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lunedì 30 gennaio 2017

Francesco Mazzaferro. Il 'mito' di Emil Nolde nel romanzo 'Lezione di tedesco' di Siegfried Lenz. Parte Prima


English Version

Francesco Mazzaferro
Il ‘mito’ di Emil Nolde nel romanzo ‘Lezione di tedesco’ di Siegfried Lenz 


Parte Prima 


[Versione originale: gennaio 2017 - nuova versione: april 2019]

Fig. 1) Siegfried Lenz qualche mese prima della sua recente scomparsa

Ho già dedicato una recensione alle memorie di Emil Nolde, L'artista scrive la prima parte della sua autobiografia negli anni Trenta (quando parteggiava per i nazisti). Poi, dopo la fine della guerra e la democratizzazione della Germania, le Memorie furono rielaborate, prima da Nolde stesso e, dopo la sua morte, dalla fondazione che ne porta il nome, eliminando i passaggi che potevano alludere all'appoggio al regime. Ho anche già evidenziato come il successo del romanzo Deutschstunde (Lezione di tedesco) di Siegfried Lenz contribuì a ribaltare l’immagine di Nolde nella cultura tedesca, facendone un eroe della resistenza. Torno sul tema per due ragioni. In primo luogo, perché il 2017 segna il 150esimo anniversario della nascita dell’artista e la Fondazione Nolde ha annunciato la pubblicazione di uno studio (da parte di Bernhard Fulda e Aya Soika) sul mutare dell’immagine di Nolde durante il secolo scorso. In secondo luogo, perché una corrente di studi sulla letteratura artistica, sia in Germania [1] sia in Francia [2], ha recentemente dedicato grande attenzione al tema dell’ecfrasi, sottolineando come la descrizione dell’arte da parte di romanzieri e poeti abbia influenzato in modo cruciale il gusto artistico del pubblico. E non vi è dubbio che l’ecfrasi sia uno degli strumenti retorici dominanti nel capolavoro di Siegfried Lenz, tanto che due studiosi (Petersen [3] e Grothmann [4]) hanno dedicato lavori specifici al tema.

Questa non è una recensione complessiva sul romanzo in sé, sulle sue caratteristiche e qualità, né sulla sua importanza e fortuna in Germania e altrove. Non è neppure una discussione dei temi centrali del romanzo (il senso del dovere, l'abuso del medesimo sotto regimi repressivi, il consenso sociale in società conservatrici, il conflitto tra generazioni e la dinamica della società tedesca durante e dopo il nazionalsocialismo). La prima parte di questo post analizza il rapporto tra i contenuti della narrazione romanzata e la vita e l’arte di Emil Nolde, per mostrare che Siegfried Lenz ha davvero fatto tutto il possibile per rendere chiaro ed evidente che egli voleva effettivamente ispirarsi alla figura di Emil Nolde e voleva in realtà parlare di lui. La ‘variazione letteraria’ dell’originale ha finito per attribuire – quasi per osmosi – nuove caratteristiche alla percezione collettiva di Emil Nolde. Quando parlo di ‘variazione letteraria’ ho in mente il processo attraverso il quale i musicisti possono ‘prendere’ il tema melodico di qualche altro compositore e sottoporlo a variazioni tonali, al punto che la variazione diviene più famosa del tema originario (si pensi alle Variazioni Diabelli di Ludwig van Beethoven paragonate all’originario valzer di Anton Diabelli). Insomma, descrivo un processo attraverso il quale un autore di prosa (Lenz) si è ispirato a un artista di arti visive (Nolde), prendendo a prestito, per così dire, dalla sua arte e dalle sue memorie, ed ha finito per arricchire la fortuna dell’artista (Nolde) nella sua percezione generale, e dunque, come si dice spesso, ha ripagato il prestito con gli interessi.

La seconda parte e la terza parte della recensione sono dedicate all’uso dell'ecfrasi in ‘Lezione di tedesco’, ovvero documentano il modo in cui alcuni tra i maggiori dipinti di Nolde sono oggetto di un vero e proprio ritratto letterario da parte di Lenz, spesso con molte variazioni dovute anche in questo caso alle finalità della narrazione. Queste pagine di Lenz, in realtà, confermano l’analisi stilistica che di Nolde fa Werner Haftmann, il più importante critico dell’artista nel dopoguerra.


