Francesco Mazzaferro
Dimitrie Belisare e la traduzione rumena del Libro dell’Arte di Cennino Cennini (1936-37 circa)
Parte Seconda
[Original Version: May 2016 - New version April 2019]
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Fig. 12) Dimitrie Belisare, Cristo pantocratore, cupola della Cattedrale ortodossa dei Santi Arcangeli Michele e Gabriele, Orăştie, 1940-1942 |
In realtà di Belisare, oggi, non si sa molto. Viene da una
famiglia di artisti religiosi: oltre al padre Belisare S. Paraschivescu [12],
anche il fratello Gheorghe Belizare è pittore d’arte sacra [13].
Paradossalmente la sola fonte di informazioni sulla vita di Dimitrie Belisare
sembra essere l’introduzione alla sua stessa traduzione di Cennino. Qui ci fa
sapere di essere stato allievo di George Demetrescu Mirea (1852-1934), pittore
d’ispirazione francese specializzato nel ritratto, che si era comunque cimentato
nella pittura religiosa affrescando nel 1884 la Cattedrale dei Santi Apostoli
Pietro e Paolo a Costanza (distrutta nel 1941 sotto un bombardamento, quando
gli affreschi erano già gravemente deteriorati).
Secondo Elena Cercel [14], che riporta una delle pochissime
foto disponibili di un particolare degli affreschi di Costanza, Mirea aveva
cercato d’innovare l’iconografia bizantina in senso più realista ed
occidentale, non senza suscitare polemiche. Apparteneva dunque a quell’ala
della pittura religiosa romena che era più aperta allo stile occidentale. E
fuori dal campo della pittura religiosa, era chiaramente parte integrante del mondo artistico occidentale, muovendosi in particolare tra accademismo e simbolismo.
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Fig. 14) George Demetrescu Mirea, I santi Spiridione e Nicola, Cattedrale dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, Costanza, 1884 (opera distrutta nel 1941) |
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Fig. 15) George Demetrescu Mirea, Fiocco rosa, senza data |
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Fig. 16) George Demetrescu Mirea, Giovane giapponese, senza data |
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Fig. 17) George Demetrescu Mirea, Primavera, Palazzo Cantacuzino, Bucarest, 1906 |
A giudicare dalle immagini, Belisare fu invece pittore
religioso assai più fedele all’iconografia ortodossa di quanto non sia stato il
suo maestro Mirea. E tuttavia occorre notare che, se nella maggior parte dei
casi gli affreschi sono di chiara derivazione bizantina, altre immagini
sembrano invece di impronta giottesca ed alcune fanno addirittura pensare ad
influenze dell’arte contemporanea. L’impronta trecentesca è molto forte, ad
esempio, nell’affresco deI Transito della Madonna, nella Cattedrale Patriarcale di Bucarest del 1932-1935. Invece
il Giudizio universale del 1940-1942,
sembra addirittura richiamare alcuni motivi del ‘ritorno all’ordine’ europeo
tra le due guerre e del classicismo degli anni venti-trenta, forse sotto
l’influsso degli Atéliers des arts sacrés:
è un’opera degli ultimi anni, molto successiva alla traduzione del Libro dell’Arte, ed inserita in un ciclo
di affreschi (quello di Orăştie) che ha un’impostazione generale neo-bizantina.
Non si può escludere che nel corso dei decenni vi sia stata un’evoluzione
dell’ispirazione; né si può escludere che siano intervenute altre mani, ad
aiutare quelle di Belisare. Sarebbe davvero utile se gli studiosi si
dedicassero all’analisi stilistica dei numerosi cicli di affreschi di un
pittore che è stato talmente prolifico.
