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mercoledì 30 novembre 2016

Carl Friedrich von Rumohr, [Tre viaggi in Italia], 1823. Parte Seconda


English Version

Carl Friedrich von Rumohr
Drey Reisen nach Italien. [Tre viaggi in Italia]

Lipsia, F. A. Brockhaus, 1832

Parte Seconda
Recensione di Francesco Mazzaferro

Fig. 15) I tre tomi delle Ricerche italiane e i Tre Viaggi in Italia



Un diario di ricordi, non un’autobiografia

Dopo la sezione iniziale che tratta questioni d’estetica (a cui è stata dedicata la prima parte di questo articolo) i Tre viaggi in Italia. Ricordi di Carl Friedrich von Rumohr sono strutturati in tre grandi sezioni, ognuna dedicata ad un viaggio e suddivisa in capitoli con numerazione separata. Si tratta di ricordi, e non di un’autobiografia; vi sono dunque inevitabilmente elementi di frammentarietà e discontinuità nella narrazione. Da un punto di vista della qualità letteraria, il primo ed il secondo viaggio sono sicuramente superiori al terzo. La stessa organizzazione dei resoconti si dimostra asimmetrica: nel primo viaggio, ad esempio, le pagine iniziali parlano della vita precedente di von Rumohr in Germania, in cui si descrivono i musei che qui ebbe modo di visitare; il percorso è poi descritto tappa per tappa, sia all’andata sia al ritorno. Il secondo viaggio in realtà è un lungo soggiorno di ben cinque anni, che inevitabilmente avrebbe richiesto un numero preponderante di pagine, ma in cui von Rumohr, volutamente, tralascia e passa sotto silenzio molte questioni (non vien fatto alcun cenno, ad esempio, ai motivi che lo indussero a tornare in Germania). Alla fine del terzo viaggio, dopo venticinque pagine di resoconti dettagliati dedicati alle opere d’arte della Lombardia e del Veneto ispezionate per conto dell’amministrazione prussiana, la conclusione è improvvisa, con una sola mezza pagina dedicata a Venezia, e nessuna menzione al ritorno.

Ciò nonostante, i Tre viaggi offrono una testimonianza non solamente di episodi salienti della vita di Carl Friedrich, ma anche dello sviluppo dell’arte in Italia ed in Germania, negli anni del dominio napoleonico ed in quelli ad esso immediatamente successivi. In Italia si assiste allo smantellamento delle collezioni private (la collezione Melzi a Milano, quella Zambeccari a Bologna) ed alla progressiva costituzione di grandi musei pubblici (Brera, la Pinacoteca di Bologna, la Galleria dell’Accademia a Firenze). A Roma si può assistere al susseguirsi di episodi di grande importanza per lo sviluppo dell’arte tedesca (il circolo dei neoclassici, in seguito quello dei Nazareni, con figure intermedie tra i due come Joseph Anton Koch). Quanto al metodo, von Rumohr testimonia l’avvio di una ricerca sistematica delle fonti della storia dell’arte, che egli abbina imprescindibilmente alla visione diretta delle opere e quindi al suo ruolo di conoscitore. I gusti personali non faticano ad emergere nelle pagine dei Tre viaggi: detesta la rottura della linearità in architettura (il barocco tirolese e l’architettura spagnoleggiante a Napoli), il gigantismo nella scultura (l’Ercole Farnese, la statua di Carlo Borromeo nei pressi del Lago di Garda), il manierismo e l’accademismo in pittura ed infine tutte le teorie estetiche prevalenti nel mondo tedesco, che odia dal profondo del cuore.

I Tre viaggi non possono certo essere utilizzati da un visitatore come guida per il Grand Tour. Nessuno dei monumenti più importanti vi è descritto. Carl Friedrich è invece un attento osservatore, che scopre le forze e le debolezze della società italiana di quegli anni e s’interroga sulle loro ragioni storiche e culturali. Scopre un paese molto indebolito dalle guerre napoleoniche, anche nel campo dell’arte: si pensi ai sequestri francesi (ed al flusso disordinato di beni di valore sul mercato antiquario che la dismissione dei beni degli ordini religiosi genera a Siena). Si pensi anche a Palazzo Pitti letteralmente svuotato a Firenze e alle collezioni borboniche trasferite da Napoli a Palermo per sfuggire alle truppe napoleoniche. Ma in realtà nessuna autorità riesce a consolidarsi: il potere è ovunque debole in Italia. Le autorità sono fiaccate dalla guerriglia anti-francese nel napoletano, subiscono diserzioni di massa tra le truppe che debbono assicurare l’ordine a Roma, non riescono a bloccare la criminalità per bande nelle campagne. Vi sono carestie a Napoli ma anche a Firenze, e Verona è una città povera. Le strutture portanti della società perseguono interessi personali e non provvedono al bene comune.

Von Rumohr si pone interrogativi sulle ragioni di questa debolezza, e la trova sia nelle strutture sociali sia in quelle economiche. L’Italia è un paese che cerca di monetizzare la sua arte, invece di preservarla: la nobiltà lombarda fa a gara per ricevere la visita di Carl Friedrich, nella speranza di beneficiare di acquisti per i musei di Berlino; le truffe, i falsi, le attribuzioni inventate di sana pianta e corroborate da firme aprocrife o altre correzioni intenzionali sui quadri sono dietro l’angolo.

Pur nella piena consapevolezza dei limiti degli ambienti che frequenta, l’amore per l’Italia è evidente. Quando è in Germania, von Rumohr soffre di vere e proprie crisi nostalgiche e cerca ogni tipo di scusa per tornare a visitarla. Ha un’avversione fortissima per la natura troppo concettuale della discussione estetica in Germania, che a suo parere paralizza gli artisti ed impedisce loro di manifestare a pieno il loro talento. Nel corso del secondo e del terzo viaggio, accompagna in Italia giovani pittori (Franz Horny e Friedrich Nerly) nella convinzione che solo a Roma ci si possa liberare dal peso dell’estetica tedesca e ritrovare lo spazio per esercitare liberamente il proprio talento.


L’amore di un giovane per l’arte italiana

Carl Friedrich von Rumohr s’innamora della pittura quando ha quindici anni, davanti a tele attribuite a Ruisdael, Correggio, Raffaello e Claude Lorrain, che vede nella raccolta privata del conte von Brombeck, nel castello di Söder [67] (una località minuscola vicino ad Hannover). La collezione annovera una discreta serie di quattrocento pezzi, oggi dispersa. Da allora cerca di vedere più quadri possibile ed inizia già da adolescente a viaggiare per i musei del mondo tedesco, come quelli di Dresda, Kassel e Monaco [68]. Il secondo capitolo del Primo viaggio è intitolato “Dalle collezioni d’arte tedesche” e documenta, fra l’altro, il suo entusiasmo fin dagli anni della giovinezza per Raffaello (dedica diverse pagine alla Madonna Sistina [69]), Paolo Veronese [70] e Rubens [71]). Quanto agli olandesi, è assolutamente straordinario – almeno agli occhi di un lettore dei nostri giorni – che egli assegni maggiore importanza a Adrian van de Velde, Paul Potter, Gerard Dow e Johann Both [72] rispetto a Rembrandt. D’altra parte, la lettura di quelle pagine serve a comprendere il gusto dell’epoca, ed anche le condizioni nelle quali si sviluppava l’interesse per la pittura.


