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mercoledì 18 gennaio 2017

Scamozzi e i libri. Annali di architettura n. 27/2015


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Annali di architettura n. 27/2015
Rivista del Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio

Scamozzi e i libri

Recensione di Giovanni Mazzaferro




Di Vincenzo Scamozzi e della sua Idea dell’Architettura Universale ho già avuto modo di parlare in precedenza su questo blog. Il lavoro dell’architetto vicentino, pubblicato in forma incompleta nel 1615 (mancano quattro dei dieci libri progettati) è tradizionalmente considerato l’ultimo dei grandi trattati del rinascimento italiano e probabilmente il più faticoso da interpretare. La stessa fortuna conosciuta dal trattato scamozziano nei Paesi Bassi sarebbe da leggersi alla luce di una revisione complessiva dei contenuti del medesimo, o, per meglio dire, dell’eliminazione delle lunghe parti teoriche (che lo Schlosser definisce di “un ampiezza quasi insopportabile”), a tutto vantaggio della discussione degli ordini architettonici. Fatto sta che, ad oggi, l’Idea dell’Architettura Universale è l’unico fra i grandi trattati di architettura italiani a non potersi valere di un’edizione critica (anche se la ristampa anastatica promossa dal Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio nel 1997 con prefazione di Franco Barbieri e un testo di Werner Oechslin ha rimesso in circuito l’opera).

Il numero 27 della rivista Annali di architettura (che riporta in copertina l’anno 2015, ma è stato pubblicato nel 2016) è interamente dedicato all’architetto vicentino (1548-1616). Alla rivista è allegato un fascicolo di 16 pagine che costituisce il catalogo della mostra Nella mente di Vincenzo Scamozzi. Un intellettuale architetto al tramonto del Rinascimento, tenutasi al Palladio Museum di Vicenza fra il 25 maggio e il 20 novembre 2016.

Molti dei contributi che compaiono sulla rivista sono derivazioni del seminario ‘Scamozzi e i libri’, tenutosi a Vicenza il 12 e 13 giugno 2015. Non vi è dubbio, infatti, che sia proprio sul fronte dell’esame della biblioteca di Scamozzi e delle postille che appose a molti dei volumi a lui appartenuti che sono stati fatti di recente i passi avanti più consistenti. Né le sorprese sono finite. Basti pensare che l’ultima scoperta in merito è successiva alla pubblicazione della rivista e riguarda un esemplare del De architectura di Vitruvio nella prima traduzione italiana di Cesare Cesariano (1521) appartenuto all’architetto vicentino, che Guido Beltramini ha annunciato di aver rintracciato presso la biblioteca privata di un notaio comasco con un articolo apparso su Il Sole 24 ORE il 7 agosto 2016.

Paolo Veronese, Ritratto di Vincenzo Scamozzi, Denver Art Museum
Fonte: Wikimedia Commons


La biblioteca di Scamozzi

La biblioteca di Scamozzi, in realtà, è andata completamente dispersa ben presto dopo la sua morte. Anche se nel suo testamento Vincenzo prevedeva che i suoi volumi e le sue carte venissero conservati tutti insieme, i debiti contratti dall’architetto vicentino per la pubblicazione della sua Idea dell’Architettura Universale furono tali da imporre la vendita del fondo (in cui, stando alle parole di Vincenzo erano contenuti anche manoscritti di Leonardo e di Francesco di Giorgio Martini). Katherine Isard è la ricercatrice americana che più di ogni altro di recente si è impegnata nel tentativo di ricostruzione della biblioteca scamozziana, a partire dalle citazioni presenti nelle sue opere a stampa [1]. Scamozzi aveva la bella abitudine (per noi) di segnalare i libri da lui posseduti apponendo una caratteristica firma di possesso sui frontespizi delle opere. In questa maniera fino ad oggi sono stati rintracciate venti opere (anzi, ventuno, tenendo conto anche del Vitruvio nella versione di Cesariano) a lui appartenute. Sarei però scorretto se tralasciassi che poco più di una decina di anni fa Lucia Collavo ha ritrovato un esemplare delle Vite di Vasari in edizione giuntina (1568) ampiamente postillata dall’architetto vicentino e ne ha pubblicato l’edizione commentata.

