Josef Glowa
The role of art in the cultural competition between Germans and Italians in the sixteenth century: Johann Fischart’s response to Vasari’s Vite (1568)
[Il ruolo dell’arte nella competizione culturale fra tedeschi e italiani nel XVI secolo: la risposta di Johann Fischart alle Vite di Giorgio Vasari (1568)]
Sta in
Simiolus
Netherlands quarterly for the history of art
Volume 37 2013-2014 Number 3-4 pp. 187-203
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Simiolus
Netherlands quarterly for the history of art
Volume 37 2013-2014 Number 3-4 pp. 187-203
Recensione di Giovanni Mazzaferro
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Albrecht Dürer, Ritratto di giovane veneziana, 1505, Vienna, Kunsthistorisches Museum Fonte: Wikimedia Commons |
Nel 1568 l’erudito Onofrio
Panvinio pubblica a Roma l’opera ‘XXVII
Pontif. Max. Elogia et Imagines’, una raccolta di elogi e immagini dei
pontefici romani chiaramente ispirati agli Elogi degli uomini illustri di Paolo
Giovio stampati una quindicina di anni prima. Uno stampatore tedesco dell’epoca, Bernhard
Jobin, ne intuisce il potenziale in termini commerciali e decide di
ripubblicarli, facendo realizzare all’artista Tobias Stimmer (1539-1584) nuovi
ritratti xilografici a partire dalle incisioni originali in rame e chiedendo al
letterato ed erudito Johann Fischart (1546?-1591?) di tradurre gli elogi dal
latino al tedesco e di scrivere un’introduzione iniziale. Stimmer e Fischart
lavorano e lavoreranno insieme in diverse imprese editoriali, il più delle
volte sempre sotto la guida di Jobin. Fischart scrive l’introduzione, che
tuttavia compare sotto il nome di Bernhard Jobin. Non conosco i motivi per cui
oggi quel testo venga (a quanto pare unanimemente) attribuito a Fischart e non
a Jobin. Certo che le motivazioni per non far comparire il proprio nome ci sono
eccome: Fischart era un convinto calvinista, che non esitò, ad esempio, a
prendere posizioni dure contro l’intervento spagnolo nella guerra degli
ottant’anni che vide l’Olanda in cerca d’indipendenza; la collezione delle
immagini dei Papi, che compare nel 1573 sotto il nome di Accuratae effigies pontificum maximorum, con dedica introduttiva al
vescovo cattolico di Basilea, induce a ritenere che probabilmente si tratta di
un testo scritto per motivi del tutto venali, motivo per cui il vero autore preferiva
mimetizzarsi.
Tutto ciò poco interesserebbe la
letteratura artistica, se non fosse che l’introduzione dell’opera, di fatto, non
parla di Papi, ma si sofferma sull’arte della pittura e va senza dubbio
inserita nel più ampio fenomeno della cosiddetta reazione antivasariana (in una
fase precoce, posto che siamo nel 1573): l’estensore dell’Introduzione si
scaglia contro l’autore delle Vite,
colpevole di aver voluto liquidare il ruolo dei tedeschi rispetto a quello
degli artisti italiani. Merito di Josef Glowa l’aver riproposto in queste
pagine il testo originale in tedesco delle pagine iniziali, e la traduzione in
inglese (la prima) del medesimo scritto.
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Matthias Grünewald, Altare di Isenheim, prima faccia, 1512-1516, Colmar, Museo Unterlinden Fonte: Wikimedia Commons |
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Matthias Grünewald, Altare di Isenheim, seconda faccia, 1512-1516, Colmar, Museo Unterlinden Fonte: The Yorck Project tramite Wikimedia Commons |
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Matthias Grünewald, Altare di Isenheim,terza faccia, 1512-1516, Colmar, Museo Unterlinden Fonte: Wikimedia Commons |
Il rapporto con le Vite di
Vasari
Fischart parla della competizione
in atto fra le ‘tre grandi nazioni dei giorni nostri’ (Italia, Francia,
Germania) per affermare la superiorità della propria arte rispetto a quella
altrui. In particolare cita appunto le Vite
di Vasari, pubblicate di recente nel 1568 (sta quindi facendo riferimento all’edizione giuntina) in cui lo scrittore aretino volutamente avrebbe fatto di
tutto per sostenere che l’origine dell’arte stava in Italia e solo lì si trovavano
i veri artefici degni di nota. Ma Fischart aveva letto veramente le Vite? Qualche dubbio (mi) è venuto,
posto che afferma che l’opera sarebbe un trattato in due volumi (mentre la
Giuntina è in tre tomi; era la Torrentiniana del 1550 ad essere in due). Non si
può escludere tuttavia che abbia consultato una qualche versione in cui la
terza parte (ovvero secondo e terzo tomo) fosse rilegata in unico volume. Piuttosto
dimostra di conoscerle male, con una serie di omissioni o di citazioni non
corrette. Le omissioni (ad esempio la mancata citazione del capitolo dedicato
agli artisti fiamminghi) possono essere volute e spiegabili con la volontà di
dare un’immagine accentuata della parzialità di Vasari; le citazioni di date
sbagliate o addirittura le aggiunte di date non citate da Vasari mi fanno
pensare che la sua conoscenza delle Vite
sia di seconda mano; che cioè stia esponendo dati suggeritigli da una terza
persona; o, cosa analogamente possibile, che abbia visto e letto le Vite anni prima, durante il suo soggiorno italiano.