Fig. 16) Giovan Pietro Rizzoli detto il Giampietrino o Cesare Bernazzano, Leda con i suoi figli, 1520-1530

Ecco ad esempio che cosa Carl Friedrich scrive su una visita alla pinacoteca di Kassel: “Rimane in me indimenticabile il ricordo della Carità di Leonardo da Vinci nell’antica galleria di Kassel, quel quadro di cui si era perso il ricordo, e quasi era andato distrutto. Poco prima era passato a Kassel Goethe; per ore – mi è stato raccontato – era rimasto seduto davanti al quadro, ed il sedile era quasi ancora caldo quando passai io. (…) Nella mia vivida memoria di quell’immagine, posso ancora oggi riconoscere lo scolaro di Verrocchio, il compagno di Lorenzo di Credi, i cui bambini erano così simili a questi. E tuttavia ho riscontrato più ingegno in tutte le parti, più profondità nel carattere e nell’espressione. Nei tratti della madre ed in quelli dei tre bambini, in particolare del piccolo nelle sue braccia, riconosco non so quale dolore, quale nostalgia incontrollabile. Si è chiamato il quadro Carità. Con questo nome sono state rappresentate in Italia simili composizioni negli anni seguenti, e tuttavia sempre nel senso di un entusiasmo materno per la prole allegra che gioisce intorno alla madre. Qui invece sembra che Leonardo non abbia seguito questo schema; ed infatti la sua natura era quella di andare sempre al di là di quello che gli altri facevano. Forse ha voluto fare un riferimento al paradiso perduto, e dunque inteso esprimere dolore, e preoccupazioni ed una nostalgia incontrollabile, oppure aveva in mente un tema mistico di cui ci manca oggi la chiave di lettura. Certamente la madre con una serie di tre figli fungeva a simbolo dell’amore per Dio secondo i concetti cristiani” [73].


Fig. 17) Francesco Salviati, La Carità, 1543-1545

Carl Friedrich scrive di essersi trovato di fronte all’opera (che egli crede di Leonardo) poco dopo il passaggio di Goethe. E tuttavia si deve trattare di una forzatura: Goethe ha sì descritto il quadro in una pagina del proprio diario nel 1803, ma ha visitato Kassel nel 1801 [74]. Von Rumohr lo ha invece visto probabilmente nel 1804-1805. In ogni caso, è chiaro che, in quegli anni, l’opera è considerata come uno dei capolavori assoluti dell’arte italiana in Germania. La sua storia è davvero interessante. Il quadro viene misteriosamente ritrovato nel 1756 a Parigi, ed è immediatamente attribuito a Leonardo, con il titolo Carità, per analogia con una serie di simili disegni autografi, conservati a Windsor, Chatsworth e Rotterdam, e considerati autografi di Leonardo [75].

Fig. 18) Leonardo da Vinci, Leda ed il cigno, 1503 - 1507, Devonshire Collection, Chatsworth

Per la verità i disegni raffigurano una Leda col cigno, ma la tela appena scoperta risponde allo schema iconografico rinascimentale della Carità (la donna che si occupa come vera madre di tre figli non propri). Della Carità di Leonardo non si sa nulla, e dunque si tratta di una vera e propria sensazione. Il Granduca d’Assia acquista il quadro, per farne il gioiello della collezione a Kassel (oggi come allora l’opera si trova nella pinacoteca della città). Nel 1806 i francesi sequestrano la tela e la trasferiscono al Louvre. Dopo una serie incredibile di peripezie tra Olanda, Francia e Germania (che comprendono, fra l’altro, anche un periodo nella collezione personale di Hermann Göring, durante la seconda guerra mondiale), tornerà a Kassel solamente nel 1962.

Fig. 19) Carlo Portelli, Carità di Maastricht, 1555-1560
Fig. 20) Marcantonio Franceschini, Carità, 1684 (?)
Fig. 21) Francesco Melzi (?), Leda col Cigno, 1514-1516 circa

Quando Carl Friedrich la ammira, la tela mostra solamente tre bambini (quello in braccio ed i due nell’angolo destro in basso del quadro). Un restauro successivo ne rivelerà il quarto (in basso a sinistra), come pure un guscio d’uovo nascosto, svelando il vero tema dell’opera (ovvero Leda con le sue due coppie di gemelli: Elena e Clitemnestra, Castore e Polluce). È questa la vera e sola ragione per la quale i (tre) bambini osservati da Carl Friedrich non sono avvolti alla madre, come nel motivo iconografico della Caritas come simbolo dell’amore cristiano: si tratta infatti di tutt’altro schema simbolico e compositivo. Si sapeva che Leonardo aveva dipinto una Leda (di cui erano rimaste numerose imitazioni di allievi) ed una Carità, di cui si era quasi persa la memoria. Non è dunque da escludere che uno dei quattro bambini ed il guscio siano stato intenzionalmente coperti nel Settecento per poter assegnare il quadro a Leonardo, della cui Caritas si sapeva assai meno che della Leda. Dopo il restauro, dal 1904 l’opera è attribuita da Woldemar von Seitlitz, grande critico di Dresda, ad un allievo di Leonardo, Giovan Pietro Rizzoli, detto Giampietrino. Oggi il dipinto è esposto a Kassel come opera del Giampetrino o (in alternativa) di Cesare Bernazzano, un altro discepolo leonardesco. E tuttavia, come dimostrato dal saggio di Friedrich Marx su “La Carità di Leonardo da Vinci nella Galleria granducale di Kassel” del 1916 [76], l’attribuzione a Leonardo fu dura a morire.


Fig. 22) Lo studio di Friedrich Marx “Sulla Carità di Leonardo da Vinci alla Galleria granducale di Kassel

Il caso della Leda dimostra che la storia dell’arte italiana si basa in quei decenni su una serie di attribuzioni spesso incerte e di vicende commerciali assai sospette. L’ambiguità è l’altra faccia della medaglia del successo dell’arte italiana in Europa, ed il risultato della smania dei potenti di tutte le epoche di collezionare capolavori italiani per le proprie collezioni, a caro prezzo (se necessario anche usando la forza). In questo caso anche Carl Friedrich cade nel tranello e conferma l’attribuzione a Leonardo.


Il primo viaggio (1805-1806)

Carl Friedrich von Rumohr parte per l’Italia quando ha vent’anni. È il periodo delle vittorie di Napoleone in guerra contro gli stati tedeschi: la battaglia di Austerlitz è del 1805, mentre nel 1806 viene creata la Confederazione del Reno, la struttura entro la quale la Germania viene assoggettata agli interessi francesi. Carl parte da Monaco in direzione dell’Italia insieme ad alcuni coetanei: due pittori, uno scultore ed un poeta [77]. Quest’ultimo è, come si è detto nella prima parte, Ludwig Tieck (1773 –1853), uno dei padri dello Sturm und Drang, cui è legato da un solido rapporto di amicizia, pur nella completa differenza di idee sull’arte [78]. Nessuno di loro parla una sola parola d’italiano [79], ma l’attrazione del paese dell’arte è troppo forte, anche in quegli anni di guerra.