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Fig. 18) Dimitrie Belisare, Transito della Madonna, Cattedrale patriarcale di Bucarest, 1932-1935 |
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Fig. 19) Dimitrie Belisare, Giudizio Universale (dettaglio), Cattedrale ortodossa dei Santi Arcangeli Michele e Gabriele, Orăştie, 1940-1942 |
Nell’introduzione al Libro
dell’arte, Belisare spiega comunque che, pur essendo stato allievo di
Mirea, ha applicato lungo tutta la sua carriera (almeno fino al 1936-1937)
null’altro se non le procedure tradizionali nella lavorazione a fresco apprese
da suo padre Belisare S. Paraschivescu, che viveva nell’area rurale di Domnesti-Muscel.
E non a caso la traduzione del Libro
dell’arte è proprio dedicata al padre. Dunque, almeno fino a quegli anni,
il nostro pittore appare saldamente ancorato alla tradizione neo-bizantina,
come del resto risulta dalla maggioranza delle immagini che abbiamo reperito su
Internet.
Cennino in Romania –
Attraverso quali passaggi?
Purtroppo, Belisare non dice nulla su
come sia venuto in contatto con il trattato di Cennino. Un interesse del
mondo ortodosso per Cennino esisteva già dalla fine dell’Ottocento, con la
pubblicazione di parte del testo nell’antologia dei Manuali antichi sulla tecnica pittorica [15] ad opera di Piotr
Yakovlevich Ageev (1887) in una collana dell’Accademia delle Scienze di San
Pietroburgo, ed è confermato da traduzioni molto successive, all’interno di
antologie che hanno lo stesso titolo di quello russo di fine ottocento: quella
bulgara del 1994 [16] e quella serba del 1999 [17]. Tuttavia Belisare non cita
il testo russo (che in tutte le edizioni moderne di Cennino è segnalato
solamente nella traduzione russa del 1933 di Alla Nicolaevna Luzhetskaya e
dunque probabilmente non aveva avuto larga circolazione all’infuori dell'Unione Sovietica). Il pittore rumeno rivela invece una conoscenza completa di tutte le
edizioni in italiano, e delle traduzioni in inglese, francese e tedesco fino
agli anni Venti. Dunque sembra essere pienamente a conoscenza delle
interpretazioni e degli studi su Cennino nel mondo occidentale, mentre ignora gli
sviluppi nel mondo orientale.
Lungo quali percorsi possiamo ipotizzare che Belisare sia
venuto a conoscenza del Libro dell’arte?
Ovviamente, non possiamo escludere la pura casualità (la leggenda vuole che
Renoir ne abbia trovato una copia sulla riva della Senna, anche se è difficile
crederlo), ma è comunque utile formulare alcuni possibili schemi di diffusione
dell’opera in Romania.
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Fig. 20) Aladár Körösfői-Kriesch, Kerepesi Cemetery, Budapest, Mosaico con la Resurrezione di Cristo e una visione immaginaria della città transilvana di Kalotaszeg, 1904-1908. Foto di Nóra Mészöly (https://www.flickr.com/photos/nora-meszoly/15806977132/in/photostream/) |
Il primo veicolo di contagio - se mi è concesso utilizzare
un linguaggio di tipo medico – potrebbe essere rappresentato dall’attività dei
pittori ungheresi nelle regioni che vengono annesse alla Romania nel 1919. Il
Palazzo della cultura di Târgu Mureș (in ungherese Marosvásárhely), nel cuore della Transilvania, conserva ad esempio
il fregio esterno a mosaico e due affreschi interni del capofila della scuola
di Gödöllo, Aladár Körösfői-Kriesch. Si tratta del maestro della secessione ungherese,
ma anche di un artista che trova la sua ispirazione nella lettura del Libro dell’Arte (un’altra leggenda vuole
che non se ne privi mai, conservandolo sempre nella tasca della giacca): fatto
sta che, grazie a lui, almeno tre generazioni di pittori simbolisti ungheresi,
fino alla seconda guerra mondiale, vivono nel culto ininterrotto di Cennini.
