English Version
Carl Friedrich von Rumohr
Drey Reisen nach Italien. [Tre viaggi in Italia]
Lipsia, F. A. Brockhaus, 1832
Parte Seconda
Recensione di Francesco Mazzaferro
![]() |
Fig. 15) I tre tomi delle Ricerche italiane e i Tre Viaggi in Italia |
Un diario di ricordi, non un’autobiografia
Dopo la sezione iniziale che tratta questioni d’estetica (a
cui è stata dedicata la prima parte di questo articolo) i Tre viaggi in Italia. Ricordi di Carl Friedrich von Rumohr sono
strutturati in tre grandi sezioni, ognuna dedicata ad un viaggio e suddivisa in
capitoli con numerazione separata. Si tratta di ricordi, e non di
un’autobiografia; vi sono dunque inevitabilmente elementi di frammentarietà e
discontinuità nella narrazione. Da un punto di vista della qualità letteraria,
il primo ed il secondo viaggio sono sicuramente superiori al terzo. La stessa
organizzazione dei resoconti si dimostra asimmetrica: nel primo viaggio, ad
esempio, le pagine iniziali parlano della vita precedente di von Rumohr in
Germania, in cui si descrivono i musei che qui ebbe modo di visitare; il
percorso è poi descritto tappa per tappa, sia all’andata sia al ritorno. Il
secondo viaggio in realtà è un lungo soggiorno di ben cinque anni, che
inevitabilmente avrebbe richiesto un numero preponderante di pagine, ma in cui
von Rumohr, volutamente, tralascia e passa sotto silenzio molte questioni (non
vien fatto alcun cenno, ad esempio, ai motivi che lo indussero a tornare in
Germania). Alla fine del terzo viaggio, dopo venticinque pagine di
resoconti dettagliati dedicati alle opere d’arte della Lombardia e del Veneto
ispezionate per conto dell’amministrazione prussiana, la conclusione è
improvvisa, con una sola mezza pagina dedicata a Venezia, e nessuna menzione al
ritorno.
Ciò nonostante, i Tre
viaggi offrono una testimonianza non solamente di episodi salienti della
vita di Carl Friedrich, ma anche dello sviluppo dell’arte in Italia ed in
Germania, negli anni del dominio napoleonico ed in quelli ad esso
immediatamente successivi. In Italia si assiste allo smantellamento delle collezioni
private (la collezione Melzi a Milano, quella Zambeccari a Bologna) ed alla
progressiva costituzione di grandi musei pubblici (Brera, la Pinacoteca di
Bologna, la Galleria dell’Accademia a Firenze). A Roma si può assistere al
susseguirsi di episodi di grande importanza per lo sviluppo dell’arte tedesca
(il circolo dei neoclassici, in seguito quello dei Nazareni, con figure
intermedie tra i due come Joseph Anton Koch). Quanto al metodo, von Rumohr
testimonia l’avvio di una ricerca sistematica delle fonti della storia
dell’arte, che egli abbina imprescindibilmente alla visione diretta delle opere
e quindi al suo ruolo di conoscitore. I gusti personali non faticano ad
emergere nelle pagine dei Tre viaggi:
detesta la rottura della linearità in architettura (il barocco tirolese e
l’architettura spagnoleggiante a Napoli), il gigantismo nella scultura
(l’Ercole Farnese, la statua di Carlo Borromeo nei pressi del Lago di Garda), il manierismo e l’accademismo
in pittura ed infine tutte le teorie estetiche prevalenti nel mondo tedesco,
che odia dal profondo del cuore.
I Tre viaggi non
possono certo essere utilizzati da un visitatore come guida per il Grand Tour. Nessuno dei monumenti più
importanti vi è descritto. Carl Friedrich è invece un attento osservatore, che
scopre le forze e le debolezze della società italiana di quegli anni e
s’interroga sulle loro ragioni storiche e culturali. Scopre un paese molto
indebolito dalle guerre napoleoniche, anche nel campo dell’arte: si pensi ai
sequestri francesi (ed al flusso disordinato di beni di valore sul mercato
antiquario che la dismissione dei beni degli ordini religiosi genera a Siena).
Si pensi anche a Palazzo Pitti letteralmente svuotato a Firenze e alle
collezioni borboniche trasferite da Napoli a Palermo per sfuggire alle truppe napoleoniche.
Ma in realtà nessuna autorità riesce a consolidarsi: il potere è ovunque debole
in Italia. Le autorità sono fiaccate dalla guerriglia anti-francese nel
napoletano, subiscono diserzioni di massa tra le truppe che debbono assicurare
l’ordine a Roma, non riescono a bloccare la criminalità per bande nelle
campagne. Vi sono carestie a Napoli ma anche a Firenze, e Verona è una città
povera. Le strutture portanti della società perseguono interessi personali e
non provvedono al bene comune.
Von Rumohr si pone interrogativi sulle ragioni di questa
debolezza, e la trova sia nelle strutture sociali sia in quelle economiche.
L’Italia è un paese che cerca di monetizzare la sua arte, invece di
preservarla: la nobiltà lombarda fa a gara per ricevere la visita di Carl
Friedrich, nella speranza di beneficiare di acquisti per i musei di Berlino; le
truffe, i falsi, le attribuzioni inventate di sana pianta e corroborate da
firme aprocrife o altre correzioni intenzionali sui quadri sono dietro
l’angolo.
Pur nella piena consapevolezza dei limiti degli ambienti che
frequenta, l’amore per l’Italia è evidente. Quando è in Germania, von Rumohr
soffre di vere e proprie crisi nostalgiche e cerca ogni tipo di scusa per
tornare a visitarla. Ha un’avversione fortissima per la natura troppo
concettuale della discussione estetica in Germania, che a suo parere paralizza
gli artisti ed impedisce loro di manifestare a pieno il loro talento. Nel corso
del secondo e del terzo viaggio, accompagna in Italia giovani pittori (Franz
Horny e Friedrich Nerly) nella convinzione che solo a Roma ci si possa liberare
dal peso dell’estetica tedesca e ritrovare lo spazio per esercitare liberamente
il proprio talento.
L’amore di un giovane
per l’arte italiana
Carl Friedrich von Rumohr s’innamora della pittura quando ha
quindici anni, davanti a tele attribuite a Ruisdael, Correggio, Raffaello e
Claude Lorrain, che vede nella raccolta privata del conte von Brombeck, nel
castello di Söder [67] (una località minuscola vicino ad Hannover). La
collezione annovera una discreta serie di quattrocento pezzi, oggi dispersa. Da
allora cerca di vedere più quadri possibile ed inizia già da adolescente a
viaggiare per i musei del mondo tedesco, come quelli di Dresda, Kassel e Monaco
[68]. Il secondo capitolo del Primo
viaggio è intitolato “Dalle
collezioni d’arte tedesche” e documenta, fra l’altro, il suo entusiasmo fin
dagli anni della giovinezza per Raffaello (dedica diverse pagine alla Madonna Sistina [69]), Paolo Veronese
[70] e Rubens [71]). Quanto agli olandesi, è assolutamente straordinario –
almeno agli occhi di un lettore dei nostri giorni – che egli assegni maggiore
importanza a Adrian van de Velde, Paul Potter, Gerard Dow e Johann Both [72] rispetto
a Rembrandt. D’altra parte, la lettura di quelle pagine serve a comprendere il
gusto dell’epoca, ed anche le condizioni nelle quali si sviluppava l’interesse
per la pittura.
