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venerdì 10 febbraio 2017

Josef Glowa. Il ruolo dell'arte nella competizione culturale fra tedeschi e italiani nel XVI secolo: la risposta di Johann Fischart alle Vite di Giorgio Vasari (1568)


English Version

Josef Glowa
The role of art in the cultural competition between Germans and Italians in the sixteenth century: Johann Fischart’s response to Vasari’s Vite (1568)

[Il ruolo dell’arte nella competizione culturale fra tedeschi e italiani nel XVI secolo: la risposta di Johann Fischart alle Vite di Giorgio Vasari (1568)]

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Simiolus
Netherlands quarterly for the history of art
Volume 37 2013-2014 Number 3-4 pp. 187-203


Recensione di Giovanni Mazzaferro

Albrecht Dürer, Ritratto di giovane veneziana, 1505, Vienna, Kunsthistorisches Museum
Fonte: Wikimedia Commons
Nel 1568 l’erudito Onofrio Panvinio pubblica a Roma l’opera ‘XXVII Pontif. Max. Elogia et Imagines’, una raccolta di elogi e immagini dei pontefici romani chiaramente ispirati agli Elogi degli uomini illustri di Paolo Giovio stampati una quindicina di anni prima.  Uno stampatore tedesco dell’epoca, Bernhard Jobin, ne intuisce il potenziale in termini commerciali e decide di ripubblicarli, facendo realizzare all’artista Tobias Stimmer (1539-1584) nuovi ritratti xilografici a partire dalle incisioni originali in rame e chiedendo al letterato ed erudito Johann Fischart (1546?-1591?) di tradurre gli elogi dal latino al tedesco e di scrivere un’introduzione iniziale. Stimmer e Fischart lavorano e lavoreranno insieme in diverse imprese editoriali, il più delle volte sempre sotto la guida di Jobin. Fischart scrive l’introduzione, che tuttavia compare sotto il nome di Bernhard Jobin. Non conosco i motivi per cui oggi quel testo venga (a quanto pare unanimemente) attribuito a Fischart e non a Jobin. Certo che le motivazioni per non far comparire il proprio nome ci sono eccome: Fischart era un convinto calvinista, che non esitò, ad esempio, a prendere posizioni dure contro l’intervento spagnolo nella guerra degli ottant’anni che vide l’Olanda in cerca d’indipendenza; la collezione delle immagini dei Papi, che compare nel 1573 sotto il nome di Accuratae effigies pontificum maximorum, con dedica introduttiva al vescovo cattolico di Basilea, induce a ritenere che probabilmente si tratta di un testo scritto per motivi del tutto venali, motivo per cui il vero autore preferiva mimetizzarsi.

Tutto ciò poco interesserebbe la letteratura artistica, se non fosse che l’introduzione dell’opera, di fatto, non parla di Papi, ma si sofferma sull’arte della pittura e va senza dubbio inserita nel più ampio fenomeno della cosiddetta reazione antivasariana (in una fase precoce, posto che siamo nel 1573): l’estensore dell’Introduzione si scaglia contro l’autore delle Vite, colpevole di aver voluto liquidare il ruolo dei tedeschi rispetto a quello degli artisti italiani. Merito di Josef Glowa l’aver riproposto in queste pagine il testo originale in tedesco delle pagine iniziali, e la traduzione in inglese (la prima) del medesimo scritto.

Matthias Grünewald, Altare di Isenheim, prima faccia, 1512-1516, Colmar, Museo Unterlinden
Fonte: Wikimedia Commons
Matthias Grünewald, Altare di Isenheim, seconda faccia, 1512-1516, Colmar, Museo Unterlinden
Fonte: The Yorck Project tramite Wikimedia Commons
Matthias Grünewald, Altare di Isenheim,terza faccia, 1512-1516, Colmar, Museo Unterlinden
Fonte: Wikimedia Commons

