CLICK HERE FOR ENGLISH VERSION
Scritti di artisti tedeschi del XX secolo - 9
Max Liebermann
Briefe [Lettere]
Raccolte, commentate ed edite da Ernst Braun
Volume Secondo (1896-1901)
2011, 590 pagine, Baden-Baden, Deutscher Wissenschaftlicher-Verlag (DWV)
Parte Seconda
Recensione di Francesco Mazzaferro
[Versione originale: novembre 2016 - nuova versione: aprile 2019]
Leggi la Parte Prima
Berlino: dal Gruppo degli XI alla Secessione
Parte Seconda
Recensione di Francesco Mazzaferro
[Versione originale: novembre 2016 - nuova versione: aprile 2019]
![]() |
Fig. 17) Il frontespizio del catalogo (seconda edizione) della prima mostra della Secessione di Berlino nel maggio 1899. Fonte: http://www.digishelf.de/objekt/733809626-1899/1/#topDocAnchor |
Leggi la Parte Prima
Nel corso del 1896 e nei due anni seguenti Liebermann si
occupa ancora, insieme a Walter Leistikow, del Gruppo degli XI [87], che egli ha contribuito a fondare a Berlino nel
1892. Leistikow è, insieme a Franz Skarbina, forse l’unico artista di
quel gruppo che Liebermann veramente apprezzi. In una lettera allo scrittore
Fritz Mauthner segnala il romanzo “Auf
der Schwelle” di Leistikow [88], (già recensito in questo blog in un post sulla Vita di Walter Leistikow di Lovis Corinth). In una di poco successiva, tuttavia, confida al direttore del
Kaiser-Friedrich-Museum, Wilhelm Bode, che i rapporti tra i membri del gruppo sono
turbati da problemi personali: “Lei non
si può immaginare di che cosa sia capace un pittore che non è stato abbastanza
lodato” [89].
È evidente che quell’esperienza non è considerata
sufficiente, anche se offre una possibilità di mostrare artisti stranieri al
pubblico tedesco (Liebermann si occupa nel 1896 di ricevere opere di Whistler
[90] e Cazin per poi esporle alla mostra del Gruppo degli XI).
Nel marzo 1898 si apre la settima ed ultima esibizione degli
XI. In una lettera, scritta immediatamente prima della mostra, la curiosità di
Liebermann è tutta per Ludwig von Hoffmann, un membro del gruppo, recentemente
trasferitosi a Roma. Implicitamente il pittore spera che il collega (famoso per
i suoi temi eccentrici) possa beneficiare dell’influsso moderatore del
classicismo [91]. Ma quando l’esposizione è inaugurata, la prima reazione non è
affatto positiva: “Mi sembra che gli XI
abbiano raggiunto a tal punto il loro obiettivo che potrebbero sciogliersi. La
mostra non fa vedere più nulla di nuovo: Leistikow sembra aver prodotto il
meglio, ma anch’egli mostra solamente cose che aveva già presentato. Hoffmann
presenta una sciocchezza di stile caleodoscopico ed abbastanza imbarazzante,
con alberi rossi [Nota dell’editore: Adamo ed Eva in un paesaggio
paradisiaco]. Ma io credo che alberi
rossi non siano di per sé sufficienti per mostrare il genio del pittore. Non
sono contro la pazzia nell’arte, ma un po' di talento non fa male alla pazzia.
Come pezzo grosso avevamo invitato alla mostra Baluschek; ma per non scioccare
i circoli di corte (…) le sue cose sono state appese là dove non poteva vederle
nessuno. Lo stesso vale per le opere di [nota dell’editore: Martin] Brandenburg e per la vuota mediocrità di un
Albert” [92]. Insomma, l’esperienza è considerata esaurita: Hoffmann e
Brandenburg sono chiaramente influenzati dal simbolismo, a lui avverso, mentre
Baluschek è già avviato verso la strada del realismo sociale. Si tratta comunque
di giudizi privatissimi: non solamente Hermann e von Hoffman sono compagni di
strada dal 1892, ma saranno membri fondatori (come del resto Baluschek) della
Secessione l’anno seguente. Quando si leggono queste impressioni così diverse
da quel che fu il comportamento ufficiale di Liebermann, si comprende il pieno
valore della pubblicazione integrale del suo carteggio ad opera di Braun, che
mostra come egli abbia tenuto distinti il proprio ruolo manageriale ed i propri
giudizi privati sull’arte.
