Recensione di Giovanni Mazzaferro
English Version
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Theodore Turquet de Mayerne
Pittura scultura e delle arti minori 1620-1646
Ms. Sloane 2052 del British Museum di Londra
A cura di Simona Rinaldi
Prefazione di Michele Cordaro
Anzio (Rm), De Rubeis editore, 1995
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Fig. 1) Pietro Paolo Rubens, Ritratto di Sir Theodore de Mayerne, 1630 circa Fonte: British Museum PD 1860-6-16-36. © Trustees of the British Museum. |
Un manoscritto ‘fuori moda’
Il manoscritto Sloane 2052,
conservato presso la British Library, e redatto dal medico di corte Theodore Turquet De Mayerne fra 1620 e 1646, rappresenta senza dubbio un unicum, perché attingendo non solo da
fonti scritte, ma soprattutto dalle testimonianze di oltre 50 artisti, fra cui
Rubens e Antoon van Dyck, fa luce sulle tecniche adottate in Francia,
Inghilterra e nelle Fiandre in quei decenni del XVII secolo. Un unicum – si diceva – e la cosa che
colpisce di più è come il lavoro di De Mayerne abbia il sapore iniziale di un
frutto fuori stagione. Il primo paragone che sorge spontaneo è infatti quello
con i grandi ricettari medievali, da Teofilo monaco a Cennino Cennini, che,
tuttavia, sono precedenti di svariati secoli. La verità è che De Mayerne scrive
quando il “genere” del ricettario non è più praticato, se non sporadicamente,
da moltissimo tempo. L’ultimo documento in ordine cronologico proposto da De
Mayerne è del 1646; due anni dopo viene fondata a Parigi l’Accademia Reale di
Pittura e Scultura, che si preoccupa di trovare testi su cui fondare
l’insegnamento del disegno, individuando il principale nel Trattato della pittura di Leonardo, edito per la prima volta a
Parigi nel 1651. Il dibattito, basandosi sul dato ormai acquisito della pittura
come arte liberale, si orienta su aspetti di ordine teorico (incombe il “bello
ideale”: il discorso di Bellori sull’Idea
tenuto presso l’Accademia di San Luca è del 1664). L’innalzamento dell’arte a
disciplina liberale e la pubblicazione di testi a scopo didattico o come
momento di riflessione sul classicismo che tralasciano l’aspetto strettamente
tecnico è, peraltro, fenomeno che riguarda anche i Paesi Bassi. Si pensi al De Pictura Veterum di Franciscus Junius
(1637), grande trattato di stampo antiquario, e all’Introduzione all’alta scuola della pittura di Samuel van Hoogstraten, pubblicata a Dordrecht nel 1678.
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Fig. 2) Frontespizio del 'Pictoria, sculptoria et quae subalternarum artium', Sloane MS 2052, f. 2r Fonte: http://britishlibrary.typepad.co.uk/digitisedmanuscripts/2014/07/the-colourful-career-of-sir-theodore-de-mayerne.html |
La riscoperta dell’opera e la sua fortuna editoriale
Nulla di sorprendente, dunque, se
il manoscritto de Mayerne, dopo la sua morte (1655) finì nel dimenticatoio. Ma
proprio le preziosissime informazioni che contiene furono anche la causa della
sua riscoperta nel 1847, quando Charles Lock Eastlake vi attinse a piene mani
per i suoi Materials for a History of Oil
Painting. Siamo a metà del XIX secolo e in Inghilterra si è scatenata la
mania (dettata non solo da curiosità intellettuale, ma soprattutto dalla
volontà vittoriana di elevare il livello dell’arte nazionale) di recuperare le
tecniche operative degli antichi maestri. Eastlake, all’epoca, è segretario
della Commission of Fine Arts, che si
occupa nel concreto delle decisioni da prendere in merito alla decorazione del
nuovo Parlamento inglese, ma, più in generale, della raccolta di informazioni
sulle tecniche artistiche proprio per arrivare a determinare quali siano le
scelte da operare. È inoltre Keeper
(Conservatore) della National Gallery, da cui si dimetterà proprio nel 1847 per
le critiche ricevute relativamente al restauro di alcune opere, salvo
diventarne direttore qualche anno dopo. Gode della fiducia incondizionata del
governo e di fatto, direttamente o per interposta persona (in particolare
grazie a Mary Philadelphia Merrifield) disseppellisce manoscritti fondamentali
per la storia delle tecniche artistiche, a fresco, a tempera e ad olio.
