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giovedì 15 dicembre 2016

Marina Abramović con James Kaplan. Attraversare i muri. Un'autobiografia. Parte Prima



Marina Abramović con James Kaplan
Attraversare i muri. Un’autobiografia

Traduzione di Alberto Pezzotta
Milano, Bompiani, 2016, 411 pagine

Recensione di Francesco Mazzaferro
Prima parte

[Versione originale: dicembre 2016 - nuova versione: aprile 2019]

Fig. 1) La copertina del libro

Davvero un bel libro [1], che si legge in modo scorrevole e di cui, secondo me, si parlerà molto anche nei prossimi anni. Subito dopo la prima edizione inglese, dell’ottobre 2016 (il titolo originale è Walk through Walls. A Memoir), ne sono uscite la versione in tedesco (a novembre:  Durch Mauern gehen: Autobiografie) e in italiano (Attraversare i muri: Un’autobiografia), e non mancheranno traduzioni in altre lingue. Le edizioni italiana e tedesca chiariscono opportunamente il significato del termine “Memoir”, che compare nel titolo inglese originale: non si deve pensare a una ‘raccolta di ricordi’ in senso stretto, ma ad una vera e propria ‘autobiografia’. In altre parole, siamo di fronte al tentativo da parte dell’artista di offrire un’immagine complessiva della propria personalità e del significato della propria vita. Dal punto di vista della letteratura artistica, il libro descrive anche la storia della trasformazione della performance art da sperimentazione a canone artistico, in una lunga parabola che inizia nei circoli artistici degli studenti alternativi di Belgrado e si conclude (almeno per ora) con la creazione del Marina Abramović Institute di New York.

Marina Abramović (1946-) ha firmato il testo insieme a James Kaplan (1951-), giornalista, autore e ghost-writer di successo. Sarebbe facile attribuire alla mano esperta di quest’ultimo i meriti e le qualità letterarie del testo: basterà ricordare alcune autobiografie che James ha co-firmato negli ultimi venti anni con figure molto diverse, come il tennista John McEnroe nel 2002 [2] e l’attore Jerry Lewis nel 2006 [3]. E tuttavia non mi pare un argomento dirimente: non si può certo escludere – ed è in realtà assai probabile – che molti fra i pittori, gli scultori e gli architetti che hanno dato mano a scritti nel corso dei secoli siano stati aiutati da uomini di lettere, per rivedere i loro testi e spesso per assicurarsi che il loro tentativo di dare forma scritta ai loro concetti sull’arte fosse più facilmente leggibile.

Quel che mi sembra invece davvero significativo è che un’artista come Marina Abramović abbia scelto lo strumento del libro per narrare la propria vita e per offrire un’interpretazione autentica della propria arte. L’Abramović è stata infatti, negli ultimi decenni, la teorica di un’arte che si estende nel tempo ma è effimera in termine di produzione fisica, basata per lo più su performance che si sviluppano per giorni (a volte settimane e mesi) e che spesso non lasciano traccia fisica alcuna (se non quella di essere documentate su video che richiederebbero la disponibilità di ugual tempo per essere visionati). L’unica eccezione è costituita dai cosiddetti “oggetti transitori” [4], ovvero oggetti inclusi in istallazioni partecipative, che devono consentire allo spettatore di condividere quell’energia che è emanata dalle performance di lunga durata di Marina, energia che transita appunto grazie all’intermediazione degli oggetti.

L’autobiografia della Abramović, come pure molti altri testi dei maggiori artisti contemporanei, testimoniano che la letteratura artistica non è un fenomeno che appartiene a un arco cronologico vasto, ma limitato. Quella letteratura non ha infatti solamente caratterizzato – come nella ricostruzione storica canonica di Julius von Schlosser – il periodo che va dal Medio Evo alla fine del Settecento e che spesso viene definito come l’epoca tradizionale delle belle arti, ma è ancor oggi al centro della riflessione su ogni forma di creazione artistica. La buona notizia è che la letteratura artistica gode di ottima salute. La cattiva notizia è che esplorarla rimane una fatica di Sisifo: quanto più sono i contributi di cui si arricchisce grazie a vecchie e nuove tecnologie (si pensi alla grande offerta di materiale filmato oggi disponibile sull’Internet) tanto più diviene necessario ripensare anche il passato. Il concetto di letteratura artistica non può che evolvere con il tempo, come del resto è del tutto naturale attendersi.