![]() |
Fig. 16) Giovan Pietro Rizzoli detto il Giampietrino o Cesare Bernazzano, Leda con i suoi figli, 1520-1530 |
Ecco ad esempio che cosa Carl Friedrich scrive su una visita
alla pinacoteca di Kassel: “Rimane in me
indimenticabile il ricordo della Carità
di Leonardo da Vinci nell’antica galleria di Kassel, quel quadro di cui si era
perso il ricordo, e quasi era andato distrutto. Poco prima era passato a Kassel
Goethe; per ore – mi è stato raccontato – era rimasto seduto davanti al quadro,
ed il sedile era quasi ancora caldo quando passai io. (…) Nella mia vivida
memoria di quell’immagine, posso ancora oggi riconoscere lo scolaro di
Verrocchio, il compagno di Lorenzo di Credi, i cui bambini erano così simili a
questi. E tuttavia ho riscontrato più ingegno in tutte le parti, più profondità
nel carattere e nell’espressione. Nei tratti della madre ed in quelli dei tre
bambini, in particolare del piccolo nelle sue braccia, riconosco non so quale
dolore, quale nostalgia incontrollabile. Si è chiamato il quadro Carità. Con questo nome sono state rappresentate
in Italia simili composizioni negli anni seguenti, e tuttavia sempre nel senso
di un entusiasmo materno per la prole allegra che gioisce intorno alla madre.
Qui invece sembra che Leonardo non abbia seguito questo schema; ed infatti la
sua natura era quella di andare sempre al di là di quello che gli altri
facevano. Forse ha voluto fare un riferimento al paradiso perduto, e dunque
inteso esprimere dolore, e preoccupazioni ed una nostalgia incontrollabile,
oppure aveva in mente un tema mistico di cui ci manca oggi la chiave di
lettura. Certamente la madre con una serie di tre figli fungeva a simbolo
dell’amore per Dio secondo i concetti cristiani” [73].
Carl Friedrich scrive di essersi trovato di fronte all’opera
(che egli crede di Leonardo) poco dopo il passaggio di Goethe. E tuttavia si
deve trattare di una forzatura: Goethe ha sì descritto il quadro in una pagina
del proprio diario nel 1803, ma ha visitato Kassel nel 1801 [74]. Von Rumohr lo
ha invece visto probabilmente nel 1804-1805. In ogni caso, è chiaro che, in
quegli anni, l’opera è considerata come uno dei capolavori assoluti dell’arte
italiana in Germania. La sua storia è davvero interessante. Il quadro viene
misteriosamente ritrovato nel 1756 a Parigi, ed è immediatamente attribuito a
Leonardo, con il titolo Carità, per
analogia con una serie di simili disegni autografi, conservati a Windsor,
Chatsworth e Rotterdam, e considerati autografi di Leonardo [75].
Per la verità i disegni raffigurano una Leda col cigno, ma la tela appena scoperta risponde allo schema
iconografico rinascimentale della Carità
(la donna che si occupa come vera madre di tre figli non propri). Della Carità di Leonardo non si sa nulla, e
dunque si tratta di una vera e propria sensazione. Il Granduca d’Assia acquista
il quadro, per farne il gioiello della collezione a Kassel (oggi come allora
l’opera si trova nella pinacoteca della città). Nel 1806 i francesi sequestrano
la tela e la trasferiscono al Louvre. Dopo una serie incredibile di peripezie
tra Olanda, Francia e Germania (che comprendono, fra l’altro, anche un periodo
nella collezione personale di Hermann Göring, durante la seconda guerra
mondiale), tornerà a Kassel solamente nel 1962.
![]() |
Fig. 19) Carlo Portelli, Carità di Maastricht, 1555-1560 |
![]() |
Fig. 20) Marcantonio Franceschini, Carità, 1684 (?) |
![]() |
Fig. 21) Francesco Melzi (?), Leda col Cigno, 1514-1516 circa |
Quando Carl Friedrich la ammira, la tela mostra solamente
tre bambini (quello in braccio ed i due nell’angolo destro in basso del
quadro). Un restauro successivo ne rivelerà il quarto (in basso a sinistra),
come pure un guscio d’uovo nascosto, svelando il vero tema dell’opera (ovvero
Leda con le sue due coppie di gemelli: Elena e Clitemnestra, Castore e
Polluce). È questa la vera e sola ragione per la quale i (tre) bambini
osservati da Carl Friedrich non sono avvolti alla madre, come nel motivo
iconografico della Caritas come simbolo dell’amore cristiano: si tratta infatti
di tutt’altro schema simbolico e compositivo. Si sapeva che Leonardo aveva
dipinto una Leda (di cui erano
rimaste numerose imitazioni di allievi) ed una Carità, di cui si era quasi persa la memoria. Non è dunque da
escludere che uno dei quattro bambini ed il guscio siano stato intenzionalmente
coperti nel Settecento per poter assegnare il quadro a Leonardo, della cui Caritas si sapeva assai meno che della Leda. Dopo il restauro, dal 1904 l’opera
è attribuita da Woldemar von Seitlitz, grande critico di Dresda, ad un allievo
di Leonardo, Giovan Pietro Rizzoli, detto Giampietrino. Oggi il dipinto è
esposto a Kassel come opera del Giampetrino o (in alternativa) di Cesare Bernazzano,
un altro discepolo leonardesco. E tuttavia, come dimostrato dal saggio di
Friedrich Marx su “La Carità di Leonardo
da Vinci nella Galleria granducale di Kassel” del 1916 [76], l’attribuzione
a Leonardo fu dura a morire.
![]() |
Fig. 22) Lo studio di Friedrich Marx “Sulla Carità di Leonardo da Vinci alla Galleria granducale di Kassel” |
Il caso della Leda
dimostra che la storia dell’arte italiana si basa in quei decenni su una serie
di attribuzioni spesso incerte e di vicende commerciali assai sospette.
L’ambiguità è l’altra faccia della medaglia del successo dell’arte italiana in
Europa, ed il risultato della smania dei potenti di tutte le epoche di
collezionare capolavori italiani per le proprie collezioni, a caro prezzo (se
necessario anche usando la forza). In questo caso anche Carl Friedrich cade nel
tranello e conferma l’attribuzione a Leonardo.
Il primo viaggio
(1805-1806)
Carl Friedrich von Rumohr parte per l’Italia quando ha
vent’anni. È il periodo delle vittorie di Napoleone in guerra contro gli stati
tedeschi: la battaglia di Austerlitz è del 1805, mentre nel 1806 viene creata
la Confederazione del Reno, la struttura entro la quale la Germania viene
assoggettata agli interessi francesi. Carl parte da Monaco in direzione
dell’Italia insieme ad alcuni coetanei: due pittori, uno scultore ed un poeta
[77]. Quest’ultimo è, come si è detto nella prima parte, Ludwig Tieck (1773
–1853), uno dei padri dello Sturm und
Drang, cui è legato da un solido rapporto di amicizia, pur nella completa
differenza di idee sull’arte [78]. Nessuno di loro parla una sola parola d’italiano
[79], ma l’attrazione del paese dell’arte è troppo forte, anche in quegli anni
di guerra.
