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lunedì 11 aprile 2016

William Beckford. Memorie biografiche di pittori straordinari (1780). Con un articolo di Giuseppe Pontiggia



William Beckford
Memorie biografiche di pittori straordinari

Traduzione e postfazione di Mirella Billi
Con un saggio di Gloria Fossi

Firenze, Giunti, 1995

George Romney, Ritratto di William Beckford, 1782.
Fonte: Wikimedia Commons

[1] Le Biographical Memoirs of Extraordinary Painters (1780) sono l'opera prima di William Beckford, autore di romanzi celebri come Vathek (1787). Si tratta di una spassosissima presa in giro del mondo del collezionismo, dei gusti dei collezionisti stessi (che pagano spesso come capolavori autentiche croste), di quello dei mercanti, di quello degli studiosi e, infine, della credulità del pubblico, che ascolta affascinato le imprese artistiche di pittori del tutto immaginari narrate dalla cameriera del castello paterno di Fonthill. Perché una cosa va subito chiarita: Beckford non era uno sprovveduto. Il padre (anch'egli William), aveva accumulato enormi fortune dalle sue piantagioni in Giamaica, si era dato alla vita politica ed era stato a lungo sindaco di Londra. Aveva inoltre radunato un'enorme collezione di opere d'arte, Le immagini che trovate in questo post ne mostrano alcune. William jr. si appassionò anche lui al collezionismo, ma riuscì a dissipare l'enorme fortuna lasciatagli dal padre in pochi anni, tanto che, già in vita, fu costretto a vendere buona parte delle sue collezioni. Ciò non toglie che William conoscesse benissimo il mondo che si accingeva a dissacrare.

Raffaello, Santa Caterina d'Alessandria, 1508, Londra, National Gallery
Fonte: Wikimedia Commons

[2] Testo della bandella:

“Nell’avita dimora di Fonthill il giovanissimo Beckford ascolta esilarato gli sproloqui di una governante che funge da guida improvvisata per i visitatori della prestigiosa collezione di dipinti appartenente alla famiglia, e si diffonde sulla vita degli artisti in una spassosa confusione di nomi storpiati, date inesatte, aneddoti inventati. È questo lo spunto per le Memorie (pubblicate anonime nel 1780), che da comica rievocazione si trasformano in malizioso roman à clef, irridente pamphlet sul mondo dell’arte e sulle mode pittoriche, parodia irresistibile dei trattati e delle storie della pittura e, infine, dei gusti e delle bizzarrie di un’epoca, che l’autore di Vathek guarda con l’occhio critico e ironico, divertito ma anche severo, del connoisseur raffinato e precocissimo, del maniacale collezionista e dello scrittore geniale.”

Cima da Conegliano, San Girolamo nel deserto, 1500-1510 circa, Londra, National Gallery
Fonte: Wikimedia Commons

[3] In uno dei suoi straordinari Album, pubblicati mensilmente sul Domenicale del Sole 24 Ore, Giuseppe Pontiggia si soffermò a lungo su questo testo. Riportiamo il relativo brano, precisando che l’Album in questione è quello del settembre 1998, pubblicato sul Sole 24 Ore il 4.10.1998 (il testo è tratto da Biblioteca Multimediale del Sole 24 ORE – Cd Rom Domenica 1983-2003 Vent’anni di idee).

“28 settembre 

La lettura del libro di Bolano [n.d.r. a cui era dedicato il testo immediatamente precedente nell’articolo] ha mobilitato la mia curiosità sulle vite immaginarie. Ricordavo di avere acquistato anni fa un libro di William Beckford, ma non riuscivo a ritrovarlo nella mia biblioteca. Quando mi chiedono quale computer ho usato per classificarla, rispondo la memoria. Suscito di solito un sorriso di ammirazione, ma poi sono io che devo risolvere il problema quando non ricordo più il posto di un libro. Classificarla comunque mi costerebbe un tempo superiore alla somma di tutte le ricerche episodiche, ancorché esasperate. Finalmente, nascosto dietro un’anta che me lo occultava dal basso, l’ho trovato. Si intitola Memorie biografiche di pittori straordinari e l’ha pubblicato Giunti nel 1995, a cura di Mirella Billi e con un saggio di Gloria Fossi. È l’apoteosi del falso anche perché Beckford vi mescola, come Bolano, il vero. Ma i protagonisti dell’opera, edita a Londra nel 1780, sono artisti fiamminghi e inglesi debitamente inesistenti.

