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Francesco Mazzaferro
Il ‘mito’ di Emil Nolde nel romanzo ‘Lezione di tedesco’ di Siegfried Lenz
Parte Prima
[Versione originale: gennaio 2017 - nuova versione: april 2019]
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Fig. 1) Siegfried Lenz qualche mese prima della sua recente scomparsa |
Ho già dedicato una
recensione alle memorie di Emil Nolde, L'artista scrive la prima parte della sua autobiografia negli
anni Trenta (quando parteggiava per i nazisti). Poi, dopo la fine della guerra e la democratizzazione della Germania, le Memorie furono rielaborate, prima da Nolde stesso e, dopo la sua morte, dalla fondazione che ne porta il nome, eliminando i passaggi che potevano alludere all'appoggio al regime. Ho anche già evidenziato come
il successo del romanzo Deutschstunde
(Lezione di tedesco) di Siegfried
Lenz contribuì a ribaltare l’immagine di Nolde nella cultura tedesca, facendone
un eroe della resistenza. Torno sul tema per due ragioni. In primo luogo,
perché il 2017 segna il 150esimo anniversario della nascita dell’artista e la
Fondazione Nolde ha annunciato la pubblicazione di uno studio (da parte di Bernhard
Fulda e Aya Soika) sul mutare dell’immagine di Nolde durante il secolo scorso. In
secondo luogo, perché una corrente di studi sulla letteratura artistica, sia in
Germania [1] sia in Francia [2], ha recentemente dedicato grande attenzione al
tema dell’ecfrasi, sottolineando come la descrizione dell’arte da parte di
romanzieri e poeti abbia influenzato in modo cruciale il gusto artistico del
pubblico. E non vi è dubbio che l’ecfrasi sia uno degli strumenti retorici
dominanti nel capolavoro di Siegfried Lenz, tanto che due studiosi (Petersen
[3] e Grothmann [4]) hanno dedicato lavori specifici al tema.
Questa non è una recensione
complessiva sul romanzo in sé, sulle sue caratteristiche e qualità, né sulla
sua importanza e fortuna in Germania e altrove. Non è neppure una discussione
dei temi centrali del romanzo (il senso del dovere, l'abuso del medesimo sotto regimi
repressivi, il consenso sociale in società conservatrici, il conflitto tra
generazioni e la dinamica della società tedesca durante e dopo il
nazionalsocialismo). La prima parte di questo post analizza il rapporto tra i
contenuti della narrazione romanzata e la vita e l’arte di Emil Nolde, per mostrare
che Siegfried Lenz ha davvero fatto tutto il possibile per rendere chiaro ed
evidente che egli voleva effettivamente ispirarsi alla figura di Emil Nolde e
voleva in realtà parlare di lui. La ‘variazione letteraria’ dell’originale ha
finito per attribuire – quasi per osmosi – nuove caratteristiche alla percezione
collettiva di Emil Nolde. Quando parlo di ‘variazione letteraria’ ho in mente
il processo attraverso il quale i musicisti possono ‘prendere’ il tema melodico
di qualche altro compositore e sottoporlo a variazioni tonali, al punto che la
variazione diviene più famosa del tema originario (si pensi alle Variazioni
Diabelli di Ludwig van Beethoven paragonate all’originario valzer di Anton
Diabelli). Insomma, descrivo un processo attraverso il quale un autore di prosa
(Lenz) si è ispirato a un artista di arti visive (Nolde), prendendo a prestito,
per così dire, dalla sua arte e dalle sue memorie, ed ha finito per arricchire
la fortuna dell’artista (Nolde) nella sua percezione generale, e dunque, come
si dice spesso, ha ripagato il prestito con gli interessi.
La seconda parte e la terza
parte della recensione sono dedicate all’uso dell'ecfrasi in ‘Lezione di tedesco’, ovvero documentano il modo in cui alcuni tra i
maggiori dipinti di Nolde sono oggetto di un vero e proprio ritratto letterario
da parte di Lenz, spesso con molte variazioni dovute anche in questo caso alle
finalità della narrazione. Queste pagine di Lenz, in realtà, confermano l’analisi
stilistica che di Nolde fa Werner Haftmann, il più importante critico dell’artista
nel dopoguerra.
