Storia delle antologie di letteratura artistica
Enrico Panzacchi,
Il Libro degli Artisti. Antologia
Milano, Tipografia Editrice L.F. Cogliati, 1902, 527 pagine.
Recensione di Francesco Mazzaferro. Parte Terza
![]() |
Fig. 53) La copertina in pelle dei Saggi di Storia dell’Arte di Panzacchi in un'edizione senza data. |
Settecento
Nel saggio non datato su “La letteratura e l’arte in Italia”, pubblicato in una serie di
studi nel 1897, il Panzacchi afferma con forza la qualità della letteratura
artistica in Italia anche durante il Settecento, una fase della storia
dell’arte italiana che è generalmente considerata come espressione della crisi
della società e della politica. Come si è già visto nella prima parte di questo
post, egli celebra il lavoro critico di Francesco Algarotti (da lui giudicato
pari, se non superiore, a Diderot) e ricorda “i due Bianconi, i due Zanotti e Francesco Milizia” come autori di
riferimento per l’intero secolo in tutto il mondo. Consultando – nel quadro di
questa ricerca – l’introduzione di un’antologia degli stessi anni di Giosuè
Carducci, mi sono imbattuto in alcune frasi che – pur se applicate fuori dal
campo della letteratura artistica – sembrano comunque riflettere la stessa
attitudine: il Settecento italiano è considerato pari, se non superiore, a
quello di altri Paesi: “Il Vico rivelava
la divinazione e la scienza dell’istoria alla Germania per mezzo dell’Hegel
(…). Il Gravina trasmetteva al Montesquieu la massima fondamentale: «La
riunione di tutte le forze particolari costituisce lo stato politico di
una nazione; la riunione di tutte le volontà ne costituisce lo stato civile»”
[57]. Per la generazione di
Panzacchi, la cui missione è quella di consolidare l’unificazione politica
appena raggiunta, non vi è dubbio che si senta il bisogno di negare che
l’Italia abbia accumulato, nel corso del Settecento, un ritardo importante nei
confronti del resto del mondo.
E tuttavia l’introduzione alla corrispondente sezione de Il
Libro degli artisti chiarisce che l’unico stratagemma per confutare la tesi del
ritardo del nostro paese nel Settecento è, per Panzacchi, quella di attribuire
alle belle arti dell’intero secolo (anche in Francia e nelle altre potenze
europee) un simile ritardo: fu un’epoca di crisi per l’arte, e dunque l’Italia
non fu da meno. “Se nel Seicento l’arte
italiana poteva ancora sostenere gloriosamente il confronto con l’arte delle
altre nazioni, nel secolo seguente il decadimento non può essere mascherato da
alcuno splendore di nomi, di opere, di scuole. Dopo aver gittato e
fruttificato, il grande albero si raccoglie in sé e si riposa. Del resto il
settecento non fu troppo felice né pure [sic] per gli altri popoli, nel
riguardo delle sole arti plastiche. Questo è il secolo della musica e
dell’enciclopedia. Da una parte una società frivola e leggera amatrice dei
godimenti che non chiedono uno sforzo mentale troppo intenso, una società che
va in sollucchero davanti alle ariette facili e alle belle voci degli evirati
cantori bollati dal Parini; dall’altra, una intera classe di cittadini che
lavora, studia, matura l’avvenire, e prepara i terribili sconvolgimenti che
accompagnarono e seguirono la rivoluzione francese” [58]. Seguono due pagine per documentare le
debolezze della creazione artistica settecentesca nel resto dell’Europa.
![]() |
Fig. 54) Giovanni Maria Ciocchi, Affresco con la Gloria di San Michele sul soffitto della Chiesa di Santa Maria degli Angiolini, Firenze, 1715 |
Passando alla scelta degli autori citati nell’antologia, la contrapposizione tra i rappresentanti della società
frivola ed i cittadini che preparano lo sviluppo del secolo dei lumi sembra
essere rappresentata dal contrasto tra le pagine di Giovanni Maria Ciocchi e di
Francesco Algarotti, con cui si apre la sezione sul Settecento. Del primo,
Panzacchi scrive: “Abbiamo voluto dare un
passo di questo bizzarro libro, il quale poi si tramuta in un trattato di
estetica. Tutto il libro è quanto di più barocco si possa immaginare” [59]. Del secondo: “Fu uno degli spiriti più eleganti e più colti del suo tempo” [60].
In effetti, la lettura delle cinque pagine tratte dalla
Pittura in Parnaso, opera del 1725 di Giovanni Maria Ciocchi (1658 – 1725) ci
ricorda come lo stile della scrittura dell’epoca sia oggi di difficile lettura, a causa dell’incrocio di temi figurati chiaramente esagerati con
una struttura interminabile del periodo. L’autore vuole, per esempio, rendere
visibile l’interazione tra pittura e le altre ‘scienze e nobili arti’, e a tal
fine immagina che la pittura – rappresentata allegoricamente da una persona –
sia accolta da tutte le discipline del sapere (anch’esse persone) sul monte
Parnaso, che si immagina come luogo dove abitano la poesia, la storia, la
filosofia, lo studio, l’applicazione, la filosofia, ecc.. La rappresentazione
scenografica del sapere ‘collettivo’ comune a varie discipline si traduce nella
decisione dell’autore di far precedere la pittura da una processione allegorica
di figure che rappresentano le componenti essenziali della pittura stessa: il
colorito, l’unione, l’accordo, la disposizione, l’invenzione, la prospettiva,
la geometria e l’architettura. Finalmente, giunge la pittura, alla fine della
processione: “Era vestita non solo
riccamente, quanto di frappi vari e per lo più cangianti, ed in mano teneva
alcuni pennelli ed una tavolozza sopra la quale erano i principali colori,
co’quali le maraviglie dell’arte sua componendo, così mirabile al Mondo si è
renduta. Era il suo crine inanellato e nero, ed alquanto incolto, ma questo
poco vedeasi, perché da un verdeggiante ramo di Alloro che le circondava le
tempia, veniva quasi coperto” [61]. Ho
scelto, intenzionalmente, un passaggio breve e comprensibile.
Lo stesso tema dell’interazione delle discipline viene
trattato dall’Algarotti (1712 –1764) in modo del tutto diverso. Egli discute il
problema del rapporto tra pittura ed altre discipline, dedicando a ciascuna di
esse capitoli nel suo Saggio sopra la Pittura del 1756 (anatomia, prospettiva,
simmetria, colorito, ecc..). La predisposizione enciclopedica dell’epoca è resa
evidente dal fatto che il medesimo autore scrive saggi, in parallelo, su
architettura, musica, commercio e molte altre discipline. Panzacchi riproduce i
giudizi di Algarotti su Poussin, Lorrain e Tiziano, come pure su una serie di
architetti. Per dire la verità, le due pagine scelte non sembrano molto
pregnanti.
Sia nella scelta delle pagine del Ciocchi, sia in quelle
dell’Algarotti, il Panzacchi sembra voler evitare la discussione sistematica di
temi estetici. Sia la Pittura in Parnaso sia il Saggio sopra la Pittura
trattano tutti i temi iconologici del loro tempo; se altri passi fossero stati
scelti, la loro lettura comparata potrebbe aver offerto al lettore una
riflessione sull’evoluzione del rapporto dell’arte con società civile ed
istituzioni religiose; l’antologia, invece, illustra semplicemente l’estrema
divergenza dell’impostazione e dello stile dei due scritti.
