Pagine

venerdì 26 gennaio 2018

[Il conte Heinrich von Brühl (1700-1763): un mecenate sassone in Europa]. A cura di Ute C. Koch e Cristina Ruggero. Parte Prima


English Version

Heinrich Graf von Brühl (1700-1763). Ein sächsischer Mäzen in Europa.
[Il conte Heinrich von Brühl (1700-1763): un mecenate sassone in Europa].
A cura di Ute C. Koch e Cristina Ruggero


Convegno organizzato dalle Collezioni d’arte di Stato (Staatliche Kunstsammlungen) a Dresda e dalla Bibliotheca Hertziana – Max-Planck-Institut per la Storia dell’arte, Roma
Dresda, Sandstein Verlag, 2017, 547 pagine

Recensione di Francesco Mazzaferro. Parte Prima

Fig. 1) Gli atti del convegno su Il conte Heinrich von Brühl (1700-1763). Un mecenate sassone in Europa, pubblicati nel 2017

Il conte Heinrich von Brühl (1700-1763) fu ministro delle finanze e primo ministro del Principato di Sassonia e Regno di Polonia (che, all’epoca comprendeva anche la Lituania), uomo di fiducia di Augusto II e Augusto III, e grande mecenate d’arte, con rapporti molto intensi con tutta l’area culturale italiana e francese. Alla sua figura, come politico e uomo di cultura, collezionista e promotore d’arte è stato dedicato un convegno internazionale, che si è tenuto in due fasi, la prima il 13-14 marzo 2014 a Dresda e la seconda il 20-21 marzo 2014 a Roma. Gli atti sono stati pubblicati nel 2017 nella lingua originale degli oratori: in tedesco, italiano, francese ed inglese.
  

Fig. 2) Louis de Silvestre, Ritratto del conte Heinrich von Brühl, 1730 circa. Nel dipinto, il conte indossa l’Ordine dell’Aquila nera, che il giovane von Brühl aveva ricevuto da,l re Federico Guglielmo I di Prussia

Si tratta – storicamente – di un atto dovuto, volto a rivalutare una figura che ha sofferto una delegittimazione sistematica (e certamente eccessiva) a opera del maggior nemico politico di von Brühl, quel Federico II di Prussia che lo odiava a tal punto da far pubblicare falsi pamphlet contro la sua persona e da ordinare alle truppe prussiane che marciavano sulla Sassonia, durante la Guerra dei Sette Anni (1756-1763), di distruggerne sistematicamente tutte le proprietà. La vittima più celebre della violenza prussiana fu il Belvedere di Dresda, fatto erigere qualche anno prima dal conte sassone  sulla riva ‘nobile’ dell’Elba, autentico gioiello dell’arte rococò. Quando la guerra finì nel 1763, la Sassonia era a pezzi e non fu più in grado di onorare i propri impegni finanziari. Von Brühl fu messo agli arresti dalla stessa casa di Sassonia, accusato di aver condotto una vita del tutto al di sopra dei propri mezzi e di aver portato le finanze pubbliche al disastro. Il conte morì prima della sentenza del processo che lo riguardava; la sua assoluzione postuma suona quindi come una beffa, e peraltro non dispensò gli eredi dall’obbligo di trovare una transazione concordataria coi creditori. Proprio dal processo provengono, comunque, le carte che permettono di ricostruire con grande precisione gli averi di von Brühl, e, in particolare, le opere d’arte in suo possesso al momento della morte.

Fig. 3) Jean-Joseph Balechou, Ritratto del conte von Brühl come primo ministro. Incisione tratta da un dipinto perduto di Louis de Silvestre, 1750

Gli atti del convegno consentono di ricostruire, piuttosto, come, negli anni d’oro della Casata di Wettin, von Brühl sia stato fondamentale non solo per assicurare e mantenere forti i legami tra Sassonia e Polonia, ma anche per fare di Dresda, Lipsia e Varsavia centri d’arte e di cultura di altissimo livello, attrarre, ad esempio, un folto numero di artisti italiani e costituire collezioni d’arte pubbliche e private provenienti dal nostro paese. Due casi su tutti: nel 1727 Augusto II il Forte compra a Roma una trentina di statue dalla famiglia Albani; nel 1745 (con una decisione che ha risonanza in tutta Europa) Augusto III acquista le collezioni estensi di Modena. Von Brühl coltiva rapporti diretti con Anton Raphael Mengs (1728-1779) e Johann Joachim Winckelmann (1717-1768) nel corso della loro permanenza romana; si serve di Francesco Algarotti (1712-1764), Luigi Crespi (1708-1770) e Giovanni Lodovico Bianconi (1717-1781) per selezionare opere d’arte italiane, antiche o moderne, potenzialmente acquistabili. I beni vengono comperati dai regnanti di Sassonia anche grazie alla politica finanziaria del conte, che fa della Sassonia-Polonia uno dei regni più ricchi d’Europa proprio in una contingenza storica in cui le casate italiane sono in situazione di grande difficoltà finanziaria e hanno urgente bisogno di liquidità. Von Brühl non esita a beneficiare delle medesime condizioni di precarietà finanziaria dei regnanti italiani anche a titolo personale, arricchendo le sue collezioni spesso a prezzi convenienti. In virtù di una specie di legge del contrappasso, qualche decennio dopo, fu invece la Sassonia stessa (e il suo ex ministro delle finanze e primo ministro) a finire in dissesto economico. La collezione di quadri di von Brühl fu venduta dagli eredi a Caterina II di Russia per far cassa.

Fig. 4) La Terrazza di Brühl a Dresda, nella sistemazione attuale, che comprende edifici ottocenteschi come l’Accademia di Belle Arti (in primo piano).