Giovanni Bellini, Ritratto del Doge Leonardo Loredan, 1501, Londra, National Gallery
Fonte: Wikimedia Commons

Beckford l’aveva scritta quasi interamente all’età di diciotto anni. Erede di una immensa fortuna, aveva sviluppato precocemente, nella dimora fastosa di Fonthill e nei viaggi in Europa, il gusto del perverso e del bizzarro e una eccezionale sensibilità letteraria e artistica. Queste doti troveranno conferma nel suo prodigioso intuito di bibliofilo e di collezionista che lo porterà, con l’aiuto di qualche disavventura finanziaria, al dissesto, ma gli consentirà (con le vendite parziali del suo patrimonio, ora disperso nei musei e nelle gallerie del pianeta) di sopravvivergli. E a lui è sopravvissuto un racconto gotico-arabo, Vathek, scritto a ventidue anni, che riesce a conciliare Voltaire e Le mille e una notte. Byron lo definirà la sua Bibbia, noi facciamo più fatica ad associarlo al Vecchio o al Nuovo Testamento, ma resta un lascito durevole. 

La genesi delle biografie fantastiche di Beckford (un autore su cui si è soffermato anche Praz, nei suoi perfidi e fascinosi Studi e svaghi inglesi) è insolita quanto divertente. Beckford si ispira ai discorsi della sua governante, impetuosa e spregiudicata, che, guidando i visitatori nella pinacoteca del palazzo di Fonthill, inventa, con sprezzo ammirevole delle inibizioni culturali, nomi, date, dettagli sulla composizione dei quadri: e soprattutto quei particolari biografici che di solito lasciano a bocca aperta il turista e lo interessano molto di più che l’arte. Beckford la riprende e la imita, storpiando nomi, falsificando attribuzioni, rendendo ovvio l’inverosimile e storico l’impossibile. Però dissemina, a differenza del suo modello, indizi e tracce per gli intenditori.


Fig. 5) Diego Velazquez, Ritratto di Filippo IV di Spagna in marrone e argento, 1631-2, Londra, National Gallery
Fonte: Wikimedia Commons

A Beckford non mancò il successo presso gli esperti, certo inferiore, per entusiasmo, a quello della sua governante presso gli inesperti, oltre tutto in numero enormemente superiore. Anche questo può insegnarci qualcosa. L’arte è un bene universale goduto da una minoranza. Dire quale sia questa minoranza sarebbe, oltre che uno stupido azzardo, una ennesima forma di razzismo. Ma riconoscere la proporzione numerica è accettare la statistica. La folla che cade in deliquio davanti a Raffaello, nella tavola di Novello, non sa che è stato spostato nella sala precedente. Questo non significa che, aggirandosi nella Sistina tra il torcicollo della volta e l’affresco del Giudizio, non provi emozioni analoghe a quelle di chi ama l’arte. La differenza è che ha qualche problema a cogliere la differenza tra i valori. Si può apprezzare Lucio Battisti - come ha detto recentemente Alfredo Giuliani - senza per questo intitolargli il nuovo Auditorium di Roma. Forse chi l’ha proposto ha una famigliarità assidua con questo artista, ma una frequentazione più saltuaria di Mozart e di Mahler. 

Però le intenzioni di Beckford, sottili e maliziose, non dovevano essere solo di smascherare la credulità degli inesperti e i primi abbagli del mercato di massa. Il suo divertimento era anche di smascherare - per via indiretta e analogica - i fraintendimenti degli esperti, la fragilità delle loro scelte e la caducità delle loro immortali gerarchie. Alcuni degli artisti esaltati allora dalla critica e dileggiati in codice da Beckford, come John Hamilton Mortimer (divenuto Rouzinski Blunderbussiana, nome che potrebbe tradursi con “Trombonata”) non hanno effettivamente retto alla prova del tempo e sono in attesa, forse eterna, di un altro canone che li riabiliti e restituisca loro un primato perso nel traghetto dell’aldilà. 

La sua critica attacca non l’ineffabilità del sublime paesaggistico, ma l’eloquenza di chi lo rende enfatico e decorativo. E il vero serve a smascherare il falso almeno quanto il falso serve a smascherare, se non il vero, l’eterna illusione di possederlo.”


Gerard Dou, La bottega del pollivendolo, 1670 circa, Londra, National Gallery
Fonte: Wikimedia Commons

[5] Vale ancora la pena segnalare, dal saggio di Gloria Fossi: “…il trattato di anatomia studiato da Blunderbussiana è certamente il Libro di pittura di Leonardo che Beckford ben doveva conoscere (come suggeritomi da Carlo Pedretti) nella traduzione inglese del 1721…” .

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