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Fig. 21) Aladár Körösfői-Kriesch, Omaggio all’Ungheria, Mosaico, Palazzo della Cultura di Târgu Mureș, 1911 |
Il fregio esterno del Palazzo della cultura è intitolato Omaggio all’Ungheria, mentre uno degli
affreschi è La storia degli ungheresi di
Transilvania. Del resto, Körösfői-Kriesch è affascinato dalla regione: ne imita il folclore, passa molte estati con l’intero gruppo degli artisti di Gödöllő
nelle sue montagne e ne rappresenta i miti tradizionali in molti dei suoi
affreschi. È chiaro che siamo in un contesto di rivendicazioni nazionali
sull’identità di regioni interetniche che erano in realtà popolate da diversi
gruppi etnici (magiari, romeni e tedeschi). Il Palazzo della cultura di Târgu
Mureș viene inaugurato nel 1912 e gli affreschi sono dello stesso anno.
Esaminando il fregio, è evidente la similitudine iconografica dell’Omaggio all’Ungheria con il Pellegrinaggio alla fontana dell’arte
che Körösfői-Kriesch aveva completato a Budapest nel 1907, un ciclo di affreschi
dedicato esplicitamente a Cennino.
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Fig. 22) Aladár Körösfői-Kriesch, La storia degli ungheresi di Transilvania, Palazzo della Cultura di Târgu Mureș, 1912 |
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Fig. 23) Aladár Körösfői-Kriesch, Sciamani, Affresco, Palazzo della Cultura di Târgu Mureș, 1912 |
La seconda via di diffusione è quella dell’arte beuronese:
il traduttore dell’edizione tedesca di Cennino (1914-1916), il pittore olandese Jan Verkade, membro dei Nabis, assume
gli ordini religiosi, diviene Padre Willibrord ed entra a far parte della scuola di Beuron. Si tratta di persona molto conosciuta e stimata ai suoi tempi, non
solamente per la sua attività artistica, ma soprattutto per la pubblicazione
delle memorie (pubblicate in tedesco nel 1920 e tradotte in francese e tedesco
negli stessi anni), che hanno larga circolazione per qualche decennio. Verkade
crea un legame stretto tra l’insegnamento di Cennino e la scuola di Beuron
(fondata già qualche decennio prima). Va rilevato, a questo proposito, che
Belisare scrive nell’introduzione di considerare la sua traduzione come la più
vicina al vero spirito di Cennino.
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Figg. 24) e 25) Gottfried Schiller e Iulius Ostermaier, Il battesimo di San Basilio Magno e L’ordinazione di San Basilio Magno, Bucarest, Cattedrale di San Basilio Magno, 1911 (affreschi perduti). Fonte: https://sfantulvasilecelmare.wordpress.com/arhitectura/ |
Si è già detto che nel 1909 l’arcivescovo greco-cattolico di
Bucarest, Raymund Netzhammer, fa costruire a Bucarest la Cattedrale di San
Basilio Magno, ovvero la prima cattedrale greco-ortodossa, chiamando due
pittori della scuola di Beuron (Gottfried Schiller e Iulius Ostermaier) da Ravensburg
per decorarla; per la prima volta vengono usati in Romania colori a base di
silicato di potassio o colori Keim, dipingendo a secco invece che a fresco
[18]. Anche qui è evidente l’intenzione di marcare il territorio del giovane
stato con architetture e pitture murali, in un’implicita lotta tra gruppi
religiosi (quasi un terzo della popolazione della Grande Romania è cattolica),
ma anche nel tentativo (fallito) di riunire sotto i medesimi riferimenti
culturali tutti i gruppi etnici (dai greco-ortodossi alle minoranze etniche
tedesche ed ungheresi) che si rifanno alla chiesa di Roma. È interessante, da
questo punto di vista, che l’arcivescovo cerchi un comune punto di riferimento
(quello dei benedettini di Beuron) esterno al variegato mondo dei cattolici
della Grande Romania. Quel tentativo di riunire il mondo cattolico
sotto un unico modello culturale fallisce, come l’arcivescovo stesso
riconoscerà. Lo stesso arcivescovo sarà anzi espulso dalla Romania nel 1925, a
seguito di accuse che lo definiscono traditore della patria e partigiano dei
gruppi linguistici tedeschi [19].
