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lunedì 15 maggio 2017

Enrico Panzacchi. Il Libro degli Artisti: Antologia, 1902. Recensione di Francesco Mazzaferro. Parte Terza




Storia delle antologie di letteratura artistica

Enrico Panzacchi, 
Il Libro degli Artisti. Antologia 
Milano, Tipografia Editrice L.F. Cogliati, 1902, 527 pagine.

Recensione di Francesco Mazzaferro. Parte Terza

Fig. 53) La copertina in pelle dei Saggi di Storia dell’Arte di Panzacchi in un'edizione senza data.



Settecento

Nel saggio non datato su “La letteratura e l’arte in Italia”, pubblicato in una serie di studi nel 1897, il Panzacchi afferma con forza la qualità della letteratura artistica in Italia anche durante il Settecento, una fase della storia dell’arte italiana che è generalmente considerata come espressione della crisi della società e della politica. Come si è già visto nella prima parte di questo post, egli celebra il lavoro critico di Francesco Algarotti (da lui giudicato pari, se non superiore, a Diderot) e ricorda “i due Bianconi, i due Zanotti e Francesco Milizia” come autori di riferimento per l’intero secolo in tutto il mondo. Consultando – nel quadro di questa ricerca – l’introduzione di un’antologia degli stessi anni di Giosuè Carducci, mi sono imbattuto in alcune frasi che – pur se applicate fuori dal campo della letteratura artistica – sembrano comunque riflettere la stessa attitudine: il Settecento italiano è considerato pari, se non superiore, a quello di altri Paesi: “Il Vico rivelava la divinazione e la scienza dell’istoria alla Germania per mezzo dell’Hegel (…). Il Gravina trasmetteva al Montesquieu la massima fondamentale: «La riunione di tutte le forze particolari costituisce lo stato politico di una nazione; la riunione di tutte le volontà ne costituisce lo stato civile»[57]. Per la generazione di Panzacchi, la cui missione è quella di consolidare l’unificazione politica appena raggiunta, non vi è dubbio che si senta il bisogno di negare che l’Italia abbia accumulato, nel corso del Settecento, un ritardo importante nei confronti del resto del mondo.

E tuttavia l’introduzione alla corrispondente sezione de Il Libro degli artisti chiarisce che l’unico stratagemma per confutare la tesi del ritardo del nostro paese nel Settecento è, per Panzacchi, quella di attribuire alle belle arti dell’intero secolo (anche in Francia e nelle altre potenze europee) un simile ritardo: fu un’epoca di crisi per l’arte, e dunque l’Italia non fu da meno. “Se nel Seicento l’arte italiana poteva ancora sostenere gloriosamente il confronto con l’arte delle altre nazioni, nel secolo seguente il decadimento non può essere mascherato da alcuno splendore di nomi, di opere, di scuole. Dopo aver gittato e fruttificato, il grande albero si raccoglie in sé e si riposa. Del resto il settecento non fu troppo felice né pure [sic] per gli altri popoli, nel riguardo delle sole arti plastiche. Questo è il secolo della musica e dell’enciclopedia. Da una parte una società frivola e leggera amatrice dei godimenti che non chiedono uno sforzo mentale troppo intenso, una società che va in sollucchero davanti alle ariette facili e alle belle voci degli evirati cantori bollati dal Parini; dall’altra, una intera classe di cittadini che lavora, studia, matura l’avvenire, e prepara i terribili sconvolgimenti che accompagnarono e seguirono la rivoluzione francese” [58]. Seguono due pagine per documentare le debolezze della creazione artistica settecentesca nel resto dell’Europa. 

Fig. 54) Giovanni Maria Ciocchi, Affresco con la Gloria di San Michele sul soffitto della Chiesa di Santa Maria degli Angiolini, Firenze, 1715

Passando alla scelta degli autori citati nell’antologia, la contrapposizione tra i rappresentanti della società frivola ed i cittadini che preparano lo sviluppo del secolo dei lumi sembra essere rappresentata dal contrasto tra le pagine di Giovanni Maria Ciocchi e di Francesco Algarotti, con cui si apre la sezione sul Settecento. Del primo, Panzacchi scrive: “Abbiamo voluto dare un passo di questo bizzarro libro, il quale poi si tramuta in un trattato di estetica. Tutto il libro è quanto di più barocco si possa immaginare” [59]. Del secondo: “Fu uno degli spiriti più eleganti e più colti del suo tempo” [60].


Fig. 55) Giovanni Maria Ciocchi, La Pittura in Parnaso, 1725

In effetti, la lettura delle cinque pagine tratte dalla Pittura in Parnaso, opera del 1725 di Giovanni Maria Ciocchi (1658 – 1725) ci ricorda come lo stile della scrittura dell’epoca sia oggi di difficile lettura, a causa dell’incrocio di temi figurati chiaramente esagerati con una struttura interminabile del periodo. L’autore vuole, per esempio, rendere visibile l’interazione tra pittura e le altre ‘scienze e nobili arti’, e a tal fine immagina che la pittura – rappresentata allegoricamente da una persona – sia accolta da tutte le discipline del sapere (anch’esse persone) sul monte Parnaso, che si immagina come luogo dove abitano la poesia, la storia, la filosofia, lo studio, l’applicazione, la filosofia, ecc.. La rappresentazione scenografica del sapere ‘collettivo’ comune a varie discipline si traduce nella decisione dell’autore di far precedere la pittura da una processione allegorica di figure che rappresentano le componenti essenziali della pittura stessa: il colorito, l’unione, l’accordo, la disposizione, l’invenzione, la prospettiva, la geometria e l’architettura. Finalmente, giunge la pittura, alla fine della processione: “Era vestita non solo riccamente, quanto di frappi vari e per lo più cangianti, ed in mano teneva alcuni pennelli ed una tavolozza sopra la quale erano i principali colori, co’quali le maraviglie dell’arte sua componendo, così mirabile al Mondo si è renduta. Era il suo crine inanellato e nero, ed alquanto incolto, ma questo poco vedeasi, perché da un verdeggiante ramo di Alloro che le circondava le tempia, veniva quasi coperto” [61]. Ho scelto, intenzionalmente, un passaggio breve e comprensibile.

Lo stesso tema dell’interazione delle discipline viene trattato dall’Algarotti (1712 –1764) in modo del tutto diverso. Egli discute il problema del rapporto tra pittura ed altre discipline, dedicando a ciascuna di esse capitoli nel suo Saggio sopra la Pittura del 1756 (anatomia, prospettiva, simmetria, colorito, ecc..). La predisposizione enciclopedica dell’epoca è resa evidente dal fatto che il medesimo autore scrive saggi, in parallelo, su architettura, musica, commercio e molte altre discipline. Panzacchi riproduce i giudizi di Algarotti su Poussin, Lorrain e Tiziano, come pure su una serie di architetti. Per dire la verità, le due pagine scelte non sembrano molto pregnanti.