Il rapporto con le Vite di Vasari

Fischart parla della competizione in atto fra le ‘tre grandi nazioni dei giorni nostri’ (Italia, Francia, Germania) per affermare la superiorità della propria arte rispetto a quella altrui. In particolare cita appunto le Vite di Vasari, pubblicate di recente nel 1568 (sta quindi facendo riferimento all’edizione giuntina) in cui lo scrittore aretino volutamente avrebbe fatto di tutto per sostenere che l’origine dell’arte stava in Italia e solo lì si trovavano i veri artefici degni di nota. Ma Fischart aveva letto veramente le Vite? Qualche dubbio (mi) è venuto, posto che afferma che l’opera sarebbe un trattato in due volumi (mentre la Giuntina è in tre tomi; era la Torrentiniana del 1550 ad essere in due). Non si può escludere tuttavia che abbia consultato una qualche versione in cui la terza parte (ovvero secondo e terzo tomo) fosse rilegata in unico volume. Piuttosto dimostra di conoscerle male, con una serie di omissioni o di citazioni non corrette. Le omissioni (ad esempio la mancata citazione del capitolo dedicato agli artisti fiamminghi) possono essere volute e spiegabili con la volontà di dare un’immagine accentuata della parzialità di Vasari; le citazioni di date sbagliate o addirittura le aggiunte di date non citate da Vasari mi fanno pensare che la sua conoscenza delle Vite sia di seconda mano; che cioè stia esponendo dati suggeritigli da una terza persona; o, cosa analogamente possibile, che abbia visto e letto le Vite anni primadurante il suo soggiorno italiano. Non va dimenticato che frequentò l’università di Siena e lì potrebbe aver effettivamente tratto degli estratti dell’opera (dai passi ritenuti più significativi) salvo poi non avere il testo originale sotto mano al momento di scrivere l’introduzione alle Accuratae. In ogni caso, l’esempio di Fischart dimostra ancora una volta il ruolo di libro di riferimento per tutta Europa (nel bene e nel male) che le Vite assunsero dal momento della loro uscita [1].

Hans Holbein il Giovane, Gli ambasciatori, 1533, Londra, National Gallery
Fonte: Google Arts and Culture tramite Wikimedia Commons

Fischart e Lampsonio

Fischart fu letterato e poeta ai suoi tempi molto famoso. La sua opera più nota fu la Geschictklitterung, un libero adattamento del Gargantua di François Rabelais. Ciò detto – come accennato - ebbe anche tutta una produzione letteraria filo-calvinista di stampo polemico nei confronti dei cattolici (e in particolare dei gesuiti). Riflessi di questo spirito polemico si notano anche nella presente introduzione, in cui non si può passare sotto silenzio la manipolazione di alcuni fatti storici. Il classico esempio è la citazione di un’opera edita nel 1572 da Hieronymus Cock (in realtà da sua moglie; Cock era già morto) contenente gli elogi dei pittori fiamminghi scritti da Domenico Lampsonio ‘per prevenire la diffusione di giudizi così faziosi’ (sta parlando, ovviamente, delle tesi di Vasari). In realtà, se andiamo a leggere i Ritratti di pittori celebri fiamminghi di Lampsonio [2] sarà facile notare che non esiste alcun accento antivasariano. Sappiamo bene, peraltro, che Lampsonio fornì dati preziosi a Vasari per la redazione del capitolo sui pittori fiamminghi nella seconda edizione delle Vite; l’esemplare dell’opera da lui studiato è oggi conservato a Bruxelles e contiene un poemetto manoscritto di Lampsonio in lode di Vasari. Mai i gusti di Fischart e Lampsonio potevano essere più diversi. Fischart elenca una serie di nomi di artisti che rappresentano il meglio dell’arte tedesca e in cima a tutti colloca Hans Holbein di Basilea e il suo amico, nonché compagno di imprese editoriali, Tobias Stimmer. Nel caso di Stimmer la spiegazione è semplice; per Holbein conta senza dubbio il fatto di essere di Basilea, ovvero di provenire dalla stessa città del dedicatario. Quando si tratta di elogiarli, l’autore scrive: “essi continuano a mostrare grandi abilità in merito al giusto modo di dipingere, come evidenziato dalle opere d’arte pubbliche di loro mano, e si astengono dalla maniera straniera di dipingere degli Italiani (che la maggior parte dei pittori va scimmiottando)” (p. 197). Il senso della frase è chiarissimo: si tratta di una durissima condanna del ‘romanismo’, ovvero della consuetudine del viaggio a Roma per studiare la pittura antica e quella di maniera, con conseguente ritorno in patria con uno stile ‘manierista internazionale’ [3].

Se non che, Lampsonio mai avrebbe sostenuto una cosa del genere. Era una romanista convinto, e, pur lodando il valore dell’arte locale in alcuni campi (come la pittura di paesaggio o l’incisione) riconosceva senza nessun problema la superiorità italiana nell’ambito della pittura di storia e caldeggiava il viaggio a Roma, tanto che nel caso di Jan van Scorel scrive negli Elogi:

Sarò sempre ricordato perché per primo, col mio esempio, ho insegnato
ai Fiamminghi che i bravi pittori devono andare a vedere Roma:
non può infatti essere ritenuto degno del nome di artista
chi non ha consumato mille pennelli e colori
e non ha dipinto quadri in quel paese
” [4]

Appare dunque evidente che Fischart manipola una pubblicazione precedente (di appena un anno) per rendere più forti le sue tesi.