![]() |
Fig. 23) Carl Friedrich von Rumohr in una stampa riprodotta nell’edizione delle Ricerche italiane del 1920, a cura di Julius von Schlosser |
Le pagine sul primo viaggio sorprendono per ciò che dicono,
ma anche per quanto escludono. Invano si ricercherà una descrizione della Cappella Sistina o delle Stanze di
Raffaello, come pure di altri capolavori assoluti dell’arte italiana. È invece
permanente un interesse per le ragioni complessive (per esempio, le cause
sociali ed economiche, come pure quelle ideologiche) che possono offrire una
spiegazione razionale delle condizioni della società italiana, e come parte di
essa, anche delle belle arti e dell’architettura. Per molti aspetti von Rumohr,
nel suo viaggio in Italia, sembra interessato a raccogliere gli elementi di una
prima storia sociale dell’arte italiana.
Quando ancora si trova nel mondo di lingua tedesca (nel
capitolo terzo, dedicato al “Viaggio
attraverso le montagne del Tirolo”) von Rumohr rivela la propria avversione
nei confronti dell’architettura barocca e rococò: “Alla lunga ci si adatta a tutto; e tuttavia non sono mai riuscito a
conciliarmi con l’architettura delle chiese e dei chiostri di Innsbruck. (…) Il
modello generale di questi edifici è costituito dall’assurda architettura degli
italiani, ispirata prima da Michelangelo Buonarroti, e portata all’apice poi da
Bernini e Borromini” [80]. Lo disturbano le loro “insensate oscillazioni ed interruzioni delle linee” [81], che gli
architetti tirolesi hanno esasperato in modo da creare combinazioni che sono a
suo parere prive di senso [82] e che egli definisce “mostruosità neo-romane” [83].
Il quarto capitolo è dedicato all’ “Ingresso in Italia ed il viaggio a Roma”. A Trento subito osserva
come, al passaggio della frontiera linguistica, corrisponda un diverso rapporto
tra strutture urbane ed agricole: nel mondo italiano gli abitati non sono mai
circondati da boschi e gli uomini – di conseguenza – non vivono mai a contatto
diretto con la natura [84]. L’osservazione rivela il suo precoce interesse per
l’economia agraria. S’interroga sulle possibili ragioni (il clima, le ragioni
di sicurezza) per le quali gli abitati italiani siano sempre separati
fisicamente dai boschi e giunge alla conclusione che esse debbano essere
puramente culturali, ovvero la conseguenza della comunanza di linguaggio delle
persone: “Forse che la ragione risieda nell’opera
della lingua? Questo meraviglioso elemento è più potente di quello che si
pensi. Grazie ad esso opinioni, punti di vista, pensieri, ragioni passano di
casa in casa, creando nel tempo un consenso generale e riuscendo addirittura a
sopprimere, sia pur inconsapevolmente, il gusto del dissenso” [85].
Arriva a Verona, e ci si attenderebbe qualche riga
sull’arena. Seguono invece commenti su una città che è rimasta antica sia nelle
rovine romane sia nel centro medievale, soprattutto perché povera e dunque
ancora priva di costruzioni moderne: “Il
suolo della provincia è sterile, il suo sfruttamento meno intensivo, il
commercio della città limitato” [86] Carl Friedrich scrive che – tra le
città della Lombardia [sic] – Verona è l’unica a trovarsi in questa situazione,
sia in termini di palazzi pubblici sia di abitazioni private; un’eccezione, dal
momento che sia le città maggiori sia quelle più piccole “sono troppo ricche per poter rimanere all’antico, cosa che in Italia è
ancora oggi considerata in modo assai negativo, come lo era da noi quarant’anni
fa” [87]. Siamo dunque in un’epoca di transizione: da un lato vi sono (sia
in Germania sia in Italia) potenti energie che spingono per la modernizzazione
delle città sia per ragioni economiche sia per influsso dell’illuminismo, che
non vedono problemi nella distruzione di interi quartieri medievali per poter
realizzare nuove strutture; dall’altro cominciano ad emergere le ragioni
(tipiche del mondo romantico, come in Germania) dello storicismo e dunque anche
della conservazione del patrimonio (come pure della costruzione moderna
ispirata all’antico: si pensi alla costruzione del duomo di Colonia in
Germania).
Le pagine su Mantova sono tutte dedicate a Giulio Romano e a
Palazzo Te, le cui strutture architettoniche egli dice di aver riconosciuto più
tardi a Roma, anche se non ne apprezza gli affreschi [88]. Arriva a Bologna
mentre la pinacoteca è ancora in corso di allestimento; può invece ammirare la
quadreria della collezione Zambeccari [89]. Non sorprende che taccia
completamente sui Carracci e la scuola bolognese del Seicento (come si è visto
nella prima parte del post, attribuisce a quell’indirizzo l’avvio di un declino
dell’arte in senso concettuale). Cita invece alcune opere di Francesco Francia,
ma soprattutto si dedica alla Pala Casio
di Boltraffio all’epoca nella Chiesa di Santa Maria della Misericordia (oggi al
Louvre, dove è rimasta dopo essere stata scambiata con un’altra opera con la
Pinacoteca di Brera).
![]() |
Fig. 25) Boltraffio, La Vergine ed il bambino con i Santi Giovanni Battista e Sebastiano, conosciuta come Pala Casio, 1500 |
Anche nel caso di Firenze – dove trascorre solamente sei
giorni – visita la città in una fase di disordine delle collezioni, dovuta alle
confische di beni religiosi e ad altre vicissitudini nel Regno di Etruria,
sotto controllo napoleonico: “Palazzo
Pitti è stato svuotato; la Galleria dell’Accademia non ancora allestita. Ci è
riuscito ancora di vedere qualcosa nelle chiese, sia pur assai poco che fosse
al tempo stesso conosciuto ed accessibile. Ci siamo dovuti dunque limitare alla
Galleria degli Uffizi, che ci apparve come un piccolo mondo” [90]. È chiaro
che il viaggio è diretto a Roma: per questa ragione il gruppo visita
rapidamente il duomo a Siena [91] e poi si dirige verso la città eterna.
“Chi non è parte,
almeno per metà, del mondo degli artisti non può immaginarsi quali sentimenti
di vera e propria ansia e quali attese di strana incertezza assalgano queste
persone, quando cominciano a sentire il profumo della vicinanza della città.
Perché, se si arriva da questo lato, non la si vede se non quando si è giunti
alle soglie dell’abitato. Quando percorrono questa strada, gli uomini di mondo
tendono a sonnecchiare mentre gli esperti di storia contano sulle dita tutte le
loro conoscenze sul passato. Solamente l’artista pensa qui a tutt’altre cose, a
tutto quel che è stato dipinto, a tutte le rivalità che si sono prodotte, a
tutti gli scontri che sono esplosi. Gli verrà in mente Raffaello, che ha
vissuto onorato, potente, circondato da una corte di tipo assai particolare,
certamente nello splendore. O penserà a Michelangelo, che si oppone ai Papi.
Oppure ai molti altri artisti dei tempi antichi e moderni che qui si sono
istruiti o hanno acquisito gloria, oppure sono falliti miseramente, andando a
frantumarsi sugli scogli di quelle chiese cui lavoravano. Perché qui a Roma vi
è davvero tutto, nel modo più completo. Ad un artista [che sta per raggiungere
Roma] verrà forse in mente, quando è di buon umore, anche la plebe ridente
dell’epoca del Bamboccio [92] e di
Claude [93], sulla quale il Sandrart racconta storie così belle. E poi egli si concentrerà su se stesso, i propri desideri,
sentimenti e fantasie” [94].