La Secessione come iniziativa
di rinnovamento del gusto estetico di Berlino
Tutti i movimenti secessionisti in Europa hanno la loro
origine a Parigi (Salon du Champ-de-Mars, 1890), a Monaco (Secessione,1892) e a
Vienna (Secessione, 1897; di quest’ultima Liebermann non parla mai nel secondo
volume delle lettere). Alla fine del secolo Max è assolutamente convinto
(almeno in privato) che Parigi e Monaco siano in crisi profonda e che sia
venuto il momento per Berlino di raccoglierne il testimone. A dire il vero la
sua sembra una convinzione epidermica, basata sul gusto personale più che su una
teoria estetica. Anzi, più che una rivoluzione antisistema, per Liebermann la
creazione della Secessione a Berlino è soprattutto un passo inevitabile, in
linea con lo sviluppo complessivo della nuova metropoli tedesca. Scrive
all’amico Max Linde: “Per quel che riguarda
Berlino come città d’arte, sono della sua opinione: il governo ha le migliori
intenzioni e [nota dell’editore: il ministro della cultura] Bosse, che mi ha recentemente ricevuto, era
su posizioni quasi più avanzate delle mie. E, per raggiungere quest’obiettivo,
Berlino ha ancora un enorme vantaggio: Monaco è morta, come dimostrato dalla
loro ultima esibizione e dalla mostra qui a Berlino della scuola di Dachau. Lo
stesso per Parigi. Qui ci sono i soldi e la città si espande, mentre Parigi e
Londra hanno la parte migliore della loro storia dietro di loro” [93]. Ripete
gli stessi concetti ad Albert Kollmann, specificando che lo scandalo Dreyfuss
ha di molto ridotto l’attrattività della città francese per artisti e liberi
pensatori; la cosa è valida anche per lui, un tempo così innamorato di Parigi
[94]. Deve però riconoscere che l’imperatore ha gusti molto tradizionalisti: “Purtroppo non possiamo godere della
benevolenza dei Medici: al contrario sua maestà si è espresso senza alcuna
pietà nei confronti dei ‘socialdemocratici’. Ebbene, la stessa mancanza di
pietà ha mostrato nel suo giudizio su Böcklin, i francesi e tutto quel che
riguarda l’arte con l’eccezione di Anton von Werner” [95]. Insomma, Berlino ha tutte le potenzialità per veder crescere l’arte moderna, ma vi
è ancora bisogno di una spallata decisiva contro i circoli più conservatori: e
questa spallata sarà la Secessione.
![]() |
Fig. 18) Karl Ferdinand Klimsch, Poster della Grosse Berliner Kunstausstellung del 1898 |
Nelle lettere, il primo riferimento all’intenzione di creare
una Secessione a Berlino è del maggio 1898. In quei mesi Liebermann è parte
della giuria della “Große Berliner
Kunstaustellung” (la manifestazione ufficiale che lo aveva visto ospite
d’onore l’anno prima). L’artista berlinese, pur ossequiato e premiato, è
insofferente: confida in una lettera privatissima a Fritz Mackensen, fondatore
della colonia d’artisti di Worpsede (un gruppo di giovani artisti ispirato
all’esperienza francese di Barbizon), che la giuria di Berlino voleva
respingere tutti i quadri dei membri della colonia, e che solo il suo
intervento ha evitato il disastro: “Proprio
adesso circolano voci in tutte le direzioni e quel che è nell’aria da tempo
sembra volersi concretizzare sempre di più: la Secessione di Berlino” [96].
Ed aggiunge “Dunque un divorzio è
assolutamente necessario” [97]. La lettera, tuttavia, conferma quanto
scritto da Lovis Corinth nel suo saggio “La
vita di Walter Leistikow”: l’iniziativa di creare la Secessione non ha in
realtà origine da Liebermann (che in un primissimo tempo la guarda con
ambiguità), ma dal suo amico Walter Leistikow. Quando si diffonde la notizia
della nascita della nuova organizzazione, Julius Elias (un critico con cui
Liebermann aveva avuto in passato ottimi rapporti, ma che era divenuto più
critico nei suoi confronti) diffonde addirittura la voce che Liebermann,
Skarbina e Koepping non ne sarebbero entrati a far parte: Max smentisce la
notizia in una lettera pubblicata sui giornali e garantisce di aver
sottoscritto come primo firmatario gli statuti della nuova associazione nella
riunione di fondazione, tenutasi sei settimane prima [98].
Alcune ambiguità
Se si consulta il catalogo della prima mostra della
Secessione berlinese [99] si ha l’impressione – forse sbagliata –
che pochi siano stati i pittori esposti per la prima volta. Più che una
piattaforma d’avanguardia per lanciare giovani artisti, la Secessione di
Berlino sembra essere una struttura commerciale alternativa per consolidare il
successo di artisti ben conosciuti. L’autore più rappresentato alla mostra è
Leibl, con quindici quadri, seguito da Böcklin con sette. Fra i dipinti di
Leibl, quello della Giovane parigina
è già famoso. Lo stesso Liebermann, nel discorso d’apertura del 20 maggio 1899,
si guarda bene dal presentare l’iniziativa come un atto sedizioso: “Non ci siamo decisi al passo, gravido di
conseguenze, di dividerci dai nostri camerati per pura audacia giovanile. Non
lo abbiamo fatto come nemici, ma come fratelli, uno dei quali cammina da un
lato mentre l’altro cammina dall’altro. Ma entrambi aspiriamo allo stesso
obiettivo e – ne sono sicuro – lo raggiungeremo ancora più uniti dopo questa
divisione. Non è un caso che a Londra come a Parigi, a Monaco come a
Düsseldorf, Dresda o Karlsruhe gli artisti si dividano in due campi. Nulla
nella vita, come pure nell’arte, è più permanente del cambiamento e tutto ciò
che si definisce come gusto, giudizio artistico ed opinione pubblica è
mutevole. L’ideale della nostra generazione è differente da quello della
precedente così come il nostro lo sarà rispetto a quello della prossima
generazione” [100].