Fig. 23) Carl Friedrich von Rumohr in una stampa riprodotta
nell’edizione delle Ricerche italiane del 1920, a cura di Julius von Schlosser

Le pagine sul primo viaggio sorprendono per ciò che dicono, ma anche per quanto escludono. Invano si ricercherà una descrizione della Cappella Sistina o delle Stanze di Raffaello, come pure di altri capolavori assoluti dell’arte italiana. È invece permanente un interesse per le ragioni complessive (per esempio, le cause sociali ed economiche, come pure quelle ideologiche) che possono offrire una spiegazione razionale delle condizioni della società italiana, e come parte di essa, anche delle belle arti e dell’architettura. Per molti aspetti von Rumohr, nel suo viaggio in Italia, sembra interessato a raccogliere gli elementi di una prima storia sociale dell’arte italiana.

Quando ancora si trova nel mondo di lingua tedesca (nel capitolo terzo, dedicato al “Viaggio attraverso le montagne del Tirolo”) von Rumohr rivela la propria avversione nei confronti dell’architettura barocca e rococò: “Alla lunga ci si adatta a tutto; e tuttavia non sono mai riuscito a conciliarmi con l’architettura delle chiese e dei chiostri di Innsbruck. (…) Il modello generale di questi edifici è costituito dall’assurda architettura degli italiani, ispirata prima da Michelangelo Buonarroti, e portata all’apice poi da Bernini e Borromini” [80]. Lo disturbano le loro “insensate oscillazioni ed interruzioni delle linee” [81], che gli architetti tirolesi hanno esasperato in modo da creare combinazioni che sono a suo parere prive di senso [82] e che egli definisce “mostruosità neo-romane” [83]. 

Fig. 24) The basilica and the cloister of Wilten (Innsbruck) in a etching of 1840

Il quarto capitolo è dedicato all’ “Ingresso in Italia ed il viaggio a Roma”. A Trento subito osserva come, al passaggio della frontiera linguistica, corrisponda un diverso rapporto tra strutture urbane ed agricole: nel mondo italiano gli abitati non sono mai circondati da boschi e gli uomini – di conseguenza – non vivono mai a contatto diretto con la natura [84]. L’osservazione rivela il suo precoce interesse per l’economia agraria. S’interroga sulle possibili ragioni (il clima, le ragioni di sicurezza) per le quali gli abitati italiani siano sempre separati fisicamente dai boschi e giunge alla conclusione che esse debbano essere puramente culturali, ovvero la conseguenza della comunanza di linguaggio delle persone: “Forse che la ragione risieda nell’opera della lingua? Questo meraviglioso elemento è più potente di quello che si pensi. Grazie ad esso opinioni, punti di vista, pensieri, ragioni passano di casa in casa, creando nel tempo un consenso generale e riuscendo addirittura a sopprimere, sia pur inconsapevolmente, il gusto del dissenso” [85].

Arriva a Verona, e ci si attenderebbe qualche riga sull’arena. Seguono invece commenti su una città che è rimasta antica sia nelle rovine romane sia nel centro medievale, soprattutto perché povera e dunque ancora priva di costruzioni moderne: “Il suolo della provincia è sterile, il suo sfruttamento meno intensivo, il commercio della città limitato” [86] Carl Friedrich scrive che – tra le città della Lombardia [sic] – Verona è l’unica a trovarsi in questa situazione, sia in termini di palazzi pubblici sia di abitazioni private; un’eccezione, dal momento che sia le città maggiori sia quelle più piccole “sono troppo ricche per poter rimanere all’antico, cosa che in Italia è ancora oggi considerata in modo assai negativo, come lo era da noi quarant’anni fa” [87]. Siamo dunque in un’epoca di transizione: da un lato vi sono (sia in Germania sia in Italia) potenti energie che spingono per la modernizzazione delle città sia per ragioni economiche sia per influsso dell’illuminismo, che non vedono problemi nella distruzione di interi quartieri medievali per poter realizzare nuove strutture; dall’altro cominciano ad emergere le ragioni (tipiche del mondo romantico, come in Germania) dello storicismo e dunque anche della conservazione del patrimonio (come pure della costruzione moderna ispirata all’antico: si pensi alla costruzione del duomo di Colonia in Germania).

Le pagine su Mantova sono tutte dedicate a Giulio Romano e a Palazzo Te, le cui strutture architettoniche egli dice di aver riconosciuto più tardi a Roma, anche se non ne apprezza gli affreschi [88]. Arriva a Bologna mentre la pinacoteca è ancora in corso di allestimento; può invece ammirare la quadreria della collezione Zambeccari [89]. Non sorprende che taccia completamente sui Carracci e la scuola bolognese del Seicento (come si è visto nella prima parte del post, attribuisce a quell’indirizzo l’avvio di un declino dell’arte in senso concettuale). Cita invece alcune opere di Francesco Francia, ma soprattutto si dedica alla Pala Casio di Boltraffio all’epoca nella Chiesa di Santa Maria della Misericordia (oggi al Louvre, dove è rimasta dopo essere stata scambiata con un’altra opera con la Pinacoteca di Brera).


Fig. 25) Boltraffio, La Vergine ed il bambino con i Santi Giovanni Battista e Sebastiano, conosciuta come Pala Casio, 1500

Anche nel caso di Firenze – dove trascorre solamente sei giorni – visita la città in una fase di disordine delle collezioni, dovuta alle confische di beni religiosi e ad altre vicissitudini nel Regno di Etruria, sotto controllo napoleonico: “Palazzo Pitti è stato svuotato; la Galleria dell’Accademia non ancora allestita. Ci è riuscito ancora di vedere qualcosa nelle chiese, sia pur assai poco che fosse al tempo stesso conosciuto ed accessibile. Ci siamo dovuti dunque limitare alla Galleria degli Uffizi, che ci apparve come un piccolo mondo” [90]. È chiaro che il viaggio è diretto a Roma: per questa ragione il gruppo visita rapidamente il duomo a Siena [91] e poi si dirige verso la città eterna.

Chi non è parte, almeno per metà, del mondo degli artisti non può immaginarsi quali sentimenti di vera e propria ansia e quali attese di strana incertezza assalgano queste persone, quando cominciano a sentire il profumo della vicinanza della città. Perché, se si arriva da questo lato, non la si vede se non quando si è giunti alle soglie dell’abitato. Quando percorrono questa strada, gli uomini di mondo tendono a sonnecchiare mentre gli esperti di storia contano sulle dita tutte le loro conoscenze sul passato. Solamente l’artista pensa qui a tutt’altre cose, a tutto quel che è stato dipinto, a tutte le rivalità che si sono prodotte, a tutti gli scontri che sono esplosi. Gli verrà in mente Raffaello, che ha vissuto onorato, potente, circondato da una corte di tipo assai particolare, certamente nello splendore. O penserà a Michelangelo, che si oppone ai Papi. Oppure ai molti altri artisti dei tempi antichi e moderni che qui si sono istruiti o hanno acquisito gloria, oppure sono falliti miseramente, andando a frantumarsi sugli scogli di quelle chiese cui lavoravano. Perché qui a Roma vi è davvero tutto, nel modo più completo. Ad un artista [che sta per raggiungere Roma] verrà forse in mente, quando è di buon umore, anche la plebe ridente dell’epoca del Bamboccio [92] e di Claude [93], sulla quale il Sandrart racconta storie così belle. E poi egli si concentrerà su se stesso, i propri desideri, sentimenti e fantasie” [94].