Lezione di tedesco

Ho davanti a me una recente edizione tedesca del romanzo ‘Deutschstunde’ (per i tipi di 'Hoffman und Campe', 2008 [5]; è la versione che ho letto e consultato in seguito), la versione originale del 1968 dello stesso editore [6] (non è una mania feticista: era necessario a causa della differente numerazione delle pagine,  che rendeva difficile rintracciare citazioni fatte in saggi successivi) nonché l’edizione italiana (Lezione di tedesco [7]) ed inglese (The German lesson [8]), tradotte rispettivamente da Luisa Coeta per l’edizione italiana e da Ernest Kaiser e Eithne Wilking per quella inglese. Userò le due traduzioni per tutti i passi che citerò in italiano e inglese (e la numerazione delle pagine si riferirà alle due edizioni, pubblicate rispettivamente da Neri Pozza nel 2006 e New Direction nel 1986). Il romanzo Deutschstunde è stata venduto in Germania in più di due milioni di copie e tradotto in altre 21 lingue. È dunque tra i romanzi tedeschi di maggior successo nella Germania del dopoguerra.


Il romanzo attraversa cronologicamente gli anni della seconda guerra mondiale e gli anni Cinquanta. Faremo riferimento solamente ai tre principali personaggi: un pittore, chiamato Max Ludwig Nansen; un poliziotto, chiamato Jens Jepsen; e suo figlio minore, Siggi Jepsen.

Il pittore Max riceve dal Ministero di Berlino l’ordine perentorio di cessare qualsiasi attività artistica, dopo essere stato incluso dal regime nazista nel gruppo degli artisti degenerati. È stato affiliato a gruppi politici nazionalisti di base nella Germania del Nord, e dunque non ha in realtà ragioni per essere contrario al nazismo. È tuttavia uno spirito libero e sfida il divieto, dipingendo segretamente; rimane tuttavia amico del poliziotto Jens (che deve assicurare l’esecuzione del divieto) e del suo figlio più giovane Siggi. Seguendo il suo istinto, egli prende iniziative coraggiose, nascondendo fra l’altro il figlio maggiore del poliziotto, che ha disertato dalla Wehrmacht, e dunque rendendosi passibile di fucilazione; dopo la guerra ritornerà a essere quell’artista ben conosciuto che era prima di essere stato messo al bando dai nazisti, anche se il suo tempo come artista è ormai esaurito, in termini di stili: altri indirizzi definiranno l’arte del futuro.

Il poliziotto Jens è ossessionato dall’imperativo categorico di compiere il proprio dovere, in ogni circostanza e ad ogni costo; nonostante conosca il pittore dalla gioventù, e benché Max Nansen gli abbia salvato la vita una volta e sebbene non abbia nulla di personale contro di lui, il poliziotto lo perseguita con una coerenza terribile, nella speranza di scoprire le opere d’arte proibite e di mandarlo in prigione. Finita la guerra, continua in via del tutto personale a esercitare controlli di polizia sul pittore in forma maniacale, per mostrargli che divieti e regole si devono applicare a tutti, anche ad un artista di successo. Alla fine riesce a scoprire dove fossero le opere un tempo proibite e le distrugge. È con tutta probabilità lui che incendia un mulino dove suo figlio minore aveva nascosto diversi quadri per salvarli, provocando a quest’ultimo un trauma psicologico permanente. Subito dopo, scopre che un altro dei capolavori del pittore è un ritratto della propria figlia mentre balla, e si propone di distruggerlo. Per proteggere quel dipinto dalla distruzione, il figlio Siggi lo ruberà, nascondendolo anche al pittore. Diventerà allora ladro compulsivo di tutti i quadri di Max. Alla fine, sarà il padre a denunciare il proprio figlio, dopo che a lui è stata assegnata l’inchiesta sui ripetuti furti di opere d’arte subiti da Max. Il poliziotto è incapace di esprimere i sentimenti più semplici di comprensione umana per uno qualsiasi dei membri della sua famiglia e per i suoi amici, ed è completamente dominato da un senso del dovere che ha assunto dimensioni patologiche. Per tal motivo, finirà la vita in solitudine.