Lezione di tedesco
Ho davanti a me una
recente edizione tedesca del romanzo ‘Deutschstunde’
(per i tipi di 'Hoffman und Campe', 2008
[5]; è la versione che ho letto e
consultato in seguito), la versione originale del 1968 dello stesso editore [6]
(non è una mania feticista: era necessario a causa della differente numerazione
delle pagine, che rendeva difficile
rintracciare citazioni fatte in saggi successivi) nonché l’edizione italiana
(Lezione di tedesco [7]) ed inglese (The
German lesson [8]), tradotte rispettivamente da Luisa Coeta per l’edizione
italiana e da Ernest Kaiser e Eithne Wilking per quella inglese. Userò le due
traduzioni per tutti i passi che citerò in italiano e inglese (e la numerazione
delle pagine si riferirà alle due edizioni, pubblicate rispettivamente da Neri
Pozza nel 2006 e New Direction nel 1986). Il romanzo Deutschstunde è stata venduto in Germania in più di due milioni di
copie e tradotto in altre 21 lingue. È dunque tra i romanzi tedeschi di maggior
successo nella Germania del dopoguerra.
Il romanzo attraversa
cronologicamente gli anni della seconda guerra mondiale e gli anni Cinquanta.
Faremo riferimento solamente ai tre principali personaggi: un pittore, chiamato
Max Ludwig Nansen; un poliziotto, chiamato Jens Jepsen; e suo figlio minore,
Siggi Jepsen.
Il pittore Max riceve dal
Ministero di Berlino l’ordine perentorio di cessare qualsiasi attività
artistica, dopo essere stato incluso dal regime nazista nel gruppo degli
artisti degenerati. È stato affiliato a gruppi politici nazionalisti di base
nella Germania del Nord, e dunque non ha in realtà ragioni per essere contrario
al nazismo. È tuttavia uno spirito libero e sfida il divieto, dipingendo
segretamente; rimane tuttavia amico del poliziotto Jens (che deve assicurare
l’esecuzione del divieto) e del suo figlio più giovane Siggi. Seguendo il suo
istinto, egli prende iniziative coraggiose, nascondendo fra l’altro il figlio
maggiore del poliziotto, che ha disertato dalla Wehrmacht, e dunque rendendosi
passibile di fucilazione; dopo la guerra
ritornerà a essere quell’artista ben conosciuto che era prima di essere stato
messo al bando dai nazisti, anche se il suo tempo come artista è ormai esaurito,
in termini di stili: altri indirizzi definiranno l’arte del futuro.
Il poliziotto Jens è
ossessionato dall’imperativo categorico di compiere il proprio dovere, in ogni
circostanza e ad ogni costo; nonostante conosca il pittore dalla gioventù, e
benché Max Nansen gli abbia salvato la vita una volta e sebbene non abbia nulla
di personale contro di lui, il poliziotto lo perseguita con una coerenza
terribile, nella speranza di scoprire le opere d’arte proibite e di mandarlo in
prigione. Finita la guerra, continua in via del tutto personale a esercitare
controlli di polizia sul pittore in forma maniacale, per mostrargli che divieti
e regole si devono applicare a tutti, anche ad un artista di successo. Alla
fine riesce a scoprire dove
fossero le opere un tempo proibite e le distrugge. È con tutta probabilità lui
che incendia un mulino dove suo figlio minore aveva nascosto diversi quadri per
salvarli, provocando a quest’ultimo un trauma psicologico permanente. Subito
dopo, scopre che un altro dei capolavori del pittore è un ritratto della
propria figlia mentre balla, e si propone di distruggerlo. Per proteggere quel
dipinto dalla distruzione, il figlio Siggi lo ruberà, nascondendolo anche al
pittore. Diventerà allora ladro compulsivo di tutti i quadri di Max. Alla fine,
sarà il padre a denunciare il proprio figlio,
dopo che a lui è stata assegnata l’inchiesta sui ripetuti furti di opere d’arte
subiti da Max. Il poliziotto è incapace di esprimere i sentimenti più semplici
di comprensione umana per uno qualsiasi dei membri della sua famiglia e per i
suoi amici, ed è completamente dominato da un senso del dovere che ha assunto
dimensioni patologiche. Per tal motivo, finirà la vita in solitudine.
