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venerdì 28 aprile 2017

Enrico Panzacchi. Il Libro degli Artisti: Antologia, 1902. Recensione di Francesco Mazzaferro. Parte Prima


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Storia delle antologie di letteratura artistica
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Enrico Panzacchi, 
Il Libro degli Artisti. Antologia 
Milano, Tipografia Editrice L.F. Cogliati, 1902, 527 pagine.

Recensione di Francesco Mazzaferro. Parte Prima

Fig. 1) Il frontespizio del Libro degli Artisti, 1902

Un'antologia innovativa

Quando l’antologia di fonti di storie dell’arte di Enrico Panzacchi (1840-1904), dal titolo Il libro degli artisti [1], viene pubblicata nel 1902, la rivista Civiltà cattolica non esita ad usare espressioni di chiaro elogio: “un libro che, sotto la modesta apparenza d’un’antologia, racchiude il frutto d’un’idea geniale ed avrà certamente una larga efficacia” [2]. Secondo l’uso della rivista, la recensione non è firmata. Un altro periodico, “L'arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna”, fondato quell’anno stesso, ospita invece il giudizio di Adolfo Venturi (1856-1941), che usa anch’egli termini egualmente elogiativi: “Come avviamento a conoscere lo spirito, le abitudini della vita, la coltura [sic] dei nostri pittori, scultori ed architetti, il libro del Panzacchi può dirsi veramente ottimo” [3]. È perciò sorprendente che non esista oggi - almeno a mia conoscenza - alcuno studio su quello che fu considerato in quegli anni uno strumento innovativo. Forse la circostanza è dovuta al fatto che, col passar del tempo, ci si è dimenticati del Panzacchi storico dell’arte per concentrarsi sul Panzacchi critico letterario e musicale come pure poeta, drammaturgo, giornalista, oratore e autore di racconti e libretti d’opera. E la sua frequentazione della letteratura artistica è addirittura completamente ignorata, come si vede in un pur interessante e recentissimo studio a lui dedicato da Valeria Giannantonio, comparso nel 2017 [4]. Con gli occhi odierni degli studiosi su Panzacchi non riusciremmo insomma a capire le ragioni di questo post in un blog sulla letteratura artistica. Questo post intende dunque anche colmare una lacuna.


Cennino Cennini (attribuito a), Santo Vescovo e Santo Papa, senza data

L’antologia è un’opera relativamente ampia (527 pagine), organizzata in senso cronologico. Si apre con una citazione di Cennino Cennini, pittore giottesco e autore del Libro dell’Arte in prossimità della fine del Trecento, e si conclude con prose e poesie di Telemaco Signorini (1835-1901), pittore macchiaiolo scomparso solamente l’anno prima dell’uscita del libro. Con la pubblicazione del 1902, una ricca selezione della letteratura artistica del nostro paese è finalmente disponibile per la prima volta al vasto pubblico italiano. I testi italiani di fonti di storia dell’arte precedenti (la collezione di lettere di Giovanni Gaye [5] del 1839, quella di Michelangelo Gualandi [6] del 1845, quella di Giuseppe Campori [7] del 1866 ed infine il volume di Carlo Pini e Gaetano Milanesi [8] del 1871) non sono infatti solamente ormai fuori commercio (nel 1903 il Congresso internazionale di scienze storiche approva una mozione formale per richiedere che la collezione del Gaye sia ristampata [9]), ma sono comunque destinati solamente ad un pubblico di esperti. Quella di Panzacchi è invece un’opera di divulgazione. D’altra parte Panzacchi - lo sostiene in un pamphlet di quegli anni su “L’arte nel secolo XIX” - è convinto che il contributo fondamentale dei tempi moderni debba essere quello di diffondere l’ “attività estetica” al di là del minuto gruppo degli specialisti: “Che cosa ha fatto il Secolo passato per l’Arte e per la Bellezza? … I risultati sono enormi, la cultura si estende in modo mirabile per tutto il globo terracqueo” e tutti gli uomini – ricchi e poveri sono mossi da “curiosità e desiderio delle emozioni estetiche” [10].
  
Fig. 3) La copertina del pamphlet L’arte nel secolo XIX

L’antologia di letteratura artistica come testo sussidiario di storia dell’arte

La “Nota al lettore” posta ad introduzione dell’antologia (alle pagine viii-ix) offre alcune informazioni essenziali. Eccone il testo:

Nota al lettore

Io spero che per la lettura di questo libro verrà aiutato lo studio di coloro che vogliono penetrare nella storia artistica d’Italia, famigliarizzandosi con lo spirito, con la cultura e con le abitudini della vita dei nostri pittori, scultori e architetti.

Gli artisti d’ogni tempo, e particolarmente i nostri, non furono, di solito, degli eruditi e dei letterati nel senso preciso della parola: ma nemmeno furono quegli incolti uomini che molti suppongono. Ebbero l’animo aperto alla vita del loro tempo e alle manifestazioni della poesia: furono soprattutto degli amorosi e dei mediatori per tutto quel che toccava la loro arte, a cui domandavano consolazione e gloria.

Questo dimostrarono specialmente con le loro lettere famigliari; e quando alcuni di essi adoperarono la penna con qualche intendimento letterario, per la vivacità e per la grazia innata dello scrivere, meritarono d’essere talvolta invidiati dagli uomini di lettere propriamente detti.

Non tutte però le prose e i versi che ho raccolto nel volume, appartengono ad artisti. Anzi, con proposito espresso, ho messo nel volume pagine di poeti e di prosatori, che stanno a testimoniare le relazioni multiformi e continue che unirono, nei diversi secoli, l’arte nostra e la nostra letteratura.

Come escludere, per esempio, una pagina della Vita Nova ove sorprendiamo Dante a dipingere angeli? O un capitolo di Francesco Berni o lettere di Pietro Aretino ove così caldamente si riflettono l’entusiasmo per gli artisti e il sentimento e l’intuito felice dell’arte vivente e trionfante intorno ad essi?

I lettori giudicheranno. A me pare aver fatto, con questa raccolta, opera utile e anche nuova. La stessa novità mi sia di scusa ad omissioni e sproporzioni che forse non mancano nel libro e che potranno essere facilmente emendate in seguito.

Quanto alle notazioni, ho cercato di tenermi a quelle che ho tenuto strettamente necessarie, perché il testo sia subito inteso dagli artisti e dai giovani studiosi. Ogni volta che compare nel libro il nome di un artista, la nota richiama brevemente la vita e le opere di lui; per modo che un cenno della nostra storia artistica passi in questo volume.

Nel raccoglierlo, ordinarlo, annotarlo, mi è stato di grande e amorevole aiuto il Prof. Giuseppe Lipparini, noto poeta e studioso d’arte; e della sua opera qui vivamente ringrazio il giovane egregio.