Diverso invece il modo con il quale il Panzacchi cita il
pensiero dell’architetto e trattatista veneto Francesco Milizia (1725-1761),
che appartiene all’ultima fase del secolo. L’autore del Libro degli Artisti
scrive: “Abbiamo largheggiato nella
riproduzione di passi del Milizia, un prosatore che dovrebbe essere più noto di
quanto non sia. Del valore delle sue viste su l’arte giudicherà il lettore dai
numerosi estratti. (…) I suoi scritti sono di piacevole lettura, pieni di
spirito e di acume: ma c’è a dire quanto all’imparzialità dei suoi giudizi. O
almeno, egli spesso esprime troppo brutalmente le sue opinioni e non senza
animosità” [62].
![]() |
Fig. 56) Francesco Milizia, Dell'Arte di vedere nelle arti del disegno secondo i principi di Sulzer e Mengs, 1798 |
Di lui sono citate numerose pagine, tratte – fra l’altro –
dalle Memorie degli architetti antichi e
moderni del 1781, dai Principi di
architettura civile del 1784 e dal trattato Dell’Arte di vedere nelle arti del disegno secondo i principi di Sulzer
e di Mengs del 1798. Le riflessioni incluse nel primo testo hanno la natura
di un manifesto dell’estetica del bello ideale, nella sua interpretazione neoclassica.
A differenza di quanto accade nel resto dell’antologia, le pagine citate sono
di natura talmente sistematica da richiedere la pubblicazione di una tabella
sul “Quadro delle parti principali che
costituiscono le belle arti del disegno” [63]. Interessante anche la lettera non datata di Tomaso Temanza allo
stesso Milizia, dove si fa il punto della situazione sugli scritti dei due.
![]() |
Fig. 57) Ridolfino Venuti, Risposta alle riflessioni critiche sopra le differenti scuole di pittura del signor marchese d'Argens, 1755 |
Tra le citazioni iniziali del Ciocchi e dell’Algarotti da un
lato e quelle finali del Milizia dell’altro, i testi della sezione che
testimonia la letteratura artistica del Settecento danno un’idea di
disorientamento. Mentre tra Quattro e Seicento vi sono temi principali (li
abbiamo chiamati ‘pilastri’) attorno ai quali è possibile decrittare la
sequenza delle citazioni su base cronologica, qui si alternano semplicemente generi
e temi diversi. In un paio di casi, si leggono scritti polemici contro l’influenza
dell’arte straniera. Così Panzacchi riproduce la Risposta alle Riflessioni critiche del Marchese d’Argens, del 1755,
una replica in difesa dell’arte italiana attribuita dal Lanzi a Ridolfino
Venuti (1705–1763). Il pittore e trattatista emiliano Giampietro Zanotti
(1674–1765) si rivolge invece per lettera a Bottari nel 1762 con una tiritera
per lamentarsi della decadenza dell’arte italiana e l’eccessiva moda francese
ed inglese: “L’Italia ne’ tempi andati ha
dato norma e regole alle altre nazioni, ed ora gl’italiani ingegni si sono
avviliti. Adesso nel comporre s’introducono i modi inglesi e francesi, strani e
barbari, e così nel fabbricare e nel dipingere, e se il Bonarroti fosse ora
attorno a dipingere il suo Giudizio, gli converrebbe fare il suo Cristo
Giudicante un qualche Milord. (…) Povera Italia! Se dico spropositi, monsignore
avvisatemi e correggetemi, ma io spero di no” [64].
In realtà, l’impressione è che le scelte dei testi del
Panzacchi testimonino l’inerzia di quel mondo, ancora dominato dai temi
secenteschi. Il Bottari (1689-1775) dà la parola, nei suoi Dialoghi sopra le tre arti del disegno del 1754 a Giovanni Pietro Bellori e a Carlo Maratta, che discorrono sul ruolo della fantasia, traendo
spunto dall’arte di Salvator Rosa. Sempre in tono nostalgico si possono
leggere, inoltre, le pagine citate degli Avvertimenti
per lo incamminamento di un giovane alla Pittura, sempre di Giampietro
Zanotti, che ritorna ai temi della polemica anticaravaggesca (contro i
‘Naturalisti’) a favore della scuola dei Carracci, e parla di Lorenzo Pasinelli
(1629-1700), suo maestro, ed Alessandro Tiarini (1577 –1668), tutti barocchi
bolognesi.
![]() |
Fig. 59) Giuseppe Maria Crespi, Ritratto del conte Fulvio Grati, 1700-1720 |
![]() |
Fig. 60) Luigi Crespi, Autoritratto, 1775 |
Di area bolognese è anche Luigi Crespi (1708–1779) che – in
una lettera a Monsignor Bottari del 1759, racconta della sua ammirazione sempre
per Zanotti (ormai anziano) e della sua intenzione di ispirarsi agli scritti di quest'ultimo per includere nel terzo volume della Felsina Pittrice la vita del pittore bolognese Pasinelli, di cui si già menzionato che era il maestro di Zanotti. In questa lettera Crespi vuole accreditarsi presso Bottari come figura centrale del mondo erudito del Settecento. E tuttavia va detto che la biografia che Crespi incluse nella sua prosecuzione della Felsina Pittrice null'altro era se non una rielaborazione del testo di Zanotti, come recentemente scritto da Giovanna Perini Folesani nel suo saggio su Crespi. Questi atteggiamenti da avventuriero contribuirono ad impedire l'ammissione di Crespi nell'Accademia Clementina. Resta il fatto che Panzacchi nulla scrive queste vicende per non turbare l'immagine di uno svolgersi idilliaco della vita dell'Accademia bolognese, suo punto di riferimento indiscusso. Confrontando le opere di Pasinelli e Zanotti (l’uno il maestro
dell’altro) si può osservare come per gran parte del secolo l’arte bolognese
(lungi da sposare le temute influenze francesi od inglesi) rimanga
iconograficamente legata ai temi dell’arte barocca di cent’anni prima. Sarà
invece Crespi padre (Giuseppe Maria) a rinnovare l’iconografia bolognese.
![]() |
Fig. 61) Giampietro Zanotti, La guarigione del cieco, senza data |
![]() |
Fig. 62) Lorenzo Pasinelli, Santa Cecilia, 1665 |
![]() |
Fig. 63) Nicola Passeri, L'elemosina di Santa Isabella, 1776 |
![]() |
Fig. 64) Nicola Passeri, Del metodo di studiare la pittura, e delle cagioni di sua decadenza, 1795 |
Quando si tratta di testimoniare il passaggio al gusto
neoclassico, Panzacchi sceglie un altro artista emiliano: il pittore e
trattatista faentino, nonché membro dell’Accademia Clementina di Bologna,
Nicola Passeri (1729-1799). Le sue immagini, da un punto di vista iconologico,
non rivelano fratture rispetto alla continuità emiliana. E tuttavia il suo Del metodo di studiare la pittura, e delle
cagioni di sua decadenza è un dialogo tra il Mengs ed il Winckelmann, a
significare un cambiamento di coordinate estetiche: non si guarda più ai
Carracci, ma al mondo greco-romano. Nella finzione del dialogo, Winckelmann
chiede a Mengs: “E seguendo la Natura
unita ad un’arte vaga e piacevole, non si è forse giunto al grado di
perfezione?” La risposta fittizia del Mengs non lascia dubbi: “No , caro Wincklemann. Bisogna saper
discernere il dilettevole dalle profonde bellezze della forma” [65].
Del Passeri sono anche citati il saggio Esame ragionato sopra la nobiltà della pittura e della scultura (uno
degli ultimi esempi sul tema del Paragone, del 1783) ed uno studio su un “Piano di Regolamenti e Statuti, per
formare una Reale Accademia di pittura, scultura ed architettura” (pubblicato
in annesso al dialogo).
