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lunedì 13 marzo 2017

Arthur Kampf. [Dalla mia vita]. 1950. Parte Prima


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Scritti di artisti tedeschi del XX secolo - 12

Arthur Kampf
Aus meinem Leben [Dalla mia vita] 


Aachen, Museumsverein Aachen Publishers, 1950,
64 pagine di testo e 16 pagine di illustrazioni in bianco e nero

Recensione di Francesco Mazzaferro. Parte Prima

Fig. 1) La copertina dell'autobiografia di Arthur Kampf (1950)

Quando il breve testo di memorie di Arthur Kampf (1864-1950) compare nel 1950 con il titolo Dalla mia vita (Aus meinem Leben) [1], l’ottantaseienne pittore di storia è appena venuto a mancare. Per molti aspetti, è scomparso da sconfitto. Può sembrare strano dedicare un post alle memorie di un artista oggi praticamente dimenticato. Eppure, non si può avere un’idea completa della letteratura artistica tedesca del Novecento se ci si limita ad analizzare gli artisti che, nella storia dell’arte tedesca, siedono oggi dalla parte dei vincitori. Da questo punto di vista, l’editoria tedesca non offre oggi un’immagine completa del dibattito di quegli anni. E forse è difficile farlo per un paese che è passato attraverso fasi così terribili della propria storia, come due guerre mondiali, il nazismo ed il comunismo.

Leggere le memorie di artisti tedeschi come Arthur Kampf permette di cancellare l’impressione erronea che la letteratura artistica tedesca del primo Novecento sia solamente popolata da modernisti radicali (Nolde, Klee, Kandinskij) o moderati (Klinger, Corinth, Liebermann), tutti impegnati nella sfida alle convenzioni estetiche guglielmine. No: nei primi decenni del secolo la società della giovane Germania unificata è profondamente fratturata da conflitti estetici radicali. Sorprenderebbe se non fosse così, se si considera che l’intera società tedesca è percorsa da un malessere acuto e da un’incapacità di trovare elementi di coesione su temi fondamentali, incapacità che si manifesterà in tutta la sua gravità negli anni di Weimar. Va comunque aggiunto che, tra gli accademici, Kampf è forse quello che meglio riesce a dialogare con i settori più tradizionali delle Secessioni (Liebermann) e persino con gli espressionisti moderati (Hofer, Pechstein). Quando gli viene assegnato il compito di allestire il padiglione tedesco per l’Esposizione internazionale di Roma nel 1911, riesce addirittura a coinvolgere (in un rarissimo momento di unità) gran parte delle molte anime dell’arte tedesca (con l’esclusione dei movimenti di vera avanguardia), con un centinaio di opere [2]. E tuttavia, come vedremo dalle memorie, se quell’esperienza romana prova la capacità di Kampf di svolgere un ruolo di dialogo all’interno del mondo artistico tedesco, si dimostra un’occasione persa per poter superare una visione nazionale dell’arte. 


Il pittore del nazionalismo imperiale tedesco


Bisogna pensare a Kampf come ad una personalità dalla storia complessa. Cresciuto come pittore storico nell’ambito dell’arte tardo-romantica, non solamente rappresenta quell’arte accademica di stampo ufficiale contro la quale sorgono le Secessioni tedesche dei primi decenni del ventesimo secolo, ma è anche uno degli animatori del dialogo tra artisti, musicisti e letterati di stile moderno ma classico negli ultimi anni prima della Grande Guerra ed uno dei pittori maggiormente riverito dal nazionalsocialismo dopo il 1933, decorato da Hitler in persona in occasione del suo settantacinquesimo compleanno nel 1939. Si tratta dunque di una figura che impersona il travaglio di quei decenni.

