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lunedì 6 febbraio 2017

Isabel Zinman, [Dall'Ausonia alla Batavia: una rivisitazione degli artisti di Hadrianus Junius]


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Isabel Zinman
From Ausonia to Batavia: the artists of Hadrianus Junius reconsidered
[Dall'Ausonia alla Batavia: una rivisitazione degli artisti di Hadrianus Junius]


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Simiolus
Netherlands quarterly for the history of art
Volume 37 2013-2014 Number 3-4 pp. 204-226


Recensione di Giovanni Mazzaferro

Fig. 1) Jan van Scorel, Pietà con un donatore, 1535 circa, Central Museum in Utrecht
Fonte: Google Art Project

Prima di tutto proverò a spiegare il titolo. Con il termine ‘Ausonia’ i poeti hanno inteso prima le terre abitate dalla popolazione degli Ausoni, ‘gens’ italica sconfitta dagli antichi romani (si tratta di un’area grosso modo corrispondente all’odierna Campania) e poi – anche a indicare la dispersione degli Ausoni stessi – l’intera Italia. L’Ausonia, insomma, è l’Italia. La Batavia, ovvero la regione che Tacito indica negli Annales come abitata dai Batavi, corrisponde grosso modo all’odierna Olanda. L’espressione ‘dall’Ausonia alla Batavia’, viene utilizzata dall’umanista Hadrianus Junius (1511-1575) per elogiare lo scultore Willem Danielsz von Tetrode (in Italia noto come Guglielmo Fiammingo) e una sua scultura eseguita per la ‘Oude Kerk’ (il Duomo vecchio) della città di Delft, scultura andata distrutta nel 1573 in seguito alla furia iconoclasta: “dopo aver visto la sua opera, chiunque giurerà che la gloria dell’arte ha viaggiato dall’Ausonia […] sino ai Batavi” (p. 215).

Più in generale, l’articolo di Isabel Zinman (di raro interesse) esplora le fonti di storia dell’arte olandese precedenti allo Schilder-Boeck di Karel van Mander (1604) e lo fa documentando il fatto che le descrizioni di centri abitati olandesi contenenti elogi di artisti (o, per meglio dire, ‘biografie collettive’ dei medesimi) non nascono nel ‘secolo d’oro’ olandese (ovvero nel 1600) a sostegno dell’indipendenza della nazione, come a lungo sostenuto dalla storiografia artistica, ma vanno rintracciate nella tradizione umanistica che dilaga in tutta Europa nel secolo precedente, e che vede l’affermarsi di modelli letterari propri dell’antichità, ripresi dall’umanesimo italiano e poi rielaborati altrove. In qualche modo la matrice umanistica italiana è evidente e ricorda, in campo artistico, il fenomeno dei ‘romanisti’, ovvero di quegli artefici che si recano in Italia e, al contatto col mondo delle rovine romane e con la ‘maniera moderna’ la esportano, cambiando stile, ma sempre conservando un loro particolare accento nelle relative patrie [1]. A questo punto dovrei dire che l’attenzione dell’autrice si concentra sulla ‘biografia collettiva’ di artisti presentata da Hadrianus Junius (Adriaen de Jonghe) nel suo ‘Batavia’. In tal modo, però, esprimerei un giudizio del tutto limitativo del saggio che in realtà percorre un duplice binario ad incastro: da un lato l’esame dei passi di Junius dedicati agli artefici olandesi, dall’altro l’evoluzione del genere della corografia (nel cui ambito vanno considerate le notizie fornite dall’erudito)  in Europa e in Olanda nel corso del XV e XVI secolo.

Fig. 2) Maarten van Heemskerck, Autoritratto col Colosseo, 1553, The Fitwilliam Museum, Cambridge
Fonte: Wikimedia Commons

Il genere corografico

Il genere della corografia, di origini greche, indica la descrizione, fino al più minuto particolare, delle caratteristiche di una particolare regione, dei luoghi che vi si trovano e delle genti che lo abitano, in contrapposizione alla geografia che invece si occupa della restituzione grafica (tramite il disegno) dell’aspetto del mondo. Nell’ambito della corografia rientra anche l’illustrazione dei personaggi che sono nati o hanno comunque dato lustro ai luoghi di cui si parla; fra questi ricadono anche gli artisti. Da non dimenticare peraltro che la tradizione dell’elogio d’artista (che di fatto si apre a Firenze col Villani a fine ‘300) guarda a quello che senza dubbio è il precedente più illustre testimoniato dalla letteratura precedente, ovvero la Storia naturale di Plinio, che, agli occhi degli umanisti è senza dubbio il libro a cui fare riferimento. Il primo esempio di opera corografica al cui interno è reperibile una sezione dedicata agli artisti è costituito dall’Italia illustrata di Flavio Biondo, pubblicata postuma nel 1474. Altro testo cardine è la Descrittione di tutta l’Italia di Leandro Alberti (siamo già nel 1550). La riscoperta delle opere latine (ad esempio gli scritti di Tacito) accompagnata dalla disponibilità di opere di provenienza italiana, ma spesso scritte in latino o tradotte in tale lingua, fece sì che l’interesse per la corografia si imponesse anche nel Nord Europa. Una sezione dedicata agli artisti si trova ad esempio nelle Rerum Germanicarum epitome di Jacobus Wimphelingus del 1505.