Tuttavia, perché il pubblico
degli appassionati possa leggere il Ms. Sloane 2052 occorre attendere il 1901,
quando il testo viene proposto in tedesco dal pittore Ernst Berger (Quellen für Maltechnik wāhrend der
Renaissance und Folgezeit (XVI-XVII. Jahrhundert) in Italien, Spanien,
den Niederlanden, Deutschland, Frankreich und England nebst dem De Mayerne
Manuskript, Monaco,
Georg Callwey editore). Nella seconda metà del ventesimo secolo la
notorietà del manoscritto è tale da giustificare una traduzione parziale in
olandese ad opera di Johannes Alexander Van de Graaf [1] e una (integrale) in
francese [2]. Curiosamente (specie se si considera che Eastlake aveva
attribuito il merito della scoperta a Robert Henrie jr. e aveva annunciato la
volontà dello scopritore di pubblicarne un’edizione critica nel 1847, la prima
edizione inglese è tratta su quella di Van de Graaf, è quindi incompleta e
viene data alle stampe solo nel 1981 [3]. La prima versione integrale in
inglese risale addirittura al 2004 ed è opera di Donald Fels Jr [4]. Nel quadro
generale di riscoperta dell’opera e del suo autore va naturalmente inquadrata
anche la presente edizione, curata da Simona Rinaldi, esperta di tecniche artistiche
di livello internazionale, e pubblicata nel 1995.
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Fig. 3) Le indicazioni scritte in italiano da de Mayerne sulla tempera dei colori, ricevute da Peter Paul Rubens che ne stava dipingendo il ritratto, Sloane MS 2052, f. 150r Fonte: http://britishlibrary.typepad.co.uk/digitisedmanuscripts/2014/07/the-colourful-career-of-sir-theodore-de-mayerne.html |
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Fig. 4) Le indicazioni di de Mayerne sull'uso dell'olio ricevute da Antoon van Dyck, Sloane MS 2052, f. 153r Fonte: http://britishlibrary.typepad.co.uk/digitisedmanuscripts/2014/07/the-colourful-career-of-sir-theodore-de-mayerne.html |
De Mayerne: note biografiche
Turquet de Mayerne (1573-1655) fu
uno dei medici più famosi d’Europa. La famiglia era ugonotta (ovvero faceva
parte della minoranza calvinista francese) e non è certo un caso se Theodore nacque a Ginevra, in Svizzera, dove il nucleo familiare si era rifugiato in
seguito alla strage di San Bartolomeo, ovvero all’assassinio di massa degli
Ugonotti avvenuto in Francia l’anno precedente. L’elemento religioso si connota
come un elemento di grande importanza nella vita di Theodore; la famiglia
(agiata e colta) è di quelle più in vista in ambienti calvinisti. Il padre è un
leader religioso; il padrino è Teodoro Beza, successore di Calvino a Ginevra.
Ovviamente l’essere ugonotto gli crea non pochi problemi ad essere accettato quando
si ripresenta in Francia e inizia a praticare la sua professione di medico
curando la ricca clientela delle corti, sulla scorta di una fama che si è costruito
con il lavoro e le tesi controverse che sostiene. De Mayerne è un seguace di
Paracelso e sostiene un approccio alchemico alla medicina, dove per ‘alchemico’
non s’intende certo la ricerca della trasformazione dei metalli in oro, quanto
piuttosto lo studio della ricaduta dei metalli in medicina. Va peraltro detto
che Paracelso si era espresso in termini assai duri nei confronti della
medicina tradizionale, di stampo ippocratico e galenico, giungendo fino al
punto di far letteralmente bruciare ai suoi studenti (insegnava medicina
all’Università di Basilea) i testi sacri di Galeno e Avicenna. Una delle
principali preoccupazioni di de Mayerne, quando si trasferisce in Francia, è
sostenere che i due tipi di medicina, quella tradizionale e quella derivante da
Paracelso non sono in effetti in contrasto fra loro, ma semmai complementari.