Siggi, il figlio del poliziotto, è l’io narrante del romanzo. È consapevole della mania patologica del padre per il dovere, che lo forza a continuare i propri compiti anche dopo la fine del nazionalsocialismo. Quando il poliziotto brucia il nascondiglio che lui aveva trovato per le opere d’arte del pittore, Siggi inizia a soffrire di allucinazioni, vedendo pitture in fiamme dappertutto. Sarà costretto allora da una voce interna a rubare tutti i quadri del suo amico pittore, per proteggerli. Arrestato per cleptomania, viene rinchiuso in riformatorio e da qui il protagonista narra la sua storia. L’elemento letterario che giustifica la cosa è l’assegnazione, nel corso dell’ora di tedesco, di un tema dal titolo ‘Le gioie del dovere’.  Il tema proposto riassume in realtà i traumi di una vita, che hanno posto a rischio la sua sanità mentale. Siggi non riesce a scrivere nulla nel tempo assegnato per l’esecuzione del tema e per punizione viene posto in isolamento fino a quando non avrà portato a termine il suo compito. Lo farà componendo le sue memorie, lungo un arco temporale di più di cento giorni in isolamento volontario, implorando che la sua punizione non sia sospesa fino a quando non abbia terminato il racconto. Quando il romanzo è finito, lo consegna al direttore del riformatorio, come atto liberatorio.

In sintesi estrema, il pittore è l’eroe morale e il poliziotto è l’eroe amorale; il figlio del poliziotto è costretto a interagire con entrambi, e soffre un trauma psicologico. In molti aspetti, questo triangolo è un simbolo delle sfide individuali cui la Germania del dopoguerra è esposta, in una rivisitazione traumatica dei propri valori. È risaputo che lo scrittore israeliano Amos Oz ha detto che questo romanzo gli ha fatto cambiare idea sulla Germania, superando l’immagine in bianco e nero che di essa egli aveva avuto fino a quel momento.


Le vite parallele di Emil Nolde e Max Ludwig Nansen

Già nelle prime pagine, all’inizio del romanzo, s’impone una serie di corrispondenze tra il racconto e le memorie di Nolde. Primo: siamo nella stessa regione della Germania, lo Schleswig-Holstein. Secondo: il pittore si chiama Nansen (un nome molto simile al cognome di Nolde prima del 1902; era nato come Emil Hansen). Terzo: Nolde vive qualche tempo nella località di Ruttebüll, prima di passare gli ultimi decenni a Seebüll, mentre il poliziotto nel romanzo ha abitazione e comando a Rugbüll (località inventata, ma molto assonante). Quarto: Nolde ha anche vissuto a Utenwarf, che qui diviene la fonte d’ispirazione per la località dove vive il pittore, l’anch’essa inventata Bleekenwarf. Infine il pittore Nansen è esattamente nella stessa situazione in cui si trova Nolde nel 1941: anche a lui viene notificato il divieto di dipingere:

A quel tempo gli avevano proibito di dipingere, e mio padre, la guardia della stazione di polizia di Rugbüll, aveva il compito di controllare che l’ordine fosse rispettato, a qualsiasi ora del giorno e della notte e in qualsiasi stagione; doveva (per ricordare anche questo particolare) impedire qualsiasi idea e realizzazione di nuovi quadri, nonché le indesiderate infrazioni circa la luce: nella sua veste di poliziotto, doveva insomma curare che a Bleekenwarf non si dipingesse più. Mio padre e Max Ludwig Nansen si conoscevano da tempo, credo fin dall’infanzia. Entrambi nati a Glüserup, sapevano che cosa dovevano aspettarsi l’uno dall’altro e forse anche quali rischi incombevano su di loro: sapevano cioè fino a che punto avrebbero dovuto temersi se la situazione si fosse prolungata. Poche immagini sono conservate con tanta cura nello scrigno della mia memoria, come gli incontri tra mio padre e Max Ludwig Nansen. Per questo ho aperto fiducioso il quaderno, mi sono messo vicino lo specchietto tascabile e ho cercato di descrivere i viaggi di mio padre a Bleekenwarf, no, non solo i viaggi ma tutti i pretesti e le trappole che escogitava per Nansen, gli stratagemmi semplici e complicati, i piani suggeritigli dalla sua lenta diffidenza, i trucchi, gli inganni e, poiché il dottor Korbjuhn se lo era augurato, anche le gioie derivate dall’esercizio del dovere” [9].