Bologna, 25 Agosto 1902.
Enrico Panzacchi

***

Il Libro degli artisti ha una chiara struttura cronologica. È evidente l’intenzione didascalica, basata su una narrazione attraverso i testi, che vuol cogliere aspetti diversi (spirito, cultura e abitudini) della vita e dell’attività degli artisti nei secoli. L’antologia è dunque come un testo sussidiario rispetto ad un manuale di storia dell’arte. Una parte importante dell’antologia è riservata ai testi di poesia (una delle vere passioni di Panzacchi). La maggior parte dei testi (prosa e poesia) è opera di pittori, scultori ed architetti, ma non mancano pezzi sull’arte e sugli artisti prodotti da letterati. Vedremo nell’ultima parte di questo saggio che molte delle caratteristiche dell’antologia sono la conseguenza di scelte estetiche tipiche del mondo di Panzacchi. Egli appartiene alla scuola del Carducci, che - nel corso di tutta la sua lunga attività di studioso - fa uso del genere delle antologie come strumento didattico e narrativo; annuncia però anche alcune delle novità delle antologie di Giovanni Pascoli. Tra queste, l’interazione tra arte, prosa e poesia, che è del resto anche tipica del gusto estetico di Panzacchi, secondo la logica della cosiddetta ‘arte totale’, la Gesamtkunst propagata da Wagner (di cui Panzacchi è il maggior cultore in Italia, facendo di Bologna uno dei maggiori centri wagneriani in Europa, in opposizione alla Parma verdiana). Infine, l’enfasi sulle relazioni personali fra artisti (includendo in senso ampio anche gli uomini di lettere) e fra gli stessi artisti e il potere riflette - almeno credo - anche l’esperienza biografica di Panzacchi stesso: non uno studioso che ha prodotto, nella solitudine degli studi, grandi saggi su arte ed artisti, ma un infaticabile autore di articoli di giornale, lezioni, conferenze e pamphlet, a segnare occasioni per far conoscere l’arte agli abitanti del territorio (si pensi alle conferenze svolte a Parma e a Cento in occasione degli anniversari di Correggio e Guercino).

Fig. 4) Telemaco Signorini, L'alzaia, 1864.

Certo, sfogliando gli scritti di Panzacchi colpisce la totale assenza delle immagini delle opere d’arte. Egli si concentra sul gusto, e non sullo stile. In lui il testo è fattore omnicomprensivo. L’aggettivazione è ancora tipica di un’epoca in cui si esprime più un giudizio sulle intenzioni dell’artista che sulla sua coerenza con un sistema formale. Ecco un esempio. Nel 1895 Panzacchi scrive una rassegna molto ricca (sessanta pagine) della prima edizione della Biennale di Venezia [11], di cui coglie l’importanza, segno del suo interesse per i problemi dell’arte contemporanea italiana: il suo obiettivo è dimostrare che, dopo aver perduto quasi completamente un secolo, la pittura italiana si è risvegliata ed è ormai capace di tenere il passo con quella straniera. D’altra parte, è in atto un processo teso a uniformare il gusto pittorico internazionale che riduce le differenze tra le scuole nazionali: Panzacchi parla, in senso negativo, di una “pittura europea”. Come vedremo, il suo è un mondo nazionalista (solamente nel 1911, con Adolfo Venturi, il X Congresso Internazionale di Storia dell'Arte si porrà il problema dei rapporti tra arte italiana e arte straniera). Anche nel caso della lunga recensione alla prima Biennale, non vi sono immagini, e addirittura si ritiene che la diffusione di stampe e fotografie sia una delle ragioni che portano alla perdita delle specificità locali, ad esempio favorendo la prevalenza dei modelli d’arte francesi. Il critico deve dunque raccontare, esattamente come un letterato può descrivere opere d’arte attraverso l’ecfrasi, ma non deve mostrare fotografie e stampe. Tuttavia, le belle pagine sull’arte religiosa alla prima biennale (con riferimenti, ad esempio, a Sartorio, D’Agnan-Bouveret, von Uhde e Morelli) o la stroncatura del dipinto simbolista Il Supremo Convegno di Grosso (andato perduto poco dopo in un incendio negli Stati Uniti, dove era esposto) ed infine l’esaltazione della Figlia di Jorio di Michetti come miglior dipinto della Biennale assumono tutt’altro significato se accompagnate dalle immagini.

Fig. 5) Giulio Aristide Sartorio, Madonna degli angeli, 1895
Fig. 6) Giacomo Grosso, Il supremo convegno, 1895 (opera oggi perduta – riproduzione d’epoca)
Fig. 7) Francesco Paolo Michetti, La figlia di Jorio, 1895

Si cercherebbe invano nell’antologia di Panzacchi anche una linea rossa di carattere filosofico. Egli è un esteta puro. Sarà il mondo a lui successivo (quello di Croce e Gentile) a vedere nell’arte l’espressione formale – dunque materializzata in un oggetto – della rivelazione dello spirito. Saranno gli autori delle antologie degli anni Venti (si pensi ad Uhde-Bernays in Germania) a compilare collezioni di fonti di storia dell’arte per identificare regolarità di tipo concettuale nell’attività creatrice dell’artista, sempre diversa, ma al tempo stesso sempre manifestazione di regole universali. Di questi problemi generali non vi è traccia alcuna. Da questo punto di vista, Panzacchi è davvero il critico d’arte della leggerezza e della Bell’époque.

Credo che sia questo il motivo per il quale le generazioni successive hanno criticato una certa ‘superficialità di giudizio’ di Panzacchi, che è un critico d’arte-narratore proprio perché nell’aspetto retorico della narrazione egli vede il tema centrale dell’arte. Il Libro degli artisti, in questo senso, non è una semplice collezione di racconti, ma una lettura della storia dell’arte che fa del testo scritto l’aspetto fondamentale per la sua comprensione. È, per molto aspetti, una caratteristica che lo mise in grande difficoltà per tutto il Novecento, che si pose il problema di identificare il significato formale ultimo delle opere d’arte come creazioni artistiche, ma che oggi è molto moderna. Oggi l’arte contemporanea non vive più di oggettualità formale della creazione, ma è uno stato d’animo, una testimonianza, un evento smaterializzato; dunque, in un’ultima analisi, è solamente il linguaggio a poterla decifrare. Un critico che non sia comunicatore e non sappia usare i mezzi di comunicazione è oggi posto ai margini del mondo dell’arte.


La battaglia per l’insegnamento della storia dell’arte nelle scuole

Nonostante tutto quel che si è appena detto, il “libro degli artisti” non è affatto un’iniziativa estemporanea. È uno strumento fondamentale per consentire ad un pubblico tutto orientato verso studi di lettere, come quello italiano del primissimo Novecento, di avvicinarsi alla storia dell’arte, materia nuova nella cultura degli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento.