Una cosa è certa. Fin dagli anni del trasferimento da Düsseldorf a Berlino, nel 1899, Kampf è un pittore sempre molto legato al potere. Scrive che gli anni in cui è stato a contatto con l’imperatore Guglielmo II sono stati i più belli della sua vita [3]. È nominato presidente del Senato dell’Accademia di Belle Arti. A testimonianza del ruolo che svolge a Berlino negli anni appena precedenti la Prima Guerra Mondiale, nel 1913-1914 realizza l’enorme affresco (oggi perduto) per l’aula magna dell’Università Humboldt di Berlino con un tema di chiarissima ispirazione nazionale: l’orazione al popolo tedesco del filosofo Fichte, uno degli ispiratori del risorgimento nazionale durante l’occupazione napoleanica. 

Il tema nazionale è sempre molto presente. Si pensi al ciclo di affreschi della Vita di Ottone I a Magdeburgo, alle molte pitture in cui rappresenta Federico II di Prussia, ai quadri per celebrare le sofferenze ed i torti subiti dalle popolazioni tedesche nel periodo napoleonico, e a quelli per raccontare la vita malinconica dei soldati tedeschi dietro la linea del fronte durante la Prima Guerra Mondiale.

Quanto egli sia attratto, in generale, dal potere è dimostrato dalle pagine nelle memorie in cui narra dell’incontro con il re del Belgio Leopoldo II [4], si mostra entusiasta per i ricevimenti di imperatori e re [5], o scrive in dettaglio dei giorni trascorsi presso Kemal Ataturk nei palazzi di Ankara per dipingerne i ritratti ufficiali.


Le finalità della pubblicazione dell'autobiografia del 1950

Negli anni immediatamente seguenti la Seconda guerra mondiale, la Repubblica federale tedesca cerca di ricomporre le tragedie della propria storia anche in termini di gusto estetico. Lo fa percorrendo due strade molto differenti.

La prima strada è quella dell’imposizione di criteri estetici completamente nuovi, con una frattura netta con il passato: nell’arte del dopoguerra si affermano canoni estetici che sono coerenti con l’appartenenza della Germania federale al mondo occidentale, come l’espressionismo astratto di stampo americano e l’informale di derivazione francese. È un’affermazione netta: persino pittori di orientamento socialista come Hofer e Pechstein, che pur hanno combattuto il nazismo, subito la condanna delle loro opere come arte degenerata e sofferto di persona la discriminazione da parte del regime, sono duramente criticati negli anni Cinquanta per la loro arte figurativa, considerata ormai superata in termini estetici e sospetta di collusione con il realismo socialista sovietico.

La seconda strada è quella della rimozione completa della storia dell’arte recente. La memoria dell’arte nazista viene cancellata, anche nel senso che di essa non si può e non si deve più parlare. In alcuni casi, comunque, si ha l’impressione di una rimozione selettiva nel tentativo di riabilitare artisti compromessi con il regime. È il caso di queste memorie pubblicate ad Aquisgrana nel 1950, dove Arthur Kampf si descrive come un artista neo-romantico legato al mondo guglielmino, ma ci dice molto poco della sua vita tra 1924 e 1944 e sorvola completamente sul suo legame con il nazismo dopo il 1933. Si tratta di un tema che abbiamo già trattato anche a proposito delle memorie di Emil Nolde, pittore ben più importante ed affermato di Kampf. Quelli di Nolde e di Kampf, del resto, sono casi personali molto diversi, ma quel che è comune alle loro memorie, appena uscite dopo la guerra, è che del periodo dopo la presa del potere di Hitler, e dei loro rapporti con il regime, non si parla.

La manipolazione delle memorie, se riesce con Nolde (che è artista che attira l’interesse del nuovo pubblico per la sua assoluta libertà d’espressione), è invece una battaglia persa per Kampf: non solamente i suoi canoni stilistici ed i suoi temi iconografici sono troppo legati al passato, ma hanno anche ispirato l’iconografia nazista [6]. Abbiamo deciso di non mostrare qui il quadro di Hermann Otto Hoyer intitolato “In principio fu il verbo”, datato 1937, che mostra Hitler arringare i suoi sostenitori esattamente nella stessa postura con cui, nell'affresco di Kampf (Fig. 29 Fichte si rivolge alla nazione tedesca.  La circostanza è comunque nota a tutti gli storici dell'arte.