Bandito da quello che oggi si chiamerebbe l’Ordine dei Medici di Francia e
visto sempre con sospetto per la professione di fede ugonotta, Theodore accetta nel 1611 l’invito a trasferirsi alla Corte d’Inghilterra dove diventa
primo medico del re (in realtà nemmeno lì i primi anni sono esenti da polemiche
di ordine professionale). Resterà a Londra fino alla morte.
Su un piano strettamente
professionale, de Mayerne si adopera perché in Inghilterra il ruolo dei dottori
sia separato e valorizzato rispetto a quello (a cui erano accomunati) degli
speziali. Per questo si spende all’interno del Collegio Reale dei Medici,
sostiene le tesi della Società dei Farmacisti che vogliono separarsi dai
semplici droghieri e fonda la Società dei Distillatori. In realtà, dal nostro
punto di vista di lettori interessati al manoscritto sulle tecniche artistiche
è chiaro che l’approccio è ancora quello dello speziale tout-court. È sì vero che, prima del 1620, non risulta che Theodore fosse interessato ad argomenti di carattere artistico, ma è altrettanto
innegabile che il suo interesse per le tecniche deriva dalla formazione
didattica, in cui, sostanzialmente, non si distingueva fra l’approntamento di
una medicina e quello di un pigmento [6]. Altrettanto evidente, dalla lettura
dell’opera, è che de Mayerne applica il metodo sperimentale ai materiali e alle
ricette che riesce a raccogliere da fonti e testimonianze orali. Il manoscritto
è ricchissimo di note a margine in cui Theodoree aggiunge le sue considerazioni
personali (“l’ho fatto”, “non funziona” e così via, oltre a consigli pratici
rivolti al lettore); non mancano le “speculazioni” personali, ovvero supposizioni
e possibili migliorie che l’autore aggiunge in calce alle ricette e che ritiene
meriterebbero di essere sperimentate, nonché i veri e propri esperimenti e le
“invenzioni” da lui prodotte.
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Fig. 5) Disegno ad acquerello di un coltello per l'imprimitura, Sloane MS 2052, f. 5r Fonte: http://britishlibrary.typepad.co.uk/digitisedmanuscripts/2014/07/the-colourful-career-of-sir-theodore-de-mayerne.html |
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Fig. 6) Disegno di una tavolozza con l'indicazione del posto da assegnare ai vari colori, Sloane MS 2052, f. 90v Fonte: http://britishlibrary.typepad.co.uk/digitisedmanuscripts/2014/07/the-colourful-career-of-sir-theodore-de-mayerne.html |
Il manoscritto
Dal suo osservatorio di medico
del re, de Mayerne è interlocutore privilegiato del mondo degli artisti che
frequentano la corte e non esita a raccoglierne le testimonianze in merito alle
tecniche da loro adottate. Theodore si occupa della salute di Giacomo I e
Carlo I. Se da un punto di vista politico si tratta di anni non certo facili,
che sfociano nel 1642 con lo scoppio della rivoluzione e nel 1649 con la
decapitazione di Carlo I (Mayerne si defila man mano e si ritira di fatto a
vita privata, non rimanendo coinvolto nella deposizione di Carlo), in termini
culturali i due Stuart aprono all’arte del continente e ospitano a corte
pittori (soprattutto olandesi) come Paul Van Somer, Abraham van Blijenberch,
Daniel Mytens e il miniaturista Cornelius Jonson. Nel 1632 (dopo una prima
sfortunata parentesi risalente a dodici anni prima) arriva a corte e ne diviene
pittore ufficiale Antoon Van Dyck, il cui successo è enorme. Non mancano – sia pure
in posizione di rincalzo – pittori italiani come Orazio Gentileschi (chiamato
nel 1626 quando il re si infatua dei dipinti di stile caravaggesco) e la figlia
Artemisia. Fra 1629 e 1630 staziona a Londra anche Rubens, impegnato in
missione diplomatica fra Spagna e Inghilterra. Gli artisti che de Mayerne cita
nel suo manoscritto sono più di cinquanta. Non manca, a dire il vero, il
riferimento a fonti scritte. L’opera si apre con l’invito a prendere in
considerazione le argomentazioni tecniche proposte nel 1584 da Raffaello
Borghini all’interno de Il Riposo; a
titolo di esempio citiamo anche un estratto che nella presente edizione compare
alle pp. 156-157 e che proviene dalla Somma
de Secreti universali in ogni materia
di Timoteo Rosselli.