Il corposo volume degli atti comprende sezioni che si occupano della figura del conte come uomo pubblico e collezionista, ma spaziano anche sul collezionismo sassone del Settecento, sui rapporti culturali tra Italia e Dresda e sul mecenatismo europeo dell’epoca. Di tutto ciò parlerò nelle due parti che costituiscono questa recensione. Solo due parole, invece, per accennare alle numerose opere architettoniche fatte edificare da von Brühl (ad esempio, i suoi palazzi a Dresda ed Varsavia), argomento solo marginalmente in linea con l’interesse principale di questo blog. Probabilmente von Brühl sarebbe oggi soprattutto orgoglioso della sistemazione della fortezza sull’Elba, trasformata in un complesso di costruzioni rococò su progetto dell’architetto francesizzante Johann Christoph Knöffel: la Galleria, la Biblioteca, il Belvedere, il Palazzo Brühl e i Giardini. Ancora oggi si parla della terrazza sulla sponda nobile dell’Elba come della Terrazza di Brühl, ovvero Brühlsche Terrasse.

Fig. 5) Piano per la sistemazione della Terrazza di Brühl nel 1761, dopo la distruzione del Belvedere nel 1759.

Parte di quel complesso (ad esempio il Belvedere) fu distrutto dalle truppe prussiane durante l’attacco a Dresda del 1759. Il Palazzo Brühl, finito nel 1744, fu invece distrutto nel 1900 per far spazio ad altri edifici pubblici. Il conte fece anche edificare Palazzo Brühl-Marcolini nei sobborghi della città (costruito anch’esso da Johann Christoph Knöffe, fu trasformato nel 1849 in un ospedale e parzialmente bombardato nel 1945). Fece inoltre ristrutturare due castelli (ancora esistenti) fuori città, rispettivamente a Nischwitz e Pförten. In Polonia von Brühl fece poi costruire il Palazzo Brühl, nel centro di Varsavia, e una residenza di campagna a Wola.

Fig. 6) Johann Christoph Knöffel, Facciata e pianta del Palazzo Brühl-Marcolini, 1746. Fonte: Barbara Bechter, Der Brühlsche Garten in Dresden-Friedrichstadt, in: Die Gartenkunst, 19 (2007), Nr. 1, pp. 1-46. Si veda. http://archiv.ub.uni-heidelberg.de/artdok/2415/1/Bechter_Der_Bruehlsche_Garten_in_Dresden_Friedrichstadt_2007.pdf
Fig. 7) Quel che è rimasto dell’ingresso del Palazzo Brühl-Marcolini nei sobborghi di Dresda, oggi integrato nell’ospedale di Friedrichstadt
  
Von Brühl personaggio pubblico

Jürgen Luh
Wie die Schrift Friedrich den Großen zu einem Gewinner und Heinrich von Brühl zu einem Verlierer der Geschichte machte
[Come la scrittura ha fatto di Federico il Grande un vincitore e di Heinrich von Brühl un perdente della storia]

Lo storico tedesco Jürgen Luh (1963-) si sofferma sul diverso modo con cui Federico il Grande di Prussia (1712-1786) e von Brühl fecero uso della propaganda a mezzo stampa [1]; due diversi approcci che (sia chiaro: oltre alle sorti della guerra dei Sette Anni) determinarono il successo del primo e segnarono la damnatio memoriae del secondo, tanto che di von Brühl si è continuato a parlar male  per centinaia di anni (sia dalla gran parte degli storiografi tedeschi sia in romanzi storici come quelli dello scrittore polacco Jósef Ignacy Kraszweski). Federico fece un uso attivo e consapevole della stampa, mentre Heinrich, in sostanza, se ne disinteressò. Il sovrano prussiano, ad esempio, espresse giudizi trancianti su von Brühl nelle sue memorie (Historie de mon temps, 1746), scritte quando aveva solo trent’anni, e fu l’artefice di quella che oggi chiameremmo un’autentica fake news, commissionando nel 1760 a Johann Heinrich Gottlob von Justi (1717–1771) uno scritto di pura diffamazione, falsamente definito come un pamphlet scampato dal fuoco (ma in realtà inesistente). Il testo si intitolava “La Vie Et Le Caractère De Mr. Le Comte De Bruhl, Premier Ministre De Sa Majesté Le Roi De Pologne Et Électeur De Saxe: Pièce Échappé Du Feu”.

Fig. 8) Johann Heinrich Gottlob von Justi, La Vie Et Le Caractère De Mr. Le Comte De Bruhl, Premier Ministre De Sa Majesté Le Roi De Pologne Et Électeur De Saxe: Pièce Échappé Du Feu, 1760

Il Primo Ministro sassone, invece, non mise mai per iscritto le sue ragioni e si limitò, nel 1761, a commissionare all’incisore Michael Keyl (1722-1798) un album volto a documentare la distruzione del Belvedere a Dresda perpretata dai prussiani. Anche se una delle incisioni che vi sono contenute descrive Federico II come un despota nemico dell’arte e della libertà, Jürgen Luh sostiene insomma che Federico II fosse molto più efficace nell’orientare l’opinione pubblica europea di quanto non sia stato il primo ministro di Sassonia-Polonia.

Fig. 9) Profilo del Belvedere fatto costruire da Heinrich von Brühl sulla sponda dell’Elba nel 1751 (e poi distrutto dai prussiani nel 1759) in una incisione di Michael Keyl, Dresda, 1761
Fig. 10) Michael Keyl, Belvedere que S.E. Monseigneur le Premier Ministre Comte de Bruhl fit bâtir l'an 1751. Cet ornement de Dresde précieux modèle de l’architecture détruit de fond en comble par ordre de S.M. le Roi de Prusse l'an 1759, Dresda, 1761. Fonte: https://polona.pl/item/belvedere-que-se-monseigneur-le-premier-ministre-comte-de-bruhl-fit-batir-lan-1751,NTg1MjUwOQ/2/#item

L’odio di Federico II per von Brühl, peraltro,  pare si nutrisse di risentimenti personali: il padre, Federico Guglielmo I di Prussia (1688-1740) ebbe sempre grande considerazione del giovane von Brühl, e pochissima del figlio, che preferiva dilettarsi di filosofia piuttosto che prepararsi a regnare. È certo che, a un certo punto, von Brühl informò Federico Guglielmo I che suo figlio aveva intenzione di abbandonare la corte e fuggire da Berlino. Come segno di gratitudine, il monarca lo premiò con una delle più alte onorificenze prussiane, mai concesse a uno straniero: l’Ordine dell’Aquila nera (il simbolo dell’onorificenza compare nel ritratto del conte dipinto da Louis de Silvestre del 1730 – cfr. fig. 2).