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Figg, 26) e 27) Gottfried Schiller e Iulius Ostermaier, La misericordia ai poveri e La guarigione del figlio del re, Bucarest, Cattedrale di San Basilio Magno, 1911 (affreschi perduti). Fonte: https://sfantulvasilecelmare.wordpress.com/arhitectura/ |
La terza linea di penetrazione di Cennino in Romania è
rappresentata dalle numerosi esposizioni internazionali d’arte sacra che
vengono organizzate regolarmente a partire dal 1911 fino al 1939 nel mondo
francofono. Sono iniziative che cercano di diffondere in Europa il messaggio
degli Atéliers des arts sacrés,
creati nel 1919 da Maurice Denis (1870-1943) e George Desvallieres (1861-1950).
Da un lato si cerca di ridurre la distanza tra gli sviluppi impetuosi dell’arte
moderna e l’iconografia classica dell’arte religiosa; dall’altro, si promuove
un ritorno dell’arte contemporanea agli schemi classici. A riprova del
successo, a partire dal 1935 viene pubblicata la rivista mensile L’Art
Sacré.
Ovviamente qui si parla di arte cattolica ed un ruolo
fondamentale è svolto dallo stesso Vaticano (si pensi al padiglione della Santa
Sede all’esposizione internazionale di Parigi “Arts et Techniques dans la Vie moderne” del 1937) [20]. Anche in
Italia, dopo il Concordato, si tengono a Roma nel 1930 e nel 1934 la prima e la
seconda Mostra Internazionale d'Arte
Sacra. Gerard Monnier e José Vovelle descrivono i movimenti artistici di
rinnovamento dell’arte sacra che si diffondono in Europa come una prima forma
di “arte senza frontiere” e fanno un
sia pur breve riferimento alla loro diffusione anche in Romania [21]. Moltissimi
degli artisti che partecipano a questi tentativi di sposare modernità ed arte
religiosa (si pensi a Maurice Denis e Gino Severini) sono sinceri ammiratori di
Cennino Cennini e si ispirano alle sue tecniche per dipingere gli affreschi che
decorano chiese appena edificate (le illustrazioni sotto riportate mostrano due
esempi del 1926). Mi sembra interessante notare come, nell’introduzione
riprodotta qui sotto, Belisare faccia riferimento a Maurice Denis come vero
ispiratore della seconda traduzione francese del Libro dell’Arte, ad opera di Henry Mottez nel 1911 (e non a Renoir,
che scrisse l’introduzione su incoraggiamento di Denis). È un’informazione del
tutto esatta, che denota forse una conoscenza diretta di fonti francesi.
La rumenizzazione di
Cennino Cennini
Ovviamente, non abbiamo certezze su quel che successe. Ho
però l’impressione che, qualunque sia stata la successione degli eventi che
hanno portato Cennino nelle mani di Dimitrie Belisare, il suo sia un tentativo
di appropriarsi del testo di Cennino come fonte di legittimazione dell’arte
neo-bizantina, in una fase d’intensa rumenizzazione della cultura. Da questo
punto di vista la traduzione in rumeno del testo di Cennino è – culturalmente –
assai simile alla politica di costruzione di chiese ortodosse nella
Transilvania di quegli anni, come ad esempio ad Orăștie a partire dal 1936.
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Fig. 29) La costruzione della Cattedrale ortodossa dei Santi Arcangeli Michele e Gabriele, Orăştie,1936-1943 |
Si tratta di una prospettiva totalmente opposta alla lettura
che di Cennino si faceva in Italia in quegli anni, dove dell’autore si metteva
in evidenza l’aver definito Giotto come colui che convertì l’arte greca in latina.