Fig. 8) Enrico Barbieri, Busto di Enrico Panzacchi, 1912

Panzacchi, oltre ad essere professore di Estetica e Storia dell'arte moderna all’Università di Bologna dal 1895 fino alla morte, è infatti promotore della battaglia per inserire la storia dell’arte nella scuola italiana. Fino ad allora (si veda l’interessante articolo di Elena Franchi sul tema [12]) l’Italia postunitaria si trova nell’imbarazzante situazione di ospitare un patrimonio artistico di eccezionale valore, ma sconosciuto anche alla (ristretta) parte colta della sua popolazione. Poiché egli è anche membro del Parlamento nella XV, XX e XXI legislatura del Regno d’Italia (rispettivamente 1882-1886, 1897-1900 e 1900-1904), Panzacchi ha la possibilità di condurre la battaglia sia come intellettuale sia in termini politici.

Così egli scrive sull’argomento sulla prima pagina del Corriere della Sera (si veda l’articolo “La storia dell’arte nelle scuole” [13]) il 20 settembre 1899. In Germania si stanno moltiplicando le cattedre universitarie, mentre in Francia l’insegnamento è stato appena inserito (dal 1895) nel quadro dell’insegnamento della ‘storia civile’. Nell’articolo sul Corriere Panzacchi propone che lo studio dell’arte divenga parte dell’area di insegnamento letterario e non storico, come è stato invece appena deciso in Francia: “Non affermo nulla di assoluto, ma dico che quella disposizione io la comprendo meglio in Francia che in Italia. Tra noi, fino dal loro primo apparire, le belle arti possono considerarsi, se non proprio come uno sdoppiamento, certo come una rifioritura parallela e collegata continuamente a quella delle buone lettere e della poesia. L’arte del nostro Rinascimento essendo essenzialmente individuale – a differenza della gotica francese, – i nostri pittori e i nostri scultori dovevano per necessità accostarsi ai poeti e agli umanisti. Non è qui il luogo di dimostrare una tesi; ma può bene sicuramente affermarsi che in tutto il percorso storico della nostra civiltà rinnovata, sempre si trovarono uniti, e non solo di nome, un grande artista e un letterato insigne. La serie gloriosa cominciò con Dante e Giotto e si chiuse con Antonio Canova e Pietro Giordani.” L’argomento è un po’ debole: anche in Francia, nel quadro dell’insegnamento accademico a partire da metà 1600, la letteratura artistica ha avuto un carattere preminentemente retorico e letterario (semmai, il rapporto tra letteratura ed arte è più forte in Francia che in Italia). Ed infatti, come vedremo, egli abbandonerà la tesi che l’insegnamento della storia dell’arte non possa essere compatibile con quello di storia civile, anche se – in cuor suo – il legame più forte rimane quello tra arte e letteratura. 

Fig. 9) Il titolo dell'articolo di Enrico Panzacchi del 20 settembre 1899

A Panzacchi si oppongono coloro (si pensi alla lettera aperta inviatagli da Ugo Ojetti, sempre sulla prima pagina del Corriere della Sera, intitolata anch’essa “La storia dell’arte nelle scuole” del 2 ottobre 1899 [14]) che credono che non vi sia spazio nel quadro del programma di studio già esistente per inserire la storia dell’arte (e che i professori non siano preparati). Ojetti (1871-1946) chiede invece che venga creato un insegnamento separato per la storia dell’arte, e che a tal fine parta un programma di formazione specifico degli insegnanti.


Panzacchi sottosegretario all’istruzione pubblica e la circolare 86 del 1900

Fig. 10) Un'immagine di Enrico Panzacchi, acquistata su ebay con la dicitura "Ministro dell'istruzione Enrico Panzacchi di Ozzano dell'Emilia". Sul retro della foto vi sono caratteri di stampa di un quotidiano, segno che la foto proviene da una fonte di stampa

L’occasione di realizzare il sogno si presenta quando, il 24 giugno 1900, Panzacchi è chiamato al governo come sottosegretario al Ministero dell’istruzione pubblica. Il primo ministro è Giuseppe Saracco (1821-1907), un politico italiano conservatore moderato cui è dato compito di creare un governo di ‘pacificazione nazionale’: il dicastero precedente di Luigi Pelloux (un militare) ha ordinato all’esercito di aprire il fuoco contro i manifestanti socialisti e condotto ad una grave crisi istituzionale (la pacificazione fallirà: il re Umberto I viene ucciso a Monza da un anarchico il 29 luglio 1900, solamente un mese dopo l’assunzione della carica da parte di Saracco). Il nuovo sottosegretario ha comunque le idee chiare su quel che è necessario: Panzacchi vara la circolare n. 86 del 20 novembre 1900, intitolata “Insegnamento della Storia delle Belle arti” [15], in cui dispone che la storia dell’arte sia insegnata nei più importanti licei classici del paese: nel primo anno, di carattere sperimentale, le lezioni si svolgeranno alternativamente nei corsi di lettere o di storia a seconda della preferenza e disponibilità di insegnanti, secondo modalità da decidere dai presidi. La circolare dispone che gli insegnanti inviino una relazione al sottosegretario al termine del primo anno, in modo tale che egli ne possa trarre le conseguenze e fare i necessari aggiustamenti.


Fig. 11) La prima pagina della Circolare 86 del 20 novembre 1890

Il testo della circolare è rilevante anche ai fini di questa recensione, perché dimostra quanto la promozione della letteratura artistica sia parte di un piano per avvicinare gli italiani all’arte.

Circolare N. 86
Roma, 20 novembre 1900

Ai Reali Provveditori agli studi
Ai Presidi dei licei-ginnasi

Da parecchi anni voci autorevoli e sempre più numerose chiedono che i programmi delle nostre scuole classiche si allarghino a comprendere anche le nozioni di storia delle arti, specie nei periodi più gloriosi.

Rammentano che l’educazione dell’immaginazione, del sentimento, del gusto, è parte importante dell’educazione liberale. Aggiungono che il concetto più moderno della storia, passato dalla narrazione dei fatti puramente politici a quelli di tutte le grandi manifestazioni della vita di un popolo, non può, non deve tralasciare quelle manifestazioni che il suggello dell’arte rese immortali. Grande e gloriosa parte della storia nostra furono le arti, per le quali, anche in tempi tristi di soggezione politica e di decadenza letteraria, l’ingegno italiano rifulse e illuminò il mondo. Domandano: stranieri venuti d’oltre monte e d’oltre mare si affollano dinanzi ai vecchi palagi dei nostri Comuni, dentro le nostre cattedrali, nelle gallerie e nei musei; e noi permetteremmo ancora che i nostri figliuoli escano dalle scuole ignorando quello che in casa nostra gli stranieri ammirano e c’invidiano?