Fig. 11) Bernardo Bellotto, La vecchia Kreuzkirche a Dresda, 1750
Fig. 12) Bernardo Bellotto, Le rovine della vecchia Kreuzkirche a Dresda, 1765

Frank Metasch
Auf dem weg in den Bankrott.
Die sächsischen Staatsschulden unter Heinrich Graf von Brühl

[Sulla via della bancarotta: il debito pubblico della Sassonia sotto il conte von Brühl]

Lo storico tedesco Frank Metasch prende in esame alcuni degli aspetti più generali della storia finanziaria della Sassonia nel Settecento e cerca di individuare l’origine del dissesto economico sassone sotto il conte von Brühl [2]. Già a inizio secolo (quando il conte era soltanto un bambino) il paese aveva bisogno di mezzi finanziari ingenti per mantenere la corte e l’esercito; fu introdotta una tassazione generale dei consumi, che comprimette l’economia, ma non riuscì comunque a coprire il fabbisogno. La Sassonia ebbe quindi i conti in rosso per molti anni; per onorare i debiti fu creata una banca di stato nel 1698 e una lotteria nel 1713. Quella sassone, peraltro, fu una situazione perfettamente in linea con la tendenza generale delle case regnanti in Germania e in Europa: solamente la Prussia consolidò in quegli anni le proprie finanze e arricchì il suo patrimonio. Per qualche tempo anche von Brühl riuscì a stabilizzare le traballanti finanze sassoni. Furono, quelli, anni di successo professionale, tanto che il conte passò in breve tempo da incarichi amministrativi a posizioni dirigenziali, fino a divenire nel 1733 l’equivalente del direttore generale del tesoro, nel 1738 ministro del tesoro e nel 1746 primo ministro. Fino al 1737 i conti della Sassonia non furono del tutto disastrosi, grazie all’accentramento della macchina fiscale che consentiva di aumentare le imposte. Va detto comunque che non vi era alcuna trasparenza: il livello dell’indebitamento non era reso pubblico ed era fortemente legato alle spese militari, su cui non vi era alcuna possibilità di discutere (si pensi alle operazioni militari sassoni in Polonia, ma anche alla partecipazione alle campagne austriache contro l’impero ottomano). Nessuno sapeva quale fosse il livello d’indebitamento dei regnanti (era un segreto ben custodito; il debito non era strutturato nella forma di titoli pubblici di emissione; gli interessi erano patteggiati bilateralmente con i creditori). Ciò spiega perché quando nel 1763, alla fine della Guerra dei Sette Anni, i rappresentanti degli Stati sociali furono per la prima volta informati del disastro dei conti, l’indebitamento risultò essere cresciuto del 800% rispetto alla precedente informativa che risaliva al 1749. Metà delle entrate fiscali servivano per pagare i soli interessi sul debito e la pressione fiscale era tale da erodere ogni speranza di crescita. Fu appunto solo nel 1763 (anno delle dimissioni e della morte di von Brühl) che si presero decisioni drastiche che riportarono il bilancio in equilibrio.


Von Brühl collezionista

Ute C. Kock
Die Tapisserien im Besitzvon Heinrich Graf von Brühl
[Gli arazzi di proprietà del conte Heinrichvon Brühl]

Le grandi collezioni di arazzi, porcellane, quadri e libri di von Brühl furono il risultato di anni di incessante politica di acquisti, ma anche di regali vari ricevuti dai sovrani.

Fig. 13) Johann Christoph Knöffel, Progetto per il Palazzo Brühl a Dresda, 1744

Nel suo intervento, la storica dell’arte Ute C. Koch esamina la collezione di arazzi francesi del conte [3]. Oggi si sa che von Brühl conservava nel suo Palazzo a Dresda, al momento della morte, una serie di dodici arazzi prodotta dalla Manufacture des Gobelins di Parigi, e più precisamente da Michel Audran (1701–1771) e Mathieu Monmerqué (senza data di nascita-1749). Gli arazzi riproducevano la serie oggi perduta dei Mesi di Luca (originariamente creata da un anonimo maestro fiammingo del 1500 e all’epoca attribuita per errore a Luca di Leida). La serie fu inviata dalla Francia a von Brühl come regalo di nozze; la cosa incredibile è che, però, non si trattava del suo matrimonio, ma di uno che riguardava la casa di Sassonia e i Borbone di Francia nel 1746 (celebrato sfarzosamente proprio al Palazzo Brühl-Marcolini). La circostanza spiega comunque in quale stima il primo ministro fosse tenuto nelle corti di tutta Europa. Von Brühl ebbe modo di sdebitarsi l’anno dopo (nel 1747), inviando un servizio di 1200 pezzi in porcellana al ministro degli esteri francese. Gli eredi di von Brühl alienarono poi la proprietà degli arazzi alla casa di Sassonia nell’ambito del concordato successivo al processo. La maggior parte degli arazzi sono andati persi durante la Seconda Guerra Mondiale, fatta eccezione per aprile (oggi al Louvre), agosto (al Museo Puschkin di Mosca) e novembre (all’Hermitage di San Pietroburgo). Oltre alla serie dei mesi, la collezione di tappezzeria di von Brühl comprendeva anche opere del fiammingo Philippe Behagle (1641-1705): si trattava di sette pezzi sulle Conquiste di Luigi XIV e la Glorificazione di Luigi XIV, prodotti a Beauvais e Tournai. Nel castello di Pförten si trovavano, prima della Seconda Guerra Mondiale, anche numerosi arazzi rappresentanti paesaggi, prodotti ad Aubisson.