È risaputo che Emil Nolde violò la proibizione producendo segretamente le cosiddette ‘immagini non dipinte’; anche Nansen decide nella finzione letteraria di non rispettare il divieto, e lo dice direttamente al poliziotto. Stanno litigando: il pittore ricorda a Jens Jepsen che sono nati nello stesso villaggio, si conoscono da sempre e che il poliziotto gli deve la vita. Il poliziotto replica con forza: “Saremo pari una buona volta, disse mio padre, e il pittore: Ascolta, Jens, ci sono cose alle quali io non posso rinunciare. Non ho rinunciato quella volta quando mi sono tuffato per ripescarti e tanto meno posso rinunciarvi adesso. Perché tu non rimanga all’oscuro, sappi che continuerò a dipingere. Farò quadri invisibili. Ci sarà tanta luce che voi non vedrete niente. Quadri invisibili” [10].


Anche la descrizione fisica del pittore è molto simile ai pochi ritratti che Nolde fece di se stesso. Da notare il riferimento, nelle prime pagine del romanzo, al cappello di feltro (Nolde ne aveva sempre uno) e al modo con cui lo indossava, ed anche agli occhi grigio-azzurri. “Portava un cappello, un cappello di feltro calato sulla fronte tanto che gli occhi grigi si trovavano nella breve ma diretta ombra della tesa. Il cappotto era vecchio, liso sulla schiena: era il cappotto azzurro con le tasche inesauribili dove, come ci disse una volta con aria minacciosa, poteva persino far scomparire i bambini che lo disturbavano mentre lavorava” [11].

È ugualmente vero che sia Nansen nella finzione letteraria sia Nolde nella vita reale rimangono vedovi, dopo un lungo matrimonio, forte e intimo (con Ditte nel romanzo e Ada nella realtà, entrambe decedute di polmonite, entrambe cantanti, che avevano entrambe sacrificato le loro carriere per aiutare i mariti, in momenti di estrema necessità economica e isolamento artistico).

Anche altre caratteristiche della personalità corrispondono: nel romanzo, in occasione del compleanno per i 60 anni del suo amico di una vita Theo Busbeck (gallerista e critico d’arte di Colonia che lo aveva sostenuto nei momenti più difficili e che adesso viveva con lui in questa regione dell’estremo nord della Germania) Max Nansen spiega “Non sono molto amante dei discorsi” [12] e parla “usando sovente il participio” [13]. Lenz sapeva dalle memorie che Nolde non aveva un buon controllo del tedesco, e che faceva un uso frequente e grammaticamente scorretto del participio attivo, preso a prestito dal danese (come il nostro gerundio, che in tedesco non esiste). Le memorie di Nolde [14] ed il ‘Libro dell’amicizia’ su Nolde di Hans Fehr [15] (il suo più grande amico, uno svizzero; è il modello per il gallerista di Colonia) contengono una descrizione molto simile di quel che successe durante il 70esimo compleanno di Nolde nel 1937. A Nolde era stato appena notificato il divieto di dipingere; era prevista una celebrazione in pompa magna, ma, temendo che potesse essere vista come una provocazione dalle autorità di polizia, i festeggiamenti furono fatti solo da uno sparuto gruppo di una ventina di amici.