Non dimentico che già nel 1893 il Ministro della pubblica istruzione ordinò che i giovani fossero condotti a visitare i monumenti più insigni dell’arte paesana. Mi è grato poter soggiungere che dopo, qua e là, si sono fatti esperimenti che hanno dato risultati buonissimi. A Milano, a Modena, a Cuneo, a Bologna, a Firenze, professori volonterosi delle scuole secondarie hanno iniziato l’insegnamento della storia dell’arte. Il nobile esempio sarà certamente limitato; perciò mi sembra opportuno esprimere il mio pensiero intorno ai limiti nei quali questo insegnamento deve contenersi e al metodo che gli giova seguire.

La storia dell’arte è così intimamente congiunta con la storia civile e con la letteraria, che, non i pretesti, ma le ragioni e le occasioni di passare da questa a quella si offrono continuamente. Per citare solo qualche esempio, dalle pagine dell’Iliade si leva maestosa l’immagine di Giove che ispirò Fidia; nel verso del «Poeta sovrano» [ndr.: Omero, come definito da Dante] pianse Niobe la strage dei figliuoli prima che piangessero visibilmente nel marmo greco. Il secondo libro dell’Eneide richiama il gruppo del Laocoonte e le glorie delle arti di Rodi. Il canto dodicesimo del Purgatorio invita a discorrere di Cimabue, di Giotto, dei miniatori, e dei nuovi albori dell’arte italiana; le Stanze di Angelo Poliziano portano la mente a parecchie tavole del Botticelli; la lettura dell’Arcadia del Sannazzaro invoglia a ricercare quale grande artista fosse Andrea Mantegna; un capitolo del Cortigiano di Baldassarre Castiglione invita a considerare e confrontare tra loro la diversa eccellenza di Raffaello e di Michelangelo.

Si aggiunga che nella nostra storia letteraria molti artefici figurano quali scrittori insigni: Leon Battista Alberti, Filippo di Ser Brunellesco, Leonardo, Michelangelo, Benvenuto Cellini, il Vasari, Salvator Rosa; e la bella serie, continuando, viene a chiudersi ai tempi nostri con Massimo D’Azeglio e con Giovanni Dupré.

Bastino queste considerazioni e questi esempi a chiarire il mio concetto: il qual è che, spontaneamente e in varie guise, l’insegnamento della storia dell’arte emerge dalla trattazione della nostra storia politica e letteraria; e che le tre storie potranno intrecciarsi e fondersi insieme con poco sforzo dei maestri e dei discenti, aggiungendo anzi alla scuola varietà, vaghezza e sollievo di profittevoli digressioni.

Di questo insegnamento così coordinato con lo svolgimento delle altre materie, potranno dunque assumere l’incarico i professori di lettere e quelli di storia. Lascio agli insegnanti di queste discipline libertà di offrire l’opera loro; dove l’offerta manchi o abbondi, scelga il capo dell’istituto, in questo anno che deve essere di esperimento. Alla fine dell’anno ciascuno insegnante mi mandi una relazione succinta della materia da lui trattata, dell’ordine seguito, del profitto ottenuto; mi esponga le osservazioni che avrà avuto agio di fare via via; mi suggerisca i mezzi che, a parere suo, meglio sono adatti a rendere più agevole e proficuo ai giovani l’apprendimento delle nozioni di storia dell’arte.

Così, se non m’inganna la fiducia che ripongo intera nel buon volere degli insegnanti, i giovani acquisteranno facilmente cognizioni utili e belle, e da esse saranno invogliati a tenere in pregio uno studio sin qui troppo trascurato nella nostra istruzione classica, con nostro danno e con disdoro, resi più evidenti dal confronto con quanto si fa, e non da ieri, in questo campo, nelle scuole secondarie delle nazioni più incivilite.

Per il Ministro
Panzacchi


Fig. 12) Massimo D’Azeglio, Campagne romane, 1824

Si tratta senza dubbio di una circolare estremamente leggibile, rispetto ai mostri burocratici odierni. Ma non per questo l’impresa si annuncia facile. Infatti il 15 febbraio 1901 il governo Saracco cade, sotto la pressione di quella parte del Parlamento che vuole una mano più ferma nei confronti dei movimenti socialisti di scioperi ed occupazione delle proprietà fondiarie (sono anni, del resto, in cui i politici liberali non hanno ancora una visione della democrazia. Si pensi che lo stesso Panzacchi, nel già citato pamphlet su “L’arte nel secolo XIX”, parla di “arte democratica, piccola, vile”, dove l’aggettivo democratico è peggiorativo). L’esperienza di governo è durata solamente otto mesi, ancora più breve di quell’anno di sperimentazione previsto per l’insegnamento della storia dell’arte. L’insegnamento di storia dell’arte nei licei classici è comunque confermato, integrandolo nell’ambito delle lettere.

La messa in pratica sarà caratterizzata negli anni seguenti da molte polemiche per l’impreparazione dell’amministrazione e degli insegnanti, e molti diranno che la confusione che ne risulta non era contemplata nell’intento originale [16]. Panzacchi scrive nel 1902, nell’introduzione al manuale di “Storia dell’arte” di Giuseppe Lipparini: “So che la introduzione ne’ nostri Istituti secondari dell’insegnamento della storia artistica ha sollevato obbiezioni: la prima e la più forte è che con essa si vanno ad aumentare i programmi scolastici, già tanto poderosi! Ma questo non può essere un ostacolo insuperabile che per coloro (e dove sono?) che credessero alla sacra intangibilità dei nostri attuali programmi” [17].


Fig. 13) Giovanni Dupré, Monumento funebre a Ottaviano Fabrizio Mossotti, 1867

Il nesso tra arte, letteratura e letteratura artistica

È evidente da tutto quello che si è detto che il nesso tra arte e letteratura è centrale nel pensiero e nell’azione di Panzacchi. Anzi, nel saggio non datato “La letteratura e l’arte in Italia”, pubblicato egli scrive esplicitamente di “letteratura artistica” [18]. Ed è a questo punto che in questo blog non si può far a meno di porre alcune questioni fondamentali. Perché Panzacchi concepisce la battaglia sull’istruzione artistica nelle scuole esclusivamente come forma di estensione dei programmi scolastici di lettere? Perché la sua antologia è il più ampio ed impegnativo dei suoi libri sull’arte? E perché, ciò nonostante, il suo contributo alla letteratura artistica è andato dimenticato?

Credo che la scelta fondamentale di Panzacchi abbia ragioni sia pratiche sia ideali. Esaminiamole separatamente.


Ragioni pratiche

Se si considera il tema in modo oggettivo, non si può che convenire che l’opzione di creare l’insegnamento della storia dell’arte come materia separata avrebbe posto la necessità di affrontare tre problemi di fatto irresolubili.