In ogni caso, va ribadito che il nuovo secolo ha visto la pubblicazione di tutta una serie di saggi dedicati alle postille apposte da Scamozzi ai suoi libri. Qui di seguito provo ad elencare i volumi in questione, rimandando in nota alle edizioni moderne:
  • Giovanni Battista Bertani, Gli oscuri e difficili passi dell’opera ionica di Vitruvio (1558); in realtà il volume è (ad oggi) perso, ma Tommaso Temanza, che ne era in possesso, trascrisse a fine Settecento le postille che vi comparivano su un suo manoscritto [2];
  • Giorgio Vasari, Le Vite in edizione giuntina (1568) [3];
  • Pietro Cataneo, L’Architettura (1567) [4];
  • Vitruvio, De Architectura nell’edizione di Daniele Barbaro (1567) [5];

Non possiamo poi dimenticare che le postille non sono che un lato della medaglia dell’impegno erudito di Scamozzi. Basti pensare che l’architetto vicentino si confronta con ben tre edizioni del Vitruvio a cura di Daniele Barbaro. A questo proposito è necessario ricordare che di recente è stato scoperta (ed è consultabile online all’indirizzo https://drupal.mpiwg-berlin.mpg.de/drupal-dev/digitalobject/MPIWG%3A4ZU9ZFZQ) un’edizione latina proprio del Vitruvio di Barbaro (1567) in cui Scamozzi (oltre a qualche postilla) aggiunge in fondo un Sommario latino con estratti da autori dell’antichità. Isard propende per l’ipotesi che l’opera (recante data manoscritta 1578) sia stata letta a Roma, nei quasi due anni che Scamozzi vi passò e in cui, molto probabilmente, studiò dai Gesuiti, presso il Collegio Romano. Il sistema di raccolta dei testi e di presentazione dei medesimi, chiaramente mirato (come le postille) ad un riutilizzo futuro, ricorda da vicino l’approccio didattico utilizzato dai Gesuiti nei confronti dei loro studenti.

Alla stessa maniera non è passabile sotto silenzio il rapporto di Scamozzi con le opere di Sebastiano Serlio. La complessa trama delle pubblicazioni del trattato serliano è ben nota (e ne abbiamo parlato anche in questo blog). Qui bisogna innanzi tutto ricordare che Scamozzi curò (assieme al padre Giandomenico) un “indice copiosissimo” dell’opera (stampata per la prima volta nel 1584 in tutti i volumi disponibili da Francesco de’ Franceschi) e ulteriori aggiunte vanno registrate in una nuova edizione datata 1600. Ciò che costituisce novità è invece il ritrovamento di una copia pubblicata nel 1551 da Melchiorre Sessa, con i primi cinque libri dell’opera allora disponibili, in cui Serlio postilla il trattato. L’esemplare è stato scoperto da Hubertus Günther, che ne scrive in Vincenzo Scamozzi comments on the architectural treatise of Sebastiano Serlio, nel presente numero di Annali di architettura.

Le annotazioni di Vincenzo Scamozzi a un esemplare dell’edizione di Sebastiano Serlio, Il primo [–quinto] libro d’architettura (Venezia 1551). Monaco, Zentralinstitut für Kunstgeschichte.
Fonte: http://www.palladiomuseum.org/exhibitions/scamozzi/press

L’architettura come scienza

Ma perché dedicare tanto spazio alle letture dell’architetto vicentino? Perché dare tanta importanza alla sua (indiscussa) erudizione? Credo che Franco Barbieri (che di Scamozzi fu il vero riscopritore, e che è scomparso a luglio di quest’anno)) ne illustri brillantemente il significato nella sua ‘conversazione’ iniziale con Guido Beltramini. Fino alla metà del ‘900 Scamozzi è stato considerato un ‘sottoprodotto’ di Palladio; la lettura delle sue opere è stata effettuata appiattendola su quella palladiana, dimenticando che il vicentino era nato quarant’anni dopo Palladio e che quindi non siamo di fronte al classico caso dei due galli in un pollaio. Barbieri ricorda come, all’inizio della sua carriera, la concezione degli edifici scamozziani a Vicenza “mi appariva non dico antipalladiana ma piuttosto del tutto fuori dal discorso palladiano” (p. 10). Se questo è vero (e lo è nei termini del maggior funzionalismo dei palazzi scamozziani, persino riscontrabile in una loro storica maggiore modularità, o capacità di essere modificati, allargati, inglobati) ci si pone il problema di capire quali fossero le fonti a cui Scamozzi attinse rispetto alla scontata presenza del Palladio, quale il modo con cui le studiò e quale la consapevolezza critica con cui le recepì. 