I creatori d’arte – che siano gli antichi o i moderni – generano letteratura artistica perché hanno bisogno di una strategia di comunicazione; non possono solamente far affidamento sulla semplice produzione delle loro opere e sul fatto di mostrarle al pubblico (ampio o ristretto ch'esso sia). Se qualcuno scrivesse una teoria della letteratura artistica oggigiorno, lo dovrebbe fare avendo come punto di partenza la necessità assoluta per gli artisti di mettere per iscritto (ma oggi anche di usare altri strumenti mediatici) ogni elemento concettuale che spieghi le loro creazioni. Non può sorprendere che la letteratura artistica sia esplosa tra diciannovesimo e ventesimo secolo, con la moltiplicazione di testi individuali e manifesti collettivi degli artisti in risposta allo sviluppo dell’estetica e della critica d’arte. Allo stesso modo non può sorprendere che in quegli anni la letteratura artistica fosse meno sviluppata, almeno in termini comparativi, nell’ambito di quegli indirizzi stilistici (come l’impressionismo francese) che meno facevano riferimento ad una concettualizzazione della realtà.

Marina Abramović, da questo punto di vista, conferma la regola: più l’artista è lontano dall’assicurare che la sua creazione artistica sia immediatamente compresa dal pubblico, più l’uso del linguaggio si rivela necessario. I testi di accompagnamento con le istruzioni per le performance (li si veda sotto le fotografie in questo post), sono frutto della stessa artista e compaiono perché il pubblico le possa comprendere; in questo senso mi ricordano i brevi scritti letterari, i tituli, che anonimi artisti medievali scrivevano sotto o all’interno di mosaici ed affreschi per commentare le loro immagini. E, non da ultimo, l’uso del genere autobiografico ricorda anche il più famoso caso di autobiografia nella letteratura artistica: quella di Benvenuto Cellini.


Letture parallele: Marina Abramović e Benvenuto Cellini

Quel che è assolutamente evidente è che lo scritto dell’Abramović è concepito come un’opera letteraria che offre molti suoi punti di vista ed elementi d’informazione sulla sua arte e sui circoli intellettuali nell’ambito dei quali tale arte si è sviluppata (prima nell’ex-Jugoslavia, poi ad Amsterdam e quasi dappertutto in Europa ed infine negli Stati Uniti). Tuttavia, il testo è soprattutto la storia di una persona: una donna ribelle e sensuale, educata nella Jugoslavia comunista da una famiglia di eroi di guerra secondo modelli rigidissimi (per prepararla ad  attraversare i muri, come dice il titolo [5]). L’Abramović impara perciò ad “accettare e vincere il dolore [6], ma a differenza di quanto sperato dalla madre, farà uso di tale capacità non per rimanere fedele ai valori della sua società, ma per sfidarne ogni convenzione, conducendo una vita fuori dal comune tra Europa e Stati Uniti e riuscendo infine ad ottenere emancipazione, riconoscimento e successo, al punto da riuscire a creare il proprio metodo d’arte: il metodo Abramović, basato proprio su quella disciplina e sulla resistenza al dolore. È anche la storia di una giovinezza molto difficile ed infelice (le pagine sul rapporto complesso con la madre Danica, il padre Vojin e la nonna Milica sono davvero belle) e di storie d’amore intense (con il performance artist tedesco Frank Uwe Laysiepen, detto Ulay, e con l’artista italiano d’arte contemporanea Paolo Canevari). È anche uno scritto sul tentativo, condotto lungo la vita intera, di vivere una vita senza alcun compromesso intellettuale, ed al prezzo di povertà estrema ed isolamento; proprio per questo è a volte un testo molto duro.

Può sembrare strano, ma qualcosa di simile può essere detto della più famosa autobiografia della letteratura artistica: “La vita di Benvenuto Cellini da lui medesimo scritta”, che l’artista fiorentino, ormai vecchio, dettò ad un giovane assistente tra il 1558 ed il 1562. Il testo circolò per due secoli come manoscritto, fino a quando fu pubblicato per la prima volta nel 1728 [7], venendo poi tradotto in molte lingue nel giro di cent’anni (in inglese da Thomas Nugent nel 1771, in tedesco da Goethe nel 1796 ed in francese da André-Philippe Tardieu de Saint-Marcel nel 1822). L’autobiografia ispirò Victor Berlioz a comporre l’opera lirica omonima tra 1834 e 1838, mentre Franz Liszt scrisse un articolo su “La Pensée de Benvenuto Cellini” nel 1838. In altre parole, tra primo Settecento e primo Ottocento, l’autobiografia dell’artista – appena riscoperta – ebbe un successo epocale e globale, al punto che Cellini era più conosciuto per il testo letterario che per le sue opere.