Primo, fino a pochi anni prima del 1900 non esisteva in Italia – forse neppure fra gli studiosi – una cultura estesa del ‘saper vedere’ l’arte (per usare il famoso titolo della fortunatissima opera di Matteo Marangoni del 1935), con il proprio lessico e le proprie categorie logiche, anche nella forma semplificata della descrizione del ‘gusto’ estetico. Secondo, non vi era ancora un patrimonio d’immagini fotografiche, che fosse disponibile per consultazione e a cui insegnanti ed alunni potessero far riferimento nel territorio (solamente nel 1903 una circolare del successivo Ministro della Pubblica Istruzione, Nunzio Nasi, dispose che la Reale Cartografia [19] distribuisse riproduzioni grafiche e stampe ad ogni scuola). Terzo, in tutt’Italia, all’inizio del Novecento, vi erano solamente due cattedre di storia dell’arte all’università: quella di Adolfo Venturi a Roma e di Enrico Panzacchi a Bologna. Come insegnare agli allievi a comprendere un’opera d’arte se l’insegnamento universitario era ancora così limitato e dunque così difficile creare in breve tempo una nuova generazione di professori abilitati all’insegnamento?

Per insegnare l’arte non vi era dunque altro veicolo disponibile se non quello che passava attraverso l’unica cultura comune che si stava cementando nella scuola del giovane paese (l’Italia di allora aveva appena quarant’anni): lo studio dell’italiano e della sua letteratura. In questa situazione la scelta di insegnare l’arte attraverso la letteratura artistica, ovvero tramite lo strumento di testi scritti, si imponeva come una vera e propria necessità. 

Fig. 14) Adolfo Venturi, Storia dell’arte italiana, primo volume,
Dai primordi dell'arte cristiana al tempo di Giustiniano, 1901

Anche lo stesso Venturi, autore a partire dal 1901 di una Storia dell’arte italiana in 25 volumi ricchissima di illustrazioni, nella sua recensione già citata all’antologia di Panzacchi, non vide alcuna contraddizione tra studio delle fonti (attraverso la conoscenza di testi scritti) e conoscenza delle opere (attraverso materiale fotografico): “Perché i nobili sforzi di coloro i quali mirano a volgarizzare le nozioni di storia dell’arte nostra abbiano quel successo che ognuno deve sperare, bisogna non perdere di vista i due mezzi che meglio si prestano ad innamorare di certi studi coloro che finora sono ad essi profani: diffondere la cognizione dei capolavori dell’arte italiana mediante numerosissime riproduzioni di ogni specie e di ogni formato; far conoscere gli artisti specialmente per quel tanto che loro stessi hanno scritto e hanno operato e per quello che ne han detto i contemporanei” [20].

Fig. 15) Il manuale di Storia dell’arte di Lipparini, con introduzione di Enrico Panzacchi

Per diffondere la storia dell’arte attraverso i canali dello studio della letteratura è comunque necessario uno sforzo didattico. È il fine che si propone uno degli assistenti di Enrico Panzacchi: si tratta di Giuseppe Lipparini (1877-1951), romanziere e poeta ma anche critico d’arte e di letteratura, ed autore di un manuale di “Storia dell’arte” che esce in parallelo al “Libro degli artisti”, sempre nel 1902. Quello tra Panzacchi e Lipparini è un vero e proprio sodalizio. Nell’introduzione dell’antologia, il primo ringrazia il secondo per l’aiuto ricevuto; e sempre il primo è anche autore dell’introduzione del manuale del secondo. Ecco che cosa Panzacchi scrive a proposito della Storia dell’arte: “Questo volume si differenzia da altri somiglianti per l’indole e per la misura della materia trattata, perché l’autore e l’editore si propongono di dotare con esso di un testo utile le scuole di letteratura.” Il manuale di Lipparini esce in quindici edizioni, l’ultima delle quali nel 1948, e dunque molto dopo che la riforma Gentile nel 1923 istituisce l’insegnamento della storia dell’arte come materia autonoma.

Fig. 16) Il diciannovesimo volume dell’antologia della letteratura italiana di Lipparini, sugli scrittori contemporanei, uscito nel 1937

All’ombra della tradizione creata dal Carducci come professore di Letteratura italiana tra 1860 e 1904, il duo Panzacchi-Lipparini fa dell’Università di Bologna uno dei primi centri di divulgazione artistica in Italia, sia pur in questa forma integrata nello studio della letteratura (Lipparini è autore di una ricchissima antologia della letteratura italiana in una ventina di volumi). Il loro è un tentativo che è al tempo stesso di acculturamento e divulgazione. È forse questa la ragione per la quale di loro si perde presto traccia nella storia della letteratura artistica: divulgazione e didattica sono considerate di secondaria importanza, ed ignorate con qualche segno di disdegno da parte dei ‘professionisti’, compresi quelli che si occupano di letteratura artistica e di storia della critica. Schlosser ignora il Libro degli artisti sia nell’edizione tedesca della Kunstliteratur del 1924 sia in quella italiana della Letteratura artistica del 1935 (è davvero possibile che non lo abbia mai avuto nelle mani? E tuttavia non compare nella lista della sua biblioteca privata, sottoposta ad asta a Vienna nel 1961). Anche nella recente Storia delle storie dell’arte a cura di Orietta Rossi Pinelli non vi è alcun riferimento né a Panzacchi né a Lipparini.

Si tratta, a mio parere, di un errore. Certamente, lo studio scolastico non è garanzia di diffusione di una cultura. Per molti studenti la letteratura artistica può essere risultata noiosa: è sicuro che si diffondono nel paese libretti e dispense per render possibile agli studenti imparare a memoria poche nozioni prima delle interrogazioni. E tuttavia vi debbono essere anche stati studenti che alla letteratura artistica si saranno appassionati e ad essa avranno riservato un occhio di riguardo. Ancora oggi in Italia le fonti di storia dell’arte hanno una posizione che altrove non esiste. Insomma, Panzacchi pone le basi per il successo in Italia degli studi di letteratura artistica. Quando il manuale di von Schlosser esce in Italia nel 1935, vi sono da almeno due generazioni di uomini e donne di cultura che, almeno in termini generalissimi, conoscono i nomi degli artisti che hanno messo per iscritto le loro idee e forse anche i contenuti principali dei loro testi.