Fig. 26) Pieter van Laer, detto il Bamboccio, Il ciambellaio, 1640-1660

Entrato in città, le due prime impressioni sono legate al raffronto tra ciò che vede e le conoscenze già acquisite da stampe d’epoca. Il Ponte Milvio (allora chiamato Ponte Mollo) non è più quello raffigurato da Johann Both in un bello stile “rustico”, ma è stato appena ricostruito in un “miserabile gusto neo-italiano” [95] (l’architetto neoclassico Giuseppe Valadier lo ha infatti restaurato proprio nel 1805), mentre Piazza del Popolo [96] è fortunatamente ancora nelle condizioni in cui l’ha descritta Gomar Wouters alla fine del Seicento (sarà ristrutturata, sempre dal Valadier, nel 1818. Von Rumohr si dice felice di averla potuta ammirare com’era prima di quell’intervento).


Fig. 27) Johann Both, Veduta di Ponte Milvio, 1636-1640

Fig. 28) Gomar Wouters, La Piazza del Popolo abbellita con li nuovi edifici et veduta della citta di Roma
come si trova al presente
, 1692

Carl Friedrich scopre subito una straordinaria sintonia con la città, a differenza dei compagni di viaggio [97]. Ne parla all’inizio del quinto capitolo, sul “Soggiorno a Roma”. Decide dunque di stabilirsi qui ed affitta un appartamento non lontano dal Quirinale (all’epoca Palazzo papale), da cui ha una vista strepitosa sulla città: “Vedevo giardini di chiostri pieni di alberi d’arancio ed al di là il Colosseo, le Terme di Caracalla, la Piramide Cestia ed in lontananza le torri di guardia della riva, e dall’altra parte il giardino del papa e il Vaticano” [98].


Fig. 29) Asmus Jacob Carstens, La Notte ed i suoi figli, il Sonno e la Morte, 1794
Fig. 30) Joseph Anton Koch, Paesaggio con le offerte di ringraziamento di Noè, 1803
Fig. 31) Joseph Anton Koch, Il Cervino visto dalla Rosenlaui, 1824
Fig. 32) Christian Gottlieb Schick, Apollo tra i pastori, 1806-1808

Insediatosi a Roma, va subito alla ricerca degli artisti di lingua tedesca che lì vivono. Incontra i pittori [99] Joseph Anton Koch (1768 –1839) e Christian Gottlieb Schick (1776-1812) e trova ancora le tracce lasciate nei loro studi dal maestro neoclassico Asmus Jacob Carstens [100] (1754 –1798). Incontra anche lo scultore neoclassico danese Bertel Thorvaldsen [101] (1770-1844). Nota che Thorvaldsen gode di ampio successo, mentre i meriti di Koch non sono invece sempre riconosciuti, anche in conseguenza di una certa discontinuità nella qualità e nello stile delle pitture di storia [102]. E tuttavia “egli è vero e proprio innovatore nella pittura del paesaggio: egli sa come dare concretezza, carattere e personalità alle forme della terra” [103]. È il Koch pre-romantico, non quello classico, ad affascinarlo.

All’arrivo a Napoli – siamo nel sesto capitolo – sono dedicate pagine davvero belle, e diverse dall’omaggio spesso stereotipato che alla città fanno i viaggiatori del tempo. Carl Friedrich visita la regione mentre le truppe napoleoniche la stanno rastrellando alla ricerca delle soldatesche di Michele Arcangelo Pezzo, meglio conosciuto come Fra Diavolo, che compiono continue sortite contro i francesi [104]. A Capri i francesi debbono anche difendersi, senza mezzi sufficienti e dunque a prezzo di gravi perdite, dalle incursioni della flotta inglese [105]. Gli scontri militari e gli atti di guerriglia intorno a Napoli contribuiscono ad aggravare condizioni di estrema povertà, senza che la società sappia trovare forme di solidarietà effettiva per far fronte a condizioni eccezionalmente gravi, al di là di azioni di pura facciata. Ad un lettore italiano il racconto rivela come gli aspetti principali della questione meridionale, ed alcuni squilibri della società italiana in generale, siano già ben visibili in età napoleonica ad un osservatore attento. Anche qui le pagine di von Rumohr si differenziano consapevolmente dai modelli praticati dalla letteratura artistica precedente.

“Napoli? Se n’è già parlato talmente in poesia ed in prosa! Ma adesso silenzio, caro lettore; non voglio ripetere la vecchia musica, non descriverò la topografia della città e del suo territorio, e neppure menzionerò la lista dei nuovi scavi archeologici. No, no, racconterò esclusivamente quel che ho sentito e pensato in questo luogo. Non è molto di per sé, ma almeno non è qualcosa di già risaputo. (…) Ancora una volta ho sperimentato in Italia una grave, lunga e diffusa carestia. Se penso a queste esperienze, sento un fortissimo impulso ad esprimere alcune considerazioni al proposito. In nessun altro paese del mondo vi è un numero così elevato di legati, fondazioni e confraternite per alleviare e ridurre la miseria dei malati, dei deboli, degli indigenti e degli infortunati. La carità è un requisito necessario per guadagnare il rispetto presente dei cittadini come pur per garantirsi la loro considerazione e indulgenza nel futuro. E dunque proprio perché ognuno per tempo e regolarmente sente la necessità di onorare questo dovere, proprio perché in quest’aspetto ogni cosa ha da sempre la propria forma ben definita, le proprie cadenze e i propri ritmi, in Italia non ci si sente in dovere, né si prende l’iniziativa, di attivare misure straordinarie per evitare mali estremi. Così può accadere che, al verificarsi di una situazione eccezionalmente grave, la stessa persona distribuisca da un lato le consuete elemosine, dall’altro faccia deperire il proprio frumento nei magazzini, nella speranza di un nuovo aumento dei prezzi; insomma, che egli contribuisca ad aggravare lo stato di necessità nei suoi aspetti generali, per poi alleviarli nel particolare. E non si spieghi queste contraddizioni con quell’ipocrisia dietro la quale l’usuraio spesso cerca di coprire le proprie reali intenzioni. No, in Italia non si è così raffinati. Si crede infatti in modo spregiudicato che, dopo aver fatto il proprio dovere, si possano perseguire i personali vantaggi giornalieri senza neppur doverlo dissimulare” [106].

Torniamo all’arte: nelle condizioni d’emergenza determinate dall’invasione napoleonica, “parte dei tesori artistici di Napoli ha seguito la casa regnante a Palermo, ed in particolare la Galleria si è davvero molto assottigliata. Sono rimaste, oltre alle antichità dei Farnese e di Pompei, numerose tele di Sebastiano del Piombo e Christoph Amberger;  in entrambi i casi si tratta di opere significative per i due artisti. A Portici invece il museo pompeiano è intatto” [107]. Va aggiunto che, se oggi la Galleria di Capodimonte ospita (tre) opere di Sebastiano, nulla risulta su tele dell’artista tedesco conservate a Napoli (che non sono citate neppure nelle Ricerche italiane). Si tratta dunque o di dipinti andati dispersi oppure di attribuzioni oggi non più ritenute valide. 