Simpatico, infine, è il sonetto di Zanotti (anch’egli citato
così spesso da confermare che il Panzacchi lo considera un protagonista del
secolo, così come del resto aveva scritto nel saggio su “La letteratura e l’arte in Italia”) per il restauro del Nettuno
del Giambologna, a cura dello scultore ed anatomista Ercole Lelli (allievo di
Zanotti), ultimato nel 1762.
Pur ti riveggio, o
illustre mole altera,
Che il passeggier maravigliando onora,
E il veglio, ch’anche i bronzi apre e divora,
Stupido guata la grand’opra intera.
Che il passeggier maravigliando onora,
E il veglio, ch’anche i bronzi apre e divora,
Stupido guata la grand’opra intera.
Ecco il Nettuno, e col
tridente impera,
E nel primo e superbo atto dimora.
Invidia anch’essa il vede, e si scolora,
E ne’ suoi rei disegni or piú non spera.
E nel primo e superbo atto dimora.
Invidia anch’essa il vede, e si scolora,
E ne’ suoi rei disegni or piú non spera.
Oh di raro valor
sublime pregio!
Ma che non può spirto di gloria vago,
Cui son le vie delle belle arti conte?
Ma che non può spirto di gloria vago,
Cui son le vie delle belle arti conte?
E voi, Nereidi, del
maestro egregio,
Riparator della cadente imago,
Ghirlande offrite all’onorata fronte [66].
Riparator della cadente imago,
Ghirlande offrite all’onorata fronte [66].
Restando in tema di poesia, Panzacchi propone cinque sonetti
del poeta modenese Giuliano Cassiani (1712-1778), anche se non si tratta di
componimenti che si riferiscono direttamente a pittori. Cassiani è citato “in mancanza, o per scarsità, di poesie
originali d’artisti … a far intendere [67] e capire il gusto dell’età” [68]. Significativo che la scelta cada su di un letterato di area
emiliana. Evidentemente, vi è uno sforzo consapevole di cercare
preferenzialmente nel mondo emiliano le tracce dello sviluppo della letteratura
artistica italiana del secolo. Certamente, a distanza di poco più di cent’anni,
pochi sarebbero dell’opinione che Zanotti e Passeri abbiano svolto un ruolo
centrale per la letteratura artistica del Settecento. Ma rileggere le antologie
del passato non serve solamente a riflettere sui gusti superati, ma anche a
chiedersi se non vi debbano essere nuove indagini per il futuro.
L'Ottocento
Nella prima parte di questo post abbiamo dedicato ampio
spazio alle considerazioni di Panzacchi sul primo Ottocento italiano nel suo
saggio “La letteratura e l’arte in
Italia” pubblicato nel 1897. Abbiamo visto come egli consideri la
‘letteratura artistica’ di questo periodo (egli usa questo termine), alquanto
deludente, lamentando che i grandi della letteratura italiana (compresi Monti,
Foscolo e Manzoni), a differenza dei loro contemporanei francesi e tedeschi,
siano sostanzialmente indifferenti nei confronti dell’arte. Tra i neoclassici
le uniche eccezioni sono Pietro Giordani e Gian Battista Niccolini. Anche gli
esponenti italiani della letteratura romantica, a differenza di francesi e
tedeschi, ignorano i temi artistici. Panzacchi avverte di essere ben cosciente
che altri autori (che non appartengono al mondo letterario) hanno scritto
d’arte (si riferisce a Leopoldo Cicognara, Giuseppe Bossi, l’Abate Pietro Zani
e Pietro Selvatico). Tra i filosofi menziona il trattato Del Bello di Vincenzo Gioberti del 1845, per dire tuttavia che, a
differenza dell’opera Du vrai, du beau, du bien del francese Cousin del 1854, “per gli artisti nostri e per i cultori
dell’arte storica e contemporanea, il libro del Gioberti passò senza lasciare
traccia” [69].
![]() |
Fig. 66) Vincenzo Gioberti, Sulla bellezza, 1845 |
![]() |
Fig. 67) Victor Cousin, Du vrai, du beau et du bien 1853 |
E così conclude lo scritto del 1897: “Alle arti nostre tutti fecero torto. I governi negligendole affatto o
somministrando il soccorso scarso con criteri balordi. L’insegnamento dato a
vanvera e male, mescolando i vecchiumi e le novità con tenacia barbogia e con
leggerezza irrequieta. Mancò soprattutto ad esse la letteratura, che preferì
d’andare innanzi per conto suo, astraendosi da loro superbamente e
abbandonandole al giudizio e al governo dei gazzettieri e dilettanti, spesso
pretenziosi del pari ed ignorantissimi” [70]. […] “«Eppure gli artisti in Italia non
mancano!», scriveva accorato il buon Luigi Mussini
nell’anno di grazia 1848” [71]. “Ma l’esclamazione del buon Mussini era vera
allora e possiamo ripeterla con più vivo convincimento ora, passati oramai
cinquant’anni. Chi visita i nostri studi trova dovunque artisti vecchi e
giovani, spesso oscuri, quasi sempre poco incoraggiati, che brontolano
volentieri ma che non risteranno [sic] mai dal lavorare. Il risultato di questa
costanza indomita (e in molti casi veramente eroica) è dovunque un singolare
miglioramento nella tecnica dell’arte e una ricerca perseverante della
sincerità artistica, qualche volte divagante in prove discutibili, ma non mai
senza dignità e senza frutto. A costoro più che l’esempio dei non molti
fortunati e dei trionfatori, a me piace di ricordare quei giovani virtuosi e
valenti a cui la morte spezzò le ali quando stavano per lanciarsi a volo nel
grande aere glorioso. Amo di ricordare ad essi il Celentano, il Fracassini, il
Faruffini, il Mosso, il Busi, il Favretto, il Serra, il Ricci, il Muzzioli,
affinché, nel senso gagliardo della vita, essi attingano il concetto di un
dovere nobilissimo che loro spetta, quello di mandare avanti l’opera che i loro
compagni morti furono costretti a lasciare incompiuta” [72].
![]() |
Fig. 68) Bernardo Celentano, Il Consiglio dei dieci, 1860 |
![]() |
Fig. 69) Carlo Grosso, La cella delle pazze, 1884 |
![]() |
Fig. 70) Luigi Serra, L'esercito cattolico entra in Praga dopo la vittoria alla Montagna Bianca, 1885. Affresco dell’abside di Santa Maria della Vittoria, Roma |
![]() |
Fig. 71) Giovanni Muzzioli, I funerali di Britannico, 1888 |
Nell’antologia la sezione introduttiva sull’Ottocento è
alquanto più sbrigativa: “L’arte di
questo secolo domanderebbe un troppo lungo proemio che dovrebbe abbracciare non
uno, ma molti e svariati e spesso confusi movimenti d’arte e di idee. Ci limiteremo
ad un cenno molto sommario” [73]. Il
giudizio è positivo sulla scultura (Canova, Bartolini, Dupré, Vela) mentre
eccezionalmente severo per quel che riguarda la pittura. “Nel paese dei grandi coloristi come Giorgione, Tiziano, Correggio non
si conosce più il colore e domina la biacca. (…) Il Camuccini, l’Agrippa, il
Landi furono appena dei buoni imitatori della scuola del David. (…) Un critico
francese, verso la metà del secolo, poté chiamare l’Italia: le tombeau de la
peinture!” [74].
A questa valutazione corrisponde, nella scelta degli
scritti sul primo Ottocento, una preferenza per quelle pagine che si
riferiscono alla scultura: lettere di Canova (al Cesarotti, a Giuseppe Falier,
al Cicognara), citazioni dell’Autobiografia di Giovanni Dupré (sul suo maestro
Luigi Bartolini e sulle esposizioni a Parigi), cinque pagine di terzine del
poeta ravennate Paolo Costa (1771-1836) per celebrare il ritorno del Laocoonte
a Roma da Parigi, dove era stato portato dai francesi, ed infine un
sonetto di Giuseppe Giusti del 1837 per celebrare La fiducia in Dio di Luigi Bartolini.