Siggi, il figlio del
poliziotto, è l’io narrante del romanzo. È consapevole della mania patologica
del padre per il dovere, che lo forza a continuare i propri compiti anche dopo
la fine del nazionalsocialismo. Quando il poliziotto brucia il nascondiglio che
lui aveva trovato per le opere d’arte del pittore, Siggi inizia a soffrire di
allucinazioni, vedendo pitture in fiamme dappertutto. Sarà costretto allora da
una voce interna a rubare tutti i quadri del suo amico pittore, per
proteggerli. Arrestato per cleptomania, viene rinchiuso in riformatorio e da
qui il protagonista narra la sua storia. L’elemento letterario che giustifica
la cosa è l’assegnazione, nel corso dell’ora di tedesco, di un tema dal titolo
‘Le gioie del dovere’. Il tema proposto
riassume in realtà i traumi di una vita, che hanno posto a rischio la sua
sanità mentale. Siggi non riesce a scrivere nulla nel tempo assegnato per
l’esecuzione del tema e per punizione viene posto in isolamento fino a quando non avrà portato a termine il suo compito. Lo farà componendo le sue memorie, lungo un arco temporale di più
di cento giorni in isolamento volontario, implorando che la sua punizione non
sia sospesa fino a quando non abbia terminato il racconto. Quando il romanzo è
finito, lo consegna al direttore del riformatorio, come atto liberatorio.
In sintesi estrema, il
pittore è l’eroe morale e il poliziotto è l’eroe amorale; il figlio del
poliziotto è costretto a interagire con entrambi, e soffre un trauma
psicologico. In molti aspetti, questo triangolo è un simbolo delle sfide
individuali cui la Germania del dopoguerra è esposta, in una rivisitazione
traumatica dei propri valori. È risaputo che lo scrittore israeliano Amos Oz ha
detto che questo romanzo gli ha fatto cambiare idea sulla Germania, superando
l’immagine in bianco e nero che di essa egli aveva avuto fino a quel momento.
Le vite parallele di Emil Nolde e Max Ludwig Nansen
Già nelle prime pagine,
all’inizio del romanzo, s’impone una serie di corrispondenze tra il racconto e
le memorie di Nolde. Primo: siamo nella stessa regione della Germania, lo
Schleswig-Holstein. Secondo: il pittore si chiama Nansen (un nome molto simile
al cognome di Nolde prima del 1902; era nato come Emil Hansen). Terzo: Nolde vive
qualche tempo nella località di Ruttebüll, prima di passare gli ultimi decenni
a Seebüll, mentre il poliziotto nel romanzo ha abitazione e comando
a Rugbüll (località inventata, ma molto assonante). Quarto: Nolde ha anche vissuto a Utenwarf, che qui
diviene la fonte d’ispirazione per la località dove vive il pittore,
l’anch’essa inventata Bleekenwarf. Infine il pittore Nansen è esattamente nella
stessa situazione in cui si trova Nolde nel 1941: anche a lui viene notificato il
divieto di dipingere:
“A quel tempo gli avevano proibito di dipingere, e mio padre, la guardia
della stazione di polizia di Rugbüll, aveva il compito di controllare che
l’ordine fosse rispettato, a qualsiasi ora del giorno e della notte e in
qualsiasi stagione; doveva (per ricordare anche questo particolare) impedire
qualsiasi idea e realizzazione di nuovi quadri, nonché le indesiderate
infrazioni circa la luce: nella sua veste di poliziotto, doveva insomma curare
che a Bleekenwarf non si dipingesse più. Mio padre e Max Ludwig Nansen si
conoscevano da tempo, credo fin dall’infanzia. Entrambi nati a Glüserup,
sapevano che cosa dovevano aspettarsi l’uno dall’altro e forse anche quali
rischi incombevano su di loro: sapevano cioè fino a che punto avrebbero dovuto
temersi se la situazione si fosse prolungata. Poche immagini sono conservate
con tanta cura nello scrigno della mia memoria, come gli incontri tra mio padre
e Max Ludwig Nansen. Per questo ho aperto fiducioso il quaderno, mi sono messo
vicino lo specchietto tascabile e ho cercato di descrivere i viaggi di mio
padre a Bleekenwarf, no, non solo i viaggi ma tutti i pretesti e le trappole
che escogitava per Nansen, gli stratagemmi semplici e complicati, i piani
suggeritigli dalla sua lenta diffidenza, i trucchi, gli inganni e, poiché il
dottor Korbjuhn se lo era augurato, anche le gioie derivate dall’esercizio del
dovere” [9].