Fig. 33) Sebastiano del Piombo, Ritratto di Clemente VII, 1526 circa
Fig. 34) Sebastiano del Piombo, Madonna del Velo, 1520

Quanto infine alla collezione Farnese, non suscita affatto l’entusiasmo di Carl Friedrich: “La collezione di antichità dei Farnese tradisce il gusto dei suoi tempi ed addirittura le preferenze personali degli iniziatori di questa collezione. Ecco la Venere Callipigia, ecco l’imponente Ercole (modello di molti scultori della scuola di Michelangelo), ecco il Toro Farnese. Originariamente, si voleva esporli in luoghi di passaggio pubblico. Questi lavori godono oggigiorno di un favore limitato; l’antichità ci appare da lati migliori di quel che apparve ai seguaci di Michelangelo, che tra le statue antiche cercarono solamente quelle che sembravano confermare la loro direzione. E tuttavia le loro scelte hanno determinato il giudizio sul valore dell’arte del mondo antico, fino a Winckelmann ed oltre, a svantaggio dello studio dell’arte antica e del buon gusto” [108].


Fig. 35) Venus Callipigia, I sec. A.C:

Quanto all’architettura angioina ed aragonese di Napoli, Carl Friedrich la giudica “barbarica” [109], confermando sostanzialmente il medesimo giudizio che aveva già espresso sul barocco tirolese. Il suo è un gusto architettonico caratterizzato dal senso della misura: non gli piacciono le commistioni di stili né elementi dell’architettura (in questo caso il numero eccessivo di finestre, l’elevazione degli edifici fino a dieci piani, la mancanza di parti sporgenti) che gli diano l’impressione di una rottura dell’armonia.

Al precipitare degli eventi in seguito alle guerre napoleoniche Carl Friedrich decide di rientrare in Germania (al viaggio di ritorno è dedicato il settimo capitolo, intitolato “Ricordi romani. Ritorno in patria”). La situazione diviene infatti rischiosa quando un intero battaglione tedesco nell’esercito napoleonico, dislocato a Roma per controllare l’ordine pubblico, diserta e scompare nei conventi romani, con il supporto attivo dei prelati di lingua tedesca; le truppe francesi iniziano perquisizioni e rappresaglie nei confronti delle comunità germanofone a Roma per cercarli [110]. Von Rumohr non ha alcun ruolo in quell’atto d’insubordinazione, ma non fa mistero di considerare i soldati ed i prelati coinvolti veri e propri patrioti, eroi del movimento di liberazione nazionale anti-francese che – una volta fuggiti da Roma – si uniranno allo sfortunato movimento d’indipendenza tirolese di Andreas Hofer [111]. A questo punto Carl Friedrich decide di spendere ancora qualche giorno a Roma per poter rivedere per l’ultima volta musei e gallerie [112] e lascia poi la città insieme a Ludwig Tieck [113]. Le tappe italiane del veloce ritorno in Germania sono Firenze, Parma e Milano [114]. 

Fig. 36) Correggio, San Bartolomeo e san Mattia sopra san Giovanni,
Particolare dell’affresco nella cupola del Duomo di Parma, 1520-1524

Von Rumohr e Tieck spendono qualche giorno a Parma per ammirare le opere di Correggio. Vi è una pagina di vero e proprio entusiasmo per la possibilità che hanno di salire fino alla cima della cupola del duomo, ammirando da vicino i suoi affreschi, ed in particolare gli apostoli e gli angeli. È una rivelazione, che fa dire a Carl Friedrich che Antonio Allegri, pur essendo pittore assai meno colto di Raffaello e Michelangelo, è a questi superiore perché segue un “concetto più originale ed innato di bellezza”, basato su una combinazione di forme e lineamenti [115]. A Milano – dove la Galleria di Brera è ancora in corso di formazione – ammirano la collezione Melzi [116] e l’Ultima cena di Leonardo [117]. Qualche riga è sufficiente per raccontare il ribrezzo provato da Carl Friedrich davanti alla statua colossale di San Carlo Borromeo [118] (descritta come “un enorme spaventapasseri nei campi”, privo delle qualità architettoniche di forma che sono necessarie per ogni opera di tali dimensioni) e subito dopo il pittore è di ritorno nel mondo tedesco attraversando il Lago Maggiore, risalendo il Ticino, e raggiungendo da lì Zurigo e Basilea (dove rende omaggio ad Holbein).


Il secondo viaggio (1816-1821)

Dieci anni dopo, Carl Friedrich è di nuovo in Italia. Nel frattempo l’Europa è stata sconvolta dalle guerre napoleoniche. Ha passato gran parte del periodo in Baviera, vicino alle amate montagne e soprattutto in una parte di Germania che a suo parere è più simile, per temperamento, all’Italia [119].  Perché dell’Italia von Rumohr – come spiega nel primo capitolo di questa sezione, intitolato Veranlassung (il motivo, l’occasione) – ha grande nostalgia [120]. In quegli anni von Rumohr si sente spaesato in Germania: “Mi mancava sicuramente un punto di riferimento per la vita e l’attività” [121]. Inizia allora ad occuparsi di letteratura, più per noia che per convinzione, forse alla ricerca di nuovi interessi.

Fig. 37) Heinrich Meyer, Edipo risolve l’indovinello della sfinge, 1789.
Fonte: https://archive.org/stream/zeichnungenvonjo00meye#page/n29/mode/2up
Fig. 38) Heinrich Meyer, Ritratto di Goethe, 1795.
Fonte: https://archive.org/stream/zeichnungenvonjo00meye#page/n31/mode/2up

L’occasione del ritorno in Italia si presenta quando, nei circoli artistici neoclassici di Weimar animati dal pittore e critico d’arte svizzero Heinrich Meyer [122] (1760–1832), von Rumohr conosce un giovane artista, Franz Horny (1798-1824), gravemente malato di tisi. Nonostante la malattia, Horny vuole andare a Roma per studiare con Joseph Anton Koch; spera infatti che il clima mediterraneo possa alleviare i suoi problemi polmonari (morirà invece a soli 26 anni ad Olevano). Carl Friedrich decide di accompagnarlo in Italia; lo considera un grande talento, anche se vede in lui tutti i sintomi di un’educazione all’arte completamente sbagliata, basata sull’infinita ricopiatura dei maestri antichi, e destinata dunque ad indebolire la capacità creativa dell’artista [123]. Auspica che viaggiare in Italia possa liberare il talento di Horny da tutte le false barriere create dall’estetica weimariana. Il giovane amico pittore non sa infatti come dipingere dal vero e si rivela addirittura incapace di trarre ispirazione dallo splendido panorama delle Alpi e della vegetazione che attornia il Lago di Garda [124]. Anche arrivato a Roma, nonostante i contatti con gli artisti tedeschi del luogo e numerosi tentativi di adottare stili diversi, non riuscirà mai ad usare il colore e saprà sempre e solo dedicarsi al disegno. La sua incapacità di operare come un vero pittore, nonostante il suo talento, è una delle ragioni, secondo von Rumohr, per riflettere più volte nel corso dei Tre viaggi sui danni causati dall’estetica weimariana sull’arte a lui contemporanea, tema già menzionato ed ampiamente descritto nella prima parte di questo post [125].