“Quasi obliando la
corporea salma,
Rapita in Quei che volentier perdona,
Sulle ginocchia il bel corpo abbandona
Soavemente, e l’una e l’altra palma.
Rapita in Quei che volentier perdona,
Sulle ginocchia il bel corpo abbandona
Soavemente, e l’una e l’altra palma.
Un dolor stanco, una
celeste calma
Le appar diffusa in tutta la persona,
Ma nella fronte che con Dio ragiona
Balena l’immortal raggio dell’alma;
Le appar diffusa in tutta la persona,
Ma nella fronte che con Dio ragiona
Balena l’immortal raggio dell’alma;
E par che dica: se
ogni dolce cosa
M’inganna, e al tempo che sperai sereno
Fuggir mi sento la vita affannosa,
M’inganna, e al tempo che sperai sereno
Fuggir mi sento la vita affannosa,
Signor, fidando, al
tuo paterno seno
L’anima mia ricorre, e si riposa
In un affetto che non è terreno” [75].
L’anima mia ricorre, e si riposa
In un affetto che non è terreno” [75].
Se il giudizio sulla pittura neoclassica italiana rimane
tagliente, che cosa scrive Panzacchi dell’arte italiana più recente? Lo abbiamo
visto avere un atteggiamento aperto nei confronti dei pittori che rappresentano
l’Italia alla prima Biennale di Venezia del 1895, nonostante egli disapprovi la
crescente convergenza degli stili verso il modello francese. Qualcosa di simile
si legge anche nell’introduzione alla sezione dell’antologia. “Un nobile tentativo di risorgimento in
Italia per la pittura poté poi avvenire; ma bisogna aspettare che fosse passata
la seconda metà del secolo col periodo che si aprì con Filippo Palizzi,
proseguì con Stefano Ussi e Domenico Morelli e si chiuse con Giuseppe
Segantini, quattro morti di ieri. Sarebbe ingiustizia negare i nobili sforzi
fatti coi Lombardi, con l’Hayez alla testa; e sforzi somiglianti in Toscana, in
Piemonte, nell’Emilia e nel Veneto. Ma in genere bisogna riconoscere che il
movimento pittorico italiano spiccò specialmente per due difetti: l’obblio
delle gloriose sue tradizioni e la facilità mobile, incoerente e servile con
cui si piegò a tutte le manifestazioni dell’arte straniera appena che si
presentassero a noi incoronate da qualche vaghezza di moda e di successo” [76]. Di Hayez vengono riportate alcune
pagine de Le mie memorie, pubblicate
nel 1890: in esse racconta fra l’altro dell’incontro che egli ebbe, ancora
molto giovane, con il pittore neoclassico Pietro Benvenuti (1769–1844).
![]() |
Fig. 76) Pietro Benvenuti, Ritratto di Eleonora Pandolfini Nencini, 1804 circa |
![]() |
Fig. 77) Francesco Hayez, Le mie memorie, dettate da Francesco Hayez, 1890 |
![]() |
Fig. 78) Francesco Hayez, Meditazione, 1851 |
È dedicato infine alla Meditazione
dell’Hayez (conosciuta anche come L’Italia
del 1848) un sonetto di Andrea Maffei (1798–1885) del 1852.
Cara, angelica donna,
in qual pensiero
Hai tu la sconsolata anima assorta?
Che ti affligge cosi, che ti sconforta
Nel più bel fior degli anni tuoi?... mistero.
Hai tu la sconsolata anima assorta?
Che ti affligge cosi, che ti sconforta
Nel più bel fior degli anni tuoi?... mistero.
Quella croce che
stringi e quel severo
Volume ove il tuo mesto occhio si porta,
Dicono che per te la gioia è morta,
Né t'offre il mondo che il suo tristo vero.
Volume ove il tuo mesto occhio si porta,
Dicono che per te la gioia è morta,
Né t'offre il mondo che il suo tristo vero.
Sì [sic], la bibbia e
la croce! util consiglio
All'età sventurata, in cui sul buono
L'impudente cervice alza il perverso.
All'età sventurata, in cui sul buono
L'impudente cervice alza il perverso.
Ferma in que' segni di
riscatto il ciglio,
Cara, angelica donna; essi ti sono
Un rifugio al dolor dell'universo [77].
Cara, angelica donna; essi ti sono
Un rifugio al dolor dell'universo [77].
A terminare sono proposti gli “Scritti d’arte” di Luigi Mussini (1880), alcuni “Pensieri sull’Arte” di Niccolò Tommaseo
(senza indicazione di fonti), due lettere di Antonio Fontanesi, una di Bernardo
Celentano ed infine una del pittore bolognese Luigi Serra, dedicata all’ “Apparizione della Vergine ai SS. Francesco e
Bonaventura” del 1882.
![]() |
Fig. 79) Antonio Fontanesi, Sulla riva del Po a Torino, 1870-1875 circa |
![]() |
Fig. 80) Luigi Serra, L'apparizione della Vergine ai SS. Francesco e Bonaventura, 1882 |
Alcune belle pagine
dell’ultimo Ottocento
Come scegliere le pagine dei contemporanei in un’antologia?
Per un autore è spesso l’aspetto più difficile di una raccolta di scritti,
perché manca la distanza storica che consenta di sedimentare il giudizio.
Panzacchi, con scelta felice, propone belle pagine di Giovanni Segantini
(1858-1899) e Telemaco Signorini (1835-1901).
Panzacchi spiega che le lettere di Giovanni Signorini a
Vittore Grubicy de Dragon (1851-1920) e le pagine del suo Diario sono tratte da un saggio intitolato "Il primo ed il secondo Segantini", appena scritto dal
critico Primo Levi per la Rivista
d'Italia (il periodico della Società editrice Dante Alighieri) del
novembre-dicembre 1899. Lo scritto di Levi compare solamente qualche mese dopo
la scomparsa dell’artista ed offre un'ampia documentazione non solamente della
sua pittura, ma anche della sua corrispondenza con Grubicy.
Levi è un saggista e critico d'arte (autore anche di
monografie su Domenico Morelli e Tranquillo Cremona) vissuto tra 1854 e 1917. È
omonimo del più famoso Primo Levi di 'Se questo è un uomo", che è
ovviamente nato molto più tardi, solamente nel 1919. Levi è anche un
giornalista e commentatore politico conosciuto ai suoi tempi (un sostenitore,
con la sua testata "La Riforma", della politica coloniale di
Francesco Crispi in Libia e di un atteggiamento aggressivo verso la Francia per
tutelare gli interessi italiani in Tunisia).
Anche Grubicy è figura non minore nel panorama dell'arte
italiana di quegli anni. Artista e mercante d'arte a livello internazionale, è
anche saggista (collabora con il Levi nel suo foglio La Riforma). Di Segantini,
che vive ai margini della società (è apolide e si è ritirato nelle montagne dei
Grigioni), Vittore è il maggiore amico ed il principale mecenate, nonché la
maggiore fonte di successo commerciale (vendendone le tele anche fuori
dall'Italia).
Quando esce il Libro degli Artisti nel 1902, le lettere di
Segantini a Grubicy e gli altri scritti non sono ancora stati pubblicate, se
non a frammenti. L'edizione integrale comparirà a cura della figlia Bianca,
prima in tedesco a Zurigo nel 1909 e poi in italiano a Torino nel 1910 [78].