Sia nella scelta delle pagine del Ciocchi, sia in quelle dell’Algarotti, il Panzacchi sembra voler evitare la discussione sistematica di temi estetici. Sia la Pittura in Parnaso sia il Saggio sopra la Pittura trattano tutti i temi iconologici del loro tempo; se altri passi fossero stati scelti, la loro lettura comparata potrebbe aver offerto al lettore una riflessione sull’evoluzione del rapporto dell’arte con società civile ed istituzioni religiose; l’antologia, invece, illustra semplicemente l’estrema divergenza dell’impostazione e dello stile dei due scritti. 

Diverso invece il modo con il quale il Panzacchi cita il pensiero dell’architetto e trattatista veneto Francesco Milizia (1725-1761), che appartiene all’ultima fase del secolo. L’autore del Libro degli Artisti scrive: “Abbiamo largheggiato nella riproduzione di passi del Milizia, un prosatore che dovrebbe essere più noto di quanto non sia. Del valore delle sue viste su l’arte giudicherà il lettore dai numerosi estratti. (…) I suoi scritti sono di piacevole lettura, pieni di spirito e di acume: ma c’è a dire quanto all’imparzialità dei suoi giudizi. O almeno, egli spesso esprime troppo brutalmente le sue opinioni e non senza animosità” [62]. 

Fig. 56) Francesco Milizia, Dell'Arte di vedere nelle arti del disegno secondo i principi di Sulzer e Mengs, 1798

Di lui sono citate numerose pagine, tratte – fra l’altro – dalle Memorie degli architetti antichi e moderni del 1781, dai Principi di architettura civile del 1784 e dal trattato Dell’Arte di vedere nelle arti del disegno secondo i principi di Sulzer e di Mengs del 1798. Le riflessioni incluse nel primo testo hanno la natura di un manifesto dell’estetica del bello ideale, nella sua interpretazione neoclassica. A differenza di quanto accade nel resto dell’antologia, le pagine citate sono di natura talmente sistematica da richiedere la pubblicazione di una tabella sul “Quadro delle parti principali che costituiscono le belle arti del disegno” [63]. Interessante anche la lettera non datata di Tomaso Temanza allo stesso Milizia, dove si fa il punto della situazione sugli scritti dei due. 

Fig. 57) Ridolfino Venuti, Risposta alle riflessioni critiche sopra le differenti scuole di pittura del signor marchese d'Argens, 1755

Tra le citazioni iniziali del Ciocchi e dell’Algarotti da un lato e quelle finali del Milizia dell’altro, i testi della sezione che testimonia la letteratura artistica del Settecento danno un’idea di disorientamento. Mentre tra Quattro e Seicento vi sono temi principali (li abbiamo chiamati ‘pilastri’) attorno ai quali è possibile decrittare la sequenza delle citazioni su base cronologica, qui si alternano semplicemente generi e temi diversi. In un paio di casi, si leggono scritti polemici contro l’influenza dell’arte straniera. Così Panzacchi riproduce la Risposta alle Riflessioni critiche del Marchese d’Argens, del 1755, una replica in difesa dell’arte italiana attribuita dal Lanzi a Ridolfino Venuti (1705–1763). Il pittore e trattatista emiliano Giampietro Zanotti (1674–1765) si rivolge invece per lettera a Bottari nel 1762 con una tiritera per lamentarsi della decadenza dell’arte italiana e l’eccessiva moda francese ed inglese: “L’Italia ne’ tempi andati ha dato norma e regole alle altre nazioni, ed ora gl’italiani ingegni si sono avviliti. Adesso nel comporre s’introducono i modi inglesi e francesi, strani e barbari, e così nel fabbricare e nel dipingere, e se il Bonarroti fosse ora attorno a dipingere il suo Giudizio, gli converrebbe fare il suo Cristo Giudicante un qualche Milord. (…) Povera Italia! Se dico spropositi, monsignore avvisatemi e correggetemi, ma io spero di no” [64]. 

Fig. 58) Giampietro Zanotti, San Francesco, senza data

In realtà, l’impressione è che le scelte dei testi del Panzacchi testimonino l’inerzia di quel mondo, ancora dominato dai temi secenteschi. Il Bottari (1689-1775) dà la parola, nei suoi Dialoghi sopra le tre arti del disegno del 1754 a Giovanni Pietro Bellori e a Carlo Maratta, che discorrono sul ruolo della fantasia, traendo spunto dall’arte di Salvator Rosa. Sempre in tono nostalgico si possono leggere, inoltre, le pagine citate degli Avvertimenti per lo incamminamento di un giovane alla Pittura, sempre di Giampietro Zanotti, che ritorna ai temi della polemica anticaravaggesca (contro i ‘Naturalisti’) a favore della scuola dei Carracci, e parla di Lorenzo Pasinelli (1629-1700), suo maestro, ed Alessandro Tiarini (1577 –1668), tutti barocchi bolognesi. 

Fig. 59) Giuseppe Maria Crespi, Ritratto del conte Fulvio Grati, 1700-1720
Fig. 60) Luigi Crespi, Autoritratto, 1775

Di area bolognese è anche Luigi Crespi (1708–1779) che – in una lettera a Monsignor Bottari del 1759, racconta della sua ammirazione sempre per Zanotti (ormai anziano) e della sua intenzione di ispirarsi agli scritti di quest'ultimo per includere nel terzo volume della Felsina Pittrice la vita del pittore bolognese Pasinelli, di cui si già menzionato che era il maestro di Zanotti. In questa lettera Crespi vuole accreditarsi presso Bottari come figura centrale del mondo erudito del Settecento. E tuttavia va detto che la biografia che Crespi incluse nella sua prosecuzione della Felsina Pittrice null'altro era se non una rielaborazione del testo di Zanotti, come recentemente scritto da Giovanna Perini Folesani nel suo saggio su Crespi. Questi atteggiamenti da avventuriero contribuirono ad impedire l'ammissione di Crespi nell'Accademia Clementina. Resta il fatto che Panzacchi nulla scrive queste vicende per non turbare l'immagine di uno svolgersi idilliaco della vita dell'Accademia bolognese, suo punto di riferimento indiscusso. Confrontando le opere di Pasinelli e Zanotti (l’uno il maestro dell’altro) si può osservare come per gran parte del secolo l’arte bolognese (lungi da sposare le temute influenze francesi od inglesi) rimanga iconograficamente legata ai temi dell’arte barocca di cent’anni prima. Sarà invece Crespi padre (Giuseppe Maria) a rinnovare l’iconografia bolognese.