Fig. 39) Franz Horny, Paesaggio di Olevano, 1822

Ancora una volta Carl Friedrich attraversa – siamo nel secondo capitolo – le Alpi, intraprendendo, una volta valicatele, gite ad Arco e sulle rive del Lago di Garda. Il terzo capitolo narra del trasferimento da lì a Firenze, attraverso Bologna (dove i due ammirano la Santa Cecilia di Raffaello, ritornata dalla Francia nel 1815 ed appena esposta nella nuova Pinacoteca, come pure opere non meglio precisate di Marcantonio Franceschini [126]). Il soggiorno invernale a Firenze è aggravato da “carestia, peste, e malattie mortali” in città [127]. Nel maggio 1816 si materializza il ritorno a Roma, dopo dieci anni di assenza, narrato nel quarto capitolo che fin dal titolo specifica il carattere peculiare della nuova permanenza in Italia: “Ritorno a Roma. Ricerche d’archivio”.

Arrivato a Roma von Rumohr scopre grandi cambiamenti nel mondo artistico degli artisti tedeschi che lì vivono. Ai classicisti si sono, infatti, affiancati i Nazareni: “Incredibile il cambiamento che si era verificato in questo piccolo mondo, dove da alcuni secoli gli sforzi artistici di tutte le nazioni europee avevano cercato e trovato un punto d’incontro. Si era verificata una frattura tra i punti di vista degli artisti, e ne erano nati motivi di tensione, anche se le parti non avevano mai cessato di riconoscere reciprocamente i loro meriti. Rimasi sorpreso dalla fertilità dei veri talenti di questi tempi” [128]. 

Fig. 40) Peter von Cornelius, Giuseppe interpreta i sogni del Faraone, Ciclo di Affreschi di Casa Bartholdy, 1816-1817

La sua attenzione viene attratta dal ciclo di affreschi di Casa Bartholdy a Palazzo Zuccari [129], una delle opere fondatrici dell’arte dei Nazareni, oggi alla Alte Nationalgalerie di Berlino. L’opera viene eseguita proprio in quegli anni, tra 1815 e 1817: “Ed infatti la famosa camera nella casa del console generale di Prussia era in parte già ultimata ed in parte ancora in lavorazione. Erano le prime pitture a fresco da molto tempo, dal momento che gli affreschi dipinti secondo questa tecnica in Germania meridionale ed addirittura in Italia dal 1700 testimoniavano sì abilità tecniche ma erano troppo privi di contenuto per essere ancora oggi oggetto d’attenzione” [130].  E si sofferma in particolare su un disegno di Overbeck per il ciclo, raffigurante un’Ave Maria [131].

Von Rumohr passa l’estate a Roma e poi fa ritorno a Firenze, città che ha in realtà abbastanza trascurato finora, e lì ha una seconda rivelazione. “Dopo un anno passato tra diversi piaceri e dolori misi mano ad un lavoro che mi ha, in seguito, fornito il materiale per gli studi più diversi” [132]. È l’inizio dell’interesse di Carl Friedrich per le fonti di storia dell’arte: racconta che già nell’inverno precedente (quello passato a Firenze durante la peste) ha setacciato il Vasari e lo ha usato come termine di paragone per le opere che egli visita ed osserva, scoprendo che al celebratissimo artista-scrittore mancano “critica, memoria e persino la volontà di adeguarsi alla verità storica” [133]. I critici successivi che “hanno promesso al mondo di migliorarlo e completarlo” non hanno saputo trovare “punti di riferimento stabili dai quali poter osservare e studiare l’arte nel suo complesso” [134] e si sono dimostrati anch’essi “non così accurati ed affidabili come si dovrebbe attendere da correttori. Solamente negli ultimi tempi si è visto un miglioramento” [135].

Si trattava ora di fare un passo iniziale e per questo mi sono immerso nell’Archivio dell’Opera del Duomo di Firenze. Non mi è stato dato accesso ai rotoli, ma ad alcune centinaia di libri rilegati nei depositi. Abbastanza per cercare ed abbastanza per fare esercizio. I libri partivano dall’anno 1300” [136]. Rumohr esamina tutti i protocolli sulle discussioni che preparano ed accompagnano la costruzione del Duomo e tutti i contratti notariali con gli artisti tra il 1430 ed il 1480 [137]. Passa poi all’archivio della confraternita della Misericordia [138].  Si aiuta facendo ricorso alla “Firenze antica, e moderna illustrata, una guida enciclopedica in otto volumi della storia di Firenze pubblicata pochi anni prima da V. Follini e M. Rastrelli [139].


Fig. 41) Il primo volume della Firenze antica, e moderna illustrata del 1789

Quando poi gli archivisti fiorentini gli rendono la vita difficile, impedendogli di avere libero accesso alle riformagioni (le delibere comunali), passa a Siena dove ha accesso all’archivio dell’amministrazione finanziaria [140].

È un’attività di ricerca frenetica, che darà vita ai primi due volumi delle Ricerche italiane dieci anni dopo, ovvero nel 1827.

È il primo tentativo di scrivere una storia dell’arte italiana nel mondo tedesco, basandola su dati documentali e non su basi letterarie. Eppure Carl Friedrich, guardando retrospettivamente nei Tre viaggi, scrive: “Non sono soddisfatto di quello che ho fatto, ed ho l’impressione di avere conseguito di più nelle mie attività di osservazione e studio visivo diretto delle opere, di cui mi posso gloriare nel campo dell’arte, di quanto non abbia fatto con lo sfruttamento del materiale documentario. A questo proposito avrei dovuto superare le mie inibizioni ed imporre la mia presenza anche negli archivi che opponevano resistenza, se necessario operando in modo invadente o addirittura ricorrendo alla corruzione. Insomma, sono stato più felice con me stesso di quanto io sia stato diligente. In fondo, se non ho potuto rendere pubblici molti nuovi elementi di informazione, almeno quelli che ho portato alla luce erano buoni ed importanti. Ed infine non si creda che le ‘Ricerche’ diano un’idea di tutto il mio lavoro, dal momento che ho dovuto tener conto delle necessità della misura” [141].

A Siena riesce anche ad acquisire documenti originali in pergamena, che gli sono venduti sul mercato da un certo B. Montini, un antiquario che li ha acquisiti a poco prezzo dall’archivio dei Carmelitani approfittando dei sequestri napoleonici. Sono diplomi di papi ed imperatori, codici medievali di Tito Livio ed altri documenti che consegna alla Biblioteca di corte di Berlino [142].