Complessivamente il manoscritto
si compone di 170 carte fronte/retro scritte per la maggior parte in francese,
ma con ricette riportate in italiano, inglese, tedesco e olandese. Quasi tutti
i documenti trascritti da de Mayerne sono datati, per cui si può appunto si può
dire che il materiale copre gli anni fra il 1620 e il 1646. Quasi sempre a
scrivere è Theodore, ma il fatto che a proporre i testi in inglese sia la mano
di un assistente del medico ginevrino, John Colladon, induce a ritenere che la
sua padronanza della lingua non fosse di grandissimo livello.
Il titolo dell’opera è Pittura, scultura e delle arti minori
[7]. A dire il vero il manoscritto è consacrato alla pittura e, sia pure in
parte nettamente inferiore, alle arti minori, come, ad esempio, al lavoro del
cuoio o al restauro della carta. Il ruolo della scultura è del tutto marginale.
Le pagine di maggior impatto sono, ovviamente, quelle illustrate. Di grande fascino,
ad esempio, sono i fogli dall’80r. all’81 v. in cui è proposta la “Vera presentazione dei colori più comuni”;
per ogni colore è proposta la denominazione latina e quella tedesco-fiamminga,
ma si può senz’altro ricordare anche la carta 5r., in cui compare l’immagine
acquarellata di un coltello da imprimitura (fig. 5) e la 90v. ove sono schizzati due
disegni di tavolozze (fig. 6).
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Fig. 7) 'Vera sperimentazione dei colori più comuni', Sloane MS 2052, f. 80v Fonte: http://britishlibrary.typepad.co.uk/digitisedmanuscripts/2014/07/the-colourful-career-of-sir-theodore-de-mayerne.html |
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Fig. 8) 'Vera sperimentazione dei colori più comuni', Sloane MS 2052, f. 81v Fonte: http://britishlibrary.typepad.co.uk/digitisedmanuscripts/2014/07/the-colourful-career-of-sir-theodore-de-mayerne.html |
Va ricordato, inoltre, che sin
dalla metà degli anni ’60, si conosce un secondo manoscritto de Mayerne,
anch’esso conservato presso la British Library: si tratta dello Sloane 1990.
Anche quest’ultimo è composto da 170 carte e anch’esso presenta una struttura
simile al primo. Tuttavia ne sappiamo pochissimo. Il manoscritto è, ad oggi,
inedito e solo singole ricette – che sembrano essere diverse da quelle dello
Sloane 2052 – vengono citate a riscontro del “fratello” più famoso. Stando a
quanto scritto nelle note di presentazione del ms. 1990 “il suo contenuto
richiama il già ben noto manoscritto de Mayerne “Pictoria, sculptoria et quae subalternarum artium” (manoscritto
Sloane 2052) anch’esso nella British Library… Tuttavia vi sono anche sezioni
sulle arti applicate come pittura e disegno, incisione, scultura, lavori su
vetro, smalti, ceramica, lavorazioni del metallo e tintura che danno
interessanti informazioni sui metodi seguiti in questi campi nel XVII secolo” [8].
Simona Rinaldi aggiunge che i primi 130 fogli del Ms. 1990 appaiono vergati da
de Mayerne, e risalgono agli anni fra il 1623 e il 1644, mentre gli ultimi 40
sono di mano di John Colladon e sono relativi al biennio 1674-1675 (quando Theodore era morto da vent’anni).