L’Introduzione di August Gotzes: Kampf e le sue radici ad Aquisgrana

Il testo delle memorie è preceduto da una breve introduzione di August Gotzes. Di quest'ultimo sappiamo assai poco come critico, se non che scrisse negli anni immediatamente precedenti, contemporanei e successivi alla Seconda guerra mondiale brevi testi ed articoli su pittori oggi considerati di secondo piano (Hans Schroedter [7] nel 1939; Heinrich von Richthofen [8] nel 1942, Walter von Wecus [9] nel 1947).

Gotzes così presenta la finalità della pubblicazione dell’autobiografia di Kampf: “Non è nostro compito prendere posizione sull’opera artistica [nota dell’editore: di Kampf], tema trattato nelle due monografie uscite a cura di Velhagen e Klasing a Bielefeld [10]. Per quanto tali saggi abbiano meriti, manca loro tuttavia il fascino dell’originalità e dell’immediatezza che solamente un’autobiografia scritta dall’artista può garantire. Che cosa Kampf abbia personalmente pensato, pianificato, giudicato, inventato, creato e raggiunto, si rivela invece qui nella sua chiarezza e profondità più totale” [11].

Non si può comprendere a fondo il significato di queste righe se non si consultano le due monografie del 1922 (di Hans Rosenhagen) e 1944 (di Bruno Kroll) cui Gotzes fa riferimento. Non sorprende certo che esse offrano immagini diametralmente opposte dell’opera del pittore. È chiara quale sia la linea di Gotzes a sostegno di Kampf: solamente le sue memorie possono darci un’immagine autentica della sua creazione artistica, che non può essere letta nei termini descritti da altri, ma solamente facendo riferimento ai ricordi personali. L’unico modo per valutare a pieno la sua arte è quello di dare la parola all’artista stesso.

Gotzes spiega che Kampf, su sua richiesta, ha steso rapidamente i suoi ricordi nei due anni seguenti la fine della guerra e semplicemente facendo ricorso alla memoria, dopo che l’intero archivio personale dell’artista è andato perduto perché devastato dall’Armata rossa durante l’avanzata nella Bassa Slesia (dove Kampf si era rifugiato nel 1944 per evitare i bombardamenti a Berlino). Il pittore accetta la sollecitazione di Gotzes di mettere i ricordi per iscritto, anche se commenta: “Ho così poco tempo, devo dipingere [12]”. La redazione delle memorie è datata primavera 1949. Gotzes ricorda come Kampf abbia lavorato sino all’ultimo giorno concludendo proprio il giorno della sua morte, l’ennesima tela, dal titolo “I cavalieri dell’apocalisse” [13].

Per il resto, il breve testo introduttivo di Gotzes è tutto centrato sul rapporto tra Kampf e la città di Aquisgrana, che gli ha dato i natali e dove è tornato dopo lunghe permanenze a Düsseldorf (1879-1899) e a Berlino (1899-1943), e dopo molte tappe come sfollato nella Germania distrutta dalla guerra. L’iconografia stessa delle immagini scelte da Gotzes a corredo del libro ci offre un’immagine intima e raccolta dell’arte di Kampf.


Il saggio di Hans Rosenhagen (1922)


La prima monografia citata da Gotzes nella prefazione è un saggio del 1922 a cura di Hans Rosenhagen (1858 – 1943) [14], un critico d’arte che abbiamo già incontrato come autore del primo saggio su Max Liebermann nel 1900 [15]. Rosenhagen è un critico di orientamento liberale e democratico, fortemente critico nei confronti dell’arte accademica sin dalla fine degli anni novanta dell’Ottocento [16] ed invece favorevole ai movimenti artistici innovatori delle Secessioni (pubblica sulla rivista Die Kunst für Alle una recensione dettagliata su ogni mostra della Secessione di Berlino).