È risaputo che Emil Nolde violò
la proibizione producendo segretamente le cosiddette ‘immagini non dipinte’;
anche Nansen decide nella finzione letteraria di non rispettare il divieto, e
lo dice direttamente al poliziotto. Stanno litigando: il pittore ricorda a Jens
Jepsen che sono nati nello stesso villaggio, si conoscono da sempre e che il
poliziotto gli deve la vita. Il poliziotto replica con forza: “Saremo pari una buona volta, disse mio
padre, e il pittore: Ascolta, Jens, ci sono cose alle quali io non posso
rinunciare. Non ho rinunciato quella volta quando mi sono tuffato per ripescarti
e tanto meno posso rinunciarvi adesso. Perché tu non rimanga all’oscuro, sappi
che continuerò a dipingere. Farò quadri invisibili. Ci sarà tanta luce che voi
non vedrete niente. Quadri invisibili” [10].
Anche la descrizione fisica
del pittore è molto simile ai pochi ritratti che Nolde fece di se stesso. Da
notare il riferimento, nelle prime pagine del romanzo, al cappello di feltro
(Nolde ne aveva sempre uno) e al modo con cui lo indossava, ed anche agli occhi
grigio-azzurri. “Portava un cappello, un
cappello di feltro calato sulla fronte tanto che gli occhi grigi si trovavano
nella breve ma diretta ombra della tesa. Il cappotto era vecchio, liso sulla
schiena: era il cappotto azzurro con le tasche inesauribili dove, come ci disse
una volta con aria minacciosa, poteva persino far scomparire i bambini che lo
disturbavano mentre lavorava” [11].
È ugualmente vero che sia
Nansen nella finzione letteraria sia Nolde nella vita reale rimangono vedovi,
dopo un lungo matrimonio, forte e intimo (con Ditte nel romanzo e Ada nella
realtà, entrambe decedute di polmonite, entrambe cantanti, che avevano entrambe
sacrificato le loro carriere per aiutare i mariti, in momenti di estrema
necessità economica e isolamento artistico).
Anche altre caratteristiche
della personalità corrispondono: nel romanzo, in occasione del compleanno per i
60 anni del suo amico di una vita Theo Busbeck (gallerista e critico d’arte di
Colonia che lo aveva sostenuto nei momenti più difficili e che adesso viveva
con lui in questa regione dell’estremo nord della Germania) Max Nansen spiega “Non sono molto amante dei discorsi” [12]
e parla “usando sovente il participio”
[13]. Lenz sapeva dalle memorie che Nolde non aveva un buon controllo del
tedesco, e che faceva un uso frequente e grammaticamente scorretto del
participio attivo, preso a prestito dal danese (come il nostro gerundio, che in
tedesco non esiste). Le memorie di Nolde [14] ed il ‘Libro dell’amicizia’ su
Nolde di Hans Fehr [15] (il suo più grande amico, uno svizzero; è il modello
per il gallerista di Colonia) contengono una descrizione molto simile di quel
che successe durante il 70esimo compleanno di Nolde nel 1937. A Nolde era stato
appena notificato il divieto di dipingere; era prevista una celebrazione in
pompa magna, ma, temendo che potesse essere vista come una provocazione dalle
autorità di polizia, i festeggiamenti furono fatti solo da uno sparuto
gruppo di una ventina di amici.