L’immagine di Nolde tra realtà e spirito del Settantotto

Per molti aspetti, Lenz ha fabbricato nel romanzo un personaggio (Max Nansen) che è un Nolde ‘migliore’. Ciò non è solamente richiesto dalle esigenze narrative del suo romanzo, ma è anche in linea con le proprie preferenze personali e con lo spirito del tempo. Siamo nel Sessantotto e la Germania è – insieme alla Francia – il centro della rivolta studentesca in Europa. I due slogan prevalenti sono ‘Fantasia al potere’ e ‘Si vieta di vietare’. La figura storica di Emil Nolde offre, da quest’angolo, alcuni motivi d’ispirazione agli studenti che manifestano nelle piazze.

Nolde può essere visto come una vittima di un potere opprimente. Infatti, l’arte di Nolde è stata classificata dal Nazionalsocialismo come ‘degenerata’ e il pittore è uno dei pochi artisti tedeschi (insieme a Karl Schmidt-Rottluff e Erwin Scharff) ad aver ricevuto il divieto perentorio di non dipingere, divieto il cui controllo è affidato alla polizia e, in second’ordine, alla Gestapo. In precedenza il pittore aveva dovuto subire la cancellazione di diverse mostre, il sequestro di 1052 opere d’arte esposte in collezioni pubbliche e private (egli era l’artista di maggior successo della Repubblica di Weimar) e infine l’ordine di consegnare alle autorità la sua intera produzione artistica degli ultimi due anni (54 pezzi, tutti confiscati).


Tre ulteriori caratteristiche fanno di Nolde una figura d’ispirazione per l’epoca della rivolta studentesca. In primo luogo, come già detto, ha violato il divieto, producendo clandestinamente circa 1300 acquarelli, chiamati “immagini non dipinte”. Si oppone dunque attivamente alle autorità, anche se in forma segreta. In secondo luogo, è pittore contrario a tutte le convenzioni formali del suo tempo, praticando un tipo d’arte guidata esclusivamente dall’immaginazione; un pittore che può essere descritto come guidato dalle proprie preferenze personali, come un individuo libero. Ed infine è ancorato al territorio, alla sua regione, al suo paesaggio, e molto lontano dai giochi di potere commerciale del mercato dell’arte. 

E tuttavia una verifica della realtà permette facilmente di costatare che la ricostruzione romanzata di Nolde non è aderente alla realtà. Max Nansen si differenzia dal pittore reale in cinque aspetti: (i) la biografia, (ii) l’ideologia, (iii) gli eventi specifici, (iv) gli aspetti estetici e (v) il rapporto con il territorio. 


La biografia

La vita immaginaria di Nansen contenuta nel romanzo [16] lo vede come un oppositore molto più deciso del nazional-socialismo di quanto Nolde sia mai stato. Come membro della minoranza tedesca nella regione danese dello Schleswig del Nord (conservò la nazionalità danese anche quando traslocò a Seebüll in Germania), Nolde fu – forse indirettamente, attraverso la sua partecipazione in un sindacato – membro di un partito affiliato al NSDAP (il partito nazista), e non vi è alcuna prova che lo abbia mai lasciato (al contrario, vi sono elementi documentali, inclusi alcune carte recentemente scoperte in Svizzera nel 2013, che egli appoggiò il regime, nonostante fosse vittima di persecuzione da parte del regime stesso). In realtà Emil Nolde aveva sempre sostenuto che la propria persecuzione da parte dei nazisti era soprattutto il risultato d’incompetenza e fraintendimenti (scrisse al ministro Josef Goebbels che la sua arte era “tedesca, forte, austera e profonda”, sperando in tal modo di ottenere la restituzione delle sue opere). La pubblicazione delle nuove ricerche di Bernhard Fulda e Aya Soika sarà cruciale per stabilire la verità.