Reino Liefkes 
The Triumph of Amphitrite: The Resurrection of Count Brühl's Lost Table Fountain at the Victoria and Albert Museum, London
[Il Trionfo di Anfitrite: la resurrezione della perduta fontana da tavola del conte Brühl al Victoria and Albert Museum di Londra]

Fig. 14) La ceramica di Meißen che riproduce il gruppo scultoreo Il trionfo di Anfitrite di Lorenzo Mattielli. È opera di Johann Joachim Kändler insieme a Johann Gottlieb Ehder, Johann Friedrich Eberlein e Peter Reinicke. Fonte: http://collections.vam.ac.uk/item/O1318531/the-triumph-of-amphitrite-fountain-kandler-johann-joachim/
Fig. 15) Zacharias Longuelune e Lorenzo Mattielli, Il trionfo di Anfitrite, Parco del Palazzo Brühl-Marcolini, 1744-1746. Fotomontaggio del 2006 senza l’ospedale moderno sullo sfondo. Fonte: Barbara Bechter, Der Brühlsche Garten in Dresden-Friedrichstadt, in: Die Gartenkunst, 19 (2007), Nr. 1, pp. 1-46. Si veda: http://archiv.ub.uni-heidelberg.de/artdok/2415/1/Bechter_Der_Bruehlsche_Garten_in_Dresden_Friedrichstadt_2007.pdf

Lo studioso inglese Reino Liefkes, del Victoria and Albert Museum di Londra, dedica il suo contributo a un gruppo di figure in porcellana, realizzato nel 1745 da Johann Joachim Kändler (1706-1775) e altri artefici su richiesta di von Brühl. La serie è oggi esposta appunto al museo londinese[4]. Le figure costituiscono un modellino in scala della fontana che sempre il primo ministro di Sassonia e Polonia commissiona all’architetto francese Zacharias Longuelune (1669-1748) e allo scultore italiano Lorenzo Mattielli (1687-1748) nel 1744-1746 per il parco del suo palazzo Brühl-Marcolini nei sobborghi di Dresda. La versione da tavola della fontana, in porcellana, era utilizzata come ornamento nei pranzi di gala.


Claudia Bodinek
Ein Tafelservice für den Grafen. Das Brühlsche Allerlei reviewed
[Un servizio da tavola per il conte: l'Allerlei di Brühl rivisitata]

Fig. 16) Un esemplare facente parte della Brühlsches Allerlei, 1745

La storica dell’arte tedesca Claudia Bodinek dedica un articolo alla collezione di ceramiche di von Brühl, che raggiungeva 2500 oggetti [5] (a Brühl appartiene fra l’altro un famoso servizio chiamato Brühlsches Allerlei: Allerlei vuol dire che il servizio è talmente diversificato da comprendere ogni tipologia esistente di ceramica). Le dimensioni della collezione del conte si spiegano con il fatto che era stato nominato co-direttore prima (1733) e direttore unico poi (1739) della fabbrica di porcellana di Meißen, a quei tempi una realtà economica di primaria importanza a livello europeo. Svolgendo quella funzione, von Brühl, già dal 1733, è autorizzato a fornirsi direttamente presso la fabbrica anche per le sue necessità, senza pagamento alcuno. Non si pensi che si trattasse di esigenze marginali: si ritiene che le necessità della casa reale e del primo ministro in certi momenti assorbissero un terzo della produzione di Meißen. Va peraltro detto che parte delle necessità del conte erano determinate dall’esigenza protocollare di fare regali di natura diplomatica (si ricordi l’episodio sopra citato del regalo del 1747 al ministro degli esteri francese). 


Martin Schuster
«die Galerie ist Ihr Werk, und ich habe davon die Ehre, Sie jedoch den Ruhm...». Carl Heinrich von Heineken und die Publikation der Gemäldegalerie von Heinrich von Brühl

«la Galleria è la sua opera, e io ho l'onore, ma lei la fama...». Carl Heinrich von Heineken e la pubblicazione della galleria dei quadri di Heinrich von Brühl

Fig. 17) Pierre-Étienne Moitte da Frans Mieris, L’uovo rotto, 1754 ca. e l’originale di Frans Mieris (seconda metà del Seicento), oggi all’Hermitage.
Fig. 18) Pierre François Tardieu da Peter Paul Rubens, Perseo e Andromeda, 1754, ca. e l’originale del 1620-1625, oggi all’Hermitage

Si stima che la quadreria del conte comprendesse oltre seicento dipinti. Se ne occupa lo storico dell’arte di Dresda Martin Schuster [6]. L’unico strumento per ricostruirla almeno parzialmente, in assenza di un catalogo, è – per Schuster - la Recueil d'estampes gravées d'après les tableaux de la galerie de S. E. M. le Comte de Brühl, il cui primo volume fu pubblicato nel 1754, con l’indicazione di sole cinquanta, selezionatissime, opere (la lista precisa è riprodotta in appendice del volume [7]). La raccolta di stampe (il cui modello è ovviamente la Recueil Crozat di Pierre-Jean Mariette) fu stampata in duecento copie; le immagini erano state tradotte a stampa da ventuno diversi incisori (soprattutto francesi), scelti allo scopo tramite una specie di concorso. Negli anni immediatamente precedenti e successivi fu pubblicata in due parti anche la raccolta a mezzo stampa dei quadri contenuti nella collezione di Augusto III di Sassonia: il coordinamento dei due progetti (quello per la galleria reale e quello per la collezione privata di von Brühl) fu affidato al medesimo studioso: Carl Heinrich von Heineken (1707–1791). Il problema principale, nel caso della raccolta von Brühl , è che fu pensata in due volumi e comunque non con l’obiettivo di fornire una visione esaustiva della collezione, ma con criteri antologici, secondo i dettami del gusto dell’epoca. Il secondo volume della raccolta non uscì mai: la sua pubblicazione fu impedita dalla guerra con la Prussia prima, e dall’alienazione delle opere a Caterina II di Russia nel 1768 da parte degli eredi del conte (la pagina web dell’Hermitage consente di identificare i quadri secondo la loro provenienza: all’indirizzo  https://www.arthermitage.org/Collection-of-Count-von-Bruhl-Dresden.html si possono vedere 74 opere inventariate nel 1769 come provenienti dalla collezione Brühl). Sulla base del ritrovamento dei rami realizzati per le incisioni, Schuster è in grado di ricostruire un insieme di trentacinque opere che erano destinate a essere comprese nel secondo volume della Recueil (fra esse compaiono dipinti di Paolo Veronese, Nicolas Poussin, Bernardo Bellotto, Hans Holbein). Anche in questo caso, la lista completa è proposta nell’appendice [8]. 

Fig. 19) Johann Christoph Teucher da Giuseppe Maria Crespi, La morte di San Giuseppe, 1754 ca. e l’originale del 1712, oggi all’Hermitage`.