Fig. 61) Giampietro Zanotti, La guarigione del cieco, senza data
Fig. 62) Lorenzo Pasinelli, Santa Cecilia, 1665
Fig. 63) Nicola Passeri, L'elemosina di Santa Isabella, 1776
Fig. 64) Nicola Passeri, Del metodo di studiare la pittura, e delle cagioni di sua decadenza, 1795

Quando si tratta di testimoniare il passaggio al gusto neoclassico, Panzacchi sceglie un altro artista emiliano: il pittore e trattatista faentino, nonché membro dell’Accademia Clementina di Bologna, Nicola Passeri (1729-1799). Le sue immagini, da un punto di vista iconologico, non rivelano fratture rispetto alla continuità emiliana. E tuttavia il suo Del metodo di studiare la pittura, e delle cagioni di sua decadenza è un dialogo tra il Mengs ed il Winckelmann, a significare un cambiamento di coordinate estetiche: non si guarda più ai Carracci, ma al mondo greco-romano. Nella finzione del dialogo, Winckelmann chiede a Mengs: “E seguendo la Natura unita ad un’arte vaga e piacevole, non si è forse giunto al grado di perfezione?” La risposta fittizia del Mengs non lascia dubbi: “No , caro Wincklemann. Bisogna saper discernere il dilettevole dalle profonde bellezze della forma” [65].

Del Passeri sono anche citati il saggio Esame ragionato sopra la nobiltà della pittura e della scultura (uno degli ultimi esempi sul tema del Paragone, del 1783) ed uno studio su un “Piano di Regolamenti e Statuti, per formare una Reale Accademia di pittura, scultura ed architettura” (pubblicato in annesso al dialogo).

Simpatico, infine, è il sonetto di Zanotti (anch’egli citato così spesso da confermare che il Panzacchi lo considera un protagonista del secolo, così come del resto aveva scritto nel saggio su “La letteratura e l’arte in Italia”) per il restauro del Nettuno del Giambologna, a cura dello scultore ed anatomista Ercole Lelli (allievo di Zanotti), ultimato nel 1762.

Pur ti riveggio, o illustre mole altera,
Che il passeggier maravigliando onora,
E il veglio, ch’anche i bronzi apre e divora,
Stupido guata la grand’opra intera.
Ecco il Nettuno, e col tridente impera,
E nel primo e superbo atto dimora.
Invidia anch’essa il vede, e si scolora,
E ne’ suoi rei disegni or piú non spera.
Oh di raro valor sublime pregio!
Ma che non può spirto di gloria vago,
Cui son le vie delle belle arti conte?
E voi, Nereidi, del maestro egregio,
Riparator della cadente imago,
Ghirlande offrite all’onorata fronte
[66].


Fig. 65) Ercole Lelli, Gli spellati, Teatro Anatomico dell’Archiginnasio, Bologna 1733-34

Restando in tema di poesia, Panzacchi propone cinque sonetti del poeta modenese Giuliano Cassiani (1712-1778), anche se non si tratta di componimenti che si riferiscono direttamente a pittori. Cassiani è citato “in mancanza, o per scarsità, di poesie originali d’artisti … a far intendere [67] e capire il gusto dell’età” [68]. Significativo che la scelta cada su di un letterato di area emiliana. Evidentemente, vi è uno sforzo consapevole di cercare preferenzialmente nel mondo emiliano le tracce dello sviluppo della letteratura artistica italiana del secolo. Certamente, a distanza di poco più di cent’anni, pochi sarebbero dell’opinione che Zanotti e Passeri abbiano svolto un ruolo centrale per la letteratura artistica del Settecento. Ma rileggere le antologie del passato non serve solamente a riflettere sui gusti superati, ma anche a chiedersi se non vi debbano essere nuove indagini per il futuro.

 L'Ottocento

Nella prima parte di questo post abbiamo dedicato ampio spazio alle considerazioni di Panzacchi sul primo Ottocento italiano nel suo saggio “La letteratura e l’arte in Italia” pubblicato nel 1897. Abbiamo visto come egli consideri la ‘letteratura artistica’ di questo periodo (egli usa questo termine), alquanto deludente, lamentando che i grandi della letteratura italiana (compresi Monti, Foscolo e Manzoni), a differenza dei loro contemporanei francesi e tedeschi, siano sostanzialmente indifferenti nei confronti dell’arte. Tra i neoclassici le uniche eccezioni sono Pietro Giordani e Gian Battista Niccolini. Anche gli esponenti italiani della letteratura romantica, a differenza di francesi e tedeschi, ignorano i temi artistici. Panzacchi avverte di essere ben cosciente che altri autori (che non appartengono al mondo letterario) hanno scritto d’arte (si riferisce a Leopoldo Cicognara, Giuseppe Bossi, l’Abate Pietro Zani e Pietro Selvatico). Tra i filosofi menziona il trattato Del Bello di Vincenzo Gioberti del 1845, per dire tuttavia che, a differenza dell’opera Du vrai, du beau, du bien del francese Cousin del 1854, “per gli artisti nostri e per i cultori dell’arte storica e contemporanea, il libro del Gioberti passò senza lasciare traccia” [69].


Fig. 66) Vincenzo Gioberti, Sulla bellezza, 1845
Fig. 67) Victor Cousin, Du vrai, du beau et du bien  1853

E così conclude lo scritto del 1897: “Alle arti nostre tutti fecero torto. I governi negligendole affatto o somministrando il soccorso scarso con criteri balordi. L’insegnamento dato a vanvera e male, mescolando i vecchiumi e le novità con tenacia barbogia e con leggerezza irrequieta. Mancò soprattutto ad esse la letteratura, che preferì d’andare innanzi per conto suo, astraendosi da loro superbamente e abbandonandole al giudizio e al governo dei gazzettieri e dilettanti, spesso pretenziosi del pari ed ignorantissimi” [70]. […] “«Eppure gli artisti in Italia non mancano!», scriveva accorato il buon Luigi Mussini nell’anno di grazia 1848” [71].  “Ma l’esclamazione del buon Mussini era vera allora e possiamo ripeterla con più vivo convincimento ora, passati oramai cinquant’anni. Chi visita i nostri studi trova dovunque artisti vecchi e giovani, spesso oscuri, quasi sempre poco incoraggiati, che brontolano volentieri ma che non risteranno [sic] mai dal lavorare. Il risultato di questa costanza indomita (e in molti casi veramente eroica) è dovunque un singolare miglioramento nella tecnica dell’arte e una ricerca perseverante della sincerità artistica, qualche volte divagante in prove discutibili, ma non mai senza dignità e senza frutto. A costoro più che l’esempio dei non molti fortunati e dei trionfatori, a me piace di ricordare quei giovani virtuosi e valenti a cui la morte spezzò le ali quando stavano per lanciarsi a volo nel grande aere glorioso. Amo di ricordare ad essi il Celentano, il Fracassini, il Faruffini, il Mosso, il Busi, il Favretto, il Serra, il Ricci, il Muzzioli, affinché, nel senso gagliardo della vita, essi attingano il concetto di un dovere nobilissimo che loro spetta, quello di mandare avanti l’opera che i loro compagni morti furono costretti a lasciare incompiuta” [72].