Mettere ordine senza stravolgere un manoscritto
Il vero limite dell’opera (ma
anche la sua specificità) è che è disordinata e procede per stratificazioni
successive. Sicuramente, la scansione degli argomenti non è per materia; semmai
l’ordine è quello con cui de Mayerne incontra gli artisti. Simona Rinaldi
giunge a ipotizzare (posto che comunque il manoscritto comprende tutta una
serie di rimandi perfettamente fruibili dal lettore) che le prime venti carte
“assolvessero in realtà ad una funzione di sommario, riassumendo gli argomenti
trattati all’interno del corpo del manoscritto. Da questo punto di vista i
primi fogli sarebbero stati dunque scritti in un fase successiva a quella di
redazione del nucleo originario di partenza, stesa a partire dal 1620” (p. 5).
Ciò detto, il vero compito
dell’interprete (ed è il caso della Rinaldi) è quello di cercare di presentare
i contenuti del manoscritto per nuclei in un saggio introduttivo, ferma
restando la proposizione del manoscritto così come si presenta. Con riferimento
alle tecniche pittoriche, ad esempio, la curatrice estrapola considerazioni
riguardanti rispettivamente supporti, strati preparatori, pellicola pittorica
(compresi i pigmenti), leganti e siccativi, dorature, vernici, pennelli e
tavolozze. In generale, non manca di far presente come l’attenzione di de
Mayerne non sia rivolta tanto ai procedimenti di creazione dei materiali (ad
esempio dei pigmenti): a quelle date l’acquisto dei colori da commercianti è
ormai un dato acquisito. Nel caso delle pellicole pittoriche, ad esempio,
“l’attenzione appare dunque maggiormente rivolta all’effetto finale, ovvero ai
modi di miscelare e stratificare i materiali coloranti per ottenere il
risultato cromatico desiderato, come se de Mayerne abbia voluto carpire ai
pittori il segreto… della composizione delle tinte” (p. 32). Non manca poi la
sottolineatura delle tendenze di fondo, specie se differenti rispetto alla
pittura italiana. Così si segnala, con riferimento ai supporti, che la pittura
a fresco è praticamente assente; ma anche che, nei processi di imprimitura, il
gesso (tipico delle preparazioni italiane) è sostituito dalla creta
(un’abitudine di derivazione nordica, specie tedesco-fiamminga); dall’esame di
leganti e siccativi (quindi, fondamentalmente, dell’olio) dalle molte ricette
proposte emerge “la chiara consapevolezza dei pittori circa i pregi e i difetti
di ciascun tipo d’olio, da cui derivano le diverse soluzioni proposte variabili
a seconda della loro personale scala di priorità, se cioè richiedevano che
l’olio con cui dipingere fosse innanzitutto incolore e trasparente, e poi anche
siccativo” (p. 47) o viceversa.
Il restauro ai tempi di de Mayerne [9]
Non è, infine, del tutto inutile
ricordare che in anni recenti, l’attenzione degli interpreti si è rivolta al
manoscritto Sloane con particolare riferimento alle pratiche di restauro.
Spieghiamoci meglio: i procedimenti illustrati da de Mayerne sono ovviamente
utilissimi ai restauratori a noi contemporanei per lo studio delle opere di
quell’epoca. All’interno dell’opera del medico di Ginevra, anche qui in maniera
non sistematica, sono presenti tuttavia riferimenti che ci permettono di capire quali
fossero le soluzioni praticate all’epoca per il recupero delle opere minacciate
di rovina. Il riferimento più famoso è ovviamente quello contenuto alla carta
14v., sotto il paragrafo “Speculazione sulla pulitura dei quadri di Re Carlo
portati dall’Italia a Londra in un vascello carico di uva di Corinto dove
stavano molti barili di mercurio sublimato, il cui vapore provocato dal calore dell’uva,
annerì come inchiostro tutti i quadri sia a olio che a tempera”. Ci si richiama
infatti a un episodio celebre: nel 1627 Nicholas Lanier, anche grazie alla
mediazione del mercante Daniel Nijs, riuscì a concludere l’acquisto di buona
parte della collezione mantovana dei dipinti Gonzaga. Parte di questi dipinti
fu imbarcata su una nave carica di uva e (per motivi non del tutto chiaro)
all’arrivo a Londra le opere si presentarono drammaticamente annerite. Sappiamo
che il compito di (cercare di) pulirle fu assegnato a Jerome Lanier, cugino di
Nicholas e che il tentativo fu giudicato riuscito solo per i dipinti ad olio e
non invece per quelli a tempera. La “speculazione” di de Mayerne è un brano in
cui Theodore, alla luce delle sue conoscenze, propone un metodo differente
che, se seguito, si sarebbe, a suo dire, rivelato più produttivo. Ma non si tratta
dell’unico riferimento alla conservazione dei materiali. In un testo del 2004
Gudrun Bischoff ha segnalato note relative al restauro con riferimento a nove
diversi argomenti [10]: riordino della tela, riparazione di cadute
dell’imprimitura e/o del colore, conservazione degli strati di colore, pulizia
della superficie pittorica, rimozione delle vernici, restauro delle vernici che
hanno assunto una colorazione tendente al blu, riparazione di un buco in una
tavola di legno e ritocco delle pitture. Tutti argomenti che sono affrontati da
Ulrike Kern nel suo recente contributo apparso su The Burlington Magazine e che dimostrano come lo studio delle carte
di Theodore de Mayerne continui a riservarci grandi sorprese.