L'alter-ego di Nolde prodotto da Lenz (ovvero Max Ludwig Hansen) è invece contrario al nazionalsocialismo. Abbandonato ‘con disgusto’ un movimento nazionalista di cui è stato membro prima della presa del potere da parte del nazional-socialismo, Hansen rifiuta numerose cariche offerte dai nazisti, si dimette da altre di natura accademica e restituisce la tessera del partito nazional-socialista. Certamente è un nemico ‘privato’, giacché non cerca mai di creare una resistenza di gruppo degli artisti, ma chiaramente un nemico. Un nemico ancora rispettoso delle buone regole di cavalleria, che è ancora in grado di distinguere tra individui (come il poliziotto) e autorità. Dopotutto, non odia il poliziotto che lo perseguita, dal momento che i due si conoscono da anni e provengono dallo stesso paese (un’ingenuità di Lenz: le guerre civili sono sempre state combattute tra gli abitanti degli stessi villaggi, nati all’interno di dieci chilometri quadrati).


Gli elementi ideologici

Ho già spiegato, nel saggio sulle memorie di Nolde, che i suoi scritti precedenti la guerra rivelano la sua prossimità con l’antisemitismo e molti altri aspetti dell’ideologia nazista. Nel romanzo tutti questi riferimenti scompaiono. In realtà, in occasione della mostra retrospettiva su Nolde di Francoforte, tenutasi al Museo Städel nel 2014, ed anche in seguito ad un articolo di estrema durezza del germanista Jochen Hieber, pubblicato sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung il 25 aprile 2014 [17], molti critici hanno rimproverato a Lenz di essere caduto in una trappola, e di aver creduto all’“identità rivisitata” che Nolde ed altri erano stati in grado di costruire dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Qualche giorno prima dell’articolo, parlando sullo stesso tema a Marbach (dove si trova il suo intero archivio personale), Siegfried Lenz aveva ammesso che Nolde era una personalità problematica (problematischer Mensch) e che si era comportato politicamente “in modo un po’ catastrofico” (ein bisschen katastrophal). Lenz sostenne di aver intenzionalmente offerto nel romanzo un’immagine ambivalente del pittore, senza dare altri chiarimenti.


Eventi specifici

Se si considerano episodi specifici nella finzione romanzata, Max Ludwig Nansen assume iniziative o si trova esposto a eventi avversi di cui non vi è evidenza alcuna nelle memorie di Nolde. Molto probabilmente Nolde non pensò mai di nascondere né di proteggere un disertore della Wehrmacht: dopotutto, era un crimine gravissimo e non pochi civili che aiutarono disertori furono fucilati sul posto (importante da sapere: Siegfried Lenz disertò invece dalla Kriegsmarine in Danimarca e si salvò venendo preso prigioniero dagli inglesi; il figlio maggiore del poliziotto è dunque forse un personaggio autobiografico). In secondo luogo, è possibile che la Gestapo abbia fatto sopralluoghi alla casa di Nolde a Seebüll, ma non c’è alcuna prova che lo abbia interrogato per alcuni giorni, trasferendolo dalla sua abitazione ad una caserma della polizia politica, così come accade a Nansen nella finzione del romanzo. Numerosi studiosi pensano che l’attuazione del divieto sia stata abbastanza leggera, se messa a confronti coi ‘normali’ metodi della Gestapo. A Nolde fu  permesso di muoversi all’interno del Terzo Reich (andò a Berlino e a Vienna) e, almeno in una prima fase, di vendere opere d’arte (fu l’amministrazione tributaria tedesca ad accorgersi che Nolde aveva ancora introiti importanti dalla vendita di opere d’arte. L’amministrazione fiscale scoprì che il pittore aveva un reddito di 80 mila marchi nel 1940, nonostante tutte le precedenti limitazioni. Fu forse questa la ragione del divieto totale del 1941. Insomma, sfidava il divieto, ma pagava le tasse all’amministrazione che lo perseguitava!)