Fig. 68) Bernardo Celentano, Il Consiglio dei dieci, 1860
Fig. 69) Carlo Grosso, La cella delle pazze, 1884
Fig. 70) Luigi Serra, L'esercito cattolico entra in Praga dopo la vittoria alla Montagna Bianca, 1885.
Affresco dell’abside di Santa Maria della Vittoria, Roma
Fig. 71) Giovanni Muzzioli, I funerali di Britannico, 1888

Nell’antologia la sezione introduttiva sull’Ottocento è alquanto più sbrigativa: “L’arte di questo secolo domanderebbe un troppo lungo proemio che dovrebbe abbracciare non uno, ma molti e svariati e spesso confusi movimenti d’arte e di idee. Ci limiteremo ad un cenno molto sommario” [73]. Il giudizio è positivo sulla scultura (Canova, Bartolini, Dupré, Vela) mentre eccezionalmente severo per quel che riguarda la pittura. “Nel paese dei grandi coloristi come Giorgione, Tiziano, Correggio non si conosce più il colore e domina la biacca. (…) Il Camuccini, l’Agrippa, il Landi furono appena dei buoni imitatori della scuola del David. (…) Un critico francese, verso la metà del secolo, poté chiamare l’Italia: le tombeau de la peinture!” [74].


Fig. 72) Luigi Bartolini, La fiducia in Dio, 1834
Fig. 73) Giovanni Duprè, Abele morente, 1843

A questa valutazione corrisponde, nella scelta degli scritti sul primo Ottocento, una preferenza per quelle pagine che si riferiscono alla scultura: lettere di Canova (al Cesarotti, a Giuseppe Falier, al Cicognara), citazioni dell’Autobiografia di Giovanni Dupré (sul suo maestro Luigi Bartolini e sulle esposizioni a Parigi), cinque pagine di terzine del poeta ravennate Paolo Costa (1771-1836) per celebrare il ritorno del Laocoonte a Roma da Parigi, dove era stato portato dai francesi, ed infine un sonetto di Giuseppe Giusti del 1837 per celebrare La fiducia in Dio di Luigi Bartolini.

“Quasi obliando la corporea salma,
Rapita in Quei che volentier perdona,
Sulle ginocchia il bel corpo abbandona
Soavemente, e l’una e l’altra palma.
Un dolor stanco, una celeste calma
Le appar diffusa in tutta la persona,
Ma nella fronte che con Dio ragiona
Balena l’immortal raggio dell’alma;
E par che dica: se ogni dolce cosa
M’inganna, e al tempo che sperai sereno
Fuggir mi sento la vita affannosa,
Signor, fidando, al tuo paterno seno
L’anima mia ricorre, e si riposa
In un affetto che non è terreno”
[75].


Fig. 74) Filippo Palizzi, Dopo il diluvio, 1863

Fig. 75) Domenico Morelli, Le tentazioni di S.Antonio, 1878

Se il giudizio sulla pittura neoclassica italiana rimane tagliente, che cosa scrive Panzacchi dell’arte italiana più recente? Lo abbiamo visto avere un atteggiamento aperto nei confronti dei pittori che rappresentano l’Italia alla prima Biennale di Venezia del 1895, nonostante egli disapprovi la crescente convergenza degli stili verso il modello francese. Qualcosa di simile si legge anche nell’introduzione alla sezione dell’antologia. “Un nobile tentativo di risorgimento in Italia per la pittura poté poi avvenire; ma bisogna aspettare che fosse passata la seconda metà del secolo col periodo che si aprì con Filippo Palizzi, proseguì con Stefano Ussi e Domenico Morelli e si chiuse con Giuseppe Segantini, quattro morti di ieri. Sarebbe ingiustizia negare i nobili sforzi fatti coi Lombardi, con l’Hayez alla testa; e sforzi somiglianti in Toscana, in Piemonte, nell’Emilia e nel Veneto. Ma in genere bisogna riconoscere che il movimento pittorico italiano spiccò specialmente per due difetti: l’obblio delle gloriose sue tradizioni e la facilità mobile, incoerente e servile con cui si piegò a tutte le manifestazioni dell’arte straniera appena che si presentassero a noi incoronate da qualche vaghezza di moda e di successo” [76]. Di Hayez vengono riportate alcune pagine de Le mie memorie, pubblicate nel 1890: in esse racconta fra l’altro dell’incontro che egli ebbe, ancora molto giovane, con il pittore neoclassico Pietro Benvenuti (1769–1844).


Fig. 76) Pietro Benvenuti, Ritratto di Eleonora Pandolfini Nencini, 1804 circa
Fig. 77) Francesco Hayez, Le mie memorie, dettate da Francesco Hayez, 1890
Fig. 78) Francesco Hayez, Meditazione, 1851

È dedicato infine alla Meditazione dell’Hayez (conosciuta anche come L’Italia del 1848) un sonetto di Andrea Maffei (1798–1885) del 1852.

Cara, angelica donna, in qual pensiero
Hai tu la sconsolata anima assorta?
Che ti affligge cosi, che ti sconforta
Nel più bel fior degli anni tuoi?... mistero.
Quella croce che stringi e quel severo
Volume ove il tuo mesto occhio si porta,
Dicono che per te la gioia è morta,
Né t'offre il mondo che il suo tristo vero.
Sì [sic], la bibbia e la croce! util consiglio
All'età sventurata, in cui sul buono
L'impudente cervice alza il perverso.
Ferma in que' segni di riscatto il ciglio,
Cara, angelica donna; essi ti sono
Un rifugio al dolor dell'universo
[77].

A terminare sono proposti gli “Scritti d’arte” di Luigi Mussini (1880), alcuni “Pensieri sull’Arte” di Niccolò Tommaseo (senza indicazione di fonti), due lettere di Antonio Fontanesi, una di Bernardo Celentano ed infine una del pittore bolognese Luigi Serra, dedicata all’ “Apparizione della Vergine ai SS. Francesco e Bonaventura” del 1882.


Fig. 79) Antonio Fontanesi, Sulla riva del Po a Torino, 1870-1875 circa
Fig. 80) Luigi Serra, L'apparizione della Vergine ai SS. Francesco e Bonaventura, 1882

Alcune belle pagine dell’ultimo Ottocento

Come scegliere le pagine dei contemporanei in un’antologia? Per un autore è spesso l’aspetto più difficile di una raccolta di scritti, perché manca la distanza storica che consenta di sedimentare il giudizio. Panzacchi, con scelta felice, propone belle pagine di Giovanni Segantini (1858-1899) e Telemaco Signorini (1835-1901).


Fig. 81) Primo Levi, Il primo e il secondo Segantini, in Rivista d'Italia, 1899

Panzacchi spiega che le lettere di Giovanni Signorini a Vittore Grubicy de Dragon (1851-1920) e le pagine del suo Diario sono tratte da un saggio intitolato "Il primo ed il secondo Segantini", appena scritto dal critico Primo Levi per la Rivista d'Italia (il periodico della Società editrice Dante Alighieri) del novembre-dicembre 1899. Lo scritto di Levi compare solamente qualche mese dopo la scomparsa dell’artista ed offre un'ampia documentazione non solamente della sua pittura, ma anche della sua corrispondenza con Grubicy.