L’immagine di Nolde tra realtà e spirito del
Settantotto
Per molti
aspetti, Lenz ha fabbricato nel romanzo un personaggio (Max Nansen) che è un
Nolde ‘migliore’. Ciò non è solamente richiesto dalle esigenze narrative del
suo romanzo, ma è anche in linea con le proprie preferenze personali e con lo
spirito del tempo. Siamo nel Sessantotto e la Germania è – insieme alla Francia
– il centro della rivolta studentesca in Europa. I due slogan prevalenti sono
‘Fantasia al potere’ e ‘Si vieta di vietare’. La figura storica di Emil Nolde
offre, da quest’angolo, alcuni motivi d’ispirazione agli studenti che
manifestano nelle piazze.
Nolde può
essere visto come una vittima di un potere opprimente. Infatti, l’arte di Nolde
è stata classificata dal Nazionalsocialismo come ‘degenerata’ e il pittore è
uno dei pochi artisti tedeschi (insieme a Karl Schmidt-Rottluff e Erwin
Scharff) ad aver ricevuto il divieto perentorio di non dipingere, divieto il
cui controllo è affidato alla polizia e, in second’ordine, alla Gestapo. In
precedenza il pittore aveva dovuto subire la cancellazione di diverse mostre,
il sequestro di 1052 opere d’arte esposte in collezioni pubbliche e private
(egli era l’artista di maggior successo della Repubblica di Weimar) e infine
l’ordine di consegnare alle autorità la sua intera produzione artistica degli
ultimi due anni (54 pezzi, tutti confiscati).
Tre
ulteriori caratteristiche fanno di Nolde una figura d’ispirazione per l’epoca
della rivolta studentesca. In primo luogo, come già detto, ha violato il
divieto, producendo clandestinamente circa 1300 acquarelli, chiamati “immagini non dipinte”. Si oppone dunque
attivamente alle autorità, anche se in forma segreta. In secondo luogo, è
pittore contrario a tutte le convenzioni formali del suo tempo, praticando un
tipo d’arte guidata esclusivamente dall’immaginazione; un pittore che può
essere descritto come guidato dalle proprie preferenze personali, come un
individuo libero. Ed infine è ancorato al territorio, alla sua regione, al suo
paesaggio, e molto lontano dai giochi di potere commerciale del mercato
dell’arte.
E tuttavia una verifica della realtà permette facilmente
di costatare che la ricostruzione romanzata di Nolde non è aderente alla
realtà. Max Nansen si differenzia dal pittore reale in cinque aspetti: (i) la
biografia, (ii) l’ideologia, (iii) gli eventi specifici, (iv) gli aspetti
estetici e (v) il rapporto con il territorio.
La biografia
La vita immaginaria di Nansen contenuta nel romanzo [16]
lo vede come un oppositore molto più deciso del nazional-socialismo di quanto
Nolde sia mai stato. Come membro della minoranza tedesca nella regione danese
dello Schleswig del Nord (conservò la nazionalità danese anche quando traslocò a
Seebüll in Germania), Nolde fu – forse indirettamente, attraverso la sua
partecipazione in un sindacato – membro di un partito affiliato al NSDAP (il
partito nazista), e non vi è alcuna prova che lo abbia mai lasciato (al
contrario, vi sono elementi documentali, inclusi alcune carte recentemente scoperte in Svizzera nel 2013, che egli appoggiò il regime, nonostante fosse vittima di
persecuzione da parte del regime stesso). In realtà Emil Nolde aveva sempre
sostenuto che la propria persecuzione da parte dei nazisti era soprattutto il
risultato d’incompetenza e fraintendimenti (scrisse al ministro Josef Goebbels
che la sua arte era “tedesca, forte,
austera e profonda”, sperando in tal modo di ottenere la restituzione delle
sue opere). La pubblicazione delle nuove ricerche di Bernhard Fulda e Aya Soika sarà cruciale per stabilire la verità.
L'alter-ego di Nolde prodotto da Lenz (ovvero Max
Ludwig Hansen) è invece contrario al nazionalsocialismo. Abbandonato ‘con disgusto’ un movimento nazionalista
di cui è stato membro prima della presa del potere da parte del
nazional-socialismo, Hansen rifiuta numerose cariche offerte dai nazisti, si
dimette da altre di natura accademica e restituisce la tessera del partito
nazional-socialista. Certamente è un nemico ‘privato’, giacché non cerca mai di
creare una resistenza di gruppo degli artisti, ma chiaramente un nemico. Un
nemico ancora rispettoso delle buone regole di cavalleria, che è ancora in
grado di distinguere tra individui (come il poliziotto) e autorità. Dopotutto,
non odia il poliziotto che lo perseguita, dal momento che i due si conoscono da
anni e provengono dallo stesso paese (un’ingenuità di Lenz: le guerre civili
sono sempre state combattute tra gli abitanti degli stessi villaggi, nati
all’interno di dieci chilometri quadrati).