Entrato in città, le due prime impressioni sono legate al
raffronto tra ciò che vede e le conoscenze già acquisite da stampe d’epoca. Il
Ponte Milvio (allora chiamato Ponte Mollo) non è più quello raffigurato da Johann
Both in un bello stile “rustico”, ma
è stato appena ricostruito in un “miserabile
gusto neo-italiano” [95] (l’architetto neoclassico Giuseppe Valadier lo ha
infatti restaurato proprio nel 1805), mentre Piazza del Popolo [96] è
fortunatamente ancora nelle condizioni in cui l’ha descritta Gomar Wouters alla
fine del Seicento (sarà ristrutturata, sempre dal Valadier, nel 1818. Von
Rumohr si dice felice di averla potuta ammirare com’era prima di
quell’intervento).
![]() |
Fig. 27) Johann Both, Veduta di Ponte Milvio, 1636-1640 |
![]() |
Fig. 28) Gomar Wouters, La Piazza del Popolo abbellita con li nuovi edifici et veduta della citta di Roma come si trova al presente, 1692 |
Carl Friedrich scopre subito una straordinaria sintonia con
la città, a differenza dei compagni di viaggio [97]. Ne parla all’inizio del
quinto capitolo, sul “Soggiorno a Roma”. Decide dunque di stabilirsi qui ed
affitta un appartamento non lontano dal Quirinale (all’epoca Palazzo papale),
da cui ha una vista strepitosa sulla città: “Vedevo giardini di chiostri pieni di alberi d’arancio ed al di là il
Colosseo, le Terme di Caracalla, la Piramide Cestia ed in lontananza le torri
di guardia della riva, e dall’altra parte il giardino del papa e il Vaticano”
[98].
![]() |
Fig. 29) Asmus Jacob Carstens, La Notte ed i suoi figli, il Sonno e la Morte, 1794 |
![]() |
Fig. 30) Joseph Anton Koch, Paesaggio con le offerte di ringraziamento di Noè, 1803 |
![]() |
Fig. 31) Joseph Anton Koch, Il Cervino visto dalla Rosenlaui, 1824 |
![]() |
Fig. 32) Christian Gottlieb Schick, Apollo tra i pastori, 1806-1808 |
Insediatosi a Roma, va subito alla ricerca degli artisti di
lingua tedesca che lì vivono. Incontra i pittori [99] Joseph Anton Koch (1768
–1839) e Christian Gottlieb Schick (1776-1812) e trova ancora le tracce
lasciate nei loro studi dal maestro neoclassico Asmus Jacob Carstens [100] (1754
–1798). Incontra anche lo scultore neoclassico danese Bertel Thorvaldsen [101]
(1770-1844). Nota che Thorvaldsen gode di ampio successo, mentre i meriti di
Koch non sono invece sempre riconosciuti, anche in conseguenza di una certa
discontinuità nella qualità e nello stile delle pitture di storia [102]. E
tuttavia “egli è vero e proprio
innovatore nella pittura del paesaggio: egli sa come dare concretezza,
carattere e personalità alle forme della terra” [103]. È il Koch
pre-romantico, non quello classico, ad affascinarlo.
All’arrivo a Napoli – siamo nel sesto capitolo – sono
dedicate pagine davvero belle, e diverse dall’omaggio spesso stereotipato che
alla città fanno i viaggiatori del tempo. Carl Friedrich visita la regione
mentre le truppe napoleoniche la stanno rastrellando alla ricerca delle
soldatesche di Michele Arcangelo Pezzo, meglio conosciuto come Fra Diavolo, che compiono continue sortite contro i francesi [104]. A Capri i francesi debbono
anche difendersi, senza mezzi sufficienti e dunque a prezzo di gravi perdite,
dalle incursioni della flotta inglese [105]. Gli scontri militari e gli atti di
guerriglia intorno a Napoli contribuiscono ad aggravare condizioni di estrema
povertà, senza che la società sappia trovare forme di solidarietà effettiva per
far fronte a condizioni eccezionalmente gravi, al di là di azioni di pura
facciata. Ad un lettore italiano il racconto rivela come gli aspetti principali
della questione meridionale, ed alcuni squilibri della società italiana in
generale, siano già ben visibili in età napoleonica ad un osservatore attento.
Anche qui le pagine di von Rumohr si differenziano consapevolmente dai modelli
praticati dalla letteratura artistica precedente.
“Napoli? Se n’è già parlato talmente in poesia ed in prosa! Ma adesso
silenzio, caro lettore; non voglio ripetere la vecchia musica, non descriverò
la topografia della città e del suo territorio, e neppure menzionerò la lista
dei nuovi scavi archeologici. No, no, racconterò esclusivamente quel che ho
sentito e pensato in questo luogo. Non è molto di per sé, ma almeno non è qualcosa
di già risaputo. (…) Ancora una volta ho sperimentato in Italia una grave,
lunga e diffusa carestia. Se penso a queste esperienze, sento un fortissimo
impulso ad esprimere alcune considerazioni al proposito. In nessun altro paese
del mondo vi è un numero così elevato di legati, fondazioni e confraternite per
alleviare e ridurre la miseria dei malati, dei deboli, degli indigenti e degli
infortunati. La carità è un requisito necessario per guadagnare il rispetto
presente dei cittadini come pur per garantirsi la loro considerazione e
indulgenza nel futuro. E dunque proprio perché ognuno per tempo e regolarmente
sente la necessità di onorare questo dovere, proprio perché in quest’aspetto
ogni cosa ha da sempre la propria forma ben definita, le proprie cadenze e i
propri ritmi, in Italia non ci si sente in dovere, né si prende l’iniziativa,
di attivare misure straordinarie per evitare mali estremi. Così può accadere
che, al verificarsi di una situazione eccezionalmente grave, la stessa persona
distribuisca da un lato le consuete elemosine, dall’altro faccia deperire il
proprio frumento nei magazzini, nella speranza di un nuovo aumento dei prezzi;
insomma, che egli contribuisca ad aggravare lo stato di necessità nei suoi
aspetti generali, per poi alleviarli nel particolare. E non si spieghi queste
contraddizioni con quell’ipocrisia dietro la quale l’usuraio spesso cerca di
coprire le proprie reali intenzioni. No, in Italia non si è così raffinati. Si
crede infatti in modo spregiudicato che, dopo aver fatto il proprio dovere, si
possano perseguire i personali vantaggi giornalieri senza neppur doverlo
dissimulare” [106].
Torniamo all’arte: nelle condizioni d’emergenza determinate
dall’invasione napoleonica, “parte dei tesori
artistici di Napoli ha seguito la casa regnante a Palermo, ed in particolare la
Galleria si è davvero molto assottigliata. Sono rimaste, oltre alle antichità
dei Farnese e di Pompei, numerose tele di Sebastiano del Piombo e Christoph
Amberger; in entrambi i casi si tratta
di opere significative per i due artisti. A Portici invece il museo pompeiano è
intatto” [107]. Va aggiunto che, se oggi la Galleria di Capodimonte ospita
(tre) opere di Sebastiano, nulla risulta su tele dell’artista tedesco conservate
a Napoli (che non sono citate neppure nelle Ricerche
italiane). Si tratta dunque o di dipinti andati dispersi oppure di
attribuzioni oggi non più ritenute valide.