Non va dimenticato che frequentò l’università di Siena e lì potrebbe aver
effettivamente tratto degli estratti dell’opera (dai passi ritenuti più
significativi) salvo poi non avere il testo originale sotto mano al momento di
scrivere l’introduzione alle Accuratae.
In ogni caso, l’esempio di Fischart dimostra ancora una volta il ruolo di libro
di riferimento per tutta Europa (nel bene e nel male) che le Vite assunsero dal momento della loro
uscita [1].
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Hans Holbein il Giovane, Gli ambasciatori, 1533, Londra, National Gallery Fonte: Google Arts and Culture tramite Wikimedia Commons |
Fischart e Lampsonio
Fischart fu letterato e poeta ai
suoi tempi molto famoso. La sua opera più nota fu la Geschictklitterung, un libero adattamento del Gargantua di François Rabelais. Ciò detto – come
accennato - ebbe anche tutta una produzione letteraria filo-calvinista di
stampo polemico nei confronti dei cattolici (e in particolare dei gesuiti).
Riflessi di questo spirito polemico si notano anche nella presente
introduzione, in cui non si può passare sotto silenzio la manipolazione di
alcuni fatti storici. Il classico esempio è la citazione di un’opera edita nel
1572 da Hieronymus Cock (in realtà da sua moglie; Cock era già morto)
contenente gli elogi dei pittori fiamminghi scritti da Domenico Lampsonio ‘per
prevenire la diffusione di giudizi così faziosi’ (sta parlando, ovviamente,
delle tesi di Vasari). In realtà, se andiamo a leggere i Ritratti
di pittori celebri fiamminghi di Lampsonio [2] sarà facile notare che non
esiste alcun accento antivasariano. Sappiamo bene, peraltro, che Lampsonio
fornì dati preziosi a Vasari per la redazione del capitolo sui pittori
fiamminghi nella seconda edizione delle Vite;
l’esemplare dell’opera da lui studiato è oggi conservato a Bruxelles e contiene
un poemetto manoscritto di Lampsonio in lode di Vasari. Mai i gusti di Fischart
e Lampsonio potevano essere più diversi. Fischart elenca una serie di nomi di
artisti che rappresentano il meglio dell’arte tedesca e in cima a tutti colloca
Hans Holbein di Basilea e il suo amico, nonché compagno di imprese editoriali,
Tobias Stimmer. Nel caso di Stimmer la spiegazione è semplice; per Holbein
conta senza dubbio il fatto di essere di Basilea, ovvero di provenire dalla
stessa città del dedicatario. Quando si tratta di elogiarli, l’autore scrive: “essi continuano a mostrare grandi abilità in
merito al giusto modo di dipingere, come evidenziato dalle opere d’arte
pubbliche di loro mano, e si astengono dalla maniera straniera di dipingere
degli Italiani (che la maggior parte dei pittori va scimmiottando)” (p.
197). Il senso della frase è chiarissimo: si tratta di una durissima condanna
del ‘romanismo’, ovvero della consuetudine del viaggio a Roma per studiare la
pittura antica e quella di maniera, con conseguente ritorno in patria con uno
stile ‘manierista internazionale’ [3].
Se non che, Lampsonio mai avrebbe
sostenuto una cosa del genere. Era una romanista convinto, e, pur lodando il
valore dell’arte locale in alcuni campi (come la pittura di paesaggio o
l’incisione) riconosceva senza nessun problema la superiorità italiana
nell’ambito della pittura di storia e caldeggiava il viaggio a Roma, tanto che
nel caso di Jan van Scorel scrive negli Elogi:
“Sarò sempre ricordato perché per primo, col mio esempio, ho insegnato
ai Fiamminghi che i bravi pittori devono andare a vedere Roma:
non può infatti essere ritenuto degno del nome di artista
chi non ha consumato mille pennelli e colori
e non ha dipinto quadri in quel paese” [4]
ai Fiamminghi che i bravi pittori devono andare a vedere Roma:
non può infatti essere ritenuto degno del nome di artista
chi non ha consumato mille pennelli e colori
e non ha dipinto quadri in quel paese” [4]
Appare dunque evidente che
Fischart manipola una pubblicazione precedente (di appena un anno) per rendere
più forti le sue tesi.