Forse la mia è una lettura ingenerosa. Certamente,
Liebermann assume dei rischi. Fino all’ultimo non sa se riuscirà ad organizzare
una mostra nel 1899, in tempi strettissimi. Inizialmente scrive a Walther
Linde, pittore e fratello del collezionista Max, per comunicargli che la
secessione di Berlino dovrà accontentarsi di una esibizione a Monaco, insieme
agli artisti della secessione locale [101]. Già in febbraio, tuttavia, annuncia
a Lichtwark che l’edificio della Secessione è stato completato a tempo di record:
gli esterni sono già pronti, e vi è stata posta una bella insegna dorata
luminosa con la scritta “Die deutsche
Secession” [102]. L’obiettivo originario va dunque al di là di Berlino, e
comprende la Germania intera (l’insegna vuol dire ‘la secessione tedesca’). La prima mostra, del resto, espone
solamente artisti tedeschi. Il 5 marzo Max annuncia a Walther Linde che la
mostra si farà, a partire dal 1 maggio, e lo invita ad inviare due quadri per
la selezione [103]. È solamente a quel punto (solamente a due mesi
dall’inaugurazione) che Liebermann inizia il lavoro frenetico di raccolta dei
dipinti.
Alla ricerca di opere da esporre alla prima mostra della
secessione, Liebermann scrive a tutti i corrispondenti abituali e a molti altri
per assicurarsi le loro opere. Dalle lettere è chiaro che la sua preoccupazione
non è quella di occuparsi dei giovani talenti che verranno scelti dalla giuria,
ma di ottenere l’arrivo di opere di artisti riconosciuti, soprattutto per
attirare pubblico. E qui va detto che Liebermann sembra sorvolare su molti suoi
principi artistici. Ad esempio, annuncia a Tschudi, nell’aprile 1899, di voler
esporre opere di Hildebrandt, Böcklin e Leibl, e gli chiede di intervenire per
poter esporre quadri che si trovano nei loro rispettivi atelier [104]. La
scelta di Hildebrandt e Leibl è in linea con il suo gusto, ma alcune domande
legittime si devono porre per Böcklin. Il pittore svizzero non incontrava
affatto l’apprezzamento di Liebermann: solo qualche mese prima, nel marzo 1898,
il pittore aveva scritto a Max Linde: “Qui
si sono tutti persi nell’entusiasmo per Böcklin ed i musei pagano per Böcklin
somme maggiori che per Rembrandt. Non capisco” [105]. Lo svizzero,
tuttavia, è una vera e propria celebrità: in quei giorni il Senato
dell’Accademia discute se assegnargli la medaglia Pour le Mérite [106]. Liebermann, quindi, non si fa
troppi scrupoli e riesce ad assicurarsi otto quadri di Böcklin da esporre,
lavorando preventivamente perché la mostra abbia successo di pubblico. Si
compiace con Linde che fra di essi vi sia un’opera prima, mai mostrata al
pubblico: Deianira e Nesso [107].
Liebermann si rivolge di persona più volte ai pittori
monacensi più affermati, come von Kalkreuth [108] e Slevogt [109], chiedendo di
esporre alcune delle loro opere migliori (nel catalogo finale vi saranno due
quadri del primo e tre del secondo). A quest’ultimo chiede anche se sia
sufficientemente in confidenza con Lovis Corinth [110] (che Liebermann non
conosce) per intercedere su di lui ed aver anche sue opere (ci riuscirà:
saranno esposte due suoi quadri). È comunque evidente che il trio Liebermann,
Slevogt e Corinth – oggi famoso come la struttura portante dell’impressionismo
tedesco e spesso citato a livello giornalistico come il nucleo della Secessione
– all’inizio del 1899 non si è ancora formato.
Max riesce anche a ottenere l’autorizzazione di Menzel ad
esporre un suo quadro e diversi disegni [111]. Qui va detto, francamente,
Liebermann non si rende pienamente conto di quanto Menzel – che lui ammira
moltissimo – sia in realtà disomogeneo con la retorica del disegno
‘alternativo’ della Secessione; non sorprende dunque che Menzel invii una
perentoria richiesta, il 19 maggio, che le sue opere siano ritirate. Lo scontro
diviene pubblico e costringe il consiglio della Secessione a fare un passo
indietro [112].
Pochi giorni prima dell’apertura, Liebermann traccia un
bilancio: “Da Monaco, dove sono stato 14
giorni fa, riceviamo dalla Secessione tutto ciò che vi è di più significativo,
ed il meglio da Dresda, Karlsruhe e Weimar. Su quel che esponiamo da Berlino è
meglio tacere per gentilezza: è qui, io temo, il punto debole. Forse sta
crescendo in silenzio, qui a Berlino, un talento che sarà scoperto nei prossimi
giorni dalla giuria. In ogni caso la mediocrità sarà meno evidente di quanto
succeda alla mostra d’arte locale, almeno grazie alla ristrettezza degli spazi
della nostra mostra. Già solo questo fattore giustifica la nostra iniziativa [113]”.