Vi sono ovviamente molte differenze tra l’Abramović e Cellini: il manoscritto di Benvenuto, pur essendo stato letto e forse rivisto dallo scrittore ed umanista Benedetto Varchi (1503 –1565), non fu pubblicato per circa 170 anni, forse anche per i contenuti scabrosi ed amorali; in termini più sostanziali, Cellini fu un artefice di materiali preziosi (soprattutto oro ed argento), e dunque un produttore di beni materiali; certamente non un autore di arte immateriale ed effimera come l’Abramović. E tuttavia, anche la sua autobiografia fu scritta con lo scopo di descrive una personalità ribelle, che sfida ogni convenzione morale ed autorità politica. Cellini commise ripetutamente omicidi, ebbe una vita sessuale disordinata e per certi aspetti ancora oggi inaccettabile, nonostante la morale sia cambiata, e praticò la negromanzia. La sua strategia di comunicazione era accrescere il suo successo d’artista con un testo che lo dipingesse come persona di temperamento genuino ed avventuroso, capace di sormontare ogni difficoltà, inclusa la condanna penale e la prigione. Cellini voleva provare di poter vivere senza rispettare una qualsiasi regola, in quanto artista che fabbricava beni preziosi a papi, monarchi e duchi, e da questi era dunque protetto. Un inno al potere dell’arte di guadagnare il controllo sulle cose terrene. L’Abramović non ha mai esercitato violenza su altri, ma ha imparato ad accettare rischio e dolore su se stessa. “Mia madre e mio padre avevano molti difetti; ma erano persone forti e coraggiose, che mi avevano trasmesso molte di queste qualità. C’è una parte rilevante di me che è eccitata dall’ignoto, dall’idea di correre rischi. E quando si tratta di fare cose rischiose, non mi tiro indietro. Mi butto a capofitto [8].


La vita come una performance continua

Marina ha voluto trasformare la sua vita intera in un atto artistico: una performance continua, marcata da simboli estetici visibili. Al punto da decidere – insieme ad Ulay – di scrivere nel 1976 un manifesto per celebrare la sua nuova vite nomade in un vecchio camioncino Citroën.




Art Vital
Nessuna dimora stabile. 

Movimento permanente. 

Contatto diretto.

Relazione locale.

Autoselezione.

Superare i limiti.

Correre rischi.

Energia mobile.

Nessuna prova.

Nessun finale prestabilito.
Nessuna replica.
Vulnerabilità estesa.
Esposizione al caso.
Reazioni primarie [9].


Non posso far a meno di osservare un altro parallelo estetico nell’autobiografia di Cellini, che inizia con un sonetto che celebra anch’esso la sua atipica vita d’artista.

Questa mia Vita travagliata io scrivo
per ringraziar lo Dio della natura
che mi diè l’alma e poi ne ha ’uto cura,
alte diverse ’mprese ho fatte e vivo.

Quel mio crudel Destin, d’offes’ha privo
vita, or, gloria e virtù più che misura,
grazia, valor, beltà, cotal figura
che molti io passo, e chi mi passa arrivo.

Sol mi duol grandemente or ch’io cognosco
quel caro tempo in vanità perduto:
nostri fragil pensier sen porta ’l vento.

Poi che ’l pentir non val, starò contento
salendo qual’io scesi il Benvenuto
nel fior di questo degno terren tosco [10].

Tornando all’Abramović, l’artista si chiede in Attraversare i muri: “Che cos’è l’arte? Se vediamo l’arte come qualcosa di isolato, di sacro e di separato da tutto, significa che non è vita. Mentre l’arte deve essere parte della vita, deve essere di tutti [11]. Rappresenta nel 2011 la performance “An Artist's Life Manifesto”, in occasione di una cena di gala al Museum of Contemporary Art (MOCA) di Los Angeles in 2011, definendo la missione dell’artista con un poema in versi dove riflette su “come un artista deve condurre la sua vita” e sulla sua relazione con la vita sentimentale, l’erotismo, la sofferenza, la depressione, il suicidio, l’ispirazione, l’autocontrollo, la trasparenza, i simboli, il silenzio e la solitudine. Seguono sezioni su “l’artista e iI lavoro”, sui “possedimenti di un artista”, sulle liste degli amici e dei nemici dell’artista e scenari differenti per la sua morte ed il suo funerale. Il testo è riprodotto alla fine di questa prima parte della recensione.

