali o per Golotsyn, a titolo personale.
Il
carteggio documenta molte operazioni eseguite nel corso degli anni: una di
queste è, ad esempio, la vendita a Caterina di quattro lavori di Giulio Carpioni
nel 1767. Ma l’acquisizione di gran lunga più importante è proprio quella dei
dipinti un tempo appartenuti al conte von Brühl nel 1768. In quell’occasione
rimase sospeso il destino delle opere grafiche, per la cui vendita fu comunque
predisposto un catalogo. Quattro lettere sono dedicate al tema. Purtroppo una
lacuna nel carteggio impedisce di conoscere l’esito della contrattazione.
NOTE
[1] Luh, Jürgen – Wie die Schrift Friedrich den Großen zu einem Gewinner und Heinrich von Brühl zu einem Verlierer der Geschichte machte, pp 24-34, in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) Ein sächsischer Mäzen in Europa. Akten der internationalen Tagung zum 250. Todesjahr, a cura di Ute C. Koch e Cristina Ruggero. Convegno organizzato dalle Collezioni d’arte di Stato (Staatliche Kunstsammlungen) a Dresda e dalla Bibliotheca Hertziana – Max-Planck-Institut per la Storia dell’arte, Roma, Dresda, Sandstein Verlag, 2017, 547 pagine.
[2] Metasch, Frank – Auf dem Weg in den Bankrott. Die sächsischen Staatsschulden unter Heinrich Graf von Brühl, pp. 35-50, in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), 2017.
[3] Koch, Ute C. – Die Tapisserien im Besitz von Heinrich Graf von Brühl, pp. 54-69, in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), 2017.
[4] Liefkes, Reino – The Triumph of Amphitrite, pp. 70-87, in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), 2017.
[5] Bodinek, Claudia – Ein Tafelservice für den Grafen. Das Brühlsche Allerlei reviewed, pp. 88-97, in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), 2017.
[6] Schuster, Martin - „die Galerie ist Ihr Werk, und ich habe davon nur die Ehre, Sie jedoch den Ruhm“ Carl Heinrich von Heineken und die Publikation der Gemäldegalerie von Heinrich Graf Brühl, pp. 98-113, in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), 2017.
[7] Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), pp. 470-473.
[8] Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), pp.473-475.
[9] Schuster, Martin - „die Galerie ist Ihr Werk (citato), p. 110.
[10] Lieber, Maria e Klingebeil-Schiele, Josephine – Kulturtransfer e provenienze: la biblioteca private di Heinrich von Brühl nel contest della cultura di corte sassone, pp. 114-129, in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), 2017.
[11] Lieber, Maria e Klingebeil-Schiele, Josephine – Kulturtransfer e provenienze (citato), pp.118-119.
[12] Lieber, Maria e Klingebeil-Schiele, Josephine – Kulturtransfer e provenienze (citato), p. 220.
[13] Brückner, Jenny – « Ein vornehmer Herr hat ein Kabinett…» Dresdner Sammler im 18. Jahrhundert , pp. 194-211, in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), 2017.
[14] Manikowska, Ewa – Tra Venezia e Dresda. Il gabinetto di quadri di Bernardo Bellotto nella Salzgasse, pp. 212-220, in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), 2017.
[15] Lieber, Maria e Klingebeil-Schiele, Josephine – Kulturtransfer e provenienze (citato), p. 213.
[16] Pabstmann, Sven – Rembrandt, Rubens, Permeser – Ruhm und Glanz barocker Kunstsammlungen in Leipzig. Anmerkungen zur Sammlungsgeschichte der Stadt Leipzig um 1700, pp. 221-237, in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), 2017.
[17] Oleńska, Adriana – Magnificentia principis. Brühl’s Artistic Activities in Poland as a Means of Political Self-Propaganda, pp. 238-255, in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), 2017.
[18] Popova, Olga - Andre Belosselsky as Art Agent of Catherine II in Dresden Seen Through his Correspondence with Alexander Golitsyn, pp. 256-267, in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), 2017.
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