Fig. 3) Jan Mostaert, Un episodio dalla conquista dell'America, 1535 circa, Amsterdam, Rijksmuseum
Fonte: Web Gallery of Art

Il caso olandese si dipana attorno ad alcuni testi fondamentali. In merito l’autrice ricorda:
  • i Collectanea di Gerardus Geldenhouwer, un’opera incompleta e pubblicata solo a inizio Novecento, ma scritta attorno al 1520;
  • la Descrittione di tutti i Paesi Bassi di Lodovico Guicciardini, pubblicata ad Anversa nel 1567, ben presto ristampata e tradotta. Va peraltro ricordato che l’opera di Guicciardini riguarda solo in parte l’Olanda e si estende appunto a tutti i Paesi Bassi;
  • la Batavia di Hadrianus Junius, scritta in latino fra 1566 e 1575. Junius scrive la Batavia in anni particolarmente difficili. All’epoca la Contea di Olanda fa parte delle cosiddette Diciassette Province, che sono possedimento personale della dinastia degli Asburgo. Dopo l’abdicazione di Carlo V (1556), le Diciassette Province finirono al figlio Filippo II, ma ben presto la politica del nuovo monarca (e le sue pretese di ordine fiscale) si scontrarono con gli interessi e la sensibilità degli olandesi, portando alla richiesta di indipendenza. Proprio Junius fu nominato storiografo ufficiale della parte indipendentista e la Batavia fu appunto commissionata per sostenere anche da un punto di vista storiografico le istanze olandesi. Alle rivendicazioni di ordine politico si sommarono quelle di ordine religioso, e uno dei fatti che diede il via al conflitto fu l’episodio iconoclasta del 1566, con l’assalto alle chiese e la distruzione delle immagini sacre da parte dei calvinisti. La guerra (nota come guerra degli ottant’anni) scoppiò nel 1568 e, a dire il vero, gli anni iniziali, dopo una primissima fase favorevole, furono particolarmente difficili per gli indipendentisti, tanto che la pubblicazione della Batavia fu bloccata e Junius si vide revocato l’incarico ricevuto. Ciò nonostante, l’umanista continuò a lavorare sull’opera fino alla morte, sopraggiunta nel 1575. La prima edizione arrivò alle stampe solo nel 1588;
  • la Traiecti Batavorum descriptio (ovvero la descrizione di Utrecht) di Arnoldus Buchelius, non edita, scritta fra il 1588 e il 1592;
  • l’Antverpia del gesuita Carolus Scribanius, pubblicata nel 1610.

Fig. 4) Anthonis Mor, Ritratto della Regina Maria Tudor, 1554, Madrid, Museo del Prado
Fonte: Wikimedia Commons

Gli artisti nella Batavia di Hubertus Junius

Già i titoli delle opere citate e i nomi dei relativi autori (esclusi Guicciardini e la sua Descrizione) mettono in evidenza alcuni elementi in comune: la lingua utilizzata è il latino e latinizzati sono i nomi degli autori. Si tratta di fattori caratteristici nell’ambito della tradizione umanista. Si è detto come, nel momento di dover scrivere alcune note di elogio degli artisti locali, tutti gli autori facciano riferimento – chi più, chi meno – alla lezione di Plinio e della sua Naturalis Historia. Plinio presenta dei ‘tipi’ caratteristici e i corografi cercano il ‘tipo’ che più si avvicina all’artista di cui discutono; in altri casi riferiscono a un artista moderno aneddoti, comportamenti, attributi di più artefici latini o greci. In ogni caso esiste un’indiscutibile influenza esercitata da Plinio sul genere corografico. Questa influenza si spinge anche oltre la pubblicazione delle Vite vasariane (1550 e 1568) e dello Schilder-Boeck di Van Mander (1604) che propongono la stesura di medaglioni biografici dedicati agli artisti (va comunque ricordato che lo Schilder-Boeck ha una struttura più complessa e che le biografie degli artisti olandesi e tedeschi ne costituiscono solo una parte). Questo è il motivo per cui Zinman include nell’analisi anche l’Antverpia di Scribanius: per dimostrare cioè una continuità di genere (la corografia come espressione del mondo umanistico) che guarda a Plinio anche quando potrebbe ammiccare a modelli e ottenere informazioni da testi di riferimento ben più recenti.