Vita e simboli

Arte e vita sono legati fra loro da simboli: “Il mio lavoro e la mia vita sono intimamente connessi. Nel corso della mia carriera ho realizzato lavori il cui significato inconscio mi è diventato chiaro con il passare del tempo. In Point of Contact eravamo vicinissimi, eppure quel millimetro che ci separava, quello iato che alla fine impediva la fusione delle nostre anime, era insopportabile. In Rest Energy Ulay possedeva il potere di distruggermi, di spezzarmi letteralmente il cuore. In Nature of Mind, Ulay era un passaggio della mia vita, breve ma molto importante, intenso come un lampo perché le emozioni in gioco erano molto forti, ma destinato a dissolversi con altrettanta rapidità [12].

Quando Ulay e Abramović decidono di sposarsi, pianificano di farlo alla fine di una performance di lunga durata: percorreranno a piedi la Grande Muraglia cinese, ognuno partendo da un estremo ed il matrimonio sarà celebrato nel punto d’incontro. “Il nostro progetto era che io cominciassi il cammino dall’estremità orientale e femminile della Muraglia – il golfo di Bohai nel Mar Giallo – e che Ulay partisse dall’estremità occidentale e maschile, il passo di Jiayu nel deserto del Gobi. Dopo aver percorso ciascuno 2500 chilometri, ci saremmo incontrati a metà [13]. Per Marina quest’impresa, destinata a durare tre mesi, doveva essere l’equivalente della marcia eroica con cui il padre aveva salvato una brigata partigiana, attraversando l’impervio monte Igman in una notte d’inverno, nonostante la tormenta di neve ed il freddo polare [14]. Ma le riserve delle autorità cinesi (che non volevano che la Grande Muraglia fosse percorsa a piedi per la prima volta nel quadro di una performance di artisti stranieri) rallentarono il piano. Dovettero aspettare che un art performer cinese concludesse la marcia. Ma, dopo la fine della relazione tra l’Abramović ed Ulay, quel che doveva essere un matrimonio divenne una cerimonia per certificare la conclusione del loro rapporto.


Biography: la vita come arte

Le esperienze autobiografiche sono cruciali per comprendere l’arte di Marina Abramović. Lo testimonia non solamente Attraversare i muri, ma anche un lavoro del 1992 che, a mio parere, è il predecessore dell’autobiografia. Mi riferisco ad un’opera teatrale intitolata “Biography”, dove si fondono nuove performance, testi sulla vita e ripetizioni delle vecchie performance. Devo notare, per inciso, che la recente autobiografia non dedica molto spazio a questo lavoro, forse perché duplica il contenuto delle memorie.

Mi sembra che Biography, che tra 1992 e 1994 fu allestito a Madrid, Kassel, Vienna, Francoforte, Berlino, Amburgo, Parigi, Atene, Amsterdam ed Anversa, sia un passaggio cruciale, perché conferma l’incrocio tra performance, letteratura e biografia ben prima che l’autrice pubblicasse in questi giorni la sua autobiografia. Sono riuscito a recuperare una versione del 1994 della pubblicazione che ha accompagnato l’opera (una specie di libretto). Mostra immagini di ripetizioni delle vecchie performance combinate con brevi frasi sugli episodi cruciali della vita dell’autrice. La natura effimera di quei pezzi, che avevano origine in performance eseguite fin dagli anni Settanta, è dunque in qualche modo superata con la loro ripetizione a distanza di decenni.

Alla fine vi è un poema basato su parole chiave, con cui Marina sceglie di narrare la propria storia; il componimento si conclude con la recente separazione da Ulay: “Armonia / Simmetria / Barocco / Neo Classico / Puro / Pulito / Brillante / Lucido / Scarpe con tacco alto / Erotismo / Giro in tondo / Abramović / Drammatico / Latte / Vodka / Piacere piacere / Prendiamo un taxi / Paesi lontani / Pericolo / Tigri / Fotogenico / Ex-cannibali / Ispirazione / Cibi deliziosi / Quattro chiacchere / Farfalle farfalle / Questo e quello / Dammi un bacio / Buona giornata / Dammi una sigaretta / Dove è la musica / Da ora in poi devi pensare a noi due, ragazzo / Addio / Estremi / Purezza / Stare insieme / Intensità / Addio / Gelosia / Struttura / Tibetani / Pericolo / Addio / Solitudine / Infelicità / Lacrime / Addio / Ulay” [15].  Una nuova versione di Biography, con il titolo “The Biography Remix”, viene allestita a Roma nel 2004 a Rome; Ulay è rappresentato dal figlio. È un evento di risonanza mondiale [16].