Come furono scelte le cinquanta opere analizzate nel primo volume? Nell’introduzione alla prima parte della Recueil, von Heineken spiega di aver selezionato gli artisti migliori, assicurandosi anche di rappresentare le diverse scuole geografiche. Aggiunge però che la maggior parte delle opere proviene dalla Francia e dalle Fiandre, sia pur con una significativa presenza italiana. Quanto ai fiamminghi, von Brühl possedeva opere di Rembrandt, David Teniers il giovane, Jacob Isaaksz, van Ruisdael, Philips Wouwerman, Ferdinand Bol, Frans Mieris, Gerrit Dou e Peter Paul Rubens (di quest’ultimo sette dipinti). Dalla Francia provengono tele di Valentin de Boulogne, Antoine Watteau e Nicolas Lancret. Quanto agli italiani, von Brühl aveva nella sua raccolta opere di Paris Bordone, Annibale Carracci, Johann Carl Loth (monacense, ma attivo a Venezia), Francesco Trevisani, Luca Giordano e Giuseppe Maria Crespi (oltre ad altre erroneamente attribuite all’epoca e a Correggio e Caravaggio). Gli spagnoli erano rappresentati da Jusepe de Ribeira.

Fig. 20) François Basan da David Teniers il giovane, Il vecchio narratore di storie, 1745 ca, e l’originale del 1640 circa, oggi all’Hermitage.
Fig. 21) Carl Ludwig Wüst da Antoine Watteau, Sacra famiglia, 1754 ca e l’originale del 1719, oggi all’Hermitage.

La Recueil von Brühl dà comunque una misura tangibile dell’importanza che la pittura ‘contemporanea’ del nord Europa rivestiva nell’ambito della collezione (all'opposto, la Recueil di stampe tratte dalla collezione di Augusto III era tutta incentrata sugli italiani). Schuster si sofferma, infine, su uno dei pochissimi quadri della raccolta ancor oggi a Dresda: si tratta di una delle tante versioni del Giudizio di Paride che Rubens dipinse. Ecco il testo critico che von Heineken abbinò all’opera. “Il giudizio di Paride. Altro quadro di Rubens, Olio su tela, lungo 23 pollici e alto 18 pollici, inciso da P.F. Tardieu, intagliato su rame da P.E. Moette. Questa tela, che era già stata incisa da A. Sommelin, è molto famosa e se ne vedono copie ovunque. Non vi è dubbio che nel caso del quadro conservato nella galleria del Primo Ministro Brühl (di cui qui viene mostrata l’incisione su rame e che proviene dall’eredità di Rubens) si tratti dell’originale. Basta osservarlo per superare ogni dubbio; e non è esagerato dire che si tratta dell’opera più bella che il pennello di Rubens abbia mai prodotto. Uomini che mancano di gusto sostengono che il pittore abbia rappresentato nelle tre dee le sue tre mogli, ma si sbagliano, poiché Rubens ha avuto solamente due mogli. La prima era Catharine Brintes di Anversa, che morì dopo quattro anni di matrimonio, la seconda era Helene Fourment, conosciuta per la sua bellezza e il suo spirito. L’ha dipinta molte volte, ed è ben possibile che lei sia stata sua modella per le sue forme femminili, forse anche per l’immagine di Venere in questo quadro” [9]. 
Fig. 22) Pierre François Tardieu e Pierre-Étienne Moitte da Peter Paul Rubens, Il giudizio di Paride, 1754 ca. e l’originale del 1636, oggi alla Pinacoteca di Dresda

Maria Lieber, Josephine Klingebeil-Schieke
Kulturtransfer e provenienze: la biblioteca privata di Heinrich von Brühl nel contesto della cultura di corte sassone

In un articolo in italiano, Maria Lieber (professoressa d’italianistica a Dresda) e Josephine Klingebeil-Schieke (sua assistente) presentano uno studio approfondito sulla biblioteca del conte von Brühl [10], composta di ben 70 mila volumi (ottomila dei quali andarono persi già durante la Guerra dei Sette Anni). Dopo la morte del primo ministro la biblioteca fu acquisita dalla casa di Sassonia. Le due autrici sottolineano il valore della raccolta per l’immagine pubblica di von Brühl; egli decise di creare una raccolta libraria di tali dimensioni soprattutto per mettere in ombra quella di un’altra personalità politica del tempo, il conte Heinrich von Bünau (1697-1762), che possedeva una biblioteca di 42 mila volumi. La scelta di dar vita a una biblioteca mastodontica (i cui volumi erano consultabili al pubblico) fu così convinta che, per ospitarla von Brühl fece costruire nel 1747 un nuovo palazzo in stile rococò sulla riva dell’Elba, progettato dall’architetto Johann Christoph Knöffel (era parte del già citato complesso della cosiddetta Terrazza di Brühl). È un altro dei numerosi edifici costruiti da von Brühl che fu distrutto a Dresda (nel 1897), a dimostrazione dell’oblio in cui l’operato del primo ministro era caduto nel tempo. In un celebre dipinto dell’epoca, opera di Bellotto, la biblioteca è chiaramente riconoscibile: si tratta dell'edificio bianco e lungo sulla sinistra della tela, sotto la cupola della Frauenkirche. 

Fig. 23) Bernardo Bellotto, Veduta di Dresda con la Frauenkirche, 1747

Sia chiaro: avendo come priorità il superamento della raccolta del rivale Bünau, il primo ministro puntò innanzi tutto sulla quantità: comprò grandi quantità di volumi non solo a Dresda, ma anche a Parigi. “La ricchezza di Brühl gli permise di acquisire costose opere di lusso, stampe pergamenacee, esemplari di grandi dimensioni, exemplaires réglés e manoscritti di considerevole valore. Era sua ambizione creare una biblioteca universale, dando però grande rilievo alle opere sulle belle arti e sulle scienze. Dai bibliotecari del principe elettore veniva considerata particolarmente completa la sezione di matematica e fisica; rispetto a questa, la sezione dedicata alla letteratura italiana, spagnola, inglese e francese era di pari livello. La collezione di antiche rappresentazioni teatrali, raccolte di poesie e romanzi in lingua francese era considerata unica in Germania. Per l’acquisizione della biblioteca [dalla casa di Sassonia] furono esaminati con scrupolo i singoli reparti e perciò si trovano cifre molto precise, che attestano la relativamente ampia, omogenea e coerente entità della raccolta” [11].

