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mercoledì 15 febbraio 2017

Marco Antonio Sabellico. Del sito di Vinegia. La più antica guida di Venezia


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Marco Antonio Sabellico
Del sito di Vinegia
La più antica guida di Venezia

A cura di Maurizio Vittoria


Venezia, Venipedia editrice, 2016

Recensione di Giovanni Mazzaferro

Antonello da Messina, Pala di San Cassiano, 1476, Vienna, Kunsthistorisches Museum
Fonte: bilddatenbank.khm.at via Wikimedia Commons

Un’edizione meritoria

Se dovessi recensire Del sito di Vinegia  di Marco Antonio Sabellico (1436?-1506) nell’ottica esclusiva della letteratura artistica, non potrei che ripetere quanto già ne scrisse lo Schlosser nel 1924: “un’opera di scarsa utilità per la storia dell’arte” (p. 379). Gli unici due quadri citati nel testo sono una “tavola di Messenio [n.d.r. Antonello da Messina] dipintore, al quale pare che niuna cosa a dipingerla mancasse, fuori che l’anima” (p. 47) a San Cassiano (è la Pala di San Cassiano conservata oggi mutila al Kunsthistorische Museum di Vienna) e, a San Giobbe, la pala di Giovanni Bellini oggi all’Accademia (“vedesi nella chiesa di Giovanni Bellini una tavola notevole, che egli da principio dell’arte sua ci diede a vedere” – p. 53). Per il resto Sabellico semplicemente aggiunge (parlando genericamente delle chiese veneziane) che “sopra gli altari sono tavole dorate, che volgarmente pale si chiamano” (p. 78). Va fatto notare che queste poche citazioni sono comunque significative di un gusto che giudica le pale dorate (quelle dei ‘primitivi’) non degne di singola citazione, mentre invece ritiene di segnalare (sia pure in maniera del tutto insufficiente) il modo ‘nuovo’ di dipingere che vede in Antonello e Giovanni Bellini due degli esponenti più significativi.

Giovanni Bellini, Pala di San Giobbe, 1487 circa, Venezia, Gallerie dell'Accademia
Fonte: https://www.khanacademy.org/humanities/renaissance-reformation/renaissance-venice/venice-early-ren/v/bellini-san-giobbe-altarpiece


Tuttavia non credo che questo sia il metro di giudizio corretto da adottare nel caso specifico. Intanto partirei da un dato di fatto: la riedizione italiana dell’opera (originariamente pubblicata in latino nel 1494 o 1495 e in italiano nel 1544) è meritoria. Per capirci, a parte un’edizione ‘per nozze’ del 1957, si tratta della prima riedizione moderna. Merito del Comitato per Venezia (e di Maurizio Vittoria in particolare), un’associazione di privati che si prefigge di diffondere la cultura e il patrimonio veneziano in anni particolarmente difficili, senza nessuna paura di ‘sporcarsi le mani’ con una divulgazione intelligente. Perché, ad esempio, un qualsiasi detrattore potrebbe far notare immediatamente che quella di Vittoria non è certo un’edizione critica, e non rispetta gli standard scientifici propri del mondo accademico. Se non che si potrebbe ribattere (e lo farò oltre) che il mondo accademico, in materia, non ha prodotto assolutamente nulla e il fatto è grave.

Probabilmente Del sito di Vinegia andrebbe distribuito gratuitamente ai milioni di turisti che visitano la città ogni anno; sicuramente a quelli che vanno o vengono sulle ‘grandi navi’ (non ho nulla contro le crociere; semplicemente non mi pare il caso che le navi da crociera passino per la Giudecca), giusto per ricordare loro che Venezia non è un luna-park, e ha una storia diversa da Disneyland. Molto più modestamente spero di aver presto l’occasione di regalarmi una giornata per camminare in città con il libretto di Sabellico in mano, ad inseguire le tracce di quanto ci descrive nella sua opera. In questo senso (ovvero considerandola come una curiosa e preziosa testimonianza di fine Quattrocento da riscontrare con quanto rimane ai giorni nostri) Del sito di Vinegia è una guida. Perché una cosa è certa: quando fu pubblicata ‘guida’ non era.