![]() |
Fig. 33) Sebastiano del Piombo, Ritratto di Clemente VII, 1526 circa |
![]() |
Fig. 34) Sebastiano del Piombo, Madonna del Velo, 1520 |
Quanto infine alla collezione Farnese, non suscita affatto
l’entusiasmo di Carl Friedrich: “La
collezione di antichità dei Farnese tradisce il gusto dei suoi tempi ed
addirittura le preferenze personali degli iniziatori di questa collezione. Ecco
la Venere Callipigia, ecco l’imponente Ercole (modello di molti scultori della
scuola di Michelangelo), ecco il Toro Farnese. Originariamente, si voleva
esporli in luoghi di passaggio pubblico. Questi lavori godono oggigiorno di un
favore limitato; l’antichità ci appare da lati migliori di quel che apparve ai
seguaci di Michelangelo, che tra le statue antiche cercarono solamente quelle
che sembravano confermare la loro direzione. E tuttavia le loro scelte hanno
determinato il giudizio sul valore dell’arte del mondo antico, fino a
Winckelmann ed oltre, a svantaggio dello studio dell’arte antica e del buon
gusto” [108].
Quanto all’architettura angioina ed aragonese di Napoli,
Carl Friedrich la giudica “barbarica”
[109], confermando sostanzialmente il medesimo giudizio che aveva già espresso
sul barocco tirolese. Il suo è un gusto architettonico caratterizzato dal senso
della misura: non gli piacciono le commistioni di stili né elementi
dell’architettura (in questo caso il numero eccessivo di finestre, l’elevazione
degli edifici fino a dieci piani, la mancanza di parti sporgenti) che gli diano
l’impressione di una rottura dell’armonia.
Al precipitare degli eventi in seguito alle guerre
napoleoniche Carl Friedrich decide di rientrare in Germania (al viaggio di
ritorno è dedicato il settimo capitolo, intitolato “Ricordi romani. Ritorno in patria”). La situazione diviene infatti
rischiosa quando un intero battaglione tedesco nell’esercito napoleonico,
dislocato a Roma per controllare l’ordine pubblico, diserta e scompare nei
conventi romani, con il supporto attivo dei prelati di lingua tedesca; le
truppe francesi iniziano perquisizioni e rappresaglie nei confronti delle
comunità germanofone a Roma per cercarli [110]. Von Rumohr non ha alcun ruolo
in quell’atto d’insubordinazione, ma non fa mistero di considerare i soldati ed
i prelati coinvolti veri e propri patrioti, eroi del movimento di liberazione
nazionale anti-francese che – una volta fuggiti da Roma – si uniranno allo
sfortunato movimento d’indipendenza tirolese di Andreas Hofer [111]. A questo
punto Carl Friedrich decide di spendere ancora qualche giorno a Roma per poter
rivedere per l’ultima volta musei e gallerie [112] e lascia poi la città
insieme a Ludwig Tieck [113]. Le tappe italiane del veloce ritorno in Germania
sono Firenze, Parma e Milano [114].
![]() |
Fig. 36) Correggio, San Bartolomeo e san Mattia sopra san Giovanni, Particolare dell’affresco nella cupola del Duomo di Parma, 1520-1524 |
Von Rumohr e Tieck spendono qualche giorno a Parma per
ammirare le opere di Correggio. Vi è una pagina di vero e proprio entusiasmo
per la possibilità che hanno di salire fino alla cima della cupola del duomo,
ammirando da vicino i suoi affreschi, ed in particolare gli apostoli e gli
angeli. È una rivelazione, che fa dire a Carl Friedrich che Antonio Allegri,
pur essendo pittore assai meno colto di Raffaello e Michelangelo, è a questi
superiore perché segue un “concetto più
originale ed innato di bellezza”, basato su una combinazione di forme e
lineamenti [115]. A Milano – dove la Galleria di Brera è ancora in corso di
formazione – ammirano la collezione Melzi [116] e l’Ultima cena di Leonardo [117]. Qualche riga è sufficiente per
raccontare il ribrezzo provato da Carl Friedrich davanti alla statua colossale
di San Carlo Borromeo [118] (descritta come “un enorme spaventapasseri nei campi”, privo delle qualità
architettoniche di forma che sono necessarie per ogni opera di tali dimensioni)
e subito dopo il pittore è di ritorno nel mondo tedesco attraversando il Lago
Maggiore, risalendo il Ticino, e raggiungendo da lì Zurigo e Basilea (dove
rende omaggio ad Holbein).
Il secondo viaggio (1816-1821)
Dieci anni dopo, Carl Friedrich è di nuovo in Italia. Nel
frattempo l’Europa è stata sconvolta dalle guerre napoleoniche. Ha passato gran
parte del periodo in Baviera, vicino alle amate montagne e soprattutto in una
parte di Germania che a suo parere è più simile, per temperamento, all’Italia
[119]. Perché dell’Italia von Rumohr –
come spiega nel primo capitolo di questa sezione, intitolato Veranlassung (il motivo, l’occasione) –
ha grande nostalgia [120]. In quegli anni von Rumohr si sente spaesato in
Germania: “Mi mancava sicuramente un
punto di riferimento per la vita e l’attività” [121]. Inizia allora ad
occuparsi di letteratura, più per noia che per convinzione, forse alla ricerca
di nuovi interessi.
![]() |
Fig. 37) Heinrich Meyer, Edipo risolve l’indovinello della sfinge, 1789. Fonte: https://archive.org/stream/zeichnungenvonjo00meye#page/n29/mode/2up |
![]() |
Fig. 38) Heinrich Meyer, Ritratto di Goethe, 1795. Fonte: https://archive.org/stream/zeichnungenvonjo00meye#page/n31/mode/2up |
L’occasione del ritorno in Italia si presenta quando, nei
circoli artistici neoclassici di Weimar animati dal pittore e critico d’arte
svizzero Heinrich Meyer [122] (1760–1832), von Rumohr conosce un giovane
artista, Franz Horny (1798-1824), gravemente malato di tisi. Nonostante la
malattia, Horny vuole andare a Roma per studiare con Joseph Anton Koch; spera
infatti che il clima mediterraneo possa alleviare i suoi problemi polmonari
(morirà invece a soli 26 anni ad Olevano). Carl Friedrich decide di
accompagnarlo in Italia; lo considera un grande talento, anche se vede in lui tutti
i sintomi di un’educazione all’arte completamente sbagliata, basata
sull’infinita ricopiatura dei maestri antichi, e destinata dunque ad indebolire
la capacità creativa dell’artista [123]. Auspica che viaggiare in Italia possa
liberare il talento di Horny da tutte le false barriere create dall’estetica
weimariana. Il giovane amico pittore non sa infatti come dipingere dal vero e
si rivela addirittura incapace di trarre ispirazione dallo splendido panorama
delle Alpi e della vegetazione che attornia il Lago di Garda [124]. Anche
arrivato a Roma, nonostante i contatti con gli artisti tedeschi del luogo e
numerosi tentativi di adottare stili diversi, non riuscirà mai ad usare il
colore e saprà sempre e solo dedicarsi al disegno. La sua incapacità di operare
come un vero pittore, nonostante il suo talento, è una delle ragioni, secondo
von Rumohr, per riflettere più volte nel corso dei Tre viaggi sui danni causati dall’estetica weimariana sull’arte a
lui contemporanea, tema già menzionato ed ampiamente descritto nella prima parte di questo post [125].