Fig. 24) Johann Jacob Haid, Ritratto di Heinrich von Bünau, 1745

L’ansia di accumulare per poter primeggiare è stata storicamente motivo di giudizi negativi sulla biblioteca; si è sottolineata la natura puramente esteriore dell’interesse del conte per la cultura come pure sono stati evidenziati grosse criticità tecniche (il catalogo frettoloso e superficiale). Lieber e Klingebeil-Schieke non si allineano a questo tipo di critiche: “Il valore aggiunto della biblioteca universale di Brühl stava da un lato nella presenza di un ampio corpus «sulle materie della storia degli stati esteri e le belle arti e le scienze», dall’altro nella rarità dei manoscritti, incunaboli e stampe antiche. Dei 270 manoscritti italiani finora trovati nelle biblioteche pubbliche della Sassonia, è stato dimostrato che ben 75 provengono dalla biblioteca di Brühl” [12].



Il mondo del collezionismo in Sassonia

Jenny Brückner
«Ein vornehmer Herr hat ein Kabinett...». Dresdener Sammler im 18. Jahrhundert
«Un signore distinto deve avere un gabinetto...». Collezionisti a Dresda nel XVIII secolo


La storica tedesca Jenny Brückner mira a sottolineare, nel suo contributo, che il mondo del collezionismo nella Dresda nel Settecento non si limitava alle figure del re e del primo ministro [13], ma riguardava molti altri soggetti, essendo espressione di una sensibilità diffusa. Avere una collezione (di qualsiasi tipo essa fosse) era un comportamento socialmente condiviso. Proprio in quegli anni, ad esempio, gli studi di scienze naturali subirono un’enorme accelerazione proprio in virtù della condivisione sociale dei criteri sistematici ed enciclopedici della cultura che li promosse.

Fig. 25) Anton Graff, Ritratto di Philipp Daniel Lippert, 1774

Tra i molti collezionisti citati nel saggio, sembra utile far breve riferimento a Philipp Daniel Lippert (1702-1785) e a Giovanni Battista Casanova (1730–1795), per i rapporti che essi ebbero con il mondo dell’arte. Lippert fu prima disegnatore impegnato nel mondo della ceramica, poi pittore di corte dal 1739, e infine professore di antichità all’Accademia di Belle Arti di Dresda, a partire dal 1764. Collezionò e classificò gemme e mantenne relazioni frequenti e stabili con Winckelmann e Mengs.

Fig. 26) Crescentius Josephus Johannes Seydelmann, Ritratto di Giovanni Battista Casanova, ante 1795.

Giovanni Battista Casanova (1730–1795), fratello del più famoso Giacomo e anch’egli (come Lippert) professore all’Accademia di Belle Arti di Dresda, collezionò di tutto. Nelle sue raccolte erano conservati 1800 fra disegni e stampi, a cui faceva ricorso per le sue lezioni. Fu anche intenditore di gemme (fu nominato perito per fissare il valore della collezione di gemme del conte von Brühl dopo la sua morte) ed ebbe una serie di cammei, che vendette a Caterina II di Russia nel 1792 (sono oggi custoditi all’Hermitage). Casanova fu peraltro agente commerciale per l’inviato russo a Dresda, il conte Andrey Mikhaylovich Belosselsky (Андрей Михайлович Белосельский) (1735-1776) e proprio per questo, nel 1768, agì come intermediario per la vendita della collezione von Brühl a Caterina II. 

Fig. 27) Alexander Roslin, Ritratto di Andrey Mikhaylovich Belosselsky, 1762

Eva Manikowska
Tra Venezia e Dresda. Il gabinetto di quadri di Bernardo Bellotto nella Salzgasse

Nel suo saggio, la storica dell’arte polacca Ewa Manikowska prova a far luce, avvalendosi di un documento inedito da lei rintracciato presso l’Accademia delle Scienze Lituana a Vilnius, sul gabinetto di quadri posseduti da Bernardo Bellotto [14], nella sua abitazione a Dresda, sulla Salzgasse). A causa dello scoppio della Guerra dei Sette Anni, Bellotto si vide costretto a fuggire precipitosamente a Vienna, lasciando ai vicini di casa i suoi beni già imballati e pronti per la partenza. Quei beni furono però distrutti dalle truppe prussiane nel 1760. Due anni dopo, Bellotto redasse di suo pugno un Catalogo de danni ch’ho’ avuto, io, Bernardo Bellotto de Canaletto l’anno 1760 (il testo autografo è disponibile in pdf all’indirizzo http://elibrary.mab.lt/handle/1/6342, previa iscrizione al catalogo della biblioteca dell’Accademia delle Scienze di Vilnius). Il documento è, di fatto, una descrizione completa di tutti i beni presenti nella casa della Salzgasse, e proprio per questo testimonia “l’incrocio di diversi modelli culturali – veneziani e sassoni, di corte e borghesi – nati all’interno del mondo artistico e dettati dai più prestigiosi collezionisti e conoscitori. Esso mostra l’acculturamento del Bellotto e la sua abilità di ricorrere a una larga gamma di convenzioni e linguaggi culturali” [15]. Tra le influenze che si scoprono leggendo l’inventario, quella parigina risulta essere fortissima.

Fig. 28) Particolare della facciata del Cäsar- und Knöffelsches Haus, in una foto precedente il bombardamento del febbraio 1945. Fonte: https://de.wikipedia.org/wiki/C%C3%A4sar-_und_Kn%C3%B6ffelsches_Haus

Bellotto viveva all’epoca in un’abitazione di undici stanze nel Cäsar- und Knöffelsches Haus, complesso abitativo costruito nel 1746 dall’architetto Johann Christoph Knöffel (già citato in precedenza) e severamente danneggiato nel 1760. Nello stesso edificio avevano i loro appartamenti anche altri italiani importanti (mercanti, attori). Si trattava di una moderna abitazione di lusso, arredata in parte secondo il più recente stile aristocratico francese, in parte tenendo conto di reminiscenze veneziane (ad esempio nella scelta degli specchi). Il clima aristocratico era in linea con lo stile di vita nobiliare condotta dall’artista già secondo la testimonianza di Heinrich von Heineken (anche di lui abbiamo già scritto più volte) nella sua biografia sull’artista.