Gli elementi ideologici
Gli elementi ideologici
Ho già spiegato, nel saggio sulle memorie di Nolde, che i
suoi scritti precedenti la guerra rivelano la sua prossimità con l’antisemitismo
e molti altri aspetti dell’ideologia nazista. Nel romanzo tutti questi
riferimenti scompaiono. In realtà, in occasione della mostra retrospettiva su
Nolde di Francoforte, tenutasi al Museo Städel nel 2014, ed anche in seguito ad
un articolo di estrema durezza del germanista Jochen Hieber, pubblicato sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung il 25 aprile 2014 [17], molti critici hanno rimproverato a Lenz di essere caduto in
una trappola, e di aver creduto all’“identità rivisitata” che Nolde ed altri
erano stati in grado di costruire dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.
Qualche giorno prima dell’articolo, parlando sullo stesso tema a Marbach (dove
si trova il suo intero archivio personale), Siegfried Lenz aveva ammesso che
Nolde era una personalità problematica (problematischer
Mensch) e che si era comportato politicamente “in modo un po’ catastrofico”
(ein bisschen katastrophal). Lenz
sostenne di aver intenzionalmente offerto nel romanzo un’immagine ambivalente
del pittore, senza dare altri chiarimenti.
Eventi specifici
Se si considerano episodi specifici nella finzione
romanzata, Max Ludwig Nansen assume iniziative o si trova esposto a eventi
avversi di cui non vi è evidenza alcuna nelle memorie di Nolde. Molto
probabilmente Nolde non pensò mai di nascondere né di proteggere un
disertore della Wehrmacht: dopotutto, era un crimine gravissimo e non pochi
civili che aiutarono disertori furono fucilati sul posto (importante da sapere:
Siegfried Lenz disertò invece dalla Kriegsmarine
in Danimarca e si salvò venendo preso prigioniero dagli inglesi; il figlio
maggiore del poliziotto è dunque forse un personaggio autobiografico). In
secondo luogo, è possibile che la Gestapo
abbia fatto sopralluoghi alla casa di Nolde a Seebüll, ma non c’è alcuna prova
che lo abbia interrogato per alcuni giorni, trasferendolo dalla sua abitazione
ad una caserma della polizia politica, così come accade a Nansen nella finzione
del romanzo. Numerosi studiosi pensano che l’attuazione del divieto sia stata
abbastanza leggera, se messa a confronti coi ‘normali’ metodi della Gestapo. A
Nolde fu permesso di muoversi
all’interno del Terzo Reich (andò a Berlino e a Vienna) e, almeno in una prima
fase, di vendere opere d’arte (fu l’amministrazione tributaria tedesca ad
accorgersi che Nolde aveva ancora introiti importanti dalla vendita di opere
d’arte. L’amministrazione fiscale scoprì che il pittore aveva un reddito di 80
mila marchi nel 1940, nonostante tutte le precedenti limitazioni. Fu forse
questa la ragione del divieto totale del 1941. Insomma, sfidava il divieto, ma
pagava le tasse all’amministrazione che lo perseguitava!)