La Secessione come impresa
commerciale
![]() |
Fig. 19) La nuova sede della Secessione alla Kantstrasse di Berlino. Fonte: Die Kunst für Alle, Numero 20 del 15 luglio 1899, pagina 314. http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/kfa1898_1899/0402?sid=765ef55f8cc8d42c52da8a7d8737f6e5 |
Che Liebermann sia convinto della necessità di dare una
solida base commerciale alla Secessione è testimoniato da quanto scrive nel
febbraio 1898, ovvero un anno prima della creazione della Secessione. Scrive a
Bode: “Ma il fattore fondamentale che fa
una città d’arte è il denaro. A che cosa servono i quadri migliori, se non
vengono comprati?” [114] Serve dunque qualcuno che sia in grado di muoversi
sul mercato con le capacità di un intermediario. E questa persona è Paul Cassirer, il cui nome comincia a comparire nell’epistolario dell’artista nel
luglio 1898. Cassirer viene inviato a Parigi per trattare con Rodin [115]. Già
alla fine dell’estate, in una lettera a Max Linde, è chiaro che i due cugini
Cassirer (Paul e Bruno) sono considerati i suoi agenti [116].
Organizzare una mostra è certamente anche un’impresa
commerciale. Come Liebermann spiega al collega pittore Otto Feld, la mostra
sarà assai piccola: “Non si può far altro
con i costi [che dobbiamo sostenere].
Saranno 250 quadri al massimo, di cui 120-150 verranno da Berlino. Se le
riesce, ci invii un quadro. Ognuno è sottoposto alla giuria, sia i membri sia
coloro che inviano quadri. Ovviamente la giuria dovrà tener conto della
limitatezza dello spazio e sarà dunque doppiamente severa (se non altro, un
vantaggio)” [117].
La galleria dei
cugini Cassirer
La fondazione nel 1898 della galleria d’arte dei cugini
Cassirer (Paul e Bruno) è uno degli eventi più importanti trattati in questo
volume. Il Kunst Salon Bruno und Paul
Cassirer viene fondato il primo novembre, ma Liebermann anticipa
l’avvenimento al direttore della Kunsthalle di Amburgo, Alfred Lichtwark, già il
12 ottobre [118]. Il giorno dopo annuncia a Kollmann che la prima mostra della
nuova galleria sarà dedicata a Liebermann stesso (con una “ventina di pezzi” [119]), a Degas e a Meunier. Il 15
ottobre scrive sempre a Kollmann, a proposito dei Cassirer: “Sono due giovani con le migliori intenzioni:
da sei mesi lavorano ad un’impresa che ovviamente costa loro moltissimi soldi.
Spero abbiano successo” [120]. E nel dicembre 1898 proclama
trionfante il successo della mostra, in una lettera a Linde [121].
Alla prima mostra dei Cassirer ne segue una seconda nel marzo
1899, dedicata a Monet, Manet e Segantini [122].
La galleria attira il pubblico per molte ragioni. Una di
queste è l’arredamento della sala di lettura, disegnato dall’architetto belga
Henry van der Velde, in quegli anni, a Berlino ed in Germania, icona
dell’arredamento moderno (in parallelo, lo stesso architetto disegna la
Galleria “Maison moderne” di Julius
Meier-Graefe a Parigi). Liebermann si complimenta con lui in particolare per il
successo della sala della biblioteca nella Galleria Cassirer [123]. Nelle sue
memorie van der Velde scrive: “La
galleria d’arte di Paul e Bruno Cassirer a Berlino fu la prima struttura
artistica commerciale in Germania che si dedicasse ai capolavori
dell’impressionismo francese e all’arte di Max Liebermann, Lovis Corinth, come
pure di Edvard Munch. Ho progettato per loro i mobili e la decorazione delle
pareti di una sala di lettura, dove venivano conservate le riviste d’arte
internazionali” [124].
La seconda mostra
della Secessione nel 1900
La seconda mostra della Secessione ha avvio nel maggio del 1900;
se la prima è stata riservata esclusivamente ad artisti tedeschi, la seconda
apre agli stranieri: il catalogo chiarisce che vi espongono artisti europei di
differente valore, come Cameron, Cottet, D’Espagnat, Hodler, Luce, Pissarro,
Renoir, Segantini, Valloton, Vuillard, Whistler e Zorn [125].
![]() |
Fig. 20) Il catalogo della mostra della Secessione nel 1900. Fonte: https://archive.org/stream/katalogderausste02berl#page/n7/mode/2up |
Pur aperta a un panorama artistico geograficamente più
variegato, la seconda mostra è contraddistinta da un maggiore senso di coerenza
stilistica. Liebermann invia una lettera il 16 maggio, una settimana dopo
l’avvio dell’esposizione, allo storico dell’arte Gustav Pauli (1866-1938): “La nostra seconda mostra" – scrive – "è a parere universale molto migliore della
prima; quel che mi ha fatto particolarmente piacere è che noi diamo valore al
nostro ingegno, ovvero che la mostra è contraddistinta da un aspetto
assolutamente secessionista” [126].