A Biography segue immediatamente Delusional, “l'opera teatrale in cinque atti che Charles Atlas e io mettemmo in scena a Francoforte nella primavera del 1994 su invito di Tom Stromberg, direttore del Theater am Turm, uno dei teatri più d’avanguardia d’Europa. Era un’opera grande e complicata – fin troppo; ma conteneva i semi di lavori che avrei realizzato in modo più soddisfacente negli anni a venire. (…) Delusional in realtà parlava di tutto ciò di cui mi vergognavo: l’infelicità coniugale dei miei genitori, la mia sensazione di non essere amata, mia madre che mi picchiava, i miei genitori che si picchiavano [17]. 
Ed infine la serie di performance a carattere autobiografico è completata da The Life and Death of Marina Abramović, allestita nel 2011 da Bob Wilson e rappresentata per la prima volta al Manchester International Festival, e da allora a Madrid, Basilea, Anversa, Amsterdam, Toronto e New York (http://www.robertwilson.com/life-and-death-of-marina-Abramović/). L’artista si era dunque già raccontata diverse volte sul palcoscenico, prima di farlo nell’odierna autobiografia.


Rendere replicabile l’arte effimera

Walter Benjamin ha pubblicato nel 1936 un famosissimo saggio su “L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica”, in cui si chiede quale sia la conseguenza della possibilità di riprodurre infinitamente opere una volta concepite per essere ammirate dallo spettatore in poche occasioni nel corso della vita [18]. Il percorso dell’Abramović è per certi versi inverso: crea – come processo rivoluzionario – opere intenzionalmente effimere per evitare la loro riproducibilità, e poi si pone il problema di come renderle ripetibili, senza che esse perdano la loro originalità.

Se Biography era stato il primo passo per rendere replicabili le performance del passato, la performance Seven Easy Pieces, un lavoro di sette giorni rappresentato al Guggenheim Museum di New York nel 1997, ha segnato una tappa ulteriore lungo quel percorso. L’Abramović ha infatti combinato un nuovo pezzo (Entering the other side) con la riedizione di sei pezzi del passato, di cui uno suo (Rhythm 0) e cinque di altri protagonisti della performance art: “Body Pressure di Bruce Naumann’s, Seedbed di Vito Acconci; Action Pants: Genital Panic di Valerie Export; The Conditioning, First Action of Self-portraits di Gina Pane’s; (…) How to Explain Pictures to a Dead Hare di Joseph Beuys [19]. L’obiettivo è di creare un “modello futuro per ricreare le performance di altri artisti: “Stabilii alcune condizioni preliminari: primo, chiedere l’autorizzazione dall’artista (o alla Fondazione o agli eredi, nel caso in cui l'artista fosse morto); secondo, corrispondere una royalty all'artista; terzo, eseguire una nuova interpretazione della performance, mettendo in chiaro la fonte; quarto, rendere visibili i video e i materiali della performance originale” [20]. Era un modo di “raccontare la storia della performance art in modo sia da rispettare il passato sia da lasciare spazio alla reinterpretazione [21].

“Nel caso di The Conditioning di Gina Pane, la parte in cui lei si sdraiava su un telaio metallico sopra candele accese durava in origine diciotto minuti. Dato che volevo personalizzare tutti i pezzi, dilatai anche la durata di The Conditioning a sette ore. E dato che non avevo fatto nessuna prova dei pezzi eseguiti (mi basavo solo sul concept e sui materiali documentari), non mi sono resa conto di quanto sarebbe stato difficile stare sdraiata su candele accese per un periodo così lungo. A un certo punto i miei capelli rischiarono di prendere fuoco” [22].