Qui, è come se si realizzasse l’operazione inversa: dal latino al greco. In
fondo, prevale il concetto che in Romania, da sempre, la lingua è latina ma la
pittura greca.
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Figg. 30 e 31) Dimitrie Belisare, Il Giusto giudice e i Santi Arcangeli Michele e Gabriele, Cattedrale ortodossa dei Santi Arcangeli Michele e Gabriele, Orăştie, 1940-1942 |
Belisare firma la traduzione di Cennino come pittore al
servizio del Santo Patriarcato. Il suo è - a mio parere - un tentativo di
dimostrare che la pittura neo-bizantina, così fortemente legata alla maniera
antica della pittura sacra rumena, ha radici nobili anche nell’arte antica
italiana. E soprattutto che non vi sono spazi per esperimenti nel mondo
neo-bizantino, né in termini d’iconografia né di tecnica: se l’arte religiosa
di un Körösfői-Kriesch, di un Denis, di un Severini e degli stessi pittori di
Beuron si può leggere come un rinnovamento (e dunque una modernizzazione)
dell’arte religiosa, quegli spazi sono preclusi all’arte di Belisare.
TRADUZIONE
DELL’INTRODUZIONE ALL’INTRODUZIONE DEL LIBRO DELL’ARTE
Si ringrazia Daniel Daianu.
Si ringrazia Daniel Daianu.
Il libro d'arte, di
Cennino Cennini
A mio padre il pittore Belisario S. Paraschivescu, a cui
devo tutte le conoscenze sulle tecniche dell'arte che sto realizzando.
PREFAZIONE
Ho tradotto in rumeno e commentato questo libro mosso
dall’unico obiettivo di aiutare i miei colleghi pittori che intendano lavorare
a fresco. Il testo originale di cui mi sono occupato non è quello di uno
scrittore, e neppure quello di un intellettuale con aspirazioni letterarie, ma
quello di un trecentista che conosceva assai bene il suo lavoro. Questa
spiegazione è necessaria per avvisare i lettori di evitare di disprezzare i consigli di
Cennino per "mancanza di talento letterario”. La sua scrittura è così
semplice e ingenua perché egli si astiene dall’utilizzare concetti astratti,
teorie scientifiche o estetiche o qualsiasi altra cosa del genere. Cennino si
limita ad elencare, l’una dopo l’altra, le regole del dipingere. Avrei evitato
di aggiungere una prefazione se la pittura a fresco sostenuta da Cennino non
fosse oggi completamente caduta in discredito.
Oltre a ciò, il trattato di Cennino è documento ancora più
prezioso per la storia degli artisti primitivi, che si sono succeduti l’un
l’altro (o, meglio, si sono imitati a vicenda) camminando sulle orme dei loro
antenati e furono tutti specializzati nella pittura religiosa. Leggendolo
attentamente, vedrete gli ostacoli che si posero di fronte ai primi artisti,
che non avevano nessuno dei vantaggi di cui godiamo oggi, posto che non
dobbiamo più perder tempo per produrre i nostri pennelli e possiamo beneficiare
dei colori industriali, in polvere fine, già pronti all’uso (*). Scoprirete che
questo trattato è più che benvenuto soprattutto perché alcuni pittori (molto influenti
in termini di teoria) sono emersi di recente e le loro tecniche o nuove
interpretazioni si sono diffuse sulla base di differenti opuscoli; esse sono
effettivamente un ostacolo alla pittura in affresco. Alcuni propagano come
novità il “Wasserglass”, che i tedeschi conoscono dai tempi antichi. Altri
proclamano teorie scientifiche sulla chimica dei colori che, quando messe in
pratica, si rivelano del tutto inefficaci: le loro pitture – i loro cosiddetti
affreschi – spariscono dopo non più di 3-4 anni.