Il 17 giugno Liebermann scrive al collega Ludwig von Hofmann
(di cui aveva parlato privatamente in modo così negativo qualche anno prima, in
occasione dell’ultima mostra degli XI) per informarlo che “dei suoi dieci quadri, nove sono esposti insieme. Lei è rappresentato
con il maggior numero di quadri; Thoma, che è il secondo, ne ha solamente nove.
Tenga presente che, a causa dei limiti di spazio con cui dobbiamo confrontarci,
io ne ho solamente uno solo” [127].
![]() |
Fig. 21) Il comitato esecutivo della seconda mostra della Secessione nel 1900: da sinistra verso destra, Oskar Frenzel, Franz Skarbina, Otto Heinrich Engel, Max Liebermann, Bruno Cassirer. Fonte: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Liebermann_Sezessionsausstellung.jpg |
La mostra va bene: “Avrà
già sentito – scrive a Franz Servaes –
che abbiamo fatto ancora affari strepitosi. Come l’anno scorso possiamo
ripagare il 25% dei finanziamenti. E ciò è importantissimo per il futuro:
quelle persone che ci avevano anticipato soldi pensando di non rivederli mai
più vedranno che la Secessione non è poi così insensata e la prossima volta,
quando ci faremo avanti, ci daranno dieci volte di più” [128].
La terza mostra della
Secessione nel 1901
![]() |
Fig. 22) Il catalogo della terza mostra della Secessione nel 1901. Fonte: https://archive.org/stream/katalogderausste03berl#page/n3/mode/2up |
Per raccogliere le opere per la terza mostra della
Secessione, Liebermann si attiva assai presto. Nel gennaio del 1901 scrive a
Veth, chiedendo opere sue e di Israëls [129], ed in seguito lavori
significativi di altri artisti olandesi [130]. Una lettera in francese viene
spedita al milanese Alberto Grubicy per ottenere opere di Segantini (viene
esposto “Due madri”; Segantini
produsse una serie di dipinti sul tema in quegli anni, e noi non sappiamo per
certo quale sia stato esposto a Berlino). A marzo Liebermann si assicura opere
di Leibl, deceduto l’anno precedente [131]: dal catalogo risulta che sono ben
venti le sue tele. Liebermann cerca con grande difficoltà opere di Böcklin: il
pittore è morto quell’anno stesso e mostre retrospettive su di lui sono
immediatamente organizzate a Dresda, Monaco e Basilea (il catalogo contiene un
suo solo dipinto non specificato dal titolo ‘Dall’Italia’) [132]. In aprile negozia con Théodor Duret l’arrivo
di opere di Monet, Manet, Rodin e Werenskiold [133].
![]() |
Fig. 23) Una pagina del catalogo della terza mostra della secessione, con un disegno di Max Liebermann |
Anche in questo caso il successo commerciale è enorme:
Liebermann comunica ad Hans Rosenhagen, il 2 giugno, che le vendite dovrebbero
essere di poco inferiori ai 100 mila marchi [134]. Il 30 giugno aggiunge,
scrivendo allo stesso critico: “Nonostante
il caldo opprimente, la Secessione sta facendo molto bene; e si riesce a
vendere quadri nonostante l’enorme rumore [nelle sale dell’esibizione]. Ed
invece il branco si accanisce sempre più contro di noi, proprio a causa del
nostro successo” [135].
La quarta mostra
della Secessione nel dicembre 1901
![]() |
Fig. 24) Il catalogo della quarta mostra, dedicato alla grafica. Fonte: https://archive.org/details/katalogderausste04berl |
Evidentemente il successo della Secessione è talmente
travolgente da portare alla moltiplicazione degli eventi: non più soltanto
esibizioni che si aprono a maggio e si chiudono in ottobre, ma una seconda
mostra invernale che è inaugurata nel dicembre 1901. Vi sono diverse novità
legate al nuovo evento: in primo luogo, la quarta mostra è esclusivamente dedicata
alla grafica, ed il posto d’onore viene dato a Max Klinger; in secondo luogo,
con riferimento a questa mostra compare per la prima volta nelle lettere un
esplicito riferimento al movimento socialista, ed in particolare a Käthe
Kollwitz [136]. L'editore del catalogo risulta essere il solo Paul Cassirer. Nel frattempo i cugini Cassirer hanno avuto screzi ed
incomprensioni personali, che li hanno portati a dividere l’attività: la
galleria spetta a Paul, che continuerà a pubblicare i cataloghi della galleria;
Bruno aprirà invece una sua grande casa editrice, che diverrà il maggiore editore
di arte moderna in Germania.