Nella sua Batavia Hubertus Junius inserisce informazioni relative a una decina di artisti. Pur citando Plinio esplicitamente solo tre volte, in tutte gli elogi compaiono paragoni ad artisti proposti dallo scrittore latino, tranne che in un’occasione, quella di Anthonie van Blocklandt (1533?-1584) (fig. 6). Gli altri artisti sono i pittori Jan van Scorel (1495-1562) (fig. 1), Maarten van Heemskerck (1498-1574) (fig. 2), Jan Mostaert (1475?-1555) (fig. 3), Anthonis Mor (1520-1576?) (fig. 4), Pieter Aertsen (1508-1575) (fig. 5), gli incisori Dirk Volckertsz Coornhert (1522-1590), Philips Galle (1537-1612) (fig. 7) e lo scultore van Tetrode già citato (1530-1587) (fig. 8). Tutti sono presi in considerazione nel capitolo intitolato ‘In merito ai talenti, agli interessi e alle abitudini dell’Olanda’ a parte van Tetrode, la cui opera è legata all’esecuzione della sua scultura nel duomo vecchio di Delft e che viene citato dunque nelle vicende “in merito alle città e villaggi più importanti dell’Olanda”.

Fig. 5) Pieter Aertsen, La danza sulle uova, 1552, Amsterdam, Rijksmuseum
Fonte: Wikimedia Commons

A volte le citazioni da Plinio sono esplicite (nel senso che compare il nome del pittore antico a cui viene accostato l’artefice moderno), a volte no. Così, a puro titolo di esempio, di van Scorel si dice che il suo modo di colorare è sobrio (una circostanza – positiva – che Plinio riferisce con le stesse parole ad Atenione di Maronea), ma che il suo modo di dipingere è stato a volte criticato da chi, nel cavillare, non doveva ‘andare oltre il calzare’ (si tratta di un aneddoto riferito alla figura di Apelle, criticato da un calzolaio per non aver dipinto perfettamente un calzare e poi ben deciso a far presente al suo censore che non avrebbe accettato altre critiche da lui oltre a quelle relative al sandalo); a van Heemskerck vengono accostati ancora Apelle e Studio, pittore di paesaggio; di van Tetrode si dice che la sua statua richiamerà gente da ogni parte del mondo a Delft come l’Afrodite di Cnido opera di Prassitele (e invece la statua fu distrutta quattro o cinque anni dopo il suo completamento per via dell’episodio iconoclasta del 1572, come detto) e così via. Junius non abbandona il riferimento pliniano nemmeno quando ha che fare con artisti che esercitano pratiche (come l’incisione) che evidentemente nei tempi antichi non c’erano. Qui l’umanista definisce l’incisore ‘encausticus’ e la cosa ha lasciato perplessi perché l’encausto – come noto – è una tecnica di lavorazione di pitture murali con la cera, ma appare convincente la spiegazione di Zinman; l’autrice fa presente che Plinio ne parla anche come di pittura con uno stilo, ovvero come una vera e propria incisione su un materiale solido. Junius mutua da Plinio il lessico che gli sembra più confacente alle sue necessità.

Fig. 6) Anthonie van Blocklandt, Giuseppe che interpreta il sogno del Faraone, Central Museum in Utrecht
Fonte: Wikimedia Commons

Ci sono alcune considerazioni da fare sui nomi proposti da Hubertus. La maggior parte degli artisti in questione (come del resto è possibile vedere dando un’occhiata alle illustrazioni che accompagnano questo post) possono essere considerati ‘romanisti’, ovvero hanno conosciuto e assorbito la lezione italiana; tuttavia non mancano esempi di artisti come Jan Mostaert che sono estranei a questa cultura, e il caso più eclatante (e più discusso anche dall’autrice in relazione a precedenti controversi giudizi della storiografia artistica) è quello di Pieter Aertsen, pittore di genere, per il quale, peraltro, Junius spende parole di encomio esattamente come per tutti gli altri, facendo notare che non ci si sazia mai di guardare la varietà dei suoi quadri e (soprattutto) che le sue opere vendono assai di più di tele più meditate ed intellettualmente impegnative.