NOTE
[1] Het de
Mayerne Manuscript als Bron Voor de Schildertechniek van de Barok: British
Museum, Sloane 2052, a cura di Johannes Alexander van de Graaf (Mijdrecht,
Drukkerij, 1958).
[2] Pictoria, Sculptoria et quae Subalternarum Artium: Le Manuscrit de
Turquet de Mayerne, a cura di Marcel Faidutti e Camille Versini (Lyon,
Audin Imprimeurs, l’edizione è genericamente indicata su Internet come degli
anni ’60; la citazione della British Library è manifestamente sbagliata e
indica l’anno 1981, ovvero quello della prima traduzione parziale inglese; Simona
Rinaldi la indica come risalente al 1965-1967).
[3] L’edizione compare all’interno di Mansfield
Kirby Talley, Portrait painting in
England: studies in the technical literature before 1700, Londra, Paul
Mellon Center for Studies in British Art, 1981.
[4] Lost
Secrets of Flemish Painting: Including the First Complete English Translation
of the de Mayerne Manuscript, B.M. Sloane 2052, a cura di Donald C. Fels (Floyd,
VA, Alchemist Inc., 2004).
[5] Queste note sono redatte attingendo anche a
Ulrike Kern, Theodoree de Mayerne, the
King’s black paintings and seventeenth-century methods of restoring and
conserving paintings in The
Burlington Magazine, October 2015 - CLVII, pp. 700-708. De Mayerne in
realtà si chiamava di cognome Turquet, ma non si fece mai chiamare con il nome
famigliare perché lo riteneva plebeo.
[6] Va detto, per correttezza,
che esiste chi sostiene che prima del 1620 Theodoree non avesse veramente alcun
interesse per il mondo artistico e che tale interesse per le tecniche fosse
derivato dalla sua scoperta, avvenuta nel 1618, di una traduzione parziale operata
dal padre del Proemio alle Vite vasariane (dove, appunto, sono contenute le pagine di natura tecnica del
pittore aretino). Cfr. Ulrike Kern, Theodoree
de Mayerne… cit. n. 3.
[7] In realtà Ulrike Kern (cit.,
n. 2) fa presente che de Mayerne sembra aver cambiato il titolo almeno due
volte. Nella sostanza, individua nell’opera almeno tre titolazioni, di cui Pittura scultura e delle arti minori
sarebbe cronologicamente la seconda.
[8] Si cita dall’abstract di A.E.
Werner, A New de Mayerne Manuscript
pubblicato in Studies on Conservation,
Volume 9, Numero 4, pp. 130-134, 1964. La scheda è consultabile sull’internet
all’indirizzo https://www.iiconservation.org/node/201.
[9] I contenuti di questo
paragrafo sono relativi alla lettura di Ulrike Kern, Theodoree de Mayerne… cit.
[10] Gudrun Bischoff, Das de Mayerne-Manuskript.
Die Rezepte der Werkstoffe, Maltechniken und Gemālderestaurierung, Monaco,
2004.
Attenzione : in realtà, il manoscritto è alla British Library a Londra.
RispondiEliminaInteressantissima lettura. Grazie
RispondiEliminaGrazie mille!
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