Dall'introduzione dell'edizione italiana si ricava che l'antologia di Panzacchi
è fino ad allora il testo di più larga diffusione a contenere testi del padre. Bianca narra che l’idea della pubblicazione
della raccolta completa nasce a Ginevra, quando legge e traduce ad un pubblico
ristretto i passi raccolti nell’antologia del Panzacchi nella casa dello
scrittore Philippe Monnier [79].
Le lettere sono brevissime e ci offrono l'impressione di un
artista incompreso e di un pittore dalle forti convinzioni sull'arte, che parla
quasi per aforismi e che esprime tutti i sogni di una generazione ribelle. "Se l'arte moderna avrà un carattere,
sarà quello della ricerca della luce nel colore" [80]. "Il vivere nel mondo ed il sentire le
idee altrui snerva e indebolisce le proprie" [81]. "Io voglio che il quadro sia il pensiero fuso nel colore. I fiori
son fatti così, e questa è l'arte divina" [82]. "Intanto penso di stringere la natura in un pugno e di farne un
poema; il sogno è bello, ma la materia uccide" [83]. "Sì, la sola vera vita è tutta nel
sogno! Sognare un ideale da raggiungere a lenti gradi, lontano il più
possibile, ma alto, alto sino alla estinzione della materia. Ecco l'estremo
massimo che può produrre la gioia di vivere” [84].
Vi sono anche pezzi di notevole bellezza letteraria, che
spiegano perché i testi di Segantini siano stati oggetto di studio e
pubblicazione [85]. Ecco un frammento del primo gennaio 1890 da Savognino: "Mattino. Torno da una passeggiata.
Sento nel cuore la mia calma abituale e nel cervello come uno sbalordimento che
è effetto del vento. Intorno, tutto è triste, il cielo è grigio, sporco e
basso, soffia un vento di levante che geme come lontana bestia che muore, la
neve si stende pesante e malinconica come lenzuolo che copra la morte, i corvi
stanno tutti vicino alle case, tutto è fango, la neve sgela. Questa giornata me
ne ricorda molte altre che passai nella mia fanciullezza; mi sento ancora
l'eguale e provo le eguali sensazioni" [86].
Anche i testi in prosa e le poesie di Telemaco Signorini
(1835–1901) - sia pur del tutto diversi - ci offrono un'impressione di grande
immediatezza. Qui non vi è alcun senso di sogno e dramma - come con Segantini
-, ma solo di bonario divertimento.
Il suo Caricaturisti e
caricaturati al Caffé Michelangiolo è stato pubblicato come libro nel
1893, dopo essere originariamente comparso nel 1867 nel Gazzettino delle arti del disegno di Diego Martelli. Offre un
racconto divertente e disincantato di vent’anni della Firenze artistica dagli
anni rivoluzionari del 1848 fino al 1867, quando Firenze è capitale d' Italia,
raccontando tre generazioni di pittori, scultori, ma anche musicisti e
letterati nello spirito toscano delle burle e dei burloni (tradizione che
proviene dal medioevo e ancora oggi sopravvive). Se ne ricava, fra l'altro,
un'impressione vivida del mondo dei macchiaioli. Panzacchi nota che il libro "è oggi quasi introvabile" (e
rimane tale: ne è stata pubblicata solamente un'altra edizione nel 1952).
![]() |
Fig. 87) Telemaco Signorini, La toeletta del mattino, 1900 circa |
I testi sono spesso esilaranti. Ecco un esempio a proposito
del compositore romantico Luigi Gordigiani (1806--1860): "Fare il chiasso sul serio sembra un paradosso, eppure pensando al
genere di burle che caratterizzavano quelle di Luigi Gordigiani, non vi è modo
di qualificarle altrimenti. Racconto questa per darne una pallida idea. Da una
casa di Firenze esce una signora, chiude la porta e le riman serrato il
vestito; non potendo arrivare al campanello per farsi aprire, aspetta che passi
qualcuno. Il suo cattivo genio fa passare Gordigiani. «Scusi, signore ...
mi farebbe il piacere di suonarmi il campanello? Mi si è chiuso il vestito
nella porta.» «Quale
campanello?» Le domanda. «Il terzo.
» Il Gordigiani non suona, guarda il terzo piano e poi: «Senta»
le dice «io al terzo piano non ci conosco
nessuno... » «Cosa
fa, gli conosco io ... è casa mia.» «Può
darsi benissimo; ma io non suono davvero... potrebbe essere gente permalosa, e
si fa presto a prendere un impegno; e poi sa, non vorrei esser preso per un biricchino
[sic] di strada a suonare i campanelli.» La gente passa e si ferma, e
mentre la signora, rossa per la vergogna di trovarsi chiusa nella porta e dalla
stizza di vedersi negato un favore, si rivolge ad altri, Gordigiani profitta
della gente che si è adunata, vi si caccia dentro e sparisce" [87].
Le poesie di Signorini sono sonetti di genere satirico;
vengono pubblicate per la prima volta nel 1877, con il titolo Le 99 discussioni artistiche di Enrico Gasi
Molteni (il pittore usa il suo anagramma). Vengono ristampate ancora nel
1886 e poi, più recentemente, nel 1929. Ecco il suo sonetto "Amatore miope".
"Lo vede meglio
se un pochin si scosta,
E l'effetto vedrà che ci guadagna.
- Sarà com'ella dice, e se si lagna
Ha ragione, ma però non lo fo apposta...
E l'effetto vedrà che ci guadagna.
- Sarà com'ella dice, e se si lagna
Ha ragione, ma però non lo fo apposta...
Son miope; ... e
rappresenta ... una campagna?
-No, Firenze veduto dalla Costa;
Questa è Piazza, qui presso c’è la Posta,
qui gli Uffizi e le Logge dell'Orcagna.
-No, Firenze veduto dalla Costa;
Questa è Piazza, qui presso c’è la Posta,
qui gli Uffizi e le Logge dell'Orcagna.
Badi, è fresco, vien
via, la ci stia attento.-
Ma l'altro non l'ascolta, e si die' il caso
che essendo ad ammirar tutto contento,
Ma l'altro non l'ascolta, e si die' il caso
che essendo ad ammirar tutto contento,
e per la sua passion
cotanto invaso,
s’avvicinò così, che in un momento
Palazzo Vecchio portò via col naso” [88].
s’avvicinò così, che in un momento
Palazzo Vecchio portò via col naso” [88].
L’antologia di Enrico
Panzacchi e quelle di Carducci e Pascoli
Si è già detto che, al di là dei suoi fini pratici, il
lavoro di Panzacchi costituisce il primo tentativo di creare un canone delle
fonti di storia dell’arte in Italia in forma antologica. Prima di lui tutte le
raccolte di testi di fonti di storia dell’arte (Bottari, Ticozzi, Gualandi,
Gaye, Milanesi, Campori) sono in realtà repertori di lettere (che dunque
propongono tutti i testi reperiti in biblioteche ed archivi pubblici e privati,
e non ne presentano una selezione su basi estetiche o di contenuto), e non
antologie vere e proprie. Per capire come Panzacchi sia giunto alla sua
iniziativa editoriale è utile una riflessione, sia pur breve, sull’influsso che
l’evoluzione delle antologie letterarie in quei decenni ha sul nostro autore.
La fase che si avvia con la conclusione del Settecento vede
– non solamente in Italia – l’esplosione del genere dell’antologia come
strumento di narrazione del sapere. Prima di allora, le antologie hanno il
compito di offrire, per la gioia del pubblico, i poemi ritenuti degni di
lettura, oppure di documentare le fonti agli studiosi di filologia. Nelle
antologie ottocentesche, invece, si organizza la storia dei testi esattamente
secondo le medesime categorie concettuali con le quali – negli stessi anni – si
organizzano musei e gallerie per esporre il meglio delle opere d’arti in senso
cronologico. Lo storicismo prevale, come strumento di codificazione del sapere
e d’interpretazione della realtà, ma anche di cambiamento attivo dell’identità
collettiva.