Ancora una volta Carl Friedrich attraversa – siamo nel
secondo capitolo – le Alpi, intraprendendo, una volta valicatele, gite ad Arco
e sulle rive del Lago di Garda. Il terzo capitolo narra del trasferimento da lì
a Firenze, attraverso Bologna (dove i due ammirano la Santa Cecilia di Raffaello, ritornata dalla Francia nel 1815 ed
appena esposta nella nuova Pinacoteca, come pure opere non meglio precisate di
Marcantonio Franceschini [126]). Il soggiorno invernale a Firenze è aggravato
da “carestia, peste, e malattie mortali”
in città [127]. Nel maggio 1816 si materializza il ritorno a Roma, dopo dieci
anni di assenza, narrato nel quarto capitolo che fin dal titolo specifica il
carattere peculiare della nuova permanenza in Italia: “Ritorno a Roma. Ricerche d’archivio”.
Arrivato a Roma von Rumohr scopre grandi cambiamenti nel
mondo artistico degli artisti tedeschi che lì vivono. Ai classicisti si sono,
infatti, affiancati i Nazareni: “Incredibile
il cambiamento che si era verificato in questo piccolo mondo, dove da alcuni
secoli gli sforzi artistici di tutte le nazioni europee avevano cercato e
trovato un punto d’incontro. Si era verificata una frattura tra i punti di
vista degli artisti, e ne erano nati motivi di tensione, anche se le parti non
avevano mai cessato di riconoscere reciprocamente i loro meriti. Rimasi
sorpreso dalla fertilità dei veri talenti di questi tempi” [128].
![]() |
Fig. 40) Peter von Cornelius, Giuseppe interpreta i sogni del Faraone, Ciclo di Affreschi di Casa Bartholdy, 1816-1817 |
La sua attenzione viene attratta dal ciclo di affreschi di
Casa Bartholdy a Palazzo Zuccari [129], una delle opere fondatrici dell’arte
dei Nazareni, oggi alla Alte
Nationalgalerie di Berlino. L’opera viene eseguita proprio in quegli anni,
tra 1815 e 1817: “Ed infatti la famosa camera
nella casa del console generale di Prussia era in parte già ultimata ed in
parte ancora in lavorazione. Erano le prime pitture a fresco da molto tempo,
dal momento che gli affreschi dipinti secondo questa tecnica in Germania
meridionale ed addirittura in Italia dal 1700 testimoniavano sì abilità
tecniche ma erano troppo privi di contenuto per essere ancora oggi oggetto
d’attenzione” [130]. E si sofferma
in particolare su un disegno di Overbeck per il ciclo, raffigurante un’Ave Maria [131].
Von Rumohr passa l’estate a Roma e poi fa ritorno a Firenze,
città che ha in realtà abbastanza trascurato finora, e lì ha una seconda
rivelazione. “Dopo un anno passato tra
diversi piaceri e dolori misi mano ad un lavoro che mi ha, in seguito, fornito
il materiale per gli studi più diversi” [132]. È l’inizio dell’interesse di
Carl Friedrich per le fonti di storia dell’arte: racconta che già nell’inverno
precedente (quello passato a Firenze durante la peste) ha setacciato il Vasari
e lo ha usato come termine di paragone per le opere che egli visita ed osserva,
scoprendo che al celebratissimo artista-scrittore mancano “critica, memoria e persino la volontà di adeguarsi alla verità storica”
[133]. I critici successivi che “hanno
promesso al mondo di migliorarlo e completarlo” non hanno saputo trovare “punti di riferimento stabili dai quali poter
osservare e studiare l’arte nel suo complesso” [134] e si sono dimostrati
anch’essi “non così accurati ed
affidabili come si dovrebbe attendere da correttori. Solamente negli ultimi
tempi si è visto un miglioramento” [135].
“Si trattava ora di
fare un passo iniziale e per questo mi sono immerso nell’Archivio dell’Opera
del Duomo di Firenze. Non mi è stato dato accesso ai rotoli, ma ad alcune
centinaia di libri rilegati nei depositi. Abbastanza per cercare ed abbastanza
per fare esercizio. I libri partivano dall’anno 1300” [136]. Rumohr esamina tutti i protocolli sulle
discussioni che preparano ed accompagnano la costruzione del Duomo e tutti i
contratti notariali con gli artisti tra il 1430 ed il 1480 [137]. Passa poi
all’archivio della confraternita della Misericordia [138]. Si aiuta facendo ricorso alla “Firenze antica, e moderna illustrata”, una guida enciclopedica in otto volumi
della storia di Firenze pubblicata pochi anni prima da V. Follini e M. Rastrelli [139].
Quando poi gli archivisti fiorentini gli rendono la vita
difficile, impedendogli di avere libero accesso alle riformagioni (le delibere comunali), passa a Siena dove ha accesso
all’archivio dell’amministrazione finanziaria [140].
È un’attività di ricerca frenetica, che darà vita ai primi
due volumi delle Ricerche italiane
dieci anni dopo, ovvero nel 1827.
È il primo tentativo di scrivere una storia dell’arte italiana nel mondo tedesco, basandola su dati documentali e non su basi letterarie. Eppure Carl Friedrich, guardando retrospettivamente nei Tre viaggi, scrive: “Non sono soddisfatto di quello che ho fatto, ed ho l’impressione di avere conseguito di più nelle mie attività di osservazione e studio visivo diretto delle opere, di cui mi posso gloriare nel campo dell’arte, di quanto non abbia fatto con lo sfruttamento del materiale documentario. A questo proposito avrei dovuto superare le mie inibizioni ed imporre la mia presenza anche negli archivi che opponevano resistenza, se necessario operando in modo invadente o addirittura ricorrendo alla corruzione. Insomma, sono stato più felice con me stesso di quanto io sia stato diligente. In fondo, se non ho potuto rendere pubblici molti nuovi elementi di informazione, almeno quelli che ho portato alla luce erano buoni ed importanti. Ed infine non si creda che le ‘Ricerche’ diano un’idea di tutto il mio lavoro, dal momento che ho dovuto tener conto delle necessità della misura” [141].
È il primo tentativo di scrivere una storia dell’arte italiana nel mondo tedesco, basandola su dati documentali e non su basi letterarie. Eppure Carl Friedrich, guardando retrospettivamente nei Tre viaggi, scrive: “Non sono soddisfatto di quello che ho fatto, ed ho l’impressione di avere conseguito di più nelle mie attività di osservazione e studio visivo diretto delle opere, di cui mi posso gloriare nel campo dell’arte, di quanto non abbia fatto con lo sfruttamento del materiale documentario. A questo proposito avrei dovuto superare le mie inibizioni ed imporre la mia presenza anche negli archivi che opponevano resistenza, se necessario operando in modo invadente o addirittura ricorrendo alla corruzione. Insomma, sono stato più felice con me stesso di quanto io sia stato diligente. In fondo, se non ho potuto rendere pubblici molti nuovi elementi di informazione, almeno quelli che ho portato alla luce erano buoni ed importanti. Ed infine non si creda che le ‘Ricerche’ diano un’idea di tutto il mio lavoro, dal momento che ho dovuto tener conto delle necessità della misura” [141].
A Siena riesce anche ad acquisire documenti originali in
pergamena, che gli sono venduti sul mercato da un certo B. Montini, un
antiquario che li ha acquisiti a poco prezzo dall’archivio dei Carmelitani approfittando
dei sequestri napoleonici. Sono diplomi di papi ed imperatori, codici medievali
di Tito Livio ed altri documenti che consegna alla Biblioteca di corte di
Berlino [142].