Il metodo Abramović

Per contribuire a superare la natura effimera dell’arte senza dovere ricorrere alla produzione di oggetti fisici, l’artista crea un “metodo” che può essere insegnato. “L’insegnamento e i workshop su cui si basava tutto il resto sono stati una parte importante della mia carriera per più di un quarto di secolo, e non solo dal punto di vista economico. Ho insegnato in tanti posti: Parigi, Amburgo, Berlino, Kitakyūshū nel Giappone meridionale, Copenhagen, Milano, Roma, Berna e (il periodo più lungo di tutti: otto anni) Braunschweig nel nord della Germania. In ogni posto, cominciavo sempre con un seminario per gli studenti. Lo scopo era insegnare resistenza, concentrazione, percezione, autocontrollo, volontà, confronto con i limiti fisici e mentali. Questo era il nocciolo di ciò che volevo trasmettere [23]. L’Abramović porta gli studenti “all’aperto, in un posto che era sempre o troppo freddo o troppo caldo, comunque mai comodo. E mentre digiunavamo dai tre ai cinque giorni, limitandoci a bere acqua e infusi, rimanevamo in silenzio ed eseguivamo alcuni esercizi semplici [24] per controllare il corpo. “Gli studenti spesso mi chiedono che cosa mi aspetto che ottengano da questi seminari, e che cosa ottengo da loro. Rispondo che dopo il seminario i partecipanti trovano un’esplosione di energia positiva e un flusso di nuove idee. Chiarezza sul loro lavoro. La sensazione generale che la fatica è stata utile. E lo spirito di unità che si è creato tra loro e me. A quel punto entriamo in aula e lavoriamo [25].

Per promuovere il metodo, si crea il Marina Abramović Institute (http://marinaAbramovićinstitute.org/). Il MAI esplora, sostiene e presenta performance. Il MAI incoraggia la collaborazione tra le arti, la scienza e gli studi umanistici. Il MAI nasce per portare avanti le idee di Marina Abramović [26].

Nel 2012 il Metodo Abramović è il tema di una mostra a Milano. “E per la prima volta avrei usato il Metodo Abramović per preparare il pubblico a partecipare. (…) Lavorammo con gruppi di venticinque persone ogni due ore. All’ingresso, ai partecipanti era richiesto di riporre in un armadietto tutti gli effetti personali – compresi cellulari, orologi e computer – e di indossare camici bianchi da laboratorio e cuffie insonorizzate (…)” [27]. Gli organizzatori guidano “i partecipanti in un esercizio di riscaldamento per risvegliare i sensi, che comprendeva movimento, stretching, massaggio di occhi, orecchie e bocca. Poi li facevamo sedere, sdraiare o stare in piedi su ogni oggetto per trenta minuti. Così diventavano loro i performer, e il pubblico poteva osservare con binocoli in grado di cogliere i minimi dettagli [per due ore: espressione non tradotta dall’originale inglese]: i movimenti più lievi, l’espressione del volto, la grana della pelle. Il pubblico in tal modo partecipava ed era testimone di una performance che creavamo insieme. E io continuavo a rimuovere sempre più me stessa dal mio lavoro [28].

Dopo una vita dedicata a produrre arte in forma unica ed irripetibile, l’artista scopre la necessità di assicurare continuità nel futuro attraverso la definizione di un canone e la creazione di un’istituzione che preservi il suo lascito. Anche questo è un elemento certo non nuovo nella letteratura artistica attraverso i secoli. È la storia eterna del passaggio, lungo solo lo spazio di una vita, dalla sperimentazione all’accademia.

* * *

Marina Abramović: An Artist's Life Manifesto
1. Come un artista deve condurre la sua vita.
– Un artista non dovrebbe mentire a se stesso o ad altri.
– Un artista non dovrebbe rubare le idee altrui.
– Un artista non dovrebbe compromettersi per il mercato dell'arte.
– Un artista non dovrebbe uccidere un altro uomo.
– Un artista non dovrebbe fare di se stesso un idolo.
– Un artista non dovrebbe fare di se stesso un idolo.
– Un artista non dovrebbe fare di se stesso un idolo.

2. La vita sentimentale di un artista.
– Un artista deve evitare di innamorarsi di un altro artista.
– Un artista deve evitare di innamorarsi di un altro artista.
– Un artista deve evitare di innamorarsi di un altro artista.

3. L'artista e l'erotismo.
– Un artista dovrebbe sviluppare una punto di vista erotico sul mondo.
– Un artista dovrebbe essere erotico.
– Un artista dovrebbe essere erotico.
– Un artista dovrebbe essere erotico.

4. L'artista e la sofferenza.
– Un artista dovrebbe soffrire.
– Dalla sofferenza scaturiscono i migliori lavori.
– La sofferenza porta trasformazioni.
– Attraverso la sofferenza l'artista trascende il proprio spirito.
– Attraverso la sofferenza l'artista trascende il proprio spirito.
– Attraverso la sofferenza l'artista trascende il proprio spirito.