L’orientamento estetico anti-accademista di Rosenhagen spiega probabilmente perché la tesi principale del saggio del 1922 sia che quella di Arthur Kampf non è arte accademica, perché non segue un unico modello. Rosenhagen distingue infatti tra un Kampf realista ed uno monumentale.

Anche l’amore per la pittura storica (o pittura di figure) di Kampf non è – secondo Rosenhagen -necessariamente sintomo di conservatorismo: il critico ricorda infatti non solamente l’ovvio precedente di Alfred Rethel (artista tardo-romantico i cui cicli di affreschi storici, oggi distrutti, Kampf ha ammirato da giovane al municipio di Aquisgrana), ma fa anche l’esempio di Max Klinger, come di un modernista contemporaneo cui piace una pittura monumentale (ed infatti, in parallelo all’affresco dipinto da Kampf per l’aula magna dell’Università Humboldt a Berlino, Klinger completa nel 1909 un enorme affresco per l’aula magna dell’Università di Lipsia).

A Rosenhagen piacciono comunque di Kampf soprattutto le opere più intime (Immagine di ragazzino, 1907), e quelle piene di colore che rivelano l’interesse per il quotidiano (Il mercato del pesce ad Altona, 1899) o per il mondo orientale (l’Indiano, 1912).

Kampf è interpretato da Rosenhagen in linea con una tradizione realista tipica della pittura tedesca, che parte da Dürer e Altdorfer, continua con Moritz von Schwind (1804-1871) e Carl Spitzweg (1808-1885) e giunge a Ludwig Richter (1803-1884) e Arnold Böcklin (1827–1901) [17]. Il suo realismo è spiegato come una ricerca di oggettività [18]; di Kampf sono apprezzati la capacità compositiva [19] e la semplicità e chiarezza d’espressione [20]. In tal modo - aggiungo io - Kampf diviene l’antesignano delle correnti del ‘ritorno all’ordine’ e della Nuova Oggettività (Neue Sachlichkeit), che si impongono in Europa ed in Germania tra le due guerre mondiali. E, di fatto, Rosenhagen celebra soprattutto l’artista che, nel 1914, riesce a creare a Berlino un gruppo di intellettuali che riunisce artisti, musicisti, letterati e mecenati nel nome di un’arte moderna, ma in linea con la tradizione.

Il saggio di Bruno Kroll (1944)

Il saggio di Bruno Kroll (1895-1984) è invece del 1944, l’anno in cui Kampf viene inserito da Hitler nella lista dei cosiddetti Gottbegnadeten (i ‘Benedetti da Dio’, ovvero gli artisti cui nulla deve mancare anche in tempo di guerra, in modo che possano continuare a contribuire alla cultura tedesca). Kroll è uno dei critici d’arte più vicini al nazionalsocialismo, e si occupa di offrire al lettore di quegli anni una sua lettura dell’arte contemporanea in linea con il nazismo, con molti articoli ed una monografia sugli “Artisti tedeschi contemporanei. Lo sviluppo dell’arte tedesca dal 1900” [21], pubblicata nel 1937 e ristampata nel 1941 e nel 1944. È professore universitario a Berlino tra il 1934 ed il 1942, e membro del consiglio della Nationalgalerie tra 1939 e 1942.

Il testo di Kroll offre un’interpretazione del tutto ideologica della sua arte, completamente focalizzata sul ruolo identitario nazionalista che ad essa viene assegnata dal regime. Il testo è del resto pubblicato in periodo di guerra, e non è certo un caso che includa numerose illustrazioni di opere che hanno un chiaro significato propagandistico di guerra.