Ma sarebbe sbagliato pensare che von Rumohr si sia ritirato
nel mondo degli archivi e dunque abbia interrotto ogni legame con la realtà. In
una delle sue frequenti puntate a Roma anima una discussione con l’ambasciatore
prussiano Niebuhr sulle differenze economiche tra il nord ed il sud
dell’Italia. Il tema è la ragione storica della differenza tra mezzadria (Colonia partiaria) nel nord e latifondo
nel sud. La tesi di Niebuhr è che la mezzadria sia di origine germanica (sors barbarica), e sia dunque un residuo
storico della presenza delle popolazioni nordiche in Italia, mentre la risposta
di Carl Friedrich è di natura politica ed economica: “Nell’epoca di organizzazioni municipali governate democraticamente le forze
di mercato spingono i contadini al possesso della terra; là dove invece operano
capitalisti, essi li scalzano dal possesso, se mai vi sia stato” [143]. È
un’opinione assai ardita per quei tempi e l’ambasciatore lo invita, quasi per
sfida, a documentarla. È l’origine degli studi che von Rumohr condurrà per anni
sul tema dell’economia agraria e che giustificheranno il suo quarto viaggio in
Italia, alla ricerca dei sistemi di coltivazione ed irrigazione della
Lombardia, anni dopo la pubblicazione dei Tre
viaggi nel 1832.
Il quinto capitolo (intitolato “La Morte di Horny. Briganti”) è dedicato al triste destino del
giovane amico. A Roma Horny studia con Joseph Anton Koch, aiuta Peter Cornelius
negli affreschi per la Villa Massimo
[144], e fa grandi progressi, nonostante non riesca mai ad affrancarsi del tutto
dal disegno a matita e non si decida mai a dipingere [145]. La sua salute non
fa altro che peggiorare [146] e i due si trasferiscono ad Olevano [147], dove
possono godere di un clima migliore, ma sono esposti al rischio del banditismo
locale, cui sono dedicate diverse pagine, compreso un sequestro di persona di
cui Carl Friedrich è vittima (riuscendo a fuggire e dunque a salvarsi la vita
in modo rocambolesco) [148]. Horny rimane ad Olevano anche quando von Rumohr
deciderà di far ritorno in Germania nel 1821. Il giovane pittore mancato vi
morirà anni dopo nel 1824.
L’ultimo capitolo dedicato al secondo viaggio è centrato
sulle visite ricevute da delegazioni di alto rango dalla Germania e dalla
Danimarca (Landmannschaften –
curiosamente, il termine che viene usato oggi per le nazionali di calcio).
Accompagnare personalità nelle visite in Italia significa avere una fonte di
guadagno ed acquisire preziose conoscenze. Particolarmente fortunato è
l’incontro con il principe ereditario di Danimarca, Christian Frederic (il
futuro re Cristiano VIII) e la consorte Caroline Amalie, con cui von Rumohr
manterrà i rapporti tutta la vita. Egli decide infatti di ritornare in Nord
Europa per godere dei loro favori.
Il terzo viaggio (1828-1829)
Le ragioni alla base del terzo viaggio non sono del tutto
differenti da quelle del secondo. Da un lato von Rumohr continua a considerare
insopportabile la cultura accademica tedesca in materia d’arte, dall’altro
vuole completare gli studi in Italia per preparare un nuovo volume delle “Ricerche italiane”, questa volta su
Raffaello. L’occasione per ritornare si presenta quando conosce un altro
giovane artista, Friedrich Nerly (1807-1878), di cui diviene precettore nel
1823 (quando Nerly è sedicenne) e che decide cinque anni dopo di accompagnare
in Italia, ancora una volta per sottrarre un giovane pittore di talento dalla
morsa dell’estetica tedesca.
Il primo capitolo ci presenta Carl Friedrich nella nuova
attività di precettore di artisti (il titolo è Künstlerbildung, ovvero l’educazione degli artisti); Rumohr
ammette, peraltro, che, in proposito, la sua attività non è stata fortunata
[149], con l’eccezione di Friedrich Nerly. Con lui ha sperimentato un nuovo
metodo d’insegnamento basato su composizione e colore [150]. È un insegnamento
tecnico pratico, alternativo a quello accademico ed ispirato al modo con cui
l’arte veniva insegnata in passato negli studi degli artisti. Del resto, con la
scomparsa del praticantato [151] - egli scrive - o si impara il mestiere di
pittore da soli (esponendosi ai rischi degli autodidatti [152]) oppure si è
costretti a far ricorso alle accademie, con notevole esborso di denaro [153] e
nessun risultato [154]. I pittori di maggior successo come Balthasar Denner,
Christian Dietrich (anche chiamato Dietricy) e Anton Raphael Mengs hanno
infatti tutti studiato presso parenti. Un uomo pratico come Carl Friedrich non
può che osservare che le quotazioni di mercato dei pittori tra 1700 e 1800 sono
bassissime: “È una realtà scomoda, che si
può spiegare con la supposizione che uno sforzo così vasto non abbia condotto a
null’altro se non perpetuare indirizzi sbagliati che altrimenti si sarebbero
estinti da soli per mancanza di nuovi seguaci” [155].
Il secondo capitolo spiega le “Intenzioni originarie e la
modifica successiva del piano di viaggio” (Ursprüngliche
Bestimmung und spätere Abänderung des Reiseplanes). L’obiettivo d’origine è
quello di accompagnare Nerly in Italia, nella piena comprensione del “suo crescente desiderio di impressioni
entusiasmanti, che ogni artista cerca e trova in Italia”, ma anche del suo
bisogno “non solamente di imparare, ma
soprattutto di acquisire libertà e autonomia” [156]. E tuttavia Carl Friedrich è
convinto che “non si possa osare di
abbandonare una persona giovane a se stesso senza alcuna transizione”
[157].
Ma vi è in realtà un terzo motivo che diviene prevalente: la
stretta collaborazione con le autorità prussiane per alimentare il Museo di
Berlino, che sta crescendo di giorno in giorno. Carl Friedrich si reca
regolarmente a Berlino per seguire il progresso della collezione. Ha scoperto
numerosi falsi oppure opere di scuola, spesso vendute come capolavori dei
grandi maestri. Non sorprende dunque che l’amministrazione prussiana lo
contatti infatti attraverso l’ambasciatore a Roma, Christian Karl von Bunsen (1791-1860),
chiedendogli di esprimere un giudizio su un dipinto che si trova a Firenze e
che il governo vuole acquisire per la collezione di Berlino [158]. A Firenze il
punto di riferimento per le trattative con la Germania è Johann Baptist Metzger
(1771-1844), incisore e mercante d’arte, attivo in Toscana per decenni, molto
legato ai Nazareni. Vale forse qui la pena di osservare che la vicenda
testimonia l’importanza politica delle transazioni nel mercato dell’arte
dell’epoca. Molti fra gli ambasciatori prussiani a Roma in quegli anni sono,
oltre a diplomatici, anche studiosi. Il già nominato Niebuhr, con cui Carl
Friedrich aveva scambiato opinioni su mezzadria e latifondo durante il secondo
viaggio, assume la cattedra di storia dell’arte antica a Bonn. Bunsen, che lo
sostituisce, è un famoso egittologo. Evidentemente per le autorità di Berlino
la rappresentanza diplomatica di Roma ha un grande ruolo nella gestione dei
rapporti culturali.