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Hans Holbein il Giovane, Enrico VIII, 1539-1540, Roma, Galleria di Palazzo Barberini Fonte: The Yorck Project tramite Wikimedia Commons |
Aspetti distintivi della reazione antivasariana tedesca
Che differenze ci sono fra la
reazione antivasariana di Fischart e quelle precedenti o successive che si
manifestano in Italia? Senza dubbio il fatto che la polemica del tedesco,
giudicata secoli dopo, ha natura per così dire ‘proto-nazionalista’;
probabilmente la dinamica, nel ‘500, è però assai simile ai casi di Venezia,
Firenze, Bologna, che facevano parte di stati diversi. C’è da dire che la
contesa fra veneti e lombardi contro fiorentini si focalizza soprattutto su due
punti: uno di natura cronologica (chi per primo ha fatto rinascere le arti in
Italia) e l’altro di aspetto teorico-stilistico (disegno toscano contro colore
veneto). Non mi pare, a giudicare dalle parole di Fischart, che in Germania si
riesca a sviluppare una contrapposizione di quest’ultimo genere. Rimane in
piedi la questione cronologica. Fischart pone una domanda retorica a Vasari e
gli chiede, a proposito di Cimabue, “non
crede che dipinti così belli possano essere trovati anche in altre nazioni, in
particolare tra i tedeschi […] Uno non
potrebbe guardare indietro anche più di duecento anni, fino ai tempi
dell’Imperatore Federico I, del Barbarossa e trovare quadri belli come quelli
del glorioso Cimabue? Noi sicuramente possiamo trovarli e vederli anche oggi
negli antichi conventi, nelle chiese e nei monasteri” (p. 195). Va peraltro
detto che il senso dello sviluppo storico di Fischart è probabilmente diverso
rispetto a quello di Vasari. L’aretino parla di arte morta nei secoli bui del
Medio Evo, di rinascita grazie all’intervento di pittori greci e poi per merito
dei toscani; per Fischart esiste una continuità di fondo che in qualche modo
legittima la Germania come erede della tradizione dell’Impero romano non solo
su un piano politico, ma anche artistico.
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Tobias Stimmer, Ritratto dell'alfiere Jacob Schwytzer e di sua moglie Elsbeth Lochmann, 1564, Kunstmuseum Basilea Fonte: The Yorck Project tramite Wikimedia Commons |
La fortuna di Fischart
Molto famoso ai suoi tempi,
Fischart fu presto dimenticato, e con lui anche la prefazione alle Accuratae (che certo non erano la sua
opera più significativa). Furono riproposte a inizio ‘800 da Johann Dominicus
Fiorillo, uno dei padri della storia dell’arte tedesca (che, pure, le assegnò a
Jobin). Secondo Glowa non fu certo un caso che il commento di Fiorillo uscisse
nel 1806, ovvero nell’anno in cui veniva creata la Confederazione del Reno, una
confederazione di stati satellite rispetto alla Francia che durò fino al 1813 e
fu diretta conseguenza della vittoria napoleonica ad Austerlitz e del trattato
di Presburgo. Fischart come ‘critico d’arte’ assunse cioè una valenza di
riscatto nazionale e in questa luce conobbe una certa fortuna nella prima
metà dell’Ottocento. Va peraltro detto che in generale la conoscenza dell’Introduzione
alle Accurate rimase limitata.
Schlosser – tanto per capirci – nella Letteratura artistica non ne parla e citando Fischart nomina solo, a p. 398, un suo
poemetto di natura didascalica intitolato Die
Kunst (L’arte). Null’altro.
NOTE
[1] Sulle reazioni manoscritte
alle Vite si veda Giovanni Mazzaferro, Gli
esemplari postillati delle Vite vasariane.
[2] Si veda in questo blog la
recensione a Da van Eyck a Brueghel. Scritti sulle arti
di Domenico Lampsonio, a cura di Gianni Carlo Sciolla e Caterina Volpi,
Torino, UTET, 2001.
[3] Si veda in questo blog Nicole
Dacos, Viaggio
a Roma. I pittori europei nel ‘500, Milano, Jaca Book, 2012.
[4] Cfr. Da van Eyck a Brueghel… cit., p. 98.
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