Levi è un saggista e critico d'arte (autore anche di monografie su Domenico Morelli e Tranquillo Cremona) vissuto tra 1854 e 1917. È omonimo del più famoso Primo Levi di 'Se questo è un uomo", che è ovviamente nato molto più tardi, solamente nel 1919. Levi è anche un giornalista e commentatore politico conosciuto ai suoi tempi (un sostenitore, con la sua testata "La Riforma", della politica coloniale di Francesco Crispi in Libia e di un atteggiamento aggressivo verso la Francia per tutelare gli interessi italiani in Tunisia).


Fig. 82) Giovanni Segantini, Ritratto di Vittore Grubicy, 1887

Anche Grubicy è figura non minore nel panorama dell'arte italiana di quegli anni. Artista e mercante d'arte a livello internazionale, è anche saggista (collabora con il Levi nel suo foglio La Riforma). Di Segantini, che vive ai margini della società (è apolide e si è ritirato nelle montagne dei Grigioni), Vittore è il maggiore amico ed il principale mecenate, nonché la maggiore fonte di successo commerciale (vendendone le tele anche fuori dall'Italia).

Quando esce il Libro degli Artisti nel 1902, le lettere di Segantini a Grubicy e gli altri scritti non sono ancora stati pubblicate, se non a frammenti. L'edizione integrale comparirà a cura della figlia Bianca, prima in tedesco a Zurigo nel 1909 e poi in italiano a Torino nel 1910 [78]. Dall'introduzione dell'edizione italiana si ricava che l'antologia di Panzacchi è fino ad allora il testo di più larga diffusione a contenere testi del padre. Bianca narra che l’idea della pubblicazione della raccolta completa nasce a Ginevra, quando legge e traduce ad un pubblico ristretto i passi raccolti nell’antologia del Panzacchi nella casa dello scrittore Philippe Monnier [79]. 

Fig. 83) Giovanni Segantini, Scritti e lettere, 1910

Le lettere sono brevissime e ci offrono l'impressione di un artista incompreso e di un pittore dalle forti convinzioni sull'arte, che parla quasi per aforismi e che esprime tutti i sogni di una generazione ribelle. "Se l'arte moderna avrà un carattere, sarà quello della ricerca della luce nel colore" [80]. "Il vivere nel mondo ed il sentire le idee altrui snerva e indebolisce le proprie" [81]. "Io voglio che il quadro sia il pensiero fuso nel colore. I fiori son fatti così, e questa è l'arte divina" [82]. "Intanto penso di stringere la natura in un pugno e di farne un poema; il sogno è bello, ma la materia uccide" [83]. "Sì, la sola vera vita è tutta nel sogno! Sognare un ideale da raggiungere a lenti gradi, lontano il più possibile, ma alto, alto sino alla estinzione della materia. Ecco l'estremo massimo che può produrre la gioia di vivere” [84].


Fig. 84) Vittore Grubicy de Dragon, Mare di nebbia, 1885

Vi sono anche pezzi di notevole bellezza letteraria, che spiegano perché i testi di Segantini siano stati oggetto di studio e pubblicazione [85]. Ecco un frammento del primo gennaio 1890 da Savognino: "Mattino. Torno da una passeggiata. Sento nel cuore la mia calma abituale e nel cervello come uno sbalordimento che è effetto del vento. Intorno, tutto è triste, il cielo è grigio, sporco e basso, soffia un vento di levante che geme come lontana bestia che muore, la neve si stende pesante e malinconica come lenzuolo che copra la morte, i corvi stanno tutti vicino alle case, tutto è fango, la neve sgela. Questa giornata me ne ricorda molte altre che passai nella mia fanciullezza; mi sento ancora l'eguale e provo le eguali sensazioni" [86].


Fig. 85) Giovanni Segantini, Cattive madri, 1894

Anche i testi in prosa e le poesie di Telemaco Signorini (1835–1901) - sia pur del tutto diversi - ci offrono un'impressione di grande immediatezza. Qui non vi è alcun senso di sogno e dramma - come con Segantini -, ma solo di bonario divertimento.


Fig. 86) Telemaco Signorini, Caricaturisti e caricaturati al Caffè Michelangelo, 1893

Il suo Caricaturisti e caricaturati al Caffé Michelangiolo è stato pubblicato come libro nel 1893, dopo essere originariamente comparso nel 1867 nel Gazzettino delle arti del disegno di Diego Martelli. Offre un racconto divertente e disincantato di vent’anni della Firenze artistica dagli anni rivoluzionari del 1848 fino al 1867, quando Firenze è capitale d' Italia, raccontando tre generazioni di pittori, scultori, ma anche musicisti e letterati nello spirito toscano delle burle e dei burloni (tradizione che proviene dal medioevo e ancora oggi sopravvive). Se ne ricava, fra l'altro, un'impressione vivida del mondo dei macchiaioli. Panzacchi nota che il libro "è oggi quasi introvabile" (e rimane tale: ne è stata pubblicata solamente un'altra edizione nel 1952).


Fig. 87) Telemaco Signorini, La toeletta del mattino, 1900 circa


I testi sono spesso esilaranti. Ecco un esempio a proposito del compositore romantico Luigi Gordigiani (1806--1860): "Fare il chiasso sul serio sembra un paradosso, eppure pensando al genere di burle che caratterizzavano quelle di Luigi Gordigiani, non vi è modo di qualificarle altrimenti. Racconto questa per darne una pallida idea. Da una casa di Firenze esce una signora, chiude la porta e le riman serrato il vestito; non potendo arrivare al campanello per farsi aprire, aspetta che passi qualcuno. Il suo cattivo genio fa passare Gordigiani. «Scusi, signore ... mi farebbe il piacere di suonarmi il campanello? Mi si è chiuso il vestito nella porta.» «Quale campanello?» Le domanda. «Il terzo. » Il Gordigiani non suona, guarda il terzo piano e poi: «Senta» le dice «io al terzo piano non ci conosco nessuno... » «Cosa fa, gli conosco io ... è casa mia.» «Può darsi benissimo; ma io non suono davvero... potrebbe essere gente permalosa, e si fa presto a prendere un impegno; e poi sa, non vorrei esser preso per un biricchino [sic] di strada a suonare i campanelli.» La gente passa e si ferma, e mentre la signora, rossa per la vergogna di trovarsi chiusa nella porta e dalla stizza di vedersi negato un favore, si rivolge ad altri, Gordigiani profitta della gente che si è adunata, vi si caccia dentro e sparisce" [87].