Se antologie esistono in epoca moderna fin dall‘edizione del Parnasse des poètes françois modernes nel
1571, è solamente nell’Ottocento che nasce la figura dell’antologista come
operatore culturale, esattamente come si sviluppa quella del curatore di musei.
In Italia un contributo fondamentale alla diffusione dell’antologia come
strumento principe della divulgazione letteraria proviene da Giosuè Carducci
(1835-1907) e Giovanni Pascoli (1855-1912), entrambi attivi all’Università di
Bologna (Pascoli succede a Carducci). Quanto a Carducci, si pensi per esempio alle
sue antologie “L'arpa del popolo: scelta
di poesie religiose, morali e patriottiche” [89] del 1855, alle “Letture italiane, scelte e ordinate ad uso
delle scuole del ginnasio inferiore” del 1883 [90] ed alle “Letture del risorgimento italiano” del
1896 [91]. Lo stesso anno in cui Panzacchi scrive “Il libro degli artisti” compare invece l’antologia di Giovanni
Pascoli “Sul limitare. Poesie e prose per
la scuola italiana” [92]. Nel
1910 Pascoli pubblica “Fior da fiore:
prose e poesie scelte per le scuole secondarie inferiori” [93].
![]() |
Fig. 90) Giosuè Carducci, Letture italiane, scelte e ordinate ad uso delle scuole del ginnasio inferiore, 1892 |
![]() |
Fig. 91) Giovanni Pascoli, Sul Limitare. Prose e poesie scelte per la scuola italiana, 1902 |
Il tema dell’antologia carducciana e di quella pascoliana è
stato oggetto di studio. Si pensi ai contributi di Ermanno Paccagnini su “Carducci antologista” [94], di Giuseppe Pessi su “Il Pascoli antologista e le sue relazioni
col Carducci e col D'Annunzio” [95], ed
infine di Stefania Martini “Da Carducci
antologista a Pascoli antologista” [96].
Sono interessanti, per la quantità di riferimenti indiretti, sia il saggio
di Mariangela Lando su “Antologie e
storie letterarie nell’insegnamento dell’italiano nelle scuole classiche dal
1870 al 1923: una ricognizione” [97] sia
il volume “Il canone letterario nella
scuola dell'Ottocento. Antologie e manuali di letteratura italiana” [98] a cura di Renzo Cremante e Simonetta
Santucci. È ovviamente impossibile
dedicare lo spazio necessario al tema, ma si possano certamente elencare alcuni
punti.
Per Carducci l’antologia – nella successione cronologica dei
brani scelti – è una forma di racconto
storico [99] che, tramite una narrazione rigidamente basata sulla cronologia
[100], deve fissare i canoni metodici fondamentali per leggere il passato [101].
L’obiettivo è educativo, e strettamente legato alla causa nazionale, come nel
caso delle Letture del Risorgimento
italiano [102]. Questa raccolta
sul Risorgimento, che si apre con uno scritto dell’illuminista napoletano
Pietro Giannone (1676–1748) dal titolo “Richiamo
agli Italiani alla virtù e disciplina militare” e si conclude con le “Mie
prigioni” di Silvio Pellico (1789-1854) racconta il periodo tra 1750 e 1870
tracciandone tre fasi: il primo, tra 1750 e 1789, caratterizzato da “quarant’anni di pace, riforme e
preparazione”, il secondo, tra la rivoluzione francese ed il 1830, su “quarant’anni di contrasto, di confusione,
di aspettazione” ed il infine il terzo, tra 1830 e 1870 “quarant’anni di ravviamento, di svolgimento,
di risolvimento”.
![]() |
Fig. 92) Giosuè Carducci, Letture sul Risorgimento italiano, 1896 |
![]() |
Fig. 93) Giovanni Pascoli, Fior da fiore, 1910 |
Con la sua antologia del 1900, il Pascoli innova invece
rispetto ai canoni antologici carducciani, almeno in tre sensi. In primo luogo,
se in Carducci vi è una chiara differenziazione delle antologie in generi
letterari (vi sono antologie di poesie, come L'arpa del popolo, oppure di prosa, come Letture italiane e Letture
del Risorgimento italiano), Pascoli mischia i generi. In secondo luogo,
Pascoli introduce per primo, con la sua antologia Sul limitare, la forma
dell’antologia tematica della letteratura, associando i testi letterari attorno
a temi di forma (“Tratti epici e
storici”, “Parabola, allegorie, Leggende”, “Fiabe e novelle” e “Dal romanzo moderno”) e di contenuto (“Nel carcere”, “Pensieri ed affetti”,
“Quadri e suoni”, ecc.). Se l’antologia è concepita come universale
(comprende la letteratura del mondo antico greco-romano come quella moderna),
l’autore rinuncia dunque a coprire tutti i periodi ed autori e a tracciarne una
storia: da ‘racconto storico a molte voci’, l’antologia si trasforma perciò in
‘saggio a molte voci’. Il mondo simbolista di Pascoli interrompe dunque la
logica storicista dell’Ottocento. Con “Fior
da fiore” Pascoli compie un passo successivo, proponendo una raccolta di
testi completamente libera da ogni categorizzazione, e legata esclusivamente a
criteri estetici, ovvero proponendo l’uno dopo l’altro una selezione di brani
che, dal punto di vista tematico e simbolistico, compongono una raccolta variata
della letteratura. L’antologia diviene dunque e vero e proprio mosaico, che consente
all’insegnante di scegliere quale percorso di lettura seguire lungo il proprio
corso, in piena libertà e seguendo l’ispirazione personale. Infine, Pascoli
tende (sia pur molto prudentemente) ad uscire dalla sola dimensione nazionale,
introducendo sia temi tradizionalmente regionali (sia pure in italiano) sia
testi di letteratura straniera (Goethe, Hugo e Shelley) [103]; l’apertura alla
letteratura straniera si conferma nel 1910 (Heine, Hugo, Lessing, Tennyson,
Wordsworth).
Panzacchi, per molti aspetti, è un antologista intermedio
tra i due. Di Carducci sposa la concezione cronologica e narrativa, come pure
l’impostazione rigidamente nazionale. Di Pascoli accoglie la combinazione tra
prosa e poesia. La prima caratteristica lo pone nella tradizione narrativa ottocentesca
(se fossimo in pittura, parleremmo di pittura di storia); la seconda ci ricorda
il suo amore per l’arte totale wagneriana.
La letteratura artistica in chiave nazionale
Quella di Panzacchi è una antologizzazione della letteratura
artistica che canonizza lo spirito nazionale, perfettamente in linea con gli
studi sulla letteratura italiana di quegli anni, che sono parte di un programma
di unificazione linguistica del paese [104]. Anzi, per essere chiari, il suo è
un programma nazionalistico, tutto ispirato al tema della rivincita dell’arte
italiana nei confronti del mondo. Non a caso, commentando un lungo passo delle
memorie di Massimo d’Azeglio, in cui quest’ultimo si lamenta che gli artisti a
lui contemporanei dipingano paesaggi al di fuori dell’Italia, Panzacchi
commenta: “Queste generose parole si
potrebbero operare per certe recentissime esposizioni, in cui parecchi italiani
si son dati a rifare furiosamente scandinavi e scozzesi” [105]. A
conclusione dell’introduzione sull’Ottocento nell’antologia si legge inoltre: “Giova augurare che a tanti difetti
supplirà il secolo XX; e che la pittura italiana non aspetterà ancora troppo
lungamente la sua rivincita in faccia al mondo? Già qualche buon segno a ben sperare
non manca” [106]. Da questo punto di vista, Panzacchi è davvero un ‘cattivo
maestro’: in fondo, se questa è la programmatica del 1902, non può stupire che
il movimento di rinnovamento della generazione successiva, ovvero il futurismo,
predichi dieci anni dopo non solamente l’iconoclastia contro la pittura del
passato, ma anche la guerra come parte della sua estetica.