Ma sarebbe sbagliato pensare che von Rumohr si sia ritirato nel mondo degli archivi e dunque abbia interrotto ogni legame con la realtà. In una delle sue frequenti puntate a Roma anima una discussione con l’ambasciatore prussiano Niebuhr sulle differenze economiche tra il nord ed il sud dell’Italia. Il tema è la ragione storica della differenza tra mezzadria (Colonia partiaria) nel nord e latifondo nel sud. La tesi di Niebuhr è che la mezzadria sia di origine germanica (sors barbarica), e sia dunque un residuo storico della presenza delle popolazioni nordiche in Italia, mentre la risposta di Carl Friedrich è di natura politica ed economica: “Nell’epoca di organizzazioni municipali governate democraticamente le forze di mercato spingono i contadini al possesso della terra; là dove invece operano capitalisti, essi li scalzano dal possesso, se mai vi sia stato” [143]. È un’opinione assai ardita per quei tempi e l’ambasciatore lo invita, quasi per sfida, a documentarla. È l’origine degli studi che von Rumohr condurrà per anni sul tema dell’economia agraria e che giustificheranno il suo quarto viaggio in Italia, alla ricerca dei sistemi di coltivazione ed irrigazione della Lombardia, anni dopo la pubblicazione dei Tre viaggi nel 1832. 

Fig. 42) Franz Horny, Paesaggio italiano con figure decorative, 1822

Il quinto capitolo (intitolato “La Morte di Horny. Briganti”) è dedicato al triste destino del giovane amico. A Roma Horny studia con Joseph Anton Koch, aiuta Peter Cornelius negli affreschi per la Villa Massimo [144], e fa grandi progressi, nonostante non riesca mai ad affrancarsi del tutto dal disegno a matita e non si decida mai a dipingere [145]. La sua salute non fa altro che peggiorare [146] e i due si trasferiscono ad Olevano [147], dove possono godere di un clima migliore, ma sono esposti al rischio del banditismo locale, cui sono dedicate diverse pagine, compreso un sequestro di persona di cui Carl Friedrich è vittima (riuscendo a fuggire e dunque a salvarsi la vita in modo rocambolesco) [148]. Horny rimane ad Olevano anche quando von Rumohr deciderà di far ritorno in Germania nel 1821. Il giovane pittore mancato vi morirà anni dopo nel 1824.

L’ultimo capitolo dedicato al secondo viaggio è centrato sulle visite ricevute da delegazioni di alto rango dalla Germania e dalla Danimarca (Landmannschaften – curiosamente, il termine che viene usato oggi per le nazionali di calcio). Accompagnare personalità nelle visite in Italia significa avere una fonte di guadagno ed acquisire preziose conoscenze. Particolarmente fortunato è l’incontro con il principe ereditario di Danimarca, Christian Frederic (il futuro re Cristiano VIII) e la consorte Caroline Amalie, con cui von Rumohr manterrà i rapporti tutta la vita. Egli decide infatti di ritornare in Nord Europa per godere dei loro favori.


Il terzo viaggio (1828-1829)

Le ragioni alla base del terzo viaggio non sono del tutto differenti da quelle del secondo. Da un lato von Rumohr continua a considerare insopportabile la cultura accademica tedesca in materia d’arte, dall’altro vuole completare gli studi in Italia per preparare un nuovo volume delle “Ricerche italiane”, questa volta su Raffaello. L’occasione per ritornare si presenta quando conosce un altro giovane artista, Friedrich Nerly (1807-1878), di cui diviene precettore nel 1823 (quando Nerly è sedicenne) e che decide cinque anni dopo di accompagnare in Italia, ancora una volta per sottrarre un giovane pittore di talento dalla morsa dell’estetica tedesca.


Fig. 43) Christian Dietrich, Cascate nei pressi di Roma, 1750 circa

Il primo capitolo ci presenta Carl Friedrich nella nuova attività di precettore di artisti (il titolo è Künstlerbildung, ovvero l’educazione degli artisti); Rumohr ammette, peraltro, che, in proposito, la sua attività non è stata fortunata [149], con l’eccezione di Friedrich Nerly. Con lui ha sperimentato un nuovo metodo d’insegnamento basato su composizione e colore [150]. È un insegnamento tecnico pratico, alternativo a quello accademico ed ispirato al modo con cui l’arte veniva insegnata in passato negli studi degli artisti. Del resto, con la scomparsa del praticantato [151] - egli scrive - o si impara il mestiere di pittore da soli (esponendosi ai rischi degli autodidatti [152]) oppure si è costretti a far ricorso alle accademie, con notevole esborso di denaro [153] e nessun risultato [154]. I pittori di maggior successo come Balthasar Denner, Christian Dietrich (anche chiamato Dietricy) e Anton Raphael Mengs hanno infatti tutti studiato presso parenti. Un uomo pratico come Carl Friedrich non può che osservare che le quotazioni di mercato dei pittori tra 1700 e 1800 sono bassissime: “È una realtà scomoda, che si può spiegare con la supposizione che uno sforzo così vasto non abbia condotto a null’altro se non perpetuare indirizzi sbagliati che altrimenti si sarebbero estinti da soli per mancanza di nuovi seguaci” [155].

Il secondo capitolo spiega le “Intenzioni originarie e la modifica successiva del piano di viaggio” (Ursprüngliche Bestimmung und spätere Abänderung des Reiseplanes). L’obiettivo d’origine è quello di accompagnare Nerly in Italia, nella piena comprensione del “suo crescente desiderio di impressioni entusiasmanti, che ogni artista cerca e trova in Italia”, ma anche del suo bisogno “non solamente di imparare, ma soprattutto di acquisire libertà e autonomia” [156].  E tuttavia Carl Friedrich è convinto che “non si possa osare di abbandonare una persona giovane a se stesso senza alcuna transizione” [157]. 

Fig. 44) Thomas Richmond (?), Ritratto di Christian Karl von Bunsen, 1847, incisione

Ma vi è in realtà un terzo motivo che diviene prevalente: la stretta collaborazione con le autorità prussiane per alimentare il Museo di Berlino, che sta crescendo di giorno in giorno. Carl Friedrich si reca regolarmente a Berlino per seguire il progresso della collezione. Ha scoperto numerosi falsi oppure opere di scuola, spesso vendute come capolavori dei grandi maestri. Non sorprende dunque che l’amministrazione prussiana lo contatti infatti attraverso l’ambasciatore a Roma, Christian Karl von Bunsen (1791-1860), chiedendogli di esprimere un giudizio su un dipinto che si trova a Firenze e che il governo vuole acquisire per la collezione di Berlino [158]. A Firenze il punto di riferimento per le trattative con la Germania è Johann Baptist Metzger (1771-1844), incisore e mercante d’arte, attivo in Toscana per decenni, molto legato ai Nazareni. Vale forse qui la pena di osservare che la vicenda testimonia l’importanza politica delle transazioni nel mercato dell’arte dell’epoca. Molti fra gli ambasciatori prussiani a Roma in quegli anni sono, oltre a diplomatici, anche studiosi. Il già nominato Niebuhr, con cui Carl Friedrich aveva scambiato opinioni su mezzadria e latifondo durante il secondo viaggio, assume la cattedra di storia dell’arte antica a Bonn. Bunsen, che lo sostituisce, è un famoso egittologo. Evidentemente per le autorità di Berlino la rappresentanza diplomatica di Roma ha un grande ruolo nella gestione dei rapporti culturali. 