Fig. 88) Le 99 discussioni artistiche di Enrico Gasi Molteni, nell’edizione del 1886

Le poesie di Signorini sono sonetti di genere satirico; vengono pubblicate per la prima volta nel 1877, con il titolo Le 99 discussioni artistiche di Enrico Gasi Molteni (il pittore usa il suo anagramma). Vengono ristampate ancora nel 1886 e poi, più recentemente, nel 1929. Ecco il suo sonetto "Amatore miope".

"Lo vede meglio se un pochin si scosta,
E l'effetto vedrà che ci guadagna.
- Sarà com'ella dice, e se si lagna
Ha ragione, ma però non lo fo apposta...
Son miope; ... e rappresenta ... una campagna?
-No, Firenze veduto dalla Costa;
Questa è Piazza, qui presso c’è la Posta,
qui gli Uffizi e le Logge dell'Orcagna.
Badi, è fresco, vien via, la ci stia attento.-
Ma l'altro non l'ascolta, e si die' il caso
che essendo ad ammirar tutto contento,
e per la sua passion cotanto invaso,
s’avvicinò così, che in un momento
Palazzo Vecchio portò via col naso”
[88].


L’antologia di Enrico Panzacchi e quelle di Carducci e Pascoli

Si è già detto che, al di là dei suoi fini pratici, il lavoro di Panzacchi costituisce il primo tentativo di creare un canone delle fonti di storia dell’arte in Italia in forma antologica. Prima di lui tutte le raccolte di testi di fonti di storia dell’arte (Bottari, Ticozzi, Gualandi, Gaye, Milanesi, Campori) sono in realtà repertori di lettere (che dunque propongono tutti i testi reperiti in biblioteche ed archivi pubblici e privati, e non ne presentano una selezione su basi estetiche o di contenuto), e non antologie vere e proprie. Per capire come Panzacchi sia giunto alla sua iniziativa editoriale è utile una riflessione, sia pur breve, sull’influsso che l’evoluzione delle antologie letterarie in quei decenni ha sul nostro autore.

La fase che si avvia con la conclusione del Settecento vede – non solamente in Italia – l’esplosione del genere dell’antologia come strumento di narrazione del sapere. Prima di allora, le antologie hanno il compito di offrire, per la gioia del pubblico, i poemi ritenuti degni di lettura, oppure di documentare le fonti agli studiosi di filologia. Nelle antologie ottocentesche, invece, si organizza la storia dei testi esattamente secondo le medesime categorie concettuali con le quali – negli stessi anni – si organizzano musei e gallerie per esporre il meglio delle opere d’arti in senso cronologico. Lo storicismo prevale, come strumento di codificazione del sapere e d’interpretazione della realtà, ma anche di cambiamento attivo dell’identità collettiva. 

Fig. 89) Gilles Corrozet, Parnasse des poètes françois modernes, 1571

Se antologie esistono in epoca moderna fin dall‘edizione del Parnasse des poètes françois modernes nel 1571, è solamente nell’Ottocento che nasce la figura dell’antologista come operatore culturale, esattamente come si sviluppa quella del curatore di musei. In Italia un contributo fondamentale alla diffusione dell’antologia come strumento principe della divulgazione letteraria proviene da Giosuè Carducci (1835-1907) e Giovanni Pascoli (1855-1912), entrambi attivi all’Università di Bologna (Pascoli succede a Carducci). Quanto a Carducci, si pensi per esempio alle sue antologie “L'arpa del popolo: scelta di poesie religiose, morali e patriottiche” [89] del 1855, alle “Letture italiane, scelte e ordinate ad uso delle scuole del ginnasio inferiore” del 1883 [90] ed alle “Letture del risorgimento italiano” del 1896 [91]. Lo stesso anno in cui Panzacchi scrive “Il libro degli artisti” compare invece l’antologia di Giovanni Pascoli “Sul limitare. Poesie e prose per la scuola italiana” [92]. Nel 1910 Pascoli pubblica “Fior da fiore: prose e poesie scelte per le scuole secondarie inferiori” [93].


Fig. 90) Giosuè Carducci, Letture italiane, scelte e ordinate ad uso delle scuole del ginnasio inferiore, 1892
Fig. 91) Giovanni Pascoli, Sul Limitare. Prose e poesie scelte per la scuola italiana, 1902

Il tema dell’antologia carducciana e di quella pascoliana è stato oggetto di studio. Si pensi ai contributi di Ermanno Paccagnini su “Carducci antologista” [94], di Giuseppe Pessi su “Il Pascoli antologista e le sue relazioni col Carducci e col D'Annunzio” [95], ed infine di Stefania Martini “Da Carducci antologista a Pascoli antologista” [96]. Sono interessanti, per la quantità di riferimenti indiretti, sia il saggio di Mariangela Lando su “Antologie e storie letterarie nell’insegnamento dell’italiano nelle scuole classiche dal 1870 al 1923: una ricognizione” [97] sia il volume “Il canone letterario nella scuola dell'Ottocento. Antologie e manuali di letteratura italiana” [98] a cura di Renzo Cremante e Simonetta Santucci. È ovviamente impossibile dedicare lo spazio necessario al tema, ma si possano certamente elencare alcuni punti.

Per Carducci l’antologia – nella successione cronologica dei brani scelti –  è una forma di racconto storico [99] che, tramite una narrazione rigidamente basata sulla cronologia [100], deve fissare i canoni metodici fondamentali per leggere il passato [101]. L’obiettivo è educativo, e strettamente legato alla causa nazionale, come nel caso delle Letture del Risorgimento italiano [102]. Questa raccolta sul Risorgimento, che si apre con uno scritto dell’illuminista napoletano Pietro Giannone (1676–1748) dal titolo “Richiamo agli Italiani alla virtù e disciplina militare e si conclude con le “Mie prigioni” di Silvio Pellico (1789-1854) racconta il periodo tra 1750 e 1870 tracciandone tre fasi: il primo, tra 1750 e 1789, caratterizzato da “quarant’anni di pace, riforme e preparazione”, il secondo, tra la rivoluzione francese ed il 1830, su “quarant’anni di contrasto, di confusione, di aspettazione” ed il infine il terzo, tra 1830 e 1870 “quarant’anni di ravviamento, di svolgimento, di risolvimento”.