Questioni estetiche
All’epoca in cui Lenz
preparò e scrisse il romanzo l’opinione ancora prevalente fra i critici d’arte
(discussa in modo davvero affascinante nella monografia di Werner Haftmann del
1957) era che Nolde creasse arte in una sorta di stato primordiale, come se
fosse in trance. Per spiegare tale situazione, i critici tedeschi facevano
riferimento allo stato estatico che cercavano di raggiungere i seguaci di Pan e
dei miti orfici nell’antica Grecia: anche nel romanzo, un critico d’arte dal
nome inventato di Hans-Dieter Hübscher (che a mio parere rappresenta Werner
Haftmann) sostiene questa tesi: “Il
critico amburghese, parlando, non seguì la traccia di alcun foglietto. Parlò
con disinvoltura e per tutto il tempo tenne gli occhi chiusi. Passandosi di
tanto in tanto la lingua sulle labbra, abbozzando sorrisi ansiosi come se le
parole usate non avessero la sua approvazione, ma rappresentassero per così dire
un ripiego, si espresse in frasi brevi e si diffuse su ogni componente del
pittore Nansen, dall’ “intuizione della forza panica della natura” fino al suo
“possente pathos espressivo” (…) [e] al nuovo concetto di spazio e linguaggio
geroglifico [e alla] ricerca della condizione primigenia dell’essere umano. (…)
Il critico (…) menzionò le costanti categorie pittoriche: spazio, colore, luce
ed elemento decorativo. (…) In quel momento il critico si mise a parlare delle
serie cromatiche che Nansen cercava, sempre e dovunque, di fondere nella
cosiddetta “sonorità essenziale”, di portare a una tensione tonale che
invadesse tutto (…). Per finire Hübscher disse: ‘La sua opera testimonia come
un contenuto presagito si trasformi in pittura grazie all’immagine sonora’ ”
[18].
E tuttavia, se si eccettua
questa pagina in cui le parole sono messe in bocca a un critico, Lenz evita
un’interpretazione tutta ‘irrazionale’ e ‘spiritualista’ dell'arte di Nansen. Tale
spiegazione era coerente con le teorie estetiche del primo Novecento (si pensi
al cosiddetto ‘sacerdozio dell’arte’) ma non più con quelle del 1968. Da questo
punto di vista le lunghe considerazioni su arte e creazione artistiche che Lenz
spende quando racconta dell’ultimo autoritratto di Nansen (si veda la seconda
parte di questo post) sono un tentativo di razionalizzare. Credere nello slogan
settantottino della ‘fantasia al potere’
significa per Lenz credere nella capacità consapevole dell’artista di ‘moltiplicare, modificare e dominare’ la
realtà in termini attivi, di immaginare quel che non esiste ancora, e non di
essere un medium passivo che fa operare mozioni primordiali sulla superficie.
I rapporti con il territorio
Lenz
mostra Max Nansen come un uomo perfettamente integrato nell’ambiente sociale
del suo villaggio. In realtà le memorie di Nolde spiegano che egli non riuscì
mai a convincere i suoi paesani della bontà della sua arte, che fu compresa
solamente nei grandi centri urbani. Inoltre, egli era una persona con una vita
molto riservata, quasi introverso e spesso burbero, legato emotivamente solo
alla moglie e ad un circolo di amici
molto ristretto. Pensarlo al centro della vita di un villaggio era davvero
fuori della realtà.
Come produrre un eroe al momento giusto
In conclusione, la somma di
queste differenti variazioni produce un cambiamento importante nel tema
originario. Una variazione ‘migliore’ dell’identità originaria di Nolde che è
stata proposta intenzionalmente da Siegfried Lenz, in un romanzo che è stato ricevuto
entusiasticamente da un’intera generazione.
Per gli studenti in rivolta,
la pubblicazione del nuovo romanzo era un segno di rinnovamento della
letteratura tedesca e l’ammissione di alcune debolezze strutturali del modello
tedesco di società creato dall’età bismarckiana. Affrontare in modo critico il
tema delle “gioie del dovere” è una maniera per interrogarsi
complessivamente su quale debba essere
l’attitudine della società tedesca di fronte agli ordini che può ricevere dalle
sue autorità.
Per le autorità stesse,
nella Germania di Willy Brandt, il libro divenne una nuova fonte d’identità e
di legittimazione, che offriva una nuova lettura della società tedesca e
mostrava che ci furono coloro che seppero resistere all’interno del paese. Il
romanzo fu perciò immediatamente inserito da diversi governi regionali tra i
testi che dovevano essere letti a scuola, per gli esami di maturità. Il libro
divenne anche ideale ambasciatore della nuova Germania, e fu un best-seller anche
in Israele, Polonia ed Unione Sovietica, i paesi che più avevano sofferto dalla
Germania nella Seconda Guerra Mondiale (Willy Brandt chiese a Lenz – insieme a
Günter Grass – di accompagnarlo a Varsavia, per una visita rimasta famosa
perché si inginocchiò davanti al monumento del milite ignoto).