Ritorniamo ancora una volta alla recensione di Civiltà Cattolica: “Il Libro degli artisti è quasi una storia o una galleria dove compariscono [sic] in scena, parlano, giudicano, insegnano gli artisti stessi e i loro contemporanei, colle loro memorie, colle loro lettere, co’ loro scritti, narrando della propria vita, descrivendo le loro opere, tra le lodi, le satire, gli epigrammi che vi fioriscono dintorno. Cennino Cennini, Dante, Franco Sacchetti, il Vasari, il Ghiberti, Leonardo da Vinci, Ascanio Condivi biografo di Michelangelo, ed egli stesso, questo titano d’ingegno e di coscienza onesta, Raffaello, il Cellini, Salvator Rosa, il Bernini, lo Zanotti, il Milizia, Giovanni Duprè, il Fontanesi ed il compianto Segantini da una tomba appena rinserrata, tutta questa pleiade di italiani con molti altri ci passano dinanzi in una serie di letture svariate e le più istruttive. Le quali sono aggruppate e distribuite secondo i grandi periodi naturali in cui si svolgono le vicende dell’arte italiana, da Cimabue e Giotto fino ai giorni nostri, formando altrettanto capitoli, quasi diremmo altrettanto sale d’un museo artistico-letterario.


Ragioni teoriche

Fig. 17) L’edizione di ‘Che cos’è l’Arte?’ di Leone Tolstoj, con la prefazione dei due articoli sul saggio già pubblicati da Panzacchi in Nuova Antologia nel 1898

Il concetto d’arte in Panzacchi assomiglia molto a quello che, oggi, è l’idea di Arts nelle pagine del New York Times: tutto quello che persegue lo scopo della bellezza. E dunque, per Panzacchi, l’arte comprende musica, teatro, pittura e scultura, poesia, così come nelle pagine del New York Times si affiancano articoli su cinema, balletto, arte contemporanea e letteratura. Anzi, nel pamphlet su “L’arte nel secolo XIX”, egli si pone interrogativi certamente interessanti: perché nell’Ottocento tedesco ed italiano l’arte è stata segnata da una preminenza assoluta della musica sulla pittura, mentre al contrario nell’Ottocento francese la pittura ha dominato la musica? [21]

Per Panzacchi è arte tutto quello che provoca diletto, o, utilizzando il linguaggio odierno, divertimento. In due articoli per “Nuova Antologia” del 1898, in cui recensisce il saggio “Che cos’è l’arte?” di Leone Tolstoj [22], egli trova paralleli tra le concezioni di Tolstoj e Manzoni: entrambi vogliono assegnare all’arte concezioni di tipo morale (unire l’umanità nella religione per il primo, perseguire l’utile ed il vero per il secondo) e negare all’arte il perseguimento del piacere, la contemplazione del bello. A queste teorie rigoriste che si oppongono alla ricerca del piacere tramite l’arte, ispirate nell’uno dalla religiosità ortodossa e nell’altro dalle influenze gianseniste, Panzacchi risponde che “i fiori sono belli ed odorano [23]” e dunque procurano diletto. Il fine ultimo o massimo della vita può forse non essere il piacere, ma poeti ed artisti “hanno diritto di muoversi ed anche di vagabondare con una certa onesta libertà in questa regione del puro dilettevole” [24]. Anzi, Panzacchi incalza: “Affermare che il piacere soggettivo generato dalla bellezza sia il fine d’un’opera artistica, è proprio una così grave eresia? (…) E perché no? Domando io (…) Nemmeno si dovrebbe negare che la bellezza possa contenere, in sé [sic] stessa e per sé [sic] stessa una salutare potenza di elevamento e di purificazione umana” [25].

Il ruolo della letteratura artistica diviene fondamentale, perché è essa a creare la contaminazione culturale tra letteratura ed arte che segna i periodi d’oro della storia dell’arte italiana. L’impoverimento della letteratura artistica – Panzacchi scrive nel 1897 – è causa, ancor più che sintomo, della crisi dell’arte italiana durante l’Ottocento. A tal proposito, il paragone tra Ottocento e Settecento, secondo l’autore, è manifesto. Il primo è un secolo perduto, il secondo è ancora pieno di vitalità, nonostante le difficoltà storiche con cui l’Italia si confronta in quei decenni:

“La letteratura artistica in Italia, nel secolo passato [n.d.r ovvero nel 1700], se non ebbe glorie sovrane, poté per altro vantarsi di aver dato quanto di meglio i tempi consentivano. Basterà ricordare i due Zanotti, i due Bianconi, Francesco Milizia e, in particolar modo, quell’onesto e brillante cavaliere di tutte le forme supertiti [sic] dell’antico umanesimo che fu il conte Francesco Algarotti; il quale alla critica d’arte diede spesso il vigore e il bagliore del suo ingegno multiforme e nelle più colte capitali d’Europa fece nobilissima testimonianza non solo delle lettere ma della pittura, della scultura, dell’architettura e della musica italiana. Contentarsi bisogna; e non pretendere l’impossibile da un’epoca della vita italiana verso la quale siamo poi tanto corrivi in epiteti severi, quando ci diamo a giudicarla nella sua totalità. Certo un libro del valore del Laocoonte di Lessing in Italia non fu scritto; ma è certo del pari che alcuni trattati dell’Algarotti non scapitano punto confrontati ai discorsi accademici di Giosuè Reynolds tanto celebrato; e che il nostro Milizia nella libertà dei suoi giudizi artistici disnudò un vigore critico ed un’audacia rivoluzionaria da far comparire timido, al confronto, lo stesso Diderot. 

Fig. 18) Jean-Étienne Liotard, Ritratto di Francesco Algarotti, 1745

La vera miseria grande per noi principia, a ogni modo, col nostro secolo. I due luminari della letteratura italiana, Vincenzo Monti e Ugo Foscolo, par che siano vissuti, a giudicar dai loro scritti, fuori d’ogni interessamento speciale per le arti figurative. Ed è molto probabile che questo fosse. Non è che mancasse loro la percezione dilettosa di un bel quadro e di una bella statua; mancò invece (ed è l’essenziale) quel senso vivo e operoso di fraternità e solidarietà artistica, che invece i letterati cinquecentisti… manifestavano così di frequente verso i loro grandi contemporanei artisti. Se l’Agricola dipinge un bel ritratto alla bella figliola, il Monti si commuove e scrive un bel sonetto; ma d’ordinario egli si rinchiude volentieri in quello che chiamerei il suo esclusivismo professionale. Meno rinchiusa in esso appare l’anima del Foscolo. I marmi del Canova lo esaltano, ama d’aver comune con lui il culto delle Grazie e cantare la divina fraternità delle arti belle, perché Febo Apollo gli ha detto:

……. Io Fidia primo
Ed Apelle educai con la mia lira.

Ma in mezzo a tutte quelle sue prose, di così vario argomento, quasi muove ad ira il fatto di non incontrarne mai una in cui quell’ingegno italo-greco [n.d.r.: Ugo Foscolo, nato a Zacinto], così squisitamente materiato dal senso divino della bellezza, si pronunci e si diffonda in pro delle arti sorelle. O come volentieri daremmo per una sola pagina d’argomento artistico tutte le note foscoliane intorno alla chioma di Berenice!