Fig. 92) Giosuè Carducci, Letture sul Risorgimento italiano, 1896
Fig. 93) Giovanni Pascoli, Fior da fiore, 1910

Con la sua antologia del 1900, il Pascoli innova invece rispetto ai canoni antologici carducciani, almeno in tre sensi. In primo luogo, se in Carducci vi è una chiara differenziazione delle antologie in generi letterari (vi sono antologie di poesie, come L'arpa del popolo, oppure di prosa, come Letture italiane e Letture del Risorgimento italiano), Pascoli mischia i generi. In secondo luogo, Pascoli introduce per primo, con la sua antologia Sul limitare, la forma dell’antologia tematica della letteratura, associando i testi letterari attorno a temi di forma (“Tratti epici e storici”, “Parabola, allegorie, Leggende”, “Fiabe e novelle” e “Dal romanzo moderno”) e di contenuto (“Nel carcere”, “Pensieri ed affetti”, “Quadri e suoni”, ecc.). Se l’antologia è concepita come universale (comprende la letteratura del mondo antico greco-romano come quella moderna), l’autore rinuncia dunque a coprire tutti i periodi ed autori e a tracciarne una storia: da ‘racconto storico a molte voci’, l’antologia si trasforma perciò in ‘saggio a molte voci’. Il mondo simbolista di Pascoli interrompe dunque la logica storicista dell’Ottocento. Con “Fior da fiore” Pascoli compie un passo successivo, proponendo una raccolta di testi completamente libera da ogni categorizzazione, e legata esclusivamente a criteri estetici, ovvero proponendo l’uno dopo l’altro una selezione di brani che, dal punto di vista tematico e simbolistico, compongono una raccolta variata della letteratura. L’antologia diviene dunque e vero e proprio mosaico, che consente all’insegnante di scegliere quale percorso di lettura seguire lungo il proprio corso, in piena libertà e seguendo l’ispirazione personale. Infine, Pascoli tende (sia pur molto prudentemente) ad uscire dalla sola dimensione nazionale, introducendo sia temi tradizionalmente regionali (sia pure in italiano) sia testi di letteratura straniera (Goethe, Hugo e Shelley) [103]; l’apertura alla letteratura straniera si conferma nel 1910 (Heine, Hugo, Lessing, Tennyson, Wordsworth).

Panzacchi, per molti aspetti, è un antologista intermedio tra i due. Di Carducci sposa la concezione cronologica e narrativa, come pure l’impostazione rigidamente nazionale. Di Pascoli accoglie la combinazione tra prosa e poesia. La prima caratteristica lo pone nella tradizione narrativa ottocentesca (se fossimo in pittura, parleremmo di pittura di storia); la seconda ci ricorda il suo amore per l’arte totale wagneriana.

La letteratura artistica in chiave nazionale

Quella di Panzacchi è una antologizzazione della letteratura artistica che canonizza lo spirito nazionale, perfettamente in linea con gli studi sulla letteratura italiana di quegli anni, che sono parte di un programma di unificazione linguistica del paese [104]. Anzi, per essere chiari, il suo è un programma nazionalistico, tutto ispirato al tema della rivincita dell’arte italiana nei confronti del mondo. Non a caso, commentando un lungo passo delle memorie di Massimo d’Azeglio, in cui quest’ultimo si lamenta che gli artisti a lui contemporanei dipingano paesaggi al di fuori dell’Italia, Panzacchi commenta: “Queste generose parole si potrebbero operare per certe recentissime esposizioni, in cui parecchi italiani si son dati a rifare furiosamente scandinavi e scozzesi” [105]. A conclusione dell’introduzione sull’Ottocento nell’antologia si legge inoltre: “Giova augurare che a tanti difetti supplirà il secolo XX; e che la pittura italiana non aspetterà ancora troppo lungamente la sua rivincita in faccia al mondo? Già qualche buon segno a ben sperare non manca” [106]. Da questo punto di vista, Panzacchi è davvero un ‘cattivo maestro’: in fondo, se questa è la programmatica del 1902, non può stupire che il movimento di rinnovamento della generazione successiva, ovvero il futurismo, predichi dieci anni dopo non solamente l’iconoclastia contro la pittura del passato, ma anche la guerra come parte della sua estetica.

Ovviamente, questo è un percorso che non è solo della cultura italiana. E tuttavia, proprio in quegli anni, non sempre le antologie sono utilizzate a tal scopo nazionalistico: anzi, esiste un filone di studi [107] sulla diffusione a partire dal Settecento fino ai giorni nostri, delle ‘antologie di traduzioni’, che divengono uno degli strumenti principali di diffusione della letteratura globale e di mediazione culturale tra le aree linguistiche del mondo. Per esempio, nel campo della letteratura artistica, l’antologia tedesca del Guhl alla metà dell’Ottocento è in gran parte composta di traduzioni da altre lingue (e fa conoscere al pubblico della Prussia testi italiani mai tradotti in tedesco fino ad allora).

Va anche detto che per un’apertura al mondo della critica d’arte italiana a quella straniera bisognerà attendere il 1912, con il X Congresso Internazionale di Storia dell'arte in Roma, organizzato da Adolfo Venturi e dedicato a “L'Italia e l'arte straniera”. Venturi coinvolge i più grandi nomi dell’epoca, da Heinrich Wölfflin, ad August Schmarsow ed Aby Warburg. Che un’impostazione internazionale non sia in contrasto con la capacità di approfondire la storia nazionale è dimostrato dal fatto che proprio in quell’occasione Venturi lancia il “Programma per un'edizione delle fonti della storia dell'arte italiana” [108]. Con tutto il rispetto per l’antologia del Panzacchi, si tratta di un programma che – purtroppo mai realizzato – ha un respiro molto più ampio.

Che l’antologia del Panzacchi appartenga ad un mondo sostanzialmente nazionalista è confermato anche da una significativa manipolazione di un testo che vorrei segnalare in conclusione di questo post. È la lettera di “Antonio Canova al sig. Conte Leopoldo Cicognara a Venezia” del 2 ottobre 1815 [109], con cui lo scultore di Possagno racconta all’amico di essere riuscito nel compito difficilissimo di recuperare molte delle opere sottratte all’Italia da Napoleone allo Stato della Chiesa. Attorno al suo tentativo è scoppiato un incidente internazionale, che ha messo a rischio l’operazione: la Russia minaccia infatti di far uso delle armi per impedire che le opere d’arte debbano tornare dalla Francia negli stati di provenienza.

Canova scrive, con sollievo: “E sarebbe veramente stato uno scandalo, che tutti avessero recuperato i loro oggetti d’arte, e Roma sola fosse esclusa da tal numero. Io sono dunque autorizzato dalle Potenze alleate a ripigliare la massima e miglior parte dei nostri capi d’opera di pittura e scultura. Dico la massima e miglior parte, perché sono costretto a lasciarne qui parecchi, a mia scelta però” [110]. La lettura si presta, ovviamente, all’orgoglio nazionale: Canova è l’eroe che ha riportato l’arte italiana a casa.

Il testo completo della lettera (pubblicato da Vittorio Malmani nel 1890 [111]), contiene anche un post scriptum che Panzacchi non riproduce. In esso Canova lamenta prima il fatto di non aver mai ricevuto la documentazione da Roma, poi spiega che l’amministrazione dello Stato della Chiesa si è comportata in modo del tutto irresponsabile ed infine chiarisce di essere riuscito a recuperare le opere solo grazie alle baionette dei soldati austriaci, prussiani ed inglesi.