Fig. 29) Daniel Nikolaus Chodowiecki, Gabinetto di un pittore, 1771

L’abitazione, del resto, aveva ben quattro vani che avevano funzione di rappresentanza (biblioteca, gabinetto di quadri, sala da pranzo e salotto). Nel catalogo manoscritto si fa poi riferimento a due interi servizi di porcellana di Meißen, doni che il primo ministro von Brühl concedeva esclusivamente ad appartenenti agli strati più alti della società. L’autografo elenca 550 libri per complessivi 1000 tomi (vi comparivano esemplari di grandissimo pregio che il pittore aveva sicuramente portato da Venezia).

Stando al documento inedito, il gabinetto dei quadri di Bellotto era costituito da 59 tele: l’autrice sottolinea acutamente che, stando alla descrizione delle abitazioni di Sebastiano Ricci e di Antonio Pellegrini, a Venezia le tele erano distribuite in tutti i vani della casa; qui si afferma invece il gusto parigino che porta a radunare i quadri in un’unica stanza, secondo la logica del Salon, utilizzando ogni centimetro quadrato di superficie disponibile (si veda l’incisione qui sopra del prussiano Chodowiecki). Bellotto ci fornisce ogni informazione utile su quadri e statue che gli appartenevano. I nuclei fondanti del gabinetto erano tre: il primo era costituito da 18 tele opera del pittore stesso; vi erano poi una serie di opere di pittori veneziani contemporanei e quadri di maestri antichi. I pittori veneziani contemporanei sono Giambattista Tiepolo, Giambattista Pittoni, Francesco Fontebasso, Jacopo Amigoni e Gaspare Diziani, presenti spesso con bozzetti in olio su tela che danno l’idea di come fossero le opere nelle loro dimensioni reali. Fra i maestri antichi si rintracciano Rubens, Van Dyck, Veronese e Bassano. L’autrice coglie l’occasione per operare un’analisi comparata fra il gabinetto di Bellotto e la collezione di quadri che Heinrich von Heineken si vide costretto a vendere all’incanto nel 1757 (sempre per via della guerra). Proprio a questo scopo fu redatto un catalogo a stampa da cui risulta che anche von Heineken amava l’arte veneziana, ma non disdegnava nemmeno i fiamminghi. È probabile che anche altri artisti di riferimento a Dresda,  come il pittore di corte Louis de Silvestre (di chiaro gusto francese) e Giovanni Battista Casanova (che forse riflette un influsso classicheggiante romano) avessero i loro gabinetti personali in città.


Sven Pabstmann
Rembrandt, Rubens, Permoser - Ruhm und Glanz barocker Kunstsammlungen in Leipzig. Anmerkungen zur Sammlunggeschichte der Stadt Leipzig um 1700
[Rembrandt, Rubens, Permoser: fama e splendore delle collezioni d'arte barocche a Lipsia. Considerazioni sulla storia del collezionismo a Lipsia nel Settecento]

Fig. 30) Peter Paul Rubens, Il miracolo della nave di Santa Walburga, 1611 circa

Il fenomeno del collezionismo non fu un’esclusiva di Dresda. Lo storico dell’arte tedesco Sven Pabstmann si occupa del caso di Lipsia [16], capitale economica della Sassonia, e sottolinea come almeno un centinaio di collezionisti siano vissuti in città tra metà Cinquecento e fine del Settecento. Come si è detto, nella maggior parte dei casi si trattava di studiosi di scienze naturali. Tra i molti collezionisti di arte cui si fa riferimento, vorrei ricordare il farmacista Johann Heinrich Linck il vecchio (1674-1734), per i suoi rapporti con il londinese Hans Sloane, e il commerciante Johann Christoph Richter (1689-1751) che possedeva circa 300 quadri, fra cui opere di Rubens, Rembrandt, van Dyck e Lucas Cranach. Ma l’attenzione di Pabstmann è rivolta soprattutto al fratello minore del commerciante, ovvero al mercante Johann Zacharias Richter (1696-1764) e al suo ‘Gabinetto di pittura’ (Malerey-Cabinett), di cui faceva parte anche Il miracolo della nave di Santa Walburga di Rubens. I figli di Johann Zacharias (Johann Thomas e Johann Friedrich) continuarono ad alimentare la collezione, che giunse fino a 400 tele, fra le quali opere di Veronese, oltre a diverse decine di migliaia di incisioni in rame, e la resero accessibile al pubblico (attirando visitatori da tutta la Germania). La loro fu però l’ultima generazione a occuparsene e la collezione si disperse in età napoleonica


Anna Oleńska
Magnificentia principis. Brühl Artistic Activities in Poland as a Means of Political Self.-Propaganda
[Magnificentia principis: le iniziative artistiche di Brühl in Polonia come strumento di auto-propoaganda]

Fig. 31) Johann Friedrich Knöbel e Joachim Daniel von Jauch, Palazzo Brühl a Varsavia, 1754-1759. Foto del 1939

Le iniziative artistiche intraprese dal conte von Brühl in Polonia erano cariche di significato politico. Se ne occupa il contributo della storica dell’arte polacca Anna Oleńska [17]. Von Brühl, in Polonia (e Lituania) non era certo amato, e a dimostrarlo sta la straordinaria fortuna che qui conobbe il falso pamphlet fatto scrivere da Federico II di ci si è detto all’inizio.  Il mecenatismo artistico di von Brühl fu il tentativo (non necessariamente fortunato) di vedersi attribuito una nuova forma di legittimazione a Varsavia (dove si era trasferito durante l'assedio di Dresda da parte delle truppe prussiane. Dapprima tentò di vedersi accreditare false origine familiari polacche e non riuscendo ad essere accettato in tale maniera, tentò di accattivarsi la locale aristocrazia facendo affluire opere d'arte nella capitale polacca. 