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Fig. 32) Dimitrie Belisare, Affreschi al Monastero Caldarusani, 1907 |
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Fig. 33) Dimitrie Belisare, Affreschi alla cattedrale arcivescovile di Tragoviste, 1927 |
Posso affermare ciò con grande convinzione e grazie al
diritto guadagnato durante 30 anni e più di esperienza. Ho dipinto molte opere
come la Grande Chiesa per il Monastero Caldarusani (decorata, all’interno e
all’esterno, nel 1907 quando avevo solamente 19 anni); la Chiesa di San
Venerio-Herasca; la chiesa Caramidarii de Jos, la Chiesa di Podeanu, la
Cattedrale del Santo Patriarcato, la Chiesa Metropolitana di Targoviste, e la
Chiesa per le vittime del disastro di Costesti-Arges. Per tutte queste opere ho
fatto uso della tecnica imparata da mio padre, il pittore Belisare S.
Paraschivescu, da Domnesti-Muscel, a sua volta uno degli allievi del pittore
Nicola Teodorescu da Buzau. [Nota dell’editore: abbiamo accettato come vera,
come spiegato nella prima parte del blog, l’informazione che la data di nascita
sia 1888, corrispondente all’età di 19 anni nel 1907. E tuttavia tutte le fonti
disponibili riferiscono la data di nascita del 1884, che è anche in linea con
la foto del 1903, che lo ritrae con gli altri studenti di pittura nella classe
di Mirea a 19, e non a 15 anni].
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Fig. 34) Dimitrie Belisare, Affreschi alla Chiesa di San Trifone - Caramidarii de Jos, Bucarest (1929-1930) |
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Fig. 35) Dimitrie Belisare, San Girolamo Ghelasie, Affresco nella Chiesa di Podeanu a Bucarest, 1930-1932 (recentemente restaurato dal pittore Dumitru Banică) |
Ma torniamo al Libro dell'Arte di Cennino.
Scomparso per più di quattro secoli (fu scritto intorno al
1400), questo libro ha visto la luce a Roma, nel 1821. Fu scoperto dal
cavaliere Giuseppe Tambroni, che lo ha reso popolare. Ma alcuni capitoli erano
mancanti; ed era meno preciso in molti passaggi, e generico in altri, giacché
il manoscritto usato da Tambroni (Vaticano Ottoboniano 2974) era incompleto nonché copia moderna dell'originale. Tuttavia a lui bisogna render merito per
l’onestà intellettuale e per aver svolto la maggior parte del lavoro.
Nel 1844, quando i pittori iniziavano ad acquisire interesse
per gli affreschi antichi, il lavoro di Cennino fu prima tradotto in inglese da
M.Ph.Merrifield (A Treatise of painting by Cennino Cennini translated by Mr.
Merrifield, London, 1844), e poi in francese da Victor Mottez, uno degli
allievi di Ingres.
Nel 1859, un’edizione annotata dai fratelli Gaetano e CarloMilanesi, curata e ampliata con i capitoli mancanti, fu pubblicata a Firenze
sulla base di un manoscritto scoperto nella Biblioteca Laurenziana. Fu seguita
da un’edizione tedesca di Albert Ilg, pubblicata a Vienna nel 1881 e ristampata
nel 1888.
Nel 1899, una traduzione del testo ormai completo, sulla
base di fratelli Milanesi, è stata pubblicata a Londra dagli autori inglesi
Allen e Herringham nel loro "Il Libro dell'Arte di Cennino Cennini".
[Nota dell’editore: questo è un errore materiale: la traduttrice è la sola Christiana Herringham, mentre Allen fu l’editore]
Nel 1911, Henry Mottez (figlio del primo traduttore francese
del libro) ha pubblicato la seconda edizione, rivista e integrata con il
supporto del pittore Maurice Denis, mentre nel 1913, è stata pubblicata
l’accuratissima edizione italiana di Renzo Simi (Lanciano 1913), che è
riuscito a confrontare tutti e tre i manoscritti di Cennino trovati in varie
biblioteche italiane.