5. L'artista e la depressione.
– Un artista non dovrebbe essere depresso.
– La depressione è una malattia, e dovrebbe essere curata.
– La depressione è improduttiva per l'artista.
– La depressione è improduttiva per l'artista.
– La depressione è improduttiva per l'artista.

6. L'artista e il suicidio.
– Il suicidio è un crimine contro la vita.
– Un artista non dovrebbe suicidarsi.
– Un artista non dovrebbe suicidarsi.
– Un artista non dovrebbe suicidarsi.

7. L'artista e l'ispirazione.
– Un artista dovrebbe guardarsi dentro per arrivare all'ispirazione.
– Più l'artista guarda dentro sé, più diventa tutt'uno con l'universo.
– L'artista è universo.
– L'artista è universo.
– L'artista è universo.

8. L'artista e l'autocontrollo.
– L'artista non dovrebbe avere autocontrollo sulla sua vita.
– L'artista non dovrebbe avere autocontrollo sul suo lavoro.
– L'artista non dovrebbe avere autocontrollo sulla sua vita.
– L'artista non dovrebbe avere autocontrollo sul suo lavoro.

9. L'artista e la trasparenza.
– L'artista dovrebbe dare e ricevere contemporaneamente.
– La trasparenza è ricezione.
– La trasparenza è dare.
– La trasparenza è ricevere.
– La trasparenza è ricezione.
– La trasparenza è dare.
– La trasparenza è ricevere.
– La trasparenza è ricezione.
– La trasparenza è dare.
– La trasparenza è ricevere.

10. L'artista e i simboli.
– Un artista crea i propri simboli.
– I simboli sono il linguaggio dell'artista.
– Il linguaggio, poi, deve essere tradotto.
– A volte è difficile trovarne la chiave.
– A volte è difficile trovarne la chiave.
– A volte è difficile trovarne la chiave.

11. L'artista e il silenzio.
– Un artista deve comprendere il silenzio.
– Un artista deve utilizzare il silenzio per entrare nel suo lavoro.
– Il silenzio è come un'isola in mezzo a un oceano burrascoso.
– Il silenzio è come un'isola in mezzo a un oceano burrascoso.
– Il silenzio è come un'isola in mezzo a un oceano burrascoso.

12. L'artista e la solitudine.
– Un artista deve passare dei lunghi periodi di solitudine.
– La solitudine è estremamente importante.
– Lontano da casa
– Lontano dal proprio studio
– Lontano dalla famiglia
– Lontano dagli amici
– Un artista dovrebbe passare molto tempo vicino alle cascate.
– Un artista dovrebbe passare molto tempo vicino ai vulcani attivi.
– Un artista dovrebbe passare molto tempo a guardare i fiumi.
– Un artista dovrebbe passare molto tempo a guardare l'orizzonte, dove il cielo e l'oceano s'incontrano.
– Un artista dovrebbe passare molto tempo a guardare le stelle nel cielo notturno.

13. L'artista e il lavoro.
– Un artista dovrebbe evitare di andare ogni giorno nel suo studio.
– Un artista non dovrebbe trattare i propri orari lavorativi come fa un impiegato bancario.
– Un artista dovrebbe esplorare la vita e il lavoro solo quando un'idea gli compare in sogno, o durante la giornata, attraverso una visione.
– Un artista non dovrebbe ripetersi.
– Un artista non dovrebbe sovraprodurre.
– Un artista dovrebbe evitare l'inquinamento prodotto dalla sua arte.
– Un artista dovrebbe evitare l'inquinamento prodotto dalla sua arte.
– Un artista dovrebbe evitare l'inquinamento prodotto dalla sua arte.

14. I possedimenti di un artista.
– I monaci Buddhisti consigliano di mantenere solamente nove possedimenti:
     - una vestaglia per l'estate
     - una vestaglia per l'inverno
     - un paio di scarpe
     - una ciotola per elemosinare il cibo
     - una zanzariera
     - un libro delle preghiere
     - un ombrello
     - un materassino sul quale dormire
     - un paio di occhiali se necessari
– Un artista dovrebbe decidere quanti possedimenti mantenere.
– Un artista dovrebbe avere sempre più e più di meno e meno.
– Un artista dovrebbe avere sempre più e più di meno e meno.
– Un artista dovrebbe avere sempre più e più di meno e meno.
15. La lista degli amici dell'artista:
– Un artista dovrebbe avere amici che elevino il suo spirito.
– Un artista dovrebbe avere amici che elevino il suo spirito.
– Un artista dovrebbe avere amici che elevino il suo spirito.