Olga Popova
Andre Belosselsky as Art Agent of Catherine II in Dresden Seen Through His Correspondence With Alexander Golitsyn
[Andre Belosselsky agente artistico di Caterina II a Dresda visto alla luce della sua corrispondenza con Alexander Golitsyn]

Le vicende del conte von Brühl portano inevitabilmente gli studiosi a occuparsi anche del collezionismo della zarina Caterina II di Russia, che dal conte sassone comprò le collezioni. La storica dell’arte russa Olga Popova osserva come Caterina II, tra 1760 e 1780, si sia servita continuamente (e spesso con spregiudicatezza) di nobili russi e di intermediari internazionali per entrare in possesso di collezioni d’arte [18]. Del resto, uno dei suoi obiettivi principali era quello di espandere e consolidare il patrimonio artistico russo. In questo contesto, assume particolare rilievo la figura di Dimitri Alekseyevich Golotsyn (Дмитрий Алексеевич Голицын) (1734-1803), ambasciatore russo prima in Francia poi in Olanda, e infine vice-cancelliere russo, uomo molto vicino sia alla zarina sia agli illuministi francesi. Fu grazie alla sua opera (e all’amicizia di uomini come Diderot) che Caterina acquisì numerose collezioni: quelle del Principe Charles-Joseph de Ligne, del belga Conte Cobenzl, di François Tronchin e di Crozat.

Fig. 32) Roars Fyodor Stepanovich, Ritratto di Alekseyevich Golotsyn, ca. 1760.

L’acquisto della collezione privata d’arte del Primo Ministro von Brühl nel 1768 fu un ulteriore passo in questo senso. Il mediatore locale di Golotsyn fu il Principe Andrey Mikhaylovich Belosselsky (ambasciatore prima a Londra, poi a Parigi e infine a Dresda, tra 1766 e 1771), già incontrato per i contatti con Giovanni Battista Casanova. Olga Popova esamina il carteggio intercorso tra Golotsyn e Belosselsky.

Al suo arrivo a Dresda, Andrey Mikhaylovich si interessò in una prima fase alla collezione di gemme di Lippert. Poi entrò in contatto con Giovan Battista Casanova. La relazione tra i due divenne molto solida, al punto che Belosselsky, nel 1771, accompagnò Casanova in Italia, in cerca di opere che potessero essere acquisite o per le collezioni imperiali o per Golotsyn, a titolo personale.

Il carteggio documenta molte operazioni eseguite nel corso degli anni: una di queste è, ad esempio, la vendita a Caterina di quattro lavori di Giulio Carpioni nel 1767. Ma l’acquisizione di gran lunga più importante è proprio quella dei dipinti un tempo appartenuti al conte von Brühl nel 1768. In quell’occasione rimase sospeso il destino delle opere grafiche, per la cui vendita fu comunque predisposto un catalogo. Quattro lettere sono dedicate al tema. Purtroppo una lacuna nel carteggio impedisce di conoscere l’esito della contrattazione.

Fine della Parte Prima
Vai alla Parte Seconda


NOTE


[1] Luh, Jürgen – Wie die Schrift Friedrich den Großen zu einem Gewinner und Heinrich von Brühl zu einem Verlierer der Geschichte machte, pp 24-34, in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) Ein sächsischer Mäzen in Europa. Akten der internationalen Tagung zum 250. Todesjahr, a cura di Ute C. Koch e Cristina Ruggero. Convegno organizzato dalle Collezioni d’arte di Stato (Staatliche Kunstsammlungen) a Dresda e dalla Bibliotheca Hertziana – Max-Planck-Institut per la Storia dell’arte, Roma, Dresda, Sandstein Verlag, 2017, 547 pagine.

[2] Metasch, Frank – Auf dem Weg in den Bankrott. Die sächsischen Staatsschulden unter Heinrich Graf von Brühl, pp. 35-50, in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), 2017.

[3] Koch, Ute C. – Die Tapisserien im Besitz von Heinrich Graf von Brühl, pp. 54-69, in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), 2017.

[4] Liefkes, Reino – The Triumph of Amphitrite, pp. 70-87, in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), 2017.

[5] Bodinek, Claudia – Ein Tafelservice für den Grafen. Das Brühlsche Allerlei reviewed, pp. 88-97, in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), 2017.

[6] Schuster, Martin - „die Galerie ist Ihr Werk, und ich habe davon nur die Ehre, Sie jedoch den Ruhm“ Carl Heinrich von Heineken und die Publikation der Gemäldegalerie von Heinrich Graf Brühl, pp. 98-113, in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), 2017.

[7] Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), pp. 470-473.

[8] Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), pp.473-475.

[9] Schuster, Martin - „die Galerie ist Ihr Werk (citato), p. 110.

[10] Lieber, Maria e Klingebeil-Schiele, Josephine – Kulturtransfer e provenienze: la biblioteca private di Heinrich von Brühl nel contest della cultura di corte sassone, pp. 114-129, in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), 2017.

[11] Lieber, Maria e Klingebeil-Schiele, Josephine – Kulturtransfer e provenienze (citato), pp.118-119.

[12] Lieber, Maria e Klingebeil-Schiele, Josephine – Kulturtransfer e provenienze (citato), p. 220.

[13] Brückner, Jenny – « Ein vornehmer Herr hat ein Kabinett…» Dresdner Sammler im 18. Jahrhundert , pp. 194-211, in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), 2017.

[14] Manikowska, Ewa – Tra Venezia e Dresda. Il gabinetto di quadri di Bernardo Bellotto nella Salzgasse, pp. 212-220, in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), 2017.

[15] Lieber, Maria e Klingebeil-Schiele, Josephine – Kulturtransfer e provenienze (citato), p. 213.

[16] Pabstmann, Sven – Rembrandt, Rubens, Permeser – Ruhm und Glanz barocker Kunstsammlungen in Leipzig. Anmerkungen zur Sammlungsgeschichte der Stadt Leipzig um 1700, pp. 221-237, in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), 2017.

[17] Oleńska, Adriana – Magnificentia principis. Brühl’s Artistic Activities in Poland as a Means of Political Self-Propaganda, pp. 238-255, in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), 2017.

[18] Popova, Olga - Andre Belosselsky as Art Agent of Catherine II in Dresden Seen Through his Correspondence with Alexander Golitsyn, pp. 256-267, in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), 2017.




Nessun commento:

Posta un commento