Umanesimo e corografia

Non starò qui a riscrivere la storia dell’umanesimo. Mi limiterò semplicemente a dire che Marco Antonio Sabellico (in realtà Marc’Antonio Coccio o Coccia) ne fa parte a pieno titolo. Uno degli elementi caratterizzanti dell’umanesimo è la ripresa di modelli letterari provenienti dall’antichità, fra cui la descrizione di regioni o città da un punto di vista ‘qualitativo’, che prende il nome di corografia, contrapposta (o meglio, affiancata) a descrizioni complessive e quantitative che assumono il nome di geografia. La distinzione deriva direttamente dalla Geografia di Tolomeo. “Mentre la geografia mira a una rappresentazione complessiva, misurata accuratamente del mondo intero, la corografia ritrae meticolosamente singole regioni. La Cosmographia di Pietro Appiano del 1533 mostra una visualizzazione di questa distinzione [n.d.r. si veda l’immagine qui sotto]. L’immagine presenta un globo con una testa umana sotto il termine “Geografia” e un paesaggio cittadino con la metafora dell’occhio e dell’orecchio di Tolomeo sotto “Corografia” [1]

Petrus Apianus, Cosmographia, Anversa 1540, Differenza fra geografia e cosmografia, f. 4r,
Fonte: https://ia800703.us.archive.org/4/items/cosmographiaapia00apia/cosmographiaapia00apia.pdf

Del sito di Vinegia rientra perfettamente in questo ambito. Non si tratta quindi di una guida, ma di una descrizione corografica, di quelle che figliarono dalla tradizione umanistica italiana a partire dall’Italia illustrata di Flavio Biondo, pubblicata postuma nel 1474; le prime furono scritte in latino, e anche qui siamo perfettamente in linea con la tendenza generale. Del resto non è certo un caso che, nel 1527, Del sito di Vinegia venga ristampato in latino a Torino assieme al De Roma instaurata e al De Italia illustrata del Biondo. Col passare degli anni il latino diventa italiano; in questo senso va intesa la prima traduzione italiana della descrizione di Sabellico, edita da Michele Tramezzino nel 1544, ma sempre insieme a opere corografiche del Biondo e di altri; una tendenza che sei anni dopo sfocerà nella Descrizione di tutta l’Italia di Leandro Alberti. Il De situ urbis Venetae (questo è il titolo latino originale del 1494 dell’opera di Sabellico) è destinato a Girolamo Donà, che sta per trasferirsi come ambasciatore di Venezia a Roma. Sinceramente non so se posso essere d’accordo quando il curatore della presente edizione scrive che Sabellico glielo dedicherebbe per consolarlo della prevista lunga assenza; mi sembra più probabile che lo faccia perché Donà abbia una descrizione corografica della città da far leggere negli ambienti umanistici romani. In ogni caso, quando viene pubblicata, e nemmeno nel 1544, quando esce la prima edizione italiana, l’opera di Sabellico è destinata ad essere una guida.

Jacopo de' Barbari, Veduta di Venezia, 1500 Museo Correr, Venezia
Fonte: Godromil tramite Wikimedia Commons

La descrizione di una città

Del sito di Vinegia è diviso in tre libri. Nei primi due Sabellico descrive tre sestieri alla volta (prima Dorsoduro, S. Polo e S. Croce, ovvero quelli posti a occidente e a sud del Canal Grande; poi Cannaregio, Castello e S. Marco). Il terzo libro è dedicato alla ‘laguna’ intesa in senso assai ampio, posto che viene suddivisa in dieci regioni un’area che va dalla foce del Po fino al Natisone. La suddivisione in regioni corrisponde, grosso modo, all’individuazione di vie fluviali che sboccano a mare e che venivano utilizzate per la navigazione verso l’entroterra. La maggior attenzione è comunque dedicata alle isole immediatamente vicine alla città, come Murano, Burano e Torcello.