16. Una lista dei nemici dell'artista:
– I nemici sono molto importanti.
– Il Dalai Lama disse che è semplice provare compassione per gli amici, molto di meno per i nemici.
– Un artista deve imparare a perdonare.
– Un artista deve imparare a perdonare.
– Un artista deve imparare a perdonare.

17. Diversi scenari di morte:
– Un artista deve essere consapevole della propria mortalità.
– Per un artista, è importante non solo come vive, ma anche come muore.
– Un artista dovrebbe guardare ai simboli dei propri lavori per trovare i segni dei vari scenari di morte.
– Un artista dovrebbe morire consapevolmente senza avere paura.
– Un artista dovrebbe morire consapevolmente senza avere paura.
– Un artista dovrebbe morire consapevolmente senza avere paura.

18. Diversi scenari di funerale:
– Un artista dovrebbe dare delle istruzioni per il proprio funerale, in modo da svolgersi come vuole lui.
– Il funerale è l'ultimo lavoro dell'artista prima di andarsene.
– Il funerale è l'ultimo lavoro dell'artista prima di andarsene.
– Il funerale è l'ultimo lavoro dell'artista prima di andarsene.


Fine della Parte Prima


NOTE

[1] Abramović, Marina con Kaplan, James – Attraversare i muri. Un’autobiografia, Traduzione di Alberto Pezzotta, Milano, Bompiani, 2016, 411 pagine.

[2] John McEnroe and John Kaplan - You Cannot Be Serious, New York, G. P. Putnam's Sons, 2002, 342 pagine.

[3] Jerry Lewis and James Kaplan - Dean and Me: (A Love Story), New York, Three Rivers Press, 2006, 352 pagine.

[4] Abramović, Marina con Kaplan, James – Attraversare i muri, citato …, p. 224.

[5]  “Ero tenuta a subire le punizioni senza lamentarmi. Penso che, in un certo senso, mia madre volesse addestrarmi a essere un soldato come lei. Avrebbe potuto essere una comunista dalla doppia morale, ma era tutta d’un pezzo. I veri comunisti dovevano avere una determinazione capace di farli passare attraverso i muri – una determinazione spartana” (p. 22).

[6] Abramović, Marina con Kaplan, James – Attraversare i muri, citato …, p. 31.

[8] Abramović, Marina con Kaplan, James – Attraversare i muri, citato …, p. 73.

[9] Abramović, Marina con Kaplan, James – Attraversare i muri, citato …, p. 109.

[11] Abramović, Marina con Kaplan, James – Attraversare i muri, citato …, p. 280.

[12] Abramović, Marina con Kaplan, James – Attraversare i muri, citato …, pp. 138-139.

[13] Abramović, Marina con Kaplan, James – Attraversare i muri, citato …, p. 186.

[14] Abramović, Marina con Kaplan, James – Attraversare i muri, citato …, p. 207.

[15] Abramović, Marina, in cooperazione con Charles Atlas, Biography, Stoccarda, Caantz Verlag, 88 pagine, Testi alle pagine 50, 54 e 56.

[17] Abramović, Marina con Kaplan, James – Attraversare i muri, citato …, p. 220.

[18] Benjamin, Walter - L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, Torino, Einaudi, 2000, 184 pagine.

[19] Abramović, Marina con Kaplan, James – Attraversare i muri, citato …, p. 311.

[20] Abramović, Marina con Kaplan, James – Attraversare i muri, citato …, p. 310.

[21] Abramović, Marina con Kaplan, James – Attraversare i muri, citato …, p. 310.

[22] Abramović, Marina con Kaplan, James – Attraversare i muri, citato …, pp. 314-315.

[23] Abramović, Marina con Kaplan, James – Attraversare i muri, citato …, p. 251.

[24] Abramović, Marina con Kaplan, James – Attraversare i muri, citato …, p. 251.

[25] Abramović, Marina con Kaplan, James – Attraversare i muri, citato …, p. 252.

[26] Abramović, Marina con Kaplan, James – Attraversare i muri, citato …, p. 393.

[27] Abramović, Marina con Kaplan, James – Attraversare i muri, citato …, p. 383.

[28] Abramović, Marina con Kaplan, James – Attraversare i muri, citato …, p. 383.


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