Kampf – scrive Kroll – è uno degli ultimi grandi idealisti. La sua arte incarna le forze che tengono in vita l’identità del popolo ed il senso artistico di comunità. Egli è un rappresentante. Lo è nella misura in cui di molte opere di sua mano – che siano ”La benedizione dei volontari del 1813”, “Ho dato l’oro per il ferro” oppure “Fichte parla alla nazione” si può dire che esse siano sorprendentemente in linea con il gusto del popolo, prima ancora che si sappia chi è il loro autore” [22]. Il testo di Kroll tace proprio sugli aspetti che a Rosenhagen devono essere sembrati più importanti (la vita intellettuale di Kampf nella Berlino del 1914, quando collabora con numerose personalità della cultura per cercare di creare un “Club d’artisti” che unisca tendenze diverse), e celebra invece la monumentalità della sua arte d’impronta nazionale.

Il testo celebra la “liberazione intellettuale” che, a parere di Kroll, l’avvento del nazismo offre all’arte tedesca, piegata dalla sconfitta del 1918. Kampf viene dunque rappresentato come un artista che ha saputo resistere alla corruzione dello spirito ed ha sempre creduto all’esistenza di uno spirito creativo comune del popolo tedesco. In realtà, i temi scelti dall’artista dimostrano che condivide l’ideologia razzista e l’aggressione militare nazista contro i resto del mondo.

Dal punto di vista iconografico, gli vengono riconosciute fin dai decenni precedenti tutte le caratteristiche dell’artista nazista: “La ricerca del dominio assoluto dei valori vitali su quelli puramente estetici. La disponibilità a servire, il senso vitale, la comprensione generale del linguaggio artistico” [23].


L'autobiografia: gli anni di Düsseldorf (1879-1899)

Torniamo ora alle memorie, che vanno lette tenendo conto dell’intenzione manifestata da Gotzes: si vuol raccontare la storia dell’artista in termini diversi da quelli del 1922 (dove Kampf è un artista accademico illuminato, capace di dialogare con i colleghi più moderati tra i modernisti) e del 1944 (dove Kampf è uno degli interpreti di un’arte nazionale che si inserisce a pennello nei canoni nazisti). Dunque, sono memorie che vanno sempre prese con le molle; e tuttavia, con quest’avvertenza, sono una testimonianza molto utile dell’arte tedesca a cavallo tra Otto e Novecento, narrata da un accademico.

Cresciuto in una famiglia di Aquisgrana che da un lato promuove l’educazione artistica dei figli (anche il fratello è pittore) e dall’altro vuole dare loro un profilo educativo che non li isoli nella provincia tedesca (sono mandati a studiare in un collegio in Belgio, dove imparano francese e fiammingo), Arthur visita un museo con la madre per la prima volta a sette anni, ad Anversa e da allora Rubens è il suo pittore preferito [24]. L’amore per l’arte è talmente evidente che il padre lo iscrive a quindici anni all’Accademia di Düsseldorf, allora il più importante centro artistico tedesco. Il nuovo edificio in stile neo-rinascimentale dell’Accademia è appena stato inaugurato, e dunque il giovane vive subito in un ambiente moderno [25]. Conosciamo memorie di pittori pressoché coetanei (Nolde, nato tre anni dopo, Klee, nato quindici anni dopo) che cercano invano di fare ingresso nel mondo dell’Accademia (a Monaco) e sono dunque costretti ad imparare il mestiere in maniera alternativa, serbando un profondo rancore nei confronti di quell’istituzione. Il ricordo di Kampf, riguardo ai suoi insegnanti (duri, ma rispettati) dell’Accademia di Düsseldorf è invece pieno di nostalgia. L’artista studia in particolare con Peter Janssen (1844–1908) e Eduard von Gebhardt (1838- 1925), entrambi pittori di storia, il primo di gusto classicheggiante ed il secondo chiaramente romantico, e ai due maestri dedica pagine piene di affetto [26]. 