Fig. 45) Julius Schnorr von Carolsfeld, Ritratto di Johann Baptist Metzger, 1819
Fig. 46) Raffaello, Madonna Tempi, 1508

Carl Friedrich si rende rapidamente conto che Metzger possiede molti pezzi che completerebbero la collezione di Berlino [159]; uno dei più importanti, la Madonna Tempi di Raffaello [160], è già stato venduto alla casa regnante di Baviera (è ancora oggi alla Alte Pinakothek di Monaco). Bisogna dunque affrettarsi. Viene autorizzato dal re ad effettuare gli acquisti [161].


Fig. 47) Sandro Botticelli, Madonna con bambino e Giovanni Battista bambino in preghiera, senza data
Fig. 48) Sandro Botticelli, Cristo Salvatore, senza data (foto: Christoph Schmidt/SMB)

Gli riesce di mettere le mani anche su un Botticelli (il tondo “Madonna con bambino e Giovanni Battista bambino in preghiera”), che si aggiunge come seconda opera del pittore toscano a Berlino al “Cristo Salvatore” che è lì dal 1821 grazie all’acquisizione della collezione dell’inglese Solly. Incoraggiato ancora una volta da Bunsen, Carl Friedrich si rivolge al Marchese Nerli, erede di una antichissima famiglia fiorentina di parte guelfa [162], mentre da Berlino parte il principe ereditario in persona [163]. Von Rumohr gli fa da guida per quattro giorni, spiegando “di conoscere Firenze meglio di molti fiorentini” [164], e lo accompagna anche a Siena ed Arezzo [165].

È a Siena (dove conduce le sue amate ricerche d’archivio) e si prepara a partire per Roma e Napoli quando l’amministrazione prussiana lo contatta nuovamente: il principe ereditario ha visto a Milano un quadro attribuito a Raffaello che si trova in pessime condizioni, ma vuole avere il parere di un esperto. Parte subito nonostante le condizioni proibitive di tempo (è difficile viaggiare con la neve a quei tempi) [166] e arriva alla conclusione che si tratta di un minore lombardo. Scopre però opere di Sebastiano del Piombo, Moroni e Tiziano ed arriva alla conclusione che la Lombardia è una vera e propria miniera inesplorata per la collezione d’arte di Berlino. A quel punto gli arriva una lettera di Alexander von Humboldt in persona, che gli dà l’incarico di comprare il più possibile, prima che arrivino i concorrenti [167]. Ed è questa la ragione per la quale, invece di viaggiare a sud, il suo terzo viaggio in Italia attraversa il nord.

Si apre qui la sezione del terzo viaggio coperta dallo studio di Chiara Battezzati nel 2009 su “Carl Friedrich von Rumohr e l’arte nell’Italia settentrionale” [168]. Sono le venticinque pagine finali dei Tre viaggi, in realtà non un racconto di viaggio, ma un fitto catalogo di opere visionate, scelte o scartate. Il racconto perde di vista Nerly ed assume invece il tono di una descrizione molto precisa delle opere disponibili presso la nobiltà lombarda; si interrompe bruscamente con l’arrivo a Venezia, quasi come se continuare la catalogazione in una città così ricca d’arte fosse eccessivamente dispendioso. Rimando per questa sezione al post già pubblicato nel blog.


NOTE

[67] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien: Erinnerungen. Leipzig, F. A. Brockhaus, 1832, 327 pages. Il testo è disponibile su Internet all'indirizzo  
[68] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 69.

[69] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), pp. 74-77.

[70] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), pp. 78-80.

[71] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 82.

[72] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 82.

[73] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien1832 (citato), p. 70.

[74] Si veda: Herzog, Erich, Spuren Goethes in Kassels Gelerien (Le tracce di Goethe nelle gallerie di Kassel), discorso tenuto l’1 gennaio 1978. Testo disponibile a: 

[75] Si veda la scheda della Pinacoteca di Kassel: http://altemeister.museum-kassel.de/32719/.

[76] Marx, Friedrich - Über die Caritas des Leonardo da Vinci in der Kurfürstlichen Galerie zu Cassel : mit einer Photographie und vier Textabbildungen, Bonn, In Kommission bei L. Roehrscheid, 1915. Il testo è disponibile all’indirizzo 

[77] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 85.

[78] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 156.

[79] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 99.

[80] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 94.

[81] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 94.

[82] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 94.

[83] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 95.

[84] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 103.

[85] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 103.

[86] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 106.

[87] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), pp. 106-107.

[88] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 107.

[89] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 108.

[90] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 109.

[91] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien1832 (citato), p. 110.

[92] Pieter van Laer, detto il Bamboccio (1599–1642).

[93] Claude Lorrain (1600-1682).

[94] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 111-112.

[95] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 112.

[96] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 113.

[97] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 115.

[98] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), pp. 115-116.

[99] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 116.

[100] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 116.

[101] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 116.

[102] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 117.

[103] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 117.

[104] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), pp. 128-129.

[105] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), pp. 139-142.

[106] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), pp. 126-127.

[107] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 136.

[108] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), pp. 136-137.

[109] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 143.

[110] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 146.

[111] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 151.

[112] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 155.

[113] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 156.

[114] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 156.

[115] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 158.

[116] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 160.

[117] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 160.

[118] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 160.

[119] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), pp. 165-166.

[120] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 167.

[121] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien1832 (citato), p. 176.

[122] Heinrich Meyer ha avuto anche un ruolo molto rilevante nella letteratura artistica dei suoi tempi. Si pensi, per esempio, alla sua “Storia delle belle arti presso i greci dalle loro origini al loro massimo vertice” (Geschichte der bildenden Künste bei den Griechen: von ihrem Ursprunge bis zum höchsten Flor) pubblicato dalla Walterschen Hofbuchhandlung a Dresda nel 1824. Il testo, di 519 pagine, è disponibile all’indirizzo

[123] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), pp. 172-173.

[124] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), pp. 190-191.

[125] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), pp. 192-194.

[126] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 196.

[127] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 197.

[128] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 197.

[129] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 198.

[130] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 198.

[131] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 198.

[132] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 198.

[133] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 199.

[134] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 199.

[135] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 199.

[136] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), pp 199-200.

[137] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 200.

[138] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 200.

[139] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien1832 (citato), p. 200. Si tratta dell’opera in otto volumi “Firenze antica, e moderna illustrate”a cura di V Follini e M Rastrelli, pubblicata da P. Allegrini, J. Grazioli, A.G. Pagani tra 1789 e 1802.

[140] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 200.

[141] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 201.

[142] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 202.

[143] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 203.

[144] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 206-207.

[145] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 208.

[146] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 205.

[147] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 212.

[148] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), pp. 241-218.

[149] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 246.

[150] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), pp. 248-250.

[151] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 237.

[152] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 238.

[153] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 239.

[154] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 239.

[155] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 239.

[156] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 258.

[157] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 258.

[158] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 259.

[159] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 260.

[160] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 261.

[161] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 261.

[162] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 266.

[163] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 267.

[164] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 267.

[165] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 267.

[166 von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 273.

[167] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien1832 (citato), p. 281.

[168] Si veda Chiara Battezzati. Carl Friedrich von Rumohr e l’arte nell’Italia settentrionale.


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