E il confronto si fa anche più grave quando si pensi che in quel tempo vivevano, di là dell’Alpi, Emanuele Kant, Goethe, Schiller, Giam Paolo Ritter, Vinckelmann [sic] e gli altri spiriti veramente superiori, tutti così seriamente occupati a porre la rinnovata critica dell’arte a base di tutto un rinnovamento estetico, che oltre i confini della Germania doveva occupare e agitare tutta la cultura moderna trapassando in tutti i paesi civili [26]. 

Fig. 19) Filippo Agricola, Ritratto di Costanza Monti Perticari, 1821

[…] Fra gli uomini di quest’età formanti la pleiade classica, della quale erano astri maggiori il Monti ed il Foscolo, fa eccezione uno scrittore che allo studio delle arti figurative mostrò di dare grandissima importanza educatrice e che pensò fosse ufficio grave delle lettere lo illustrarle ed il promuoverle. Questi fu Pietro Giordani, tra il Venti ed il Cinquanta da moltissimi salutato «principe della prosa italiana », poi criticato e negletto oltre il giusto. Fatto è che egli fu l’unico scrittore italiano di grande autorità che in questo periodo scrivesse di proposito intorno all’arte; e forse, ove le condizioni sue e quelle del paese non l’avessero impedito, l’Italia in lui avrebbe avuto fin d’allora il suo Ruskin o almeno il suo Delecluze. Vero è che Pietro Giordani non si estese nei precetti delle belle arti oltre le idee generali prevalenti a tempo suo; ma nel dimostrare ed esaltare la loro umanità fu spesso caldo di sincera eloquenza. Nell’ammirazione degli antichi fu categorico e sommario; ma seppe notare e lamentare con critica nobilissima alcuni mancamenti dei nostri artisti più gloriosi; e seppe anche (ciò che va particolarmente considerato) con tutti i prestigi della sua prosa dare risalto e rinomanza a quanto di meglio allora produceva l’Italia in fatto di scultura e pittura; così che le opere del Canova, del Tenerani, del Camuccini e del Landi rivissero, genialmente emulate, nelle pagine dello scrittore piacentino [n.d.r. Giordani]. Il quale rimase in questo come un solitario; e se si aggiungano alle sue alcune belle pagine di Gian Battista Niccolini intorno a Michelangelo, abbiamo, io credo, tutto quel che merita di essere ricordato, come vero e degno contributo della nostra letteratura alle arti figurative, nella prima metà di questo secolo. Davvero che non è molto! 

Fig. 20) Vincenzo Camuccini, Ritratto di Papa Pio VII, 1815

E qui noti bene chi mi legge, ch’io non ho certo dimenticato parecchie opere importanti di materia artistica scritte e pubblicate in questo tempo. Non, per esempio, la Storia della scultura di Leopoldo Cicognara, non il Cenacolo di Giuseppe Bossi che diede e continua a dare tanta materia agli studiosi e agli storici dell’arte vinciana, non quell’enorme e pur prezioso magazzino di notizie che è la Enciclopedia delle Belle Arti dell’Abate Pietro Zani; e soprattutto non dimentico (e come sarebbe possibile?) gli scritti del marchese Pietro Selvatico, l’uomo di più serio studio e di più largo intelletto artistico che abbia forse avuto in questo secolo l’Italia. Io sono tanto alieno dal misconoscere la importanza di quegli scritti, che anzi dubito molto se tutte le pubblicazioni congeneri edite dagli italiani in questi ultimi quarant’anni possano avvantaggiarsi al confronto di essi. Ma il discorso che ho intrapreso è più intimamente connesso alla letteratura; e per questo io vado alla ricerca solo di quegli scritti che sprizzano da pura vena letteraria e segnano come una confluenza e una fusione salutare dello spirito letterario e dell’artistico. Perciò il nostro continua ad essere, pur troppo, un povero inventario!” [27]

Fig. 21) Il primo numero de Il Conciliatore 1818

Se il giudizio sul primo Ottocento neo-classico è disincantato, le cose non vanno meglio nel campo del romanticismo: “Infatti anche nell’altro campo, in quello della letteratura nuova o romantica come si volle chiamarla, le cose non andarono di miglior passo. Gli uomini del Conciliatore si disinteressarono quasi in tutto delle arti figurative o almeno non lasciarono alcuna testimonianza notevole d’averle sentite a fondo e studiate a modo in ordine alla cultura italiana che essi tanto animosamente si accingevano a rinnovellare. E fu un male grande; perché da quelle menti, forse un po' infatuate di novità ma certamente vive, operose e libere, avremmo potuto avere gli esordi di una bella e forte letteratura artistica. E fu soprattutto una grave disgrazia che Alessandro Manzoni, il quale a tutti gli altri senza paragone sovrastò per la grandezza dell’ingegno e la vastità dei propositi, si tenesse alla medesima astensione, tanto differenziandosi, anche in questo, dal suo fratello tedesco Volfango Goethe.

E così la nostra letteratura, dal Ventuno in poi, nacque e crebbe, indifferente o quasi, al grande movimento artistico che scaldava a quel tempo gli uomini di lettere in tutta Europa.

Che contrasto, per esempio, tra l’Italia e la Francia in quei giorni! Là era nel convincimento di tutti che la letteratura e l’arte non si potessero scindere e che una questione unica di rinnovamento si agitasse per l’una e per l’altra. Contro i precetti della scuola di David si levavano i giovani innovatori predicando altri ideali. I custodi della tradizione tenevano alto il loro vessillo; le polemiche si riscaldavano fino all’accanimento; i giornali e i circoli erano invasi dalla questione artistica. Quanti discorsi intorno agli Appestati di Jaffa, all’ Edipo e La zattera della Medusa! al San Sinforiano, alla Barca di Dante! Non c’era giovane letterato che non pensasse ad acquistarsi fama scendendo nell’arringo [sic] dell’arte; e gli stessi uomini gravi che si volgevano alla politica, sentivano il bisogno di temprarsi in questa viva corrente, come se fossero dei contemporanei di Pericle” [28].


Fig. 22) Antoine-Jean Gros, Napoleone visita le vittime della peste a Jaffa, 1804
Fig. 23) Théodore Géricault, La zattera della Medusa, , 1818–1819
Fig. 24) Jean-Auguste-Dominique Ingres, Martirio di San Sinforiano, 1834
Fig. 25) Eugène DelacroixLa barca di Dante, 1822

Panzacchi usa due volte il termine ‘letteratura artistica’ nei passi appena citati del saggio “La letteratura e l’arte in Italia”, pubblicato nella raccolta di saggi “Nel campo dell'arte” del 1897. Schlosser usa il termine Kunstliteratur per la prima volta nel 1896, nel suo Quellenbuch zur Kunstgeschichte des Abendländischen Mittelalters: ausgewählte Texte desvierten bis fünfzehnten Jahrhunderts (Il Libro delle Fonti sulla storia dell’arte nel medioevo occidentale: testi scelti tra il quarto ed il quindicesimo secolo). In entrambi i casi, si intende come letteratura artistica tutta la produzione scritta sull’arte, che sia stata scritta da artisti, letterati o intellettuali.