Il modo con cui, nelle classi all’Accademia, i lavori di tutti gli studenti sono prima sottoposti ad un commento collettivo e poi alla correzione dei maestri “è ottimo. Si possono così sentire le opinioni più diverse sul proprio lavoro, trarne stimoli ed imparare moltissimo” [27]. Nei primi anni, fino al 1884, il clima tra studenti è cameratesco, il rapporto con gli insegnanti umano. Arthur ha un intenso rapporto di amicizia con il pittore di paesaggi Helmuth Liesegang (1858-1945). Si sente qualche tono di rimpianto, tra le righe, per quegli anni di fraterna amicizia tra giovani studenti, in un clima di coesione che è ovviamente impossibile tra adulti e che infatti non si ripeterà più negli anni seguenti, nei rapporti interpersonali tra artisti: “Poi le differenze di opinioni si trasmutarono in discussioni accese, che spesso finirono in animosità personali ed infamie” [28].

Arthur inizia a dipingere il primo dipinto destinato ad un’esposizione a ventun anni, nel 1885, ancora sotto la direzione di Jannsen: è L’ultima dichiarazione, una scena di un incidente sul lavoro, forse dovuto ad uno scontro con coltello: “Ho preparato lo schizzo di un lavoratore, gravemente ferito; sta facendo una dichiarazione ad un poliziotto, seduto davanti a lui, e gli racconta il corso degli eventi. Vicino a lui ci sono i due compagni di lavoro che l’hanno riportato nella sua misera baracca. La moglie sorregge il ferito, che giace a terra, e gli preme un panno sulla ferita” [29]. Il dipinto viene presentato alla Kunsthalle di Düsseldorf, scatenando scalpore: per la prima volta, spiega Kampf, viene rappresentato in un quadro un lavoratore, invece di una scena storica [30]. Per questo orientamento interpretato dal pubblico come indice di simpatie ‘socialdemocratiche’ Kampf si trova isolato a Düsseldorf, ma il quadro ottiene un riconoscimento a Berlino nel 1886 [31].

È degli stessi anni l’ “Esposizione della salma dell’Imperatore Guglielmo I a Berlino” (1888). Il pittore racconta di essersi precipitato da Aquisgrana a Berlino non appena saputo che l’imperatore stava per morire. Arriva quando Guglielmo I è appena deceduto: la città è invasa da una folla triste e silenziosa, in un giorno in cui nevica intensamente. Kampf partecipa all’evento con grande commozione. Per ben due giorni rimane tra i berlinesi in coda per potersi avvicinare al feretro (tra chi si prepara alla veglia identifica tra gli altri il maresciallo von Moltke), ma tanta è la gente che non riesce ad entrare. Poi, nella notte gelida del secondo giorno, paga un ragazzino che, utilizzando un trucco, gli fa saltare la coda; riesce così ad accedere alla veglia. “Ho dipinto il quadro a memoria” [32]. Il dipinto ottiene una medaglia d’oro a Monaco. Rapidamente Arthur si fa un nome a Berlino come pittore di storia nazionale e fa la conoscenza - ventiquattrenne – di Adolph Menzel (1815-1905), il maggiore artista attivo nella capitale tedesca in quell’epoca [33], che poi egli frequenterà nei suoi primi anni nella città. Dedica nel 1890 due quadri fortunati alle sollevazioni popolari antinapoleoniche del 1813, celebrando episodi di resistenza spontanea. Nel frattempo fa rapidamente carriera all’accademia di Düsseldorf, divenendo nel 1891 assistente e nel 1893 professore [34].

All’Accademia di Düsseldorf Arthur si trova così bene da declinare, nel 1895, una prima offerta della cattedra di pittura all’Accademia delle Belle Arti di Berlino, che riceve da parte di Anton von Werner. Quest’ultimo “era uomo assai intelligente ed aveva condotto molto bene la sua Accademia secondo le proprie preferenze; ma si comportava nei confronti dei propri insegnanti in maniera eccessivamente gerarchica. Me ne ero reso conto durante un soggiorno a Berlino nel 1891, in occasione di una cena a casa sua, alla quale erano stati invitati anche i professori. Costoro si comportavano nei suoi confronti in modo timido ed ossequioso, cosa che mi sembrava ridicola, dal momento che non ero affatto abituato a che ciò si verificasse a Düsseldorf” [35]. Due anni dopo compie un viaggio in Spagna, dove la sua attenzione è tutta per Velázquez, Tiziano, Rubens, Ribera [36]. Incontra lì anche Francisco Pradilla (1848 –1921) [37], pittore storico che dirige il Museo del Prado.