![]() |
Fig. 45) Julius Schnorr von Carolsfeld, Ritratto di Johann Baptist Metzger, 1819 |
![]() |
Fig. 46) Raffaello, Madonna Tempi, 1508 |
Carl Friedrich si rende rapidamente conto che Metzger
possiede molti pezzi che completerebbero la collezione di Berlino [159]; uno
dei più importanti, la Madonna Tempi
di Raffaello [160], è già stato venduto alla casa regnante di Baviera (è ancora
oggi alla Alte Pinakothek di Monaco).
Bisogna dunque affrettarsi. Viene autorizzato dal re ad effettuare gli acquisti
[161].
![]() |
Fig. 47) Sandro Botticelli, Madonna con bambino e Giovanni Battista bambino in preghiera, senza data |
![]() |
Fig. 48) Sandro Botticelli, Cristo Salvatore, senza data (foto: Christoph Schmidt/SMB) |
Gli riesce di mettere le mani anche su un Botticelli (il
tondo “Madonna con bambino e Giovanni Battista bambino in preghiera”), che si
aggiunge come seconda opera del pittore toscano a Berlino al “Cristo Salvatore”
che è lì dal 1821 grazie all’acquisizione della collezione dell’inglese Solly.
Incoraggiato ancora una volta da Bunsen, Carl Friedrich si rivolge al Marchese
Nerli, erede di una antichissima famiglia fiorentina di parte guelfa [162],
mentre da Berlino parte il principe ereditario in persona [163]. Von Rumohr gli
fa da guida per quattro giorni, spiegando “di
conoscere Firenze meglio di molti fiorentini” [164], e lo accompagna anche
a Siena ed Arezzo [165].
È a Siena (dove conduce le sue amate ricerche d’archivio) e
si prepara a partire per Roma e Napoli quando l’amministrazione prussiana lo
contatta nuovamente: il principe ereditario ha visto a Milano un quadro
attribuito a Raffaello che si trova in pessime condizioni, ma vuole avere il
parere di un esperto. Parte subito nonostante le condizioni proibitive di tempo
(è difficile viaggiare con la neve a quei tempi) [166] e arriva alla
conclusione che si tratta di un minore lombardo. Scopre però opere di
Sebastiano del Piombo, Moroni e Tiziano ed arriva alla conclusione che la
Lombardia è una vera e propria miniera inesplorata per la collezione d’arte di
Berlino. A quel punto gli arriva una lettera di Alexander von Humboldt in
persona, che gli dà l’incarico di comprare il più possibile, prima che arrivino
i concorrenti [167]. Ed è questa la ragione per la quale, invece di viaggiare a
sud, il suo terzo viaggio in Italia attraversa il nord.
Si apre qui la sezione del terzo viaggio coperta dallo
studio di Chiara Battezzati nel 2009 su “Carl Friedrich von Rumohr e l’arte nell’Italia settentrionale” [168]. Sono le venticinque pagine finali dei Tre viaggi, in realtà non un racconto di
viaggio, ma un fitto catalogo di opere visionate, scelte o scartate. Il
racconto perde di vista Nerly ed assume invece il tono di una descrizione molto
precisa delle opere disponibili presso la nobiltà lombarda; si interrompe
bruscamente con l’arrivo a Venezia, quasi come se continuare la catalogazione
in una città così ricca d’arte fosse eccessivamente dispendioso. Rimando per questa sezione al post già pubblicato nel blog.
NOTE
[67] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien: Erinnerungen. Leipzig, F. A. Brockhaus, 1832, 327 pages. Il testo è disponibile su Internet all'indirizzo
[68] von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach
Italien … 1832 (citato), p. 69.
[69] von
Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), pp. 74-77.
[70]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), pp. 78-80.
[71]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 82.
[72]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 82.
[73]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato),
p. 70.
[74] Si veda: Herzog, Erich, Spuren Goethes in Kassels
Gelerien (Le tracce di Goethe nelle gallerie di Kassel), discorso tenuto l’1
gennaio 1978. Testo disponibile a:
[75] Si veda la scheda della Pinacoteca di Kassel: http://altemeister.museum-kassel.de/32719/.
[76] Marx, Friedrich - Über die Caritas des Leonardo
da Vinci in der Kurfürstlichen Galerie zu Cassel : mit einer Photographie und
vier Textabbildungen, Bonn, In Kommission bei L. Roehrscheid, 1915. Il testo è
disponibile all’indirizzo
[77]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 85.
[78]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 156.
[79]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 99.
[80]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 94.
[81]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 94.
[82]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 94.
[83]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 95.
[84]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 103.
[85]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 103.
[86]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 106.
[87]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), pp.
106-107.
[88]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 107.
[89]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 108.
[90]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 109.
[91]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato),
p. 110.
[92] Pieter van Laer, detto il Bamboccio (1599–1642).
[93]
Claude Lorrain (1600-1682).
[94]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p.
111-112.
[95]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 112.
[96]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 113.
[97]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 115.
[98]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), pp.
115-116.
[99]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 116.
[100]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 116.
[101]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 116.
[102]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 117.
[103]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 117.
[104]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), pp.
128-129.
[105]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), pp.
139-142.
[106] von
Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), pp. 126-127.
[107]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 136.
[108]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), pp. 136-137.
[109]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 143.
[110]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 146.
[111]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 151.
[112]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 155.
[113]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 156.
[114]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 156.
[115]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 158.
[116]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 160.
[117]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 160.
[118]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 160.
[119]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), pp.
165-166.
[120]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 167.
[121]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato),
p. 176.
[122] Heinrich Meyer ha avuto anche un ruolo molto
rilevante nella letteratura artistica dei suoi tempi. Si pensi, per esempio,
alla sua “Storia delle belle arti presso
i greci dalle loro origini al loro massimo vertice” (Geschichte der bildenden Künste bei den Griechen: von ihrem Ursprunge
bis zum höchsten Flor) pubblicato dalla Walterschen Hofbuchhandlung a
Dresda nel 1824. Il testo, di 519 pagine, è disponibile all’indirizzo
[123]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), pp.
172-173.
[124]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), pp.
190-191.
[125]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), pp.
192-194.
[126]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 196.
[127]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 197.
[128]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 197.
[129]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 198.
[130]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 198.
[131]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 198.
[132]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 198.
[133]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 199.
[134]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 199.
[135]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 199.
[136]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), pp
199-200.
[137]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 200.
[138] von
Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 200.
[139]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato),
p. 200. Si tratta dell’opera in otto volumi “Firenze antica, e moderna
illustrate”a cura di V Follini e M Rastrelli, pubblicata da P. Allegrini, J.
Grazioli, A.G. Pagani tra 1789 e 1802.
[140]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 200.
[141]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 201.
[142]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 202.
[143]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 203.
[144]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 206-207.
[145]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 208.
[146]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 205.
[147]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 212.
[148]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), pp. 241-218.
[149]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 246.
[150]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), pp. 248-250.
[151]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 237.
[152]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 238.
[153]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 239.
[154]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 239.
[155]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 239.
[156]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 258.
[157]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 258.
[158]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 259.
[159]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 260.
[160]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 261.
[161] von
Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 261.
[162]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 266.
[163]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 267.
[164]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 267.
[165]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 267.
[166 von
Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato), p. 273.
[167]
von Rumohr, Carl Friedrich - Drey Reisen nach Italien … 1832 (citato),
p. 281.
[168] Si veda Chiara Battezzati. Carl Friedrich von
Rumohr e l’arte nell’Italia settentrionale.
Nessun commento:
Posta un commento