Ovviamente, questo è un percorso che non è solo della
cultura italiana. E tuttavia, proprio in quegli anni, non sempre le antologie
sono utilizzate a tal scopo nazionalistico: anzi, esiste un filone di studi
[107] sulla diffusione a partire dal Settecento fino ai giorni nostri, delle
‘antologie di traduzioni’, che divengono uno degli strumenti principali di
diffusione della letteratura globale e di mediazione culturale tra le aree
linguistiche del mondo. Per esempio, nel campo della letteratura artistica,
l’antologia tedesca del Guhl alla metà dell’Ottocento è in gran parte composta
di traduzioni da altre lingue (e fa conoscere al pubblico della Prussia testi
italiani mai tradotti in tedesco fino ad allora).
Va anche detto che per un’apertura al mondo della critica
d’arte italiana a quella straniera bisognerà attendere il 1912, con il X
Congresso Internazionale di Storia dell'arte in Roma, organizzato da Adolfo
Venturi e dedicato a “L'Italia e l'arte
straniera”. Venturi coinvolge i più grandi nomi dell’epoca, da Heinrich
Wölfflin, ad August Schmarsow ed Aby Warburg. Che un’impostazione
internazionale non sia in contrasto con la capacità di approfondire la storia
nazionale è dimostrato dal fatto che proprio in quell’occasione Venturi lancia
il “Programma per un'edizione delle fonti
della storia dell'arte italiana” [108]. Con tutto il rispetto per
l’antologia del Panzacchi, si tratta di un programma che – purtroppo mai
realizzato – ha un respiro molto più ampio.
Che l’antologia del Panzacchi appartenga ad un mondo
sostanzialmente nazionalista è confermato anche da una significativa
manipolazione di un testo che vorrei segnalare in conclusione di questo post. È
la lettera di “Antonio Canova al sig.
Conte Leopoldo Cicognara a Venezia” del 2 ottobre 1815 [109], con cui lo
scultore di Possagno racconta all’amico di essere riuscito nel compito
difficilissimo di recuperare molte delle opere sottratte all’Italia da
Napoleone allo Stato della Chiesa. Attorno al suo tentativo è scoppiato un
incidente internazionale, che ha messo a rischio l’operazione: la Russia
minaccia infatti di far uso delle armi per impedire che le opere d’arte debbano
tornare dalla Francia negli stati di provenienza.
Canova scrive, con sollievo: “E sarebbe veramente stato uno scandalo, che tutti avessero recuperato
i loro oggetti d’arte, e Roma sola fosse esclusa da tal numero. Io sono dunque
autorizzato dalle Potenze alleate a ripigliare la massima e miglior parte dei
nostri capi d’opera di pittura e scultura. Dico la massima e miglior parte,
perché sono costretto a lasciarne qui parecchi, a mia scelta però” [110]. La lettura si presta, ovviamente,
all’orgoglio nazionale: Canova è l’eroe che ha riportato l’arte italiana a
casa.
Il testo completo della lettera (pubblicato da Vittorio
Malmani nel 1890 [111]), contiene anche un post scriptum che Panzacchi non
riproduce. In esso Canova lamenta prima il fatto di non aver mai ricevuto la
documentazione da Roma, poi spiega che l’amministrazione dello Stato della Chiesa
si è comportata in modo del tutto irresponsabile ed infine chiarisce di essere
riuscito a recuperare le opere solo grazie alle baionette dei soldati
austriaci, prussiani ed inglesi.
“I primi capi di
scultura stanno in mie mani, anzi in una caserma austriaca, e s’incassano i
quadri migliori che ho potuto ricuperare, di Roma o dello Stato; senz’averne
una nota precisa, com’era necessario, e come l’aspetto da Roma ad ogni momento.
Se qualche cosa si lascia, o si perde, la colpa non è mia; colpa di chi mi ha
mandato senza una speranza di frutto, e senza un documento solo di ciò che si
dovea reclamare. Eppure il meglio si è tolto, e tutto per forza di baionette
prussiane, austriache ed inglesi; perché queste tre Potenze particolarmente ci
proteggono, e l’Inghilterra paga le spese del trasporto da Parigi a Roma” [112].
È evidente che questa parte della lettera non è in linea con
la narrativa nazionale e viene dunque tralasciata. L’Austria è vista in quegli
anni come la nemica storica dell’Italia unitaria: raccontare che nel 1815
Canova scrive di sentirsi più tutelato dall’esercito imperiale (di cui è
suddito) che dall’amministrazione papale non avrebbe fatto bene al morale degli
italiani.
NOTE
https://archive.org/details/letturedelrisor00cardgoog Citazione alle pagine vi e vii.
[58] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti: antologia, Milano, Tipografia editrice L. F. Cogliati, 1902, 535 pagine. Citazione alle pagine 393-394.
[59] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), p. 402
[60] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), p. 404
[61] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), p. 26
[62] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), p. 429
[63] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), p. 430
[64] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), p. 410
[65] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), pp. 444-445
[66] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), p. 411
[67] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), p. 449
[68] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), p. 418
[69] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, in: Nel campo dell’arte. Assaggi di critica, Bologna, Ditta Nicola Zanichelli, 1897, pagine 73-93. Citazione a pagina 90.
[70] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 92
[71] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 91
[72] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 92
[73] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), p. 449
[74] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), p. 450
[75] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), pp. 475-476
[76] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), pp. 450-451
[77] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 483
[78] Segantini, Giovanni - Scritti e lettere, a cura di Bianca Segantini, Torino, Milano e Roma, Fratelli Bocca, 260 pagine. Si veda: https://archive.org/details/scrittielettere00sega
[79] Segantini, Giovanni - Scritti e lettere (citato), pagina vii, (dall’introduzione di Bianca Segantini).
[80] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 510
[81] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 511
[82] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 512
[83] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 513
[84] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 514
[85] Giovanni Segantini, Venticinque lettere, a cura di Lamberto Vitali, Milano, All'insegna del pesce d'Oro, 1970, 77 pagine.
[86] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 513
[87] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 518
[88] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 526
[89] Carducci, Giosuè - L'arpa del popolo: scelta di poesie religiose, morali e patriottiche cavate dai nostri autori e accomodate all'intelligenza del popolo, Firenze, Tipografia galileiana di M. Cellini, 1855, 285 pagine.
[90] Carducci, Giosuè e Brilli Ugo, Letture italiane, scelte e ordinate ad uso delle scuole del ginnasio inferiore, Bologna, Nicola Zanichelli, 1883, in 5 volumi.
[91] Carducci, Giosuè - Letture del risorgimento italiano, citato.
[92] Pascoli, Giovanni - Sul limitare, prose e poesie scelte per la scuola italiana, Milano, Remo Sandron, 1900, 644 pagine. Si veda:
[58] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti: antologia, Milano, Tipografia editrice L. F. Cogliati, 1902, 535 pagine. Citazione alle pagine 393-394.
[59] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), p. 402
[60] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), p. 404
[61] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), p. 26
[62] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), p. 429
[63] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), p. 430
[64] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), p. 410
[65] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), pp. 444-445
[66] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), p. 411
[67] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), p. 449
[68] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), p. 418
[69] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, in: Nel campo dell’arte. Assaggi di critica, Bologna, Ditta Nicola Zanichelli, 1897, pagine 73-93. Citazione a pagina 90.