Il tema viene ripreso – in senso più generale – nell’introduzione al manuale di “Storia dell’arte” di Lipparini del 1902:

“Leggete, con questa avvertenza, i molti trattati di materia artistica che abbondavano già in Italia sulla fine del secolo XVI; e vi convincerete che non c’è quasi bisogno di rintracciare in altri motivi le cause del decadimento. Volgetevi ai letterati più in credito a questa istessa epoca; e vedrete che l’allontanarsi della nostra letteratura da ogni familiarità e da ogni interessamento artistico propriamente detto, non fu tra le ultime ragioni che la distolsero dalle vie del naturale e la isolarono dalla vita della nazione. Quanta differenza con l’aurea età che precedette! Artisti, umanisti, poeti respiravano, per così dire, in un medesimo ambiente vitale... In ogni loro studio e in ogni loro sforzo, per poco che fosse elevato ed intenso, si sentiva la salubre contiguità con la grande vita artistica italiana e uno scambio spontaneo di energie e di ispirazioni. Senza risalire alla fraternità artistica di Dante e Giotto, come disgiungere, per esempio, l’opera del Mantegna, del Botticelli e dei migliori quattrocentisti dalla poesia del Sannazzaro e del Poliziano? L’Ariosto, il Castiglione, l’Aretino, il Caro, il Varchi richiamavano ognuno qualche immortale artista contemporaneo, per le stesse ragioni che la vita e le fatiche di questi ultimi non si potrebbero conoscere a fondo, se non si notassero o si intendessero anche le correnti di vita ideale che a quelli in vario modo li tenevano congiunti. Sul confine dei due esempi gloriosi si vedevano sorgere degli spiriti giganti come Leonardo o Michelangelo, ad attestare non solo la divina fratellanza, ma la continuità e la fusione delle due colture [sic]” [29].

Studiare la letteratura artistica significa dunque, per Panzacchi, andare al cuore del fenomeno estetico, e comprendere a pieno le ragioni che spingono gli artisti – nell’accezione più ampia – a perseguire la ricerca del bello. È la letteratura artistica a creare le ragioni dell’arte, e non viceversa. Dunque si spiegano i motivi per le quali l’insegnamento dell’arte non può che essere letterario. E anche i motivi che hanno spinto il Panzacchi a fare della sua antologia del 1902 il maggiore dei suoi testi d’arte.


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NOTE

[1] Enrico Panzacchi - Il libro degli artisti: antologia, Milano, Tipografia editrice L. F. Cogliati, 1902, 535 pagine.

[2] La storia dell’arte nella scuola italiana, in Civiltà Cattolica, Volume X, 1903, pagine 198-206. Si veda: 
https://books.google.de/books?id=qnARAAAAYAAJ&pg=PA199&dq=il+libro+degli+artisti+panzacchi+1902&hl=en&sa=X&ved=0ahUKEwifx6eEo4bTAhXiCJoKHXViDOAQ6AEIKzAC#v=onepage&q=il%20libro%20degli%20artisti%20panzacchi%201902&f=false

[3] Venturi, Adolfo – Enrico Panzacchi, Il libro degli artisti, in L'arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna, Fascicolo 1, 1903, pagina 75. Si veda: 

[4] Giannantonio, Valeria – Enrico Panzacchi. Il critico e il letterato, Pisa, Edizioni ETS, 2017, 168 pagine.

[5] Gaye, Giovanni - Carteggio inedito d'artisti dei secoli XIV, XV, XVI, pubblicato ed illustrato con documenti pure inediti dal dott. Giovanni Gaye, Firenze : G. Molini, 1839-1840.

[6] Gualandi, Michelangelo - Nuova raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura : scritte da' più celebri personaggi dei secoli XV. a XIX., Bologna : A spese dell'editore ed annotatore, 1844-56.

[7] Campori Giuseppe, Lettere artistiche inedite, Modena, Soliani, 1866.

[8] Gaetano Milanesi e Carlo Pini, La scrittura di artisti italiani, 3 volumi, Firenze, Le Monnier.

[9] Atti del Congresso internazionale di scienze storiche (Roma, 1-9 aprile 1903), pagine 39-42. Si veda: 

[10] Panzacchi, Enrico - L’arte nei secolo XIX, Livorno, Belforte, 1901, 101 pagine. Citazione alle pagine 17 e 19.

[11] Panzacchi, Enrico – L’esposizione artistica a Venezia (1895), in: Nel campo dell’arte. Assaggi di critica, Bologna, Ditta Nicola Zanichelli, 1987, pagine 151-211

[12] Franchi, Elena - Storia dell’arte a scuola: avventurosi esordi, in “La ricerca”, 9 Dicembre 2013. Si veda: http://www.laricerca.loescher.it/arte-e-musica/741-storia-dellarte-a-scuola-avventurosi-esordi.html



[15] Insegnamento della Storia delle Belle arti, Circolare n.86, in “Bollettino ufficiale del ministero dell’Istruzione pubblica’, anno XXVII, vol. I, n. 47, 22 novembre 1900, pp. 1981-1982


[17] Lipparini, Giuseppe - Storia dell'arte, Introduzione di Enrico Panzacchi, Firenze, Barbera, 1902, 448 pagine. Citazione a pagine 31.

[18] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, in: Nel campo dell’arte. Assaggi di critica, Bologna, Ditta Nicola Zanichelli, 1897, pagine 73-93. Il riferimento alla letteratura artistica é alle pagine 78 e 85.

[19] Circolare Nasi. n. 70. in "Bollettino ufficiale del Ministero dell'Istruzione Pubblica", anno X\\. voi. II. n. 44. 29 ottobre 1903, pp. 1798-1799

[20] Venturi, Adolfo – Enrico Panzacchi, citato, p. 75

[21] Panzacchi, Enrico - L’arte nei secolo XIX, (citato), p. 35 e ss.

[22] Lev Nikolaevič Tolstoj, Che cosa è l'arte?, Introduzione di Enrico Panzacchi, Milano, Treves, 1904, XLVII e 264 pagine.

[23] Lev Nikolaevič Tolstoj, Che cosa è l'arte?, (citato), p. xlv.

[24] Lev Nikolaevič Tolstoj, Che cosa è l'arte?, (citato), p. xlv

[25] Lev Nikolaevič Tolstoj, Che cosa è l'arte?, (citato), p. xlv-xlvi

[26] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), pp. 79-80

[27] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), pp. 83-85

[28] Panzacchi, Enrico – La letteratura e l’arte in Italia, (citato), pp. 85-86

[29] Lipparini, Giuseppe - Storia dell'arte, (citato), pp. vi-vii


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