Vincenzo Scamozzi, Immagine del cortile di Palazzo Trissino al Corso, Vicenza. Fotografia di Vaclav Sedy
Fonte: http://www.palladiomuseum.org/exhibitions/scamozzi/press

In fondo il titolo del suo trattato maggiore, ovvero l’Idea dell’Architettura Universale, contiene due termini (‘idea’ e ‘universalità’ dell’architettura) che sono comuni a molta letteratura artistica fra la metà del ‘500 e il secolo successivo. Sul significato di ‘Idea’, sulla sua derivazione dall’Idea del teatro di Giulio Camillo (1550), intesa come “modello di tutte le fabbriche” si sofferma Macarena Moralejo Ortega in La nozione di idea nei testi a stampa dalla seconda metà del Cinquecento a metà Seicento: gli autori, i temi e il loro rapporto con L’Idea della Architettura Universale di Vincenzo Scamozzi. È un contributo affascinante, di cui consiglio vivamente la lettura.

Vincenzo Scamozzi, Procuratie Nuove, Venezia. Fotografia di Vaclav Sedy
Fonte: http://www.palladiomuseum.org/exhibitions/scamozzi/press

L’ ‘universalità’ dell’architettura è da mettere in relazione con l’essere essa strumento di conoscenza, quindi, nella sostanza, una ‘scienza’. Ne parla Werner Oechslin in Scamozzi, “Vitruvio della nostra età”: il sapere dell’architetto e la “scientia” architettonica universale, “…perché lei sola abbellisse il Mondo tutto”. A ben vedere, non vi è nulla di particolarmente nuovo nel parlare di scienza alla fine del Cinquecento e nel farlo anche con riferimento all’architettura. Se volessimo dare una valutazione generale, potremmo dire che quasi tutti i trattati in cui si ci pone il problema di definire l’arte, specie in quel tempo, finiscono per qualificare la pittura, la scultura o l’architettura in termini di strumenti di conoscenza di una realtà non solo umana, ma anche divina, o, se preferiamo, di ‘scienza’. Semmai lo scarto nel significato è in ciò che s’intende per ‘scienza’. Trent’anni dopo Scamozzi – per fare un esempio di scuola -, in Spagna, Vicente Carducho teorizza che solo la pittura può interpretare la realtà, ma non quella visibile (di per sé ingannatrice), bensì quella ideale, e solo con l’aiuto della ‘scienza’; e per Carducho, chiaramente, la scienza è la fede.

Vincenzo Scamozzi, Villa Pisani detta la Rocca, Lonigo (Vicenza)
Fonte: http://www.wga.hu/html_m/s/scamozzi/pisani.html
Vincenzo Scamozzi, Visione dall'interno della cupola di Villa Pisani, Fotografia di Vaclav Sedy
Fonte: http://www.palladiomuseum.org/exhibitions/scamozzi/press

Nel caso specifico di Scamozzi, nel Proemio dell’Idea si dichiara: “le scientie sono indagatrici delle cause di tutte le cose divine, e humane, e dimostrano il vivere bene, e operare virtuosamente, e esse sole possono apportare in questo mondo qualche stato di felicità” (p. 19). Il problema, semmai, è capire se la scienza dell’architettura sia basata sull’esperienza, o meno. L’architettura basata sull’esperienza, sull’affrancarsi dal mondo del fare senza negarlo, ma facendone ‘sapienza’ tramite l’inventiva è, in fondo, la scienza di Palladio; Scamozzi non lo segue e parte dai principi, muovendosi se si vuole su un piano più teorico (e filosofico) ed elevato. Nel pensiero di Scamozzi esiste una netta dicotomia fra l’architetto (ovvero chi concepisce il progetto) e il mondo del fare materiale (a partire dai capomastri in poi): l’architetto è il progettista, e, in teoria, potrebbe limitarsi semplicemente a fornire il disegno alle maestranze non seguendo per nulla il procedere dei lavori. Questo non vuol dire negare l’esperienza; vuol dire innanzi tutto comprendere i principi, comprendere le cause e gli effetti, gli scopi e le soluzioni più funzionali al momento della progettazione di un edificio.