Questioni estetiche

All’epoca in cui Lenz preparò e scrisse il romanzo l’opinione ancora prevalente fra i critici d’arte (discussa in modo davvero affascinante nella monografia di Werner Haftmann del 1957) era che Nolde creasse arte in una sorta di stato primordiale, come se fosse in trance. Per spiegare tale situazione, i critici tedeschi facevano riferimento allo stato estatico che cercavano di raggiungere i seguaci di Pan e dei miti orfici nell’antica Grecia: anche nel romanzo, un critico d’arte dal nome inventato di Hans-Dieter Hübscher (che a mio parere rappresenta Werner Haftmann) sostiene questa tesi: “Il critico amburghese, parlando, non seguì la traccia di alcun foglietto. Parlò con disinvoltura e per tutto il tempo tenne gli occhi chiusi. Passandosi di tanto in tanto la lingua sulle labbra, abbozzando sorrisi ansiosi come se le parole usate non avessero la sua approvazione, ma rappresentassero per così dire un ripiego, si espresse in frasi brevi e si diffuse su ogni componente del pittore Nansen, dall’ “intuizione della forza panica della natura” fino al suo “possente pathos espressivo” (…) [e] al nuovo concetto di spazio e linguaggio geroglifico [e alla] ricerca della condizione primigenia dell’essere umano. (…) Il critico (…) menzionò le costanti categorie pittoriche: spazio, colore, luce ed elemento decorativo. (…) In quel momento il critico si mise a parlare delle serie cromatiche che Nansen cercava, sempre e dovunque, di fondere nella cosiddetta “sonorità essenziale”, di portare a una tensione tonale che invadesse tutto (…). Per finire Hübscher disse: ‘La sua opera testimonia come un contenuto presagito si trasformi in pittura grazie all’immagine sonora’ ” [18].

E tuttavia, se si eccettua questa pagina in cui le parole sono messe in bocca a un critico, Lenz evita un’interpretazione tutta ‘irrazionale’ e ‘spiritualista’ dell'arte di Nansen. Tale spiegazione era coerente con le teorie estetiche del primo Novecento (si pensi al cosiddetto ‘sacerdozio dell’arte’) ma non più con quelle del 1968. Da questo punto di vista le lunghe considerazioni su arte e creazione artistiche che Lenz spende quando racconta dell’ultimo autoritratto di Nansen (si veda la seconda parte di questo post) sono un tentativo di razionalizzare. Credere nello slogan settantottino della ‘fantasia al potere’ significa per Lenz credere nella capacità consapevole dell’artista di ‘moltiplicare, modificare e dominare’ la realtà in termini attivi, di immaginare quel che non esiste ancora, e non di essere un medium passivo che fa operare mozioni primordiali sulla superficie. 


I rapporti con il territorio

Lenz mostra Max Nansen come un uomo perfettamente integrato nell’ambiente sociale del suo villaggio. In realtà le memorie di Nolde spiegano che egli non riuscì mai a convincere i suoi paesani della bontà della sua arte, che fu compresa solamente nei grandi centri urbani. Inoltre, egli era una persona con una vita molto riservata, quasi introverso e spesso burbero, legato emotivamente solo alla moglie  e ad un circolo di amici molto ristretto. Pensarlo al centro della vita di un villaggio era davvero fuori della realtà.


Come produrre un eroe al momento giusto

In conclusione, la somma di queste differenti variazioni produce un cambiamento importante nel tema originario. Una variazione ‘migliore’ dell’identità originaria di Nolde che è stata proposta intenzionalmente da Siegfried Lenz, in un romanzo che è stato ricevuto entusiasticamente da un’intera generazione.

Per gli studenti in rivolta, la pubblicazione del nuovo romanzo era un segno di rinnovamento della letteratura tedesca e l’ammissione di alcune debolezze strutturali del modello tedesco di società creato dall’età bismarckiana. Affrontare in modo critico il tema delle “gioie del dovere” è una maniera per interrogarsi complessivamente  su quale debba essere l’attitudine della società tedesca di fronte agli ordini che può ricevere dalle sue autorità.  

Per le autorità stesse, nella Germania di Willy Brandt, il libro divenne una nuova fonte d’identità e di legittimazione, che offriva una nuova lettura della società tedesca e mostrava che ci furono coloro che seppero resistere all’interno del paese. Il romanzo fu perciò immediatamente inserito da diversi governi regionali tra i testi che dovevano essere letti a scuola, per gli esami di maturità. Il libro divenne anche ideale ambasciatore della nuova Germania, e fu un best-seller anche in Israele, Polonia ed Unione Sovietica, i paesi che più avevano sofferto dalla Germania nella Seconda Guerra Mondiale (Willy Brandt chiese a Lenz – insieme a Günter Grass – di accompagnarlo a Varsavia, per una visita rimasta famosa perché si inginocchiò davanti al monumento del milite ignoto).