Come già detto, siamo nell’ambito del genere corografico: quelli di Junius sono encomi e non è certo qui che possiamo aspettarci dure prese di posizione o condanne stilistiche. Gli artisti citati danno lustro all’Olanda. La domanda (senza risposta) che viene subito in mente è quali siano stati i criteri secondo cui l’autore ha operato la sua selezione. L’assenza di un artista e la presenza di un altro lascia trasparire una censura preventiva? Francamente non credo, ma è una questione da tenere presente.

Fig. 7) Philips Galle, Allegoria dell'Olanda, 1563 circa
Fonte: http://www.geheugenvannederland.nl/nl/geheugen/view?coll=ngvn&identifier=BVB01%3AMB1563DIPK


La Traiecti Batavorum descriptio di Arnoldus Buchelius

La questione è da tenere presente soprattutto alla luce di quanto Zinman dice a proposito della Descrizione di Utrecht del Buchelius. La ‘biografia collettiva’ dedicata agli artisti appare nel complesso più modesta rispetto a quella di Junius, sia in termini quantitativi (cinque pittori, un architetto e un orefice, ma i ‘ritratti’ in realtà sono solo tre) sia perché quasi sempre ripropone le stesse parole (e quindi gli stessi accostamenti a Plinio) dell’autore della Batavia. In più, nel testo di Buchelius (scritto tra 1588 e 1592) si trovano riferimenti a singole opere degli artefici. Riferimenti tuttavia molto generici (del tipo ‘di questo autore ho visto una Natività, una Pentecoste” etc.) che si rivelano di scarsa utilità. Il vero interesse che sorge quando si parla di Buchelius è che di questo autore ci è giunta – caso unico – una raccolta manoscritta di note sull’arte oggi conservata all’Università di Utrecht (in tutto si tratta di 34 pagine abbastanza frammentarie) in cui l’umanista ha riportato (forse nell’arco di una vita) le informazioni che riteneva importanti in merito al mondo artistico a lui noto (citazioni letterarie, quindi, ma anche quadri visti e così via); una specie di prontuario, insomma, in cui sono elencate note pronte all’uso. Al manoscritto è stato dato convenzionalmente il titolo di Res pictoriae. Noto anche a Schlosser (che nella Letteratura artistica lo definisce ‘prezioso’) il manoscritto è stato trascritto e annotato da G.J. Hoogewerff nel 1928, ma non se ne segnalano edizioni successive [2].

L’aspetto importante è che il Res pictoriae comprende anche informazioni su artisti citati da Buchelius nella Descrizione di Utrecht che sono state consapevolmente censurate. In particolare si dice che van Scorel era considerato un uomo arrogante e maleducato o che Anthonis Mor, prima di cominciare a dipingere, aveva uno stile di vita assai discutibile. I perché dell’(auto)censura sono ovvii. Nell’ambito della corografia contano solo i lati positivi delle persone e tutto ciò che potrebbe denigrare la fama di un artista finirebbe per svolgere lo stesso effetto sulla fama della città o della regione oggetto della trattazione.

Fig. 8) Willem Danielsz van Tetrode, Mercurio, 1549-1550, Los Angeles County Museum Of Art
Fonte: Beesnest McClain tramite Wikimedia Commons

***

Non posso, in conclusione, non ringraziare Peter Hecht per la cortesia con cui ha risposto alla mia richiesta e mi ha inviato gratuitamente alcuni numeri di Simioulus. Netherlands quarterly for the history of art (la rivista ultracinquantenaria di cui è – sperando che nessuno si offenda -. il deus ex machina). Hadrianus Junius conosceva bene Bologna, dove io vivo. Vi si laureò in filosofia e medicina nel 1540. Anche il professor Hecht la conosce bene, a giudicare dal riferimento preciso a quello che, anche secondo me, è oggi il miglior ristorante della città. La mia speranza è di poterlo conoscere presto di persona, davanti a una tavola imbandita.

NOTE

[1] Si veda Nicole Dacos, Viaggio a Roma. I pittori europei nel ‘500, Milano, Jaca Book, 2012.

[2] Nel 2016 è uscito un articolo di Victor Schimdt sul manoscritto, consultabile su internet. Si tratta di Buchelius's "Res pictoriae" and the writing about art, in: "Gij zult niet feestbundelen": 34 bijdragen voor Peter Hecht, eds. Jonathan Bikker, Erik Hinterding, Everhard Korthals Altes, Eddy Schavemaker, Amsterdam 2016, pp. 183-189

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