Hans Holbein il Giovane, Enrico VIII, 1539-1540, Roma, Galleria di Palazzo Barberini
Fonte: The Yorck Project tramite Wikimedia Commons

Aspetti distintivi della reazione antivasariana tedesca

Che differenze ci sono fra la reazione antivasariana di Fischart e quelle precedenti o successive che si manifestano in Italia? Senza dubbio il fatto che la polemica del tedesco, giudicata secoli dopo, ha natura per così dire ‘proto-nazionalista’; probabilmente la dinamica, nel ‘500, è però assai simile ai casi di Venezia, Firenze, Bologna, che facevano parte di stati diversi. C’è da dire che la contesa fra veneti e lombardi contro fiorentini si focalizza soprattutto su due punti: uno di natura cronologica (chi per primo ha fatto rinascere le arti in Italia) e l’altro di aspetto teorico-stilistico (disegno toscano contro colore veneto). Non mi pare, a giudicare dalle parole di Fischart, che in Germania si riesca a sviluppare una contrapposizione di quest’ultimo genere. Rimane in piedi la questione cronologica. Fischart pone una domanda retorica a Vasari e gli chiede, a proposito di Cimabue, “non crede che dipinti così belli possano essere trovati anche in altre nazioni, in particolare tra i tedeschi […] Uno non potrebbe guardare indietro anche più di duecento anni, fino ai tempi dell’Imperatore Federico I, del Barbarossa e trovare quadri belli come quelli del glorioso Cimabue? Noi sicuramente possiamo trovarli e vederli anche oggi negli antichi conventi, nelle chiese e nei monasteri” (p. 195). Va peraltro detto che il senso dello sviluppo storico di Fischart è probabilmente diverso rispetto a quello di Vasari. L’aretino parla di arte morta nei secoli bui del Medio Evo, di rinascita grazie all’intervento di pittori greci e poi per merito dei toscani; per Fischart esiste una continuità di fondo che in qualche modo legittima la Germania come erede della tradizione dell’Impero romano non solo su un piano politico, ma anche artistico.

Tobias Stimmer, Ritratto dell'alfiere Jacob Schwytzer e di sua moglie Elsbeth Lochmann, 1564, Kunstmuseum Basilea
Fonte: The Yorck Project tramite Wikimedia Commons

La fortuna di Fischart

Molto famoso ai suoi tempi, Fischart fu presto dimenticato, e con lui anche la prefazione alle Accuratae (che certo non erano la sua opera più significativa). Furono riproposte a inizio ‘800 da Johann Dominicus Fiorillo, uno dei padri della storia dell’arte tedesca (che, pure, le assegnò a Jobin). Secondo Glowa non fu certo un caso che il commento di Fiorillo uscisse nel 1806, ovvero nell’anno in cui veniva creata la Confederazione del Reno, una confederazione di stati satellite rispetto alla Francia che durò fino al 1813 e fu diretta conseguenza della vittoria napoleonica ad Austerlitz e del trattato di Presburgo. Fischart come ‘critico d’arte’ assunse cioè una valenza di riscatto nazionale e in questa luce conobbe una certa fortuna nella prima metà dell’Ottocento. Va peraltro detto che in generale la conoscenza dell’Introduzione alle Accurate rimase limitata. Schlosser – tanto per capirci – nella Letteratura artistica non ne parla e citando Fischart nomina solo, a p. 398, un suo poemetto di natura didascalica intitolato Die Kunst (L’arte). Null’altro.


NOTE

[1] Sulle reazioni manoscritte alle Vite si veda Giovanni Mazzaferro, Gli esemplari postillati delle Vite vasariane.

[2] Si veda in questo blog la recensione a Da van Eyck a Brueghel. Scritti sulle arti di Domenico Lampsonio, a cura di Gianni Carlo Sciolla e Caterina Volpi, Torino, UTET, 2001.

[3] Si veda in questo blog Nicole Dacos, Viaggio a Roma. I pittori europei nel ‘500, Milano, Jaca Book, 2012.

[4] Cfr. Da van Eyck a Brueghel… cit., p. 98.


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