La variazione letteraria di
Emil Nolde, inventata da Sigfried Lenz, era talmente superiore all'originale
che un processo di sostituzione mentale si è materializzato. A partire dal 1968
– visitando le mostre di dipinti di Nolde – il pubblico tedesco ha avuto la
possibilità di fondere il meglio delle due personalità: Emil Nolde come autore
di un’arte splendida e Max Ludwig Nansen come l’eroe positivo di una nuova
società tedesca. La letteratura ha modificato permanentemente il corso della
storia dell’arte.
Fine della Parte Prima
NOTE
[1] Beschreibungskunst - Kunstbeschreibung: Ekphrasis
von der Antike bis zur Gegenwart (Bild und Text), [L’arte della descrizione, la descrizione dell’arte:
L’ecfrasi dall’antichità al presente], A cura di Gottfried Boehm ed HelmutPfotenhauer, Padeborn, Wilhelm Fink Verlag, 1995, 642 pagine.
[2] Dethurens,
Pascal - Ecrire la peinture : De Diderot à Quignard, Parigi, Citadelles et
Mazenod, 2009, 492 pagine.
[3] Petersen,
Swantje - Korrespondenzen zwischen Literatur und bildender Kunst im 20.
Jahrhundert. Studien am Beispiel von S. Lenz - E. Nolde - A. Andersch - E.
Barlach - P. Klee, H. Janssen - E. Jünger und G. Bekker (Corrispondenze tra
letteratura e belle arti. Studi sui casi di S. Lenz, E. Nolde, A. Andersch, E.
Barlach, P. Klee, H. Janssen, E. Jünger e G. Bekker), Francoforte sul Meno,
Peter Lang, 1995, 314 pagine.
[4] Grothmann,
Wilhelm H. - Siegfried Lenz‘ Deutschstunde. Eine Würdigung der Kunst Emil
Noldes (La Lezione di Tedesco di Siegfried Lenz. Un omaggio all’arte di Emil
Nolde), in „Seminar: A Journal of Germanic Studies“, Volume 15, Number 1 /
1979, University of Toronto Press.
[5] Lenz, Siegfried - Deutschstunde Roman, Amburgo, Hoffmann und Campe,
2008, 462 pagine.
[6] Lenz, Siegfried - Deutschstunde Roman, Amburgo, Hoffmann und Campe,
1968, 559 pagine.
[7] Lenz, Siegfried – Lezione di tedesco, Vicenza, Neri Pozza, 2006, 506 pagine.
[8] Lenz, Siegfried – The German Lesson,
New York, New Directions Publishing, 470 pagine.
[9] Lenz, Siegfried – Lezione di tedesco, (citato), pp. 12-13
[10] Lenz, Siegfried – Lezione di tedesco, (citato), p. 83
[11] Lenz, Siegfried – Lezione di tedesco, (citato), p. 29
[12] Lenz, Siegfried – Lezione di tedesco, (citato), p. 72
[13] Lenz, Siegfried – Lezione di tedesco, (citato), p. 73
[14] Nolde, Emil – Mein Leben (La mia vita), Colonia, A cura di Manfred Reuther,
DuMont, 2013, 455 pagine, citazione a pagine
430-431.
[15] Fehr, Hans – Emil Nolde. Ein Buch der Freundschaft (Un libro
dell’amicizia), Monaco, Paul List Verlag, 1960, 149 pagine, citazione a pagine 120-121.
[16] Lenz, Siegfried – Lezione di tedesco, (citato), pp.163-165.
[17] Hieber, Jochen - Der Fall Emil Nolde, in
Frankfurter Allgemeine Zeitung, 25 Aprile 2014. Si veda http://www.faz.net/aktuell/feuilleton/buecher/der-fall-emil-nolde-wir-haben-das-falsche-gelernt-12908490.html
[18] Lenz, Siegfried – Lezione di tedesco, (citato), pp. 461-462.
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