[70] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 92
[71] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 91
[72] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 92
[73] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), p. 449
[74] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), p. 450
[75] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), pp. 475-476
[76] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti … (citato), pp. 450-451
[77] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 483
[78] Segantini, Giovanni - Scritti e lettere, a cura di Bianca Segantini, Torino, Milano e Roma, Fratelli Bocca, 260 pagine. Si veda: https://archive.org/details/scrittielettere00sega
[79] Segantini, Giovanni - Scritti e lettere (citato), pagina vii, (dall’introduzione di Bianca Segantini).
[80] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 510
[81] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 511
[82] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 512
[83] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 513
[84] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 514
[85] Giovanni Segantini, Venticinque lettere, a cura di Lamberto Vitali, Milano, All'insegna del pesce d'Oro, 1970, 77 pagine.
[86] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 513
[87] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 518
[88] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 526
[89] Carducci, Giosuè - L'arpa del popolo: scelta di poesie religiose, morali e patriottiche cavate dai nostri autori e accomodate all'intelligenza del popolo, Firenze, Tipografia galileiana di M. Cellini, 1855, 285 pagine.
[90] Carducci, Giosuè e Brilli Ugo, Letture italiane, scelte e ordinate ad uso delle scuole del ginnasio inferiore, Bologna, Nicola Zanichelli, 1883, in 5 volumi.
[91] Carducci, Giosuè - Letture del risorgimento italiano, citato.
[92] Pascoli, Giovanni - Sul limitare, prose e poesie scelte per la scuola italiana, Milano, Remo Sandron, 1900, 644 pagine. Si veda:
https://archive.org/details/sullimitareprose00pascuoft
[93] Pascoli, Giuseppe - Fior da fiore : prose e poesie scelte per le scuole secondarie inferiori, Milano, Remo Sandron, 586 pagine. Si veda: https://archive.org/details/fiordafioreprose00pasc
[94] Paccagnini Erminio, Carducci antologista, in: Carducci filologo e la filologia su Carducci. Atti del Convegno (Milano 6-7 novembre 2007), Milano, Mucchi Editore, 192 pagine. Si veda:
[93] Pascoli, Giuseppe - Fior da fiore : prose e poesie scelte per le scuole secondarie inferiori, Milano, Remo Sandron, 586 pagine. Si veda: https://archive.org/details/fiordafioreprose00pasc
[94] Paccagnini Erminio, Carducci antologista, in: Carducci filologo e la filologia su Carducci. Atti del Convegno (Milano 6-7 novembre 2007), Milano, Mucchi Editore, 192 pagine. Si veda:
https://books.google.de/books?id=yi9PWoAwrG8C&pg=PA83&dq=antologista&hl=en&sa=X&ved=0ahUKEwic9eL89J_TAhWDIJoKHQEMCaAQ6AEIRzAJ#v=onepage&q=antologista&f=false
[95] Pecci, Giuseppe - Il Pascoli antologista e le sue relazioni col Carducci e col D'Annunzio, Faenza, Fratelli Lega, 1958, 36 pagine.
[96] Martini, Stefania, Da Carducci antologista a Pascoli antologista, in: “Studi e problemi di critica testuale”, 66, Aprile 2003, pagine 129-162.
[97] Lando, Mariangela, Antologie e storie letterarie nell’insegnamento dell’italiano nelle scuole classiche dal 1870 al 1923: una ricognizione, Tesi di dottorato. Si veda:
[95] Pecci, Giuseppe - Il Pascoli antologista e le sue relazioni col Carducci e col D'Annunzio, Faenza, Fratelli Lega, 1958, 36 pagine.
[96] Martini, Stefania, Da Carducci antologista a Pascoli antologista, in: “Studi e problemi di critica testuale”, 66, Aprile 2003, pagine 129-162.
[97] Lando, Mariangela, Antologie e storie letterarie nell’insegnamento dell’italiano nelle scuole classiche dal 1870 al 1923: una ricognizione, Tesi di dottorato. Si veda:
http://paduaresearch.cab.unipd.it/8074/1/Lando_Mariangela_Tesi.pdf
[98] Cremante, Renzo e Santucci, Simonetta – Il canone letterario nella scuola dell'Ottocento. Antologie e manuali di letteratura italiana, Bologna, Clueb, 2009, 516 pagine.
[99] Lando, Mariangela, Antologie e storie letterarie (citato), p. 394
[100] Lando, Mariangela, Antologie e storie letterarie (citato), p. 396
[101] Lando, Mariangela, Antologie e storie letterarie (citato), p. 398
[102] Lando, Mariangela, Antologie e storie letterarie (citato), p. 398
[103] Lando, Mariangela, Antologie e storie letterarie (citato), p. 17
[104] Lando, Mariangela, Antologie e storie letterarie (citato), p. 378
[105] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 476
[106] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 451
[107] Seruya Teresa; D´hulst, Lieven; Assis Rosa, Alexandra; Lin Moniz, Maria. Translation in Anthologies and Collections (19th and 20th Centuries). Amsterdam: John Benjamins, 2013. 287 pagine. Kittel, Harald -International anthologies of literature in translation, Gottinga, Erich Schmidt editore, 283 pagine.
[108] Il programma è disponibile su internet all’indirizzo:
[98] Cremante, Renzo e Santucci, Simonetta – Il canone letterario nella scuola dell'Ottocento. Antologie e manuali di letteratura italiana, Bologna, Clueb, 2009, 516 pagine.
[99] Lando, Mariangela, Antologie e storie letterarie (citato), p. 394
[100] Lando, Mariangela, Antologie e storie letterarie (citato), p. 396
[101] Lando, Mariangela, Antologie e storie letterarie (citato), p. 398
[102] Lando, Mariangela, Antologie e storie letterarie (citato), p. 398
[103] Lando, Mariangela, Antologie e storie letterarie (citato), p. 17
[104] Lando, Mariangela, Antologie e storie letterarie (citato), p. 378
[105] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 476
[106] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), p. 451
[107] Seruya Teresa; D´hulst, Lieven; Assis Rosa, Alexandra; Lin Moniz, Maria. Translation in Anthologies and Collections (19th and 20th Centuries). Amsterdam: John Benjamins, 2013. 287 pagine. Kittel, Harald -International anthologies of literature in translation, Gottinga, Erich Schmidt editore, 283 pagine.
[108] Il programma è disponibile su internet all’indirizzo:
https://www.google.de/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=1&cad=rja&uact=8&ved=0ahUKEwiQ1NSt4L7TAhVJPxQKHTJ3Cs4QFggmMAA&url=https%3A%2F%2Flettere.aulaweb.unige.it%2Fmod%2Fresource%2Fview.php%3Fid%3D3084&usg=AFQjCNGlkmP5sn7sv59uyJajf-ubbBs1BQ&sig2=mzYplaNJtjipGEnc6L17zw
[109] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), pp. 455-456
[110] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), pp. 455-456
[111] Un'amicizia di Antonio Canova: lettere di lui al conte Leopoldo Cicognara, a cura di Vittorio Malamani, Città di Castello, S. Lapi, 1890, pagine 192.
[112] Un'amicizia di Antonio Canova (citato), pagine 58-60.
[109] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), pp. 455-456
[110] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), pp. 455-456
[111] Un'amicizia di Antonio Canova: lettere di lui al conte Leopoldo Cicognara, a cura di Vittorio Malamani, Città di Castello, S. Lapi, 1890, pagine 192.
[112] Un'amicizia di Antonio Canova (citato), pagine 58-60.
Nessun commento:
Posta un commento