![]() |
Fig. 25) Una pagina del catalogo della quarta mostra della Secessione, con un disegno di Max Liebermann |
La Secessione come
forma di opposizione all’Imperatore
Il contenuto ideologico della Secessione è chiaro come non
mai in una missiva inviata da Liebermann al collega Hugo van Habermann del 31
dicembre 1901. È una reazione ad un discorso pronunciato dall’Imperatore
Guglielmo II il 18 dicembre. Il Kaiser ha parlato contro le secessioni, ed il
suo appello è stato talmente forte da averne spaventato alcuni dei membri.
Liebermann scrive: “Naturalmente
l’imperatore può al massimo rallentare il movimento; se le secessioni – cui
appartengono più o meno gli artisti con il talento maggiore – rimangono coese,
allora non vi è nulla da temere” [137].
Contro l’arte
accademica ed il simbolismo
Le mostre della Secessione presentano artisti che si rifanno
a stili molto diversi; in privato, tuttavia, Liebermann mostra decisamente di
non sopportare in particolare due indirizzi: l’arte accademica di stampo
nazionale e il simbolismo, la prima troppo tradizionale e l’altra troppo
lontana dal ruolo che egli assegna alla natura nell’arte. In una lettera a Bode
dell’aprile 1897, lo esorta a convocare l’assemblea della rivista Pan prima di partire da Berlino: “La vorrei pregare di convocare la riunione
di Pan in modo che si svolga prima
della sua partenza da Berlino; se lei è assente non riusciremo ad imporci
contro l’alleanza nell’arte di nobili ed accademici” [138]. Sono in ballo
le elezioni per il comitato di redazione. Ernst Braun ci dà la possibilità di
mettere a confronto la lettera con il resoconto della riunione del Conte Harry
Kessler (1868-1937), uno dei maggiori mecenati dell’arte moderna, che discute a
lungo con Bode sul tema. Kessler è chiaramente preoccupato della nomina di
Liebermann. È
vero che il pittore ha seguito la nascita della rivista dall’inizio ed ha il
vantaggio di conoscere molti artisti stranieri (Whistler, Watts, Manet,
Pissarro) e dunque di poter ottenere da loro l’autorizzazione a riprodurre
stampe, ma è una personalità che a suo parere divide più che unire. È chiara
anche la preoccupazione che Liebermann possa censurare le idee simboliste,
considerate da Kessler più all’avanguardia.
“Vi erano due generi
di perplessità. Liebermann avrebbe potuto influenzare in modo nettissimo lo
sviluppo di Pan verso la direzione
naturalista e, se ci fossimo opposti, ne sarebbe aperto un conflitto che
avrebbe portato alle sue dimissioni ed ad uno scontro aperto. Bode replicò
invece che Liebermann , anche se naturalmente faceva delle tirate piene di
umorismo impertinente contro ogni cosa non fosse naturalista, in pratica era
pronto a qualsiasi concessione. A conferma di questa tesi Bode fece riferimento
all’amicizia di Liebermann con artisti come Whistler o Hoffmann. Dunque egli si
sarebbe limitato a combattere a parole contro le direzioni idealiste o
simboliste, ma nulla avrebbe fatto se fosse stato messo in minoranza”
[139]. Kessler racconta di aver seguito l’opinione di Bode, anche se non del
tutto convinto dai suoi argomenti. Il 23 aprile Liebermann annuncia a Lichtwark
la sua elezione nel comitato di redazione, ma le sue intenzioni non sono
affatto pacifiche: “Il 2 aprile si è
svolta la seduta di Pan e – come lei
forse ben sa – ho fatto ingresso nella redazione grazie alle ripetute
insistenze di Bode. Vorrei che la parte illustrativa divenga più oggettiva e
non così irreale, da sembrare assomigliare a qualcosa, ma in realtà essere del
tutto vuota. Sono convinto che la pazzia non sia di per sé un criterio
sufficiente per il talento ed un atteggiamento da filisteo [antagonista]
nell’arte mi sembra migliore di un azionismo geniale. Bode è partito oggi, ma
io son convinto che Seidlitz, lei, Kopping ed io saremo in grado di opporci in
modo sufficiente all’assalto di questi genialoidi” [140]. Dunque, i
simbolisti sono irreali, vuoti, azionisti e pazzi.
![]() |
Fig. 27) La prima parte dell’articolo di Franz Servaes su Liebermann, sulla Neue Freie Presse del 10 ottobre 1900 |
Nel 1900 Liebermann scrive al giornalista Franz Servaes (in
realtà, pseudonimo di Albrecht Schütze) proponendo contro il simbolismo tutte
le ragioni che Goethe a suo tempo aveva opposto allo Sturm und Drang ed al primo romanticismo. Servaes ha appena scritto
un lungo articolo elogiativo sul pittore, pubblicato dal quotidiano viennese Neue Freie Presse, e Liebermann così lo
ringrazia: “Sono davvero contento che lei
faccia fronte comune contro lo sciocco simbolismo. In sé e per sé non ho
davvero nulla contro il simbolismo. Non m’importa se l’arte si manifesta in
questa o quella forma. Quel che mi fa arrabbiare è la meschina ipocrisia,
quest’azionismo sotto al quale si cela l’impotenza. Come dice il nostro comune
amico Goethe: ‘La propensione dei nuovi tempi al misticismo si spiega con il
fatto che, seguendolo, sia necessario imparare meno’. (…) ‘Loro [i nuovi artisti] vogliono invece il
cosiddetto poetico e ciò conduce solamente a scemenze’, Goethe scrive all’amico
Merck. E comunque (come lei può forse capire dalla mia collera contro costoro,
non ho affatto paura dei simbolisti, che molto presto scompariranno dalla
pittura per una delle loro follie. Essi possono al massimo rallentare un poco
il cammino dello sviluppo dell’arte e sono convinto che essa ne rimarrà
rafforzata dopo il superamento di questa moda malata, come ogni uomo dopo il
superamento di una crisi” [141].