Infine, Padre Willibrord Verkade ha tradotto ancora il libro
in tedesco e lo ha pubblicato nel 1916 a Strasburgo.
A mia conoscenza, queste sono tutte le traduzioni e le
edizioni pubblicate finora. [Nota dell’editore: anche questo è un errore
materiale: nel 1933 furono pubblicate edizioni in americano, polacco e russo].
E, poiché nessuno dei curatori era uno specialista, è comprensibile che possano
contenere innumerevoli errori, per lo più legati alla interpretazione della
terminologia tecnica. Del resto io stesso ho dovuto affrontare molte
difficoltà. Alcuni estratti erano così confusi e vaghi, che sono stato
costretto a confrontare l'originale (G. Tambroni e l’edizione di Renzo Simi)
con la versione francese di Victor e Henry Mottez e con la tedesca di Padre
Willibrord Verkade, che considero la più accurata perché riesce a rivelare lo
spirito dell’opera di Cennino. Davvero spero che tutti i miei sforzi abbiano
consentito di realizzare il mio desiderio interiore di servire ed essere utile
ai nostri artisti.
A questo scopo, e cercando di portare qualche informazione
aggiuntiva, sto attualmente lavorando ad un piccolo trattato, attraverso il
quale voglio spiegare la pittura a fresco come la conosco e capisco.
Tutti gli introiti derivanti dalla vendita di questo libro
andranno direttamente all'ampliamento e al miglioramento della Casa di Riposo
Belisare a Domnesti-Muscel che ho donato all’Unione delle Belle Arti, e che
vorrei trasferire a Campulung Muscel.
(*) Non è uno sviluppo esclusivamente positivo. I
produttori, pur di poter "moltiplicare il colore", ne aumentano la
quantità mescolandolo ad altri ingredienti. Così ne alterano la qualità. Ecco
perché consiglio vivamente ai pittori a fresco l'utilizzo di materie prime e
colori naturali, non trasformati, come anche indicato da Cennino. Se non li
possono trovare o non ne hanno il tempo sufficiente, io consiglio loro di usare
i colori tedeschi, che anche io utilizzo con grande soddisfazione.
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Il traduttore del presente lavoro ha in fase di preparazione
le seguenti opere: l’Iconografia cristiana e un Trattato sulla pittura a
fresco.
NOTE
[12] Varie fonti sembrano confermare che il pittore
Belisare S. Paraschivescu (1847-1901) fosse il padre di Dimitrie Belisare, ma
non è chiaro perché vi sia stato un cambio di cognome.
[13] Georghe lavora a metà degli anni trenta,
affrescando numerose chiese, a volte con il fratello Dimitrie, ma pare che si
dedichi anche alla pittura ad olio. Un altro fratello, Ion, è colonello
dell’esercito.
[14] Cercel, Elena, Goerge Demetrescu Mirea – Între
faimă şi uitare, in: Noema, Vol. X, 2011, pagine 545-559. Si veda: noema.crifst.ro/doc/2011_4_05.pdf.
[15] Агеев, Петр Яковлевич - Старинные руководства по технике
живописи, Вестник изящных искусств, 1887.
[16] Шаренков, Атанас - Старинни трактати по технология
и техника на живописта, Български художник, 1988-1994
[17] Медић, Милорад - Стари сликарски приручници, I, Издавачка
делатност Републичког завода за заштиту споменика културе, Београд, 1999.
[18] Si veda: https://sfantulvasilecelmare.wordpress.com/arhitectura/
[21] Monnier Gérard, Vovelle José - Un art sans
frontiers. L'internationalisation des arts en Europe (1900-1950), Paris, Publications
de la Sorbonne, 1995
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