L’amore eterno per la pittura olandese

Si è già detto che Rubens è il primo amore. E va detto che la Galleria di Düsseldorf conservò (fino al primo Ottocento) una delle maggiori collezioni di Rubens (che si sparsero poi per tutta la Germania). Anche in una fase successiva della sua produzione artistica, i riferimenti rubensiani sono ovvii (si confrontino fra loro il Ratto delle figlie di Leucippo del pittore di Anversa e la Venere ed Adone del 1924).

Il suo Golgotha del 1897 è di chiara ispirazione fiamminga. Sul tema sembrerebbe tornare nel 1944 (la paternità dell’opera non è certa), rivelando elementi di continuità e differenze formali nel corso di cinquant’anni di pittura.

Le memorie mostrano come Kampf abbia sempre conservato una grande passione per i maestri dell’Europa del nord: oltre a Rubens e Rembrandt, anche Frans Hals, Vermeer, Bruegel. Ad essi si affiancano, in un intreccio con veneziani e spagnoli, Tiziano e Velázquez [38].

Nel 1923 Kampf compie un viaggio ad Haarlem, dove deve realizzare alcuni ritratti. È anche un vero e proprio pellegrinaggio per ammirare i dipinti di Frans Hals e confrontarli con dipinti e disegni di Rembrandt. Di entrambi cita i ritratti collettivi: “È tutto narrato in modo così fresco e vivace. Straordinaria la differenza tra Hals e Rembrandt. Hals cerca vita, freschezza e gioia, Rembrandt luce e atmosfera, ma è più profondo in espressione e sentimento. Se si astrae dalle pitture a mio parere i disegni a penna di Rembrandt sono quel che di più forte egli abbia mai fatto in termini di espressione. Sì, non conosco nulla di simile nell’arte intera dove si sia riuscito a rappresentare un’azione con mezzi così ridotti. È qualcosa di grande e nobile” [39].

Rubens, Rembrand, Hals e gli altri sono tutti pittori che, nel corso dell’Ottocento, sono considerati a Düsseldorf come la fonte d’ispirazione suprema per il rinnovamento dell’arte in senso neo-romantico. È straordinario come – in parallelo e negli stessi anni – esattamente questi artisti abbiano influenzato profondamente l’evoluzione di artisti tedeschi di orientamento diverso rispetto a quello di Kampf. Anche Liebermann non si può capire se non si analizza l’impatto che su di lui ha il mondo olandese; Rembrandt è l’ispiratore di Nolde e Corinth muore a Zandvoort nel 1925 durante un viaggio per visitare ancora una volta i musei olandesi. Lo stesso amore per la stessa arte, ma con esiti così diversi.


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NOTE

[1] Kampf, Arthur - Aus meinem Leben (Dalla mia vita), introduzione di August Gotzes, Aquisgrana, Verlag Museumsverein Aachen, 1950, 64 pagine di testo e 16 pagine di illustrazioni in bianco e nero.

[2] Pica Vittori, L’arte mondiale a Roma, Bergamo, Istituto Italiano d’Arti Grafiche, 1913, 540 pagine e 732 illustrazioni. L’originale è disponibile a 

[3] Kampf, Arthur - Aus meinem Leben … (citato), p. 43

[4] Kampf, Arthur - Aus meinem Leben … (citato), p. 28

[5] Kampf, Arthur - Aus meinem Leben(citato), p. 28 (ricevimento di Leopoldo II del Belgio), 33 (ricevimento di Gugliemo II, imperatore di Germania).