“I primi capi di scultura stanno in mie mani, anzi in una caserma austriaca, e s’incassano i quadri migliori che ho potuto ricuperare, di Roma o dello Stato; senz’averne una nota precisa, com’era necessario, e come l’aspetto da Roma ad ogni momento. Se qualche cosa si lascia, o si perde, la colpa non è mia; colpa di chi mi ha mandato senza una speranza di frutto, e senza un documento solo di ciò che si dovea reclamare. Eppure il meglio si è tolto, e tutto per forza di baionette prussiane, austriache ed inglesi; perché queste tre Potenze particolarmente ci proteggono, e l’Inghilterra paga le spese del trasporto da Parigi a Roma” [112].

È evidente che questa parte della lettera non è in linea con la narrativa nazionale e viene dunque tralasciata. L’Austria è vista in quegli anni come la nemica storica dell’Italia unitaria: raccontare che nel 1815 Canova scrive di sentirsi più tutelato dall’esercito imperiale (di cui è suddito) che dall’amministrazione papale non avrebbe fatto bene al morale degli italiani.


NOTE

[57] Carducci, Giosuè - Letture del risorgimento italiano, scelte e ordinate da Giosue Carducci (1719-1870), Bologna, Zanichelli, 1896, 505 pagine. Si veda:
https://archive.org/details/letturedelrisor00cardgoog Citazione alle pagine vi e vii.

[58] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti: antologia, Milano, Tipografia editrice L. F. Cogliati, 1902, 535 pagine. Citazione alle pagine 393-394.

[59] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), p. 402

[60] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), p. 404

[61] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), p. 26

[62] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), p. 429

[63] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), p. 430

[64] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), p. 410

[65] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), pp. 444-445

[66] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), p. 411

[67] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), p. 449

[68] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), p. 418

[69] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, in: Nel campo dell’arte. Assaggi di critica, Bologna, Ditta Nicola Zanichelli, 1897, pagine 73-93. Citazione a pagina 90.

[70] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 92

[71] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 91

[72] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 92

[73] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), p. 449

[74] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), p. 450

[75] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), pp. 475-476

[76] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), pp. 450-451

[77] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 483

[78] Segantini, Giovanni - Scritti e lettere, a cura di Bianca Segantini, Torino, Milano e Roma, Fratelli Bocca, 260 pagine. Si veda: https://archive.org/details/scrittielettere00sega

[79] Segantini, Giovanni - Scritti e lettere (citato), pagina vii, (dall’introduzione di Bianca Segantini).

[80] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 510

[81] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 511

[82] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 512

[83] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 513

[84] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 514

[85] Giovanni Segantini, Venticinque lettere, a cura di Lamberto Vitali, Milano, All'insegna del pesce d'Oro, 1970, 77 pagine.

[86] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 513

[87] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 518

[88] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 526

[89] Carducci, Giosuè - L'arpa del popolo: scelta di poesie religiose, morali e patriottiche cavate dai nostri autori e accomodate all'intelligenza del popolo, Firenze, Tipografia galileiana di M. Cellini, 1855, 285 pagine.

[90] Carducci, Giosuè e Brilli Ugo, Letture italiane, scelte e ordinate ad uso delle scuole del ginnasio inferiore, Bologna, Nicola Zanichelli, 1883, in 5 volumi.

[91] Carducci, Giosuè - Letture del risorgimento italiano, citato.

[92] Pascoli, Giovanni - Sul limitare, prose e poesie scelte per la scuola italiana, Milano, Remo Sandron, 1900, 644 pagine. Si veda: 
https://archive.org/details/sullimitareprose00pascuoft

[93] Pascoli, Giuseppe - Fior da fiore : prose e poesie scelte per le scuole secondarie inferiori, Milano, Remo Sandron, 586 pagine. Si veda: https://archive.org/details/fiordafioreprose00pasc

[94] Paccagnini Erminio, Carducci antologista, in: Carducci filologo e la filologia su Carducci. Atti del Convegno (Milano 6-7 novembre 2007), Milano, Mucchi Editore, 192 pagine. Si veda: 
https://books.google.de/books?id=yi9PWoAwrG8C&pg=PA83&dq=antologista&hl=en&sa=X&ved=0ahUKEwic9eL89J_TAhWDIJoKHQEMCaAQ6AEIRzAJ#v=onepage&q=antologista&f=false

[95] Pecci, Giuseppe - Il Pascoli antologista e le sue relazioni col Carducci e col D'Annunzio, Faenza, Fratelli Lega, 1958, 36 pagine.

[96] Martini, Stefania, Da Carducci antologista a Pascoli antologista, in: “Studi e problemi di critica testuale”, 66, Aprile 2003, pagine 129-162.

[97] Lando, Mariangela, Antologie e storie letterarie nell’insegnamento dell’italiano nelle scuole classiche dal 1870 al 1923: una ricognizione, Tesi di dottorato. Si veda: 
http://paduaresearch.cab.unipd.it/8074/1/Lando_Mariangela_Tesi.pdf

[98] Cremante, Renzo e Santucci, Simonetta – Il canone letterario nella scuola dell'Ottocento. Antologie e manuali di letteratura italiana, Bologna, Clueb, 2009, 516 pagine.

[99] Lando, Mariangela, Antologie e storie letterarie (citato), p. 394

[100] Lando, Mariangela, Antologie e storie letterarie (citato), p. 396

[101] Lando, Mariangela, Antologie e storie letterarie (citato), p. 398

[102] Lando, Mariangela, Antologie e storie letterarie (citato), p. 398

[103] Lando, Mariangela, Antologie e storie letterarie (citato), p. 17

[104] Lando, Mariangela, Antologie e storie letterarie (citato), p. 378

[105] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 476

[106] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 451

[107] Seruya Teresa; D´hulst, Lieven; Assis Rosa, Alexandra; Lin Moniz, Maria. Translation in Anthologies and Collections (19th and 20th Centuries). Amsterdam: John Benjamins, 2013. 287 pagine. Kittel, Harald -International anthologies of literature in translation, Gottinga, Erich Schmidt editore, 283 pagine.

[108] Il programma è disponibile su internet all’indirizzo: 
https://www.google.de/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=1&cad=rja&uact=8&ved=0ahUKEwiQ1NSt4L7TAhVJPxQKHTJ3Cs4QFggmMAA&url=https%3A%2F%2Flettere.aulaweb.unige.it%2Fmod%2Fresource%2Fview.php%3Fid%3D3084&usg=AFQjCNGlkmP5sn7sv59uyJajf-ubbBs1BQ&sig2=mzYplaNJtjipGEnc6L17zw

[109] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), pp. 455-456

[110] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), pp. 455-456

[111] Un'amicizia di Antonio Canova: lettere di lui al conte Leopoldo Cicognara, a cura di Vittorio Malamani, Città di Castello, S. Lapi, 1890, pagine 192.

[112] Un'amicizia di Antonio Canova (citato), pagine 58-60.






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