Dovendo descrivere Venezia a parole, dovendo cioè esprimere ‘come su una tavola la vera immagine di lei’ (è giustissimo il paragone operato dal curatore con la celeberrima mappa di Venezia di Jacopo de’ Barbari datata 1500), Sabellico si basa essenzialmente sulle chiese e sui luoghi (come i “collegi”, ovvero le Scuole) che testimoniano della religiosità e, più in generale, dell’eticità delle persone che vivono a Venezia. Parlandone, l’autore ne descrive elementi che, secondo i parametri dell’epoca, servivano di elogio per la città, a partire dalle reliquie che vi si trovano (si annoverano teste, mani, piedi, cosce di santi, nonché chiodi e altri strumenti di martirio vari), la preziosità dei materiali con cui sono costruite (spicca naturalmente S. Marco, la “chiesa d’oro”), il fatto di essere più o meno vecchie, il numero dei monaci o delle ‘vergini’ (suore) che popolano i conventi. Naturalmente un’attenzione del tutto speciale è dedicata ai ponti; del ponte di Rialto (ancora in legno, anche se non se parla), Sabellico scrive che “non è quasi una hora alcuna del giorno, nella quale per la moltitudine, che di qua et di la passa, non sia stretto il passare” (il discorso vale anche 550 anni dopo). Ma la vera protagonista della descrizione, a mio giudizio, è la presenza dell’uomo, ovvero l’indicazione dei mille commerci ed affari che si svolgono in città. Sotto questo punto di vista Sabellico riesce a dare l’immagine della città brulicante di vita (un’immagine senza dubbio edulcorata, in cui, ad esempio, gli scambi al mercato di Rialto si fanno sottovoce, a denotare l’educazione della gente). Questo brulicare di gente si fa più vivo e attivo in corrispondenza di Rialto e delle zone di carico e scarico delle merci dalle navi. Insomma – per dirla in termini un po’ più consoni – mi pare che l’aspetto migliore della descrizione di Sabellico sia quello di riuscire a rendere la presenza di un tessuto antropico vario e pulsante. Un discorso a parte merita l’Arsenale, giudicato ‘stupendo’ e così maestoso che c’è da ritenere che non vi possa essere guerra tanto lunga o difficile alle cui necessità l’Arsenale, con le sue navi e con i suoi armamenti, non possa far fronte; e non sono del tutto sicuro che qui non si tratti solo di infiocchettare con belle parole la bellezza della struttura, ma anche di mandare un avviso al lettore straniero sulla ‘potenza di fuoco’ della città.

Venezia, Basilica di San Marco, Veduta dall'interno della Cupola dell'ascensione
Fonte: Tango7174 tramite Wikimedia Commons

Traslazione del corpo di San Marco, XIII secolo, Portale di S. Alipio, Basilica di San Marco, Venezia
Fonte: Roman Bonnefoy ( Romanceor) tramite Wikimedia Commons

Per lo studio delle guide artistiche di Venezia

Come detto, quella di Sabellico non è una guida. Non che le guide di Venezia – e nel caso di mio interesse specifico, le guide artistiche – manchino. Si può discutere se rientri a pieno nel novero la Venetia città nobilissima et singolare di Francesco Sansovino (1581), ma sicuramente fanno parte del genere Le minere (1664) e le Ricche minere della pittura veneziana (1674) di Marco Boschini, nonché la Descrizione di tutte le pubbliche pitture della città di Venezia e isole circonvicine (1733) di Anton Maria Zanetti il giovane. La domanda banalissima è: quante di queste hanno un’edizione critica moderna? La risposta è altrettanto semplice: se si eccettua la pubblicazione della Breve istruzione premessa alle Ricche minere (aggiunta alla Carta del navegar pitoresco di Boschini curata da Anna Pallucchini nel 1967), nessuna. Cosa sta succedendo a Venezia? Perché Firenze e Roma hanno le loro guide commentate e la città lagunare no? Intendiamoci: non si tratta solo di rendere nuovamente fruibile un testo: oggi c’è Internet e chiunque può consultare una copia in pdf delle opere sopra citate. Si tratta di studiare un patrimonio nel tessuto connettivo di cui faceva parte. Non ci possiamo accontentare – non mi accontento – della citazione di una singola opera. Si tratta di studiare tutto, perché il confronto fra patrimonio antico e patrimonio attuale è la premessa indispensabile della tutela. Qui, a mio giudizio, entra in gioco il mondo universitario e, per forza di cose, quello veneziano. Io ne sono completamente al di fuori. Ma la domanda che mi pongo è: possibile che nessuno se ne sia o se ne stia rendendo conto? L’augurio che mi faccio è di essere giudice eccessivamente severo e di essere presto smentito dai fatti. Per ora, purtroppo, non se ne hanno indizi.


NOTE

[1] La citazione è da Isabel Zinman, From Ausonia to Batavia: theartists of Hadrianus Junius reconsidered in «Simiolus. Netherlandish quarterly for the history of art», vol. 37 2013-14 n. 3-4 p. 205)

1 commento:

  1. Bell'articolo, e la ringrazio.
    Trovo interessanti le sue due ipotesi: la prima che "Del sito di Vinegia" potesse servire al Donàda per farla girare tra agli ambienti romani, e la seconda, che la descrizione dell'Arsenale possa essere una velata minaccia verso chi pensi di poter affrontare Venezia.
    E trovo anche emblematico il suo desiderio di venire a Venezia e di guardarla con gli occhi del Sabellico: c'era proprio questo, nelle intenzioni mie e dell'Editore, stimolare cioè la curiosità "storica" di chi non si accontenta delle solite cartoline. Almeno con Lei abbiamo colto nel segno.

    Un saluto dal curatore,
    Maurizio Vittoria

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