[6] Ronge, Tobias - Das Bild des Herrschers in Malerei und Grafik des Nationalsozialismus
Eine Untersuchung zur Ikonografie von Führer- und Funktionärsbildern im Dritten Reich (L’immagine dell’uomo di potere nella pittura e grafica del nazionalsocialismo. Una ricerca sull’iconografia delle immagini del Führer e die funhzionari di partito nel Terzo Reich), Berlino, Lit Verlag, 2011, 522 pagine. Si veda: 

[7] Gotzes, August - Hans Schroedter, in Die Kunst für alle: Malerei, Plastik, Graphik, Architektur, N. 8, Maggio 1939, pagine 259-260. Si veda: 

[8] Gotzes, August - Heinrich von Richthofen, in: Die Kunst, 1942, Numero 1, pagine 165-167

[9] Gotzes, August - Walter von Wecus, der Maler u. Zeichner (Walter von Wecus, pittore e disegnatore, Colonia, Drei-Königen-Verlag, 1947, 43 pagine).

[10] Si tratta di due volumi, a cura di Hans Rosenhagen (1922) e Bruno Kroll (1944). Rosenhagen, Hans – Arthur Kampf, Bielefeld e Lipsia, Velhagen e Klasing Verlag, 1922, 119 pagine e 107 figure. Il testo originale è disponibile all’indirizzo 
Kroll, Bruno – Arthur Kampf, Bielefeld e Lipsia, Velhagen e Klasing Verlag, 1944, 131 pagine e 131 figure.

[11] Kampf, Arthur - Aus meinem Leben … (citato), p. 6

[12] Kampf, Arthur - Aus meinem Leben … (citato), p. 6

[13] Kampf, Arthur - Aus meinem Leben … (citato), p. 6

[14] Rosenhagen, Hans - Arthur Kampf (citato)

[15] Rosenhagen, Hans – Max Liebermann, Bielefeld e Lipsia, Velhagen e Klasing Verlag, 1900, 104 pagine e 113 figure. Il testo originale è disponibile all’indirizzo

[16] Rosenhagen, Hans – Die nationale Kunst in Berlin (L’arte nazionale a Berlino), 1897. Si veda: 

[17] Kampf, Arthur - Aus meinem Leben … (citato), p. 8

[18] Kampf, Arthur - Aus meinem Leben … (citato), p. 8

[19] Kampf, Arthur - Aus meinem Leben … (citato), p. 112

[20] Kampf, Arthur - Aus meinem Leben … (citato), p. 9 e 117

[21] Kroll, Bruno - Deutsche Maler der Gegenwart. Die Entwicklung der Deutschen Malerei seit 1900, Berlino, Rembrandt Verlag, 1937, 162 pagine.

[22] Kroll, Arthur Kampf … (citato), p. 2

[23] Kroll, Arthur Kampf … (citato), pp. 16-17

[24] Kampf, Arthur - Aus meinem Leben … (citato), p. 9

[25] Kampf, Arthur - Aus meinem Leben … (citato), p. 10

[26] Kampf, Arthur - Aus meinem Leben … (citato), pp. 15-17

[27] Kampf, Arthur - Aus meinem Leben … (citato), p. 11

[28] Kampf, Arthur - Aus meinem Leben … (citato), p. 12

[29] Kampf, Arthur - Aus meinem Leben … (citato), p. 12

[30] Kampf, Arthur - Aus meinem Leben … (citato), p. 12

[31] Kampf, Arthur - Aus meinem Leben … (citato), p. 13

[32] Kampf, Arthur - Aus meinem Leben … (citato), p. 14

[33] Kampf, Arthur - Aus meinem Leben … (citato), p. 15

[34] Kampf, Arthur - Aus meinem Leben … (citato), p. 17

[35] Kampf, Arthur - Aus meinem Leben … (citato), p. 17

[36] Kampf, Arthur - Aus meinem Leben … (citato), pp. 18-22

[37] Kampf, Arthur - Aus meinem Leben … (citato), p. 19

[38] Kampf, Arthur - Aus meinem Leben … (citato), p. 49

[39] Kampf, Arthur - Aus meinem Leben(citato), p. 45


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