Per il naturalismo
Vi sono a volte espressioni (esageratamente) forti per
esprimere concetti estetici. Liebermann non potrebbe essere più chiaro (e più volgare), quando riafferma in una lettera al pittore olandese Jan Veth concetti
a lui molto cari: “Se io non fossi un
buon padre di famiglia verrei in Olanda a dipingere direttamente dalla natura.
Tutto il resto è nulla. La natura è inizio e fine di tutte le arti: un pittore
che non lavora sulla base della natura è come chi si masturba la prima notte di nozze” [142].
Non è dunque una sorpresa che Liebermann prenda posizione a
favore dei movimenti d’arte che s’ispirano al naturalismo francese (anche se in
verità si manifestano, anche al loro interno, influenze simboliste). Ha dunque
parole di apprezzamento per i giovani artisti della colonia d’artisti di
Worpsede, che seguendo Franz Mackesen (1866-1953), si sono ritirati nella
campagna della Bassa Sassonia dal 1889 sul modello della scuola di Barbizon.
Così nel 1897 Liebermann scrive a Kollmann: “Oggi mi ha visitato Mackesen da Worpsede, vicino a Brema, che mi ha
lasciato un’impressione assolutamente positiva. Sembra essere un giovane molto
deciso ed entusiasta della propria arte. Anche il suo amico Vogel, che lo
accompagnava, è uomo gentile e sembra anche aver il vantaggio di non dover
dipendere dall’arte, perché mi ha lasciato tremila marchi per Pan” [143]. Incredibile,
ma vero: l’affermato e ricco pittore cinquantenne si fa finanziare da uno
sconosciuto giovane artista venticinquenne!
Una vera sorpresa:
l’interesse per la pittura Biedermeier
L’avversione per i concettualismi della pittura di cui è
piena l’arte tedesca dell’Ottocento è talmente forte, che Liebermann rivaluta
lo stile Biedermeier, ovvero lo stile più conservatore della prima metà del
secolo. Lo scrive a Lichtwark nel 1899: “È tempo di riscoprire il periodo Biedermeier. Il solo Franz Krueger
tiene testa a tutti gli idealisti, neo-impressionisti, simbolisti, pointillisti
e tutti gli altri –isti. Come qualcuno possa fare arte, non importa; deve
poterlo fare a modo suo” [144]. E Lichtwark risponde, annuendo: “Anche a me hanno detto: «Senta,
non capisco. Lei ha una passione per Liebermann ed al tempo stesso per i
Biedermeier di Amburgo? È davvero possibile ? Lo si può
dire sul serio?»” [145]
L’attacco antisemita
del 1901
Non si può comprendere appieno il senso di disorientamento
che coglie Liebermann nel 1901, quando viene attaccato frontalmente da Franz
Grau (lo pseudonimo di un oscuro critico, il cui nome è in realtà Paul Gurk),
se non si leggono le lettere in cui egli tiene a sottolineare il suo
sostanziale ecumenismo religioso, già notato nella recensione al primo volume.
Nel 1897 scrive a Walter Rathenau, suo caro amico (e futuro primo ministro
della Repubblica di Weimar, vittima futura di un attentato terrorista
antisemita nel 1922). A Rathenau, che ha scritto nel 1896 un articolo molto
critico nei confronti dei propri fratelli di religione, Liebermann raccomanda
un atteggiamento più comprensivo e tollerante: “Io guardo agli ebrei in modo affezionato, o almeno mi sforzo di farlo;
i più poveri – dal momento che i più ricchi fanno di tutto per farsi battezzare – sono
costretti a commettere i loro errori, se errori compiono. Ma gli stessi errori
che tu attribuisci agli ebrei, si possono in fondo rimproverare alla
maggioranza dei cristiani. In fondo, sono tutti uomini, che non si
differenziano poi così tanto tra di loro. Ed anche gli ebrei hanno prodotto
persone rispettabili: Gesù, i poeti dei salmi, Spinoza e tuo cugino” [146].
Nel 1897 Liebermann partecipa al progetto di una Bibbia illustrata curato
ad Amsterdam da Walter Crane (che chiede ai più famosi artisti dell’epoca cento
tavole), e decide di produrre una scena del vecchio testamento (Giobbe ed i tre amici [147]), ma anche
una degli Atti degli apostoli (Paolo ed
il serpente) [148]. Insomma, dal punto di vista religioso Liebermann non dà
prova d’ortodossia, ma di grande disponibilità verso le diverse culture.