Ne conseguono due fenomeni: l’architetto esercita l’arte liberale per eccellenza e, per antonomasia, è uomo di saggezza e cultura proverbiale. Come vedremo parlando delle postille di Scamozzi alle Vite vasariane, Brunelleschi ne è in qualche modo il prototipo, e proprio alla figura di Brunelleschi è associata una serie di affermazioni di natura proverbiale che permettono di definire meglio l’architetto-modello. Il secondo aspetto è l’approccio nei confronti delle fonti. Scamozzi è (ovviamente) un vitruviano, ma con raziocinio. Il De Architectura dell’architetto romano è canone solo fino ad un certo punto; con esso ci si confronta in maniera serrata, ma la definizione del principio è un processo che risulta da un lato dalla lettura dei testi, dall’altro dallo studio delle rovine antiche. Le postille, i sommari, i disegni scamozziani testimoniano questo processo di messa a punto e di rielaborazione dei principi architettonici e per questo motivo assumono particolare importanza.

Vincenzo Scamozzi, Taccuino di viaggio da Parigi a Venezia, 1600: pianta, prospetto principale e sezione della basilica di St. Denis. Vicenza, Pinacoteca Civica, Gabinetto dei disegni e delle stampe
Fonte: http://www.palladiomuseum.org/exhibitions/scamozzi/press
Vincenzo Scamozzi, Prospetto principale e sezione del duomo di Salisburgo, 1607.
Collezione Canadian Centre for Architecture, Montreal.
Fonte: http://www.palladiomuseum.org/exhibitions/scamozzi/press


Indice

Qui di seguito l’indice dei contributi pubblicati in questo numero di Annali di architettura:
  • Guido Beltramini, Scamozzi 400 anni: una conversazione con Franco Barbieri;
  • Werner Oechslin, Scamozzi, “Vitruvio della nostra età”: il sapere dell’architetto e la “scientia” architettonica universale, “…perché lei sola abbellisse il Mondo tutto”;
  • Katherine Isard, Vincenzo Scamozzi in the World of Books;
  • Hubertus Günther, Vincenzo Scamozzi comments on the architectural treatise of Sebastiano Serlio;
  • Margaret Daly Davis, Vincenzo Scamozzi and the antichità di Roma: purposeful reading, systematic recording;
  • Wolfgang Lippmann, La conoscenza dell’Antico di Vincenzo Scamozzi. Studi e approfondimenti alla luce di nuove ricerche su alcuni testi inediti e manoscritti perduti dell’architetto vicentino;
  • Deborah Howard, Scamozzi’s Discorsi sopra l’Antichità di Roma (1581, sic) and their possible connection with the Barbaro family;
  • Konrad Ottenheym, Some obscured sources for Scamozzi’s system of the Five Orders;
  • Mario Piana, San Nicola da Tolentino fra trattato e cantiere;
  • Massimo Bulgarelli, Il “levare per consiglio nostro”. Vincenzo Scamozzi e le cupole di Santa Giustina a Padova ne L’Idea della Architettura Universale;
  • Paola Placentino, L’Idea della Architettura Universale e i progetti per i procuratori di San Marco de supra;
  • Macarena Moralejo Ortega, La nozione di idea nei testi a stampa dalla seconda metà del Cinquecento a metà Seicento: gli autori, i temi e il loro rapporto con L’Idea della Architettura Universale di Vincenzo Scamozzi;
  • Fernando Marías e José Riello, La fortuna de Vincenzo Scamozzi en España


NOTE

[1] I risultati delle ricerche di Isard sono condensati in K. Isard, The Practice of Theory in Vincenzo Scamozzi’s Annotated Architecture Books, PhD dissertation, Columbia University, 2014, al momento (e speriamo per poco) ancora inedito.

[2] A loro volta tali postille sono state parzialmente proposte da Wolfgang Lippmann e altri all’interno di Vincenzo Scamozzi 1548-1616, catalogo della mostra tenutasi Vicenza, Palazzo Barbarano dal 7 settembre all’11 gennaio 2004).

[3] Si veda L’esemplare dell’edizione giuntina de Le Vite di Giorgio Vasari letto e annotato da Vincenzo Scamozzi, in “Saggi e memorie di storia dell’arte”, 29, 2005; nonché sempre di Lucia Collavo, Di Vincenzo Scamozzi lettore e critico di Giorgio Vasari scrittore e architetto: dall’esperienza di analisi del postillato H.P.K. in Arezzo e Vasari. Vite e Postille, Arezzo, 16-17 giugno 2005 atti del convegno, a cura di Antonino Caleca.


[5] Si veda Branko Mitrović e Vittoria Senes, Vincenzo Scamozzi’s Annotations to Daniele Barbaro’s Commentary on Vitruvius’ De Architectura in Annali di architettura, 14, 2002.


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