La variazione letteraria di Emil Nolde, inventata da Sigfried Lenz, era talmente superiore all'originale che un processo di sostituzione mentale si è materializzato. A partire dal 1968 – visitando le mostre di dipinti di Nolde – il pubblico tedesco ha avuto la possibilità di fondere il meglio delle due personalità: Emil Nolde come autore di un’arte splendida e Max Ludwig Nansen come l’eroe positivo di una nuova società tedesca. La letteratura ha modificato permanentemente il corso della storia dell’arte.

Fine della Parte Prima


NOTE

[1] Beschreibungskunst - Kunstbeschreibung: Ekphrasis von der Antike bis zur Gegenwart (Bild und Text), [L’arte della descrizione, la descrizione dell’arte: L’ecfrasi dall’antichità al presente], A cura di Gottfried Boehm ed HelmutPfotenhauer, Padeborn, Wilhelm Fink Verlag, 1995, 642 pagine.

[2] Dethurens, Pascal - Ecrire la peinture : De Diderot à Quignard, Parigi, Citadelles et Mazenod, 2009, 492 pagine.

[3] Petersen, Swantje - Korrespondenzen zwischen Literatur und bildender Kunst im 20. Jahrhundert. Studien am Beispiel von S. Lenz - E. Nolde - A. Andersch - E. Barlach - P. Klee, H. Janssen - E. Jünger und G. Bekker (Corrispondenze tra letteratura e belle arti. Studi sui casi di S. Lenz, E. Nolde, A. Andersch, E. Barlach, P. Klee, H. Janssen, E. Jünger e G. Bekker), Francoforte sul Meno, Peter Lang, 1995, 314 pagine.

[4] Grothmann, Wilhelm H. - Siegfried Lenz‘ Deutschstunde. Eine Würdigung der Kunst Emil Noldes (La Lezione di Tedesco di Siegfried Lenz. Un omaggio all’arte di Emil Nolde), in „Seminar: A Journal of Germanic Studies“, Volume 15, Number 1 / 1979, University of Toronto Press.

[5] Lenz, Siegfried - Deutschstunde Roman, Amburgo, Hoffmann und Campe, 2008, 462 pagine.

[6] Lenz, Siegfried - Deutschstunde Roman, Amburgo, Hoffmann und Campe, 1968, 559 pagine.

[7] Lenz, Siegfried – Lezione di tedesco, Vicenza, Neri Pozza, 2006, 506 pagine.

[8] Lenz, Siegfried – The German Lesson, New York, New Directions Publishing, 470 pagine.

[9] Lenz, Siegfried – Lezione di tedesco, (citato), pp. 12-13

[10] Lenz, Siegfried – Lezione di tedesco, (citato), p. 83

[11] Lenz, Siegfried – Lezione di tedesco, (citato), p.  29

[12] Lenz, Siegfried – Lezione di tedesco, (citato), p.  72

[13] Lenz, Siegfried – Lezione di tedesco, (citato), p.  73

[14] Nolde, Emil – Mein Leben (La mia vita), Colonia, A cura di Manfred Reuther, DuMont, 2013, 455 pagine, citazione a pagine 430-431.

[15] Fehr, Hans – Emil Nolde. Ein Buch der Freundschaft (Un libro dell’amicizia), Monaco, Paul List Verlag, 1960, 149 pagine, citazione a pagine 120-121.

[16] Lenz, Siegfried – Lezione di tedesco, (citato), pp.163-165.

[17] Hieber, Jochen - Der Fall Emil Nolde, in Frankfurter Allgemeine Zeitung, 25 Aprile 2014. Si veda http://www.faz.net/aktuell/feuilleton/buecher/der-fall-emil-nolde-wir-haben-das-falsche-gelernt-12908490.html

[18] Lenz, Siegfried – Lezione di tedesco, (citato), pp. 461-462.





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