Vi è un altro segno di quanto Liebermann sia poco attento a
questi temi. Intrattiene infatti una corrispondenza [149] con Paul Schultze-Naumburg
(1869-1949; il vero nome è Paul Eduard Schultze), che sarà uno dei teorici
dell’architettura tradizionale e nazionale (l’Heimatstil) a partire dal primo Novecento e poi in seguito scriverà
alcuni manifesti dell’arte nazista negli anni ‘30. È vero che le prime lettere
sono del 1898 (quando Schultze-Naumburg è appena trentenne) e che in quella
fase egli si occupa più di pittura che di architettura: pubblica infatti nel
1896 e nel 1898 i primi due testi sul “Corso
di studi del moderno pittore. Un vademecum per gli studenti” (Der Studiengang des modernen Malers. Ein
Vademecum für Studierende) e sulla “Tecnica
della pittura”(Die Technik der
Malerei), che saranno seguiti da numerosi altri testi sulla teoria e sulla
pratica della pittura. E tuttavia – ancor prima di sposare il
nazionalsocialismo - egli è probabilmente sempre persona di gusto assai
conservatore, nel senso di un gusto di carattere “völkisch”, ossia populista di destra.
Proprio nei giorni dell’attacco antisemita Liebermann si
rivolge a Paul Schultze-Naumburg: discutono di un suo recente libro, in cui
sostiene l’opportunità di un ritorno alla semplicità nell’arte. Per Liebermann
è l’occasione di ribadire il primato della semplice osservazione dell’opera
d’arte sulla critica (“un nonsense preterintenzionale”
[150]) e della semplicità della scuola di Barbizon rispetto alla complessità di
rinascimento, barocco e rococò [151]. E tuttavia Liebermann aggiunge anche
alcune parole che rivelano che Schultze-Naumburg è politicamente già spostato
verso l’estrema destra: “Se le cose più
inutili che siano state scritte si trovano in riviste socialdemocratiche come
‘Vorwärts’ [Avanti], io credo invece che un ritorno al buon gusto avrà origine
dal basso [152].” Insomma, il
pittore berlinese scherza con il fuoco, senza rendersene conto probabilmente.
Un estetica retrò gli sembra migliore di un’estetica rivoluzionaria, ma
ingenuamente non si rende conto di quel che è in gioco.
Torniamo a Grau. Nella “Deutsche
Zeitschrift” del dicembre 1901 viene pubblicato un suo breve articolo, che
attacca frontalmente Liebermann, i cugini Cassirer e Rosenhagen. L’accusa
principale ai tre è che Liebermann si arricchisca personalmente grazie agli
affari della galleria di Bruno e Paul Cassirer, e che dietro a questo complesso
di potere vi sia una combutta tra esponenti del mondo ebraico [153]. Nel numero
successivo della rivista viene pubblicata una dichiarazione di smentita da
parte della Secessione di Berlino [154], un’introduzione alla polemica della
direzione della rivista ed una replica di Grau.
Liebermann scrive ad Adolf Linde (fratello dell’amico e
collezionista Max Linde) nel dicembre 1901: “Vede, io sono di buon umore. Mi deriva dal fatto di essere stato
attaccato da un antisemita assetato di sangue che mi ha calunniato in modo
talmente perfido, qualche giorno fa, come mai mi era capitato nella mia
carriera di trent’anni. Ed è meglio affrettarsi a riderci sopra piuttosto che
dovere piangere” [155].
NOTE
[87] Liebermann,
Max - Briefe. Volume 2, 1896-1901, Baden Baden, Deutscher Wissenschaftsverlag,
2012, 579 pagine. Citazione a pagina 25
[88] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 56
[89] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 27
[90] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 61
[91] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 205
[92] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 206
[93] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p.
201
[94] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 204
[95] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p.
294
[96] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p.
218
[97] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p.
218
[98] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 222
[100] Liebermann,
Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 471
[101] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 262
[102] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 271
[103] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 279
[104] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 284
[105] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 205
[106] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 283
[107] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 293
[108] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 287
[109] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 289
[110] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 290
[111] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 469
[112] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), pp.
470-471
[113] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 293
[114] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 200
[115] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 224
[116] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 236
[117] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 278
[118] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 243
[119] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 244
[120] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 245
[121] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 259
[122] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 280
[123] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 256
[124] Van de Velde Henry, Geschichte meines Lebens,
Monaco, Piper Verlag, 1962, 544 pagine. Citazione a pagina 170.
[126] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 353
[127] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 357
[128] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 366
[129] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 376
[130] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 383
[131] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 389
[133] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), pp.
394 e 397
[134] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 401
[135] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 407
[136] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 428
[137] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 435
[138] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 96
[139] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 441
[140] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 99
[141] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 365-366
[142] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 150
[143] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 95
[144] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 268
[145] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 272
[146] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 66
[147] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 167
[148] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 140
[149] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 255
[150] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 432
[151] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 433
[152] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 433
[153] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 480-481
[154] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 486-487
[155] Liebermann, Max - Briefe. Volume 2, (citato), p. 430
Nessun commento:
Posta un commento