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mercoledì 6 aprile 2016

Theodore Turquet de Mayerne. Pittura scultura e delle arti minori, 1620-1646. A cura di Simona Rinaldi


Recensione di Giovanni Mazzaferro
English Version

Theodore Turquet de Mayerne
Pittura scultura e delle arti minori 1620-1646
Ms. Sloane 2052 del British Museum di Londra

A cura di Simona Rinaldi
Prefazione di Michele Cordaro


Anzio (Rm), De Rubeis editore, 1995


Fig. 1) Pietro Paolo Rubens, Ritratto di Sir Theodore de Mayerne, 1630 circa
Fonte:  British Museum PD 1860-6-16-36. © Trustees of the British Museum.


Un manoscritto ‘fuori moda’

Il manoscritto Sloane 2052, conservato presso la British Library, e redatto dal medico di corte Theodore Turquet De Mayerne fra 1620 e 1646, rappresenta senza dubbio un unicum, perché attingendo non solo da fonti scritte, ma soprattutto dalle testimonianze di oltre 50 artisti, fra cui Rubens e Antoon van Dyck, fa luce sulle tecniche adottate in Francia, Inghilterra e nelle Fiandre in quei decenni del XVII secolo. Un unicum – si diceva – e la cosa che colpisce di più è come il lavoro di De Mayerne abbia il sapore iniziale di un frutto fuori stagione. Il primo paragone che sorge spontaneo è infatti quello con i grandi ricettari medievali, da Teofilo monaco a Cennino Cennini, che, tuttavia, sono precedenti di svariati secoli. La verità è che De Mayerne scrive quando il “genere” del ricettario non è più praticato, se non sporadicamente, da moltissimo tempo. L’ultimo documento in ordine cronologico proposto da De Mayerne è del 1646; due anni dopo viene fondata a Parigi l’Accademia Reale di Pittura e Scultura, che si preoccupa di trovare testi su cui fondare l’insegnamento del disegno, individuando il principale nel Trattato della pittura di Leonardo, edito per la prima volta a Parigi nel 1651. Il dibattito, basandosi sul dato ormai acquisito della pittura come arte liberale, si orienta su aspetti di ordine teorico (incombe il “bello ideale”: il discorso di Bellori sull’Idea tenuto presso l’Accademia di San Luca è del 1664). L’innalzamento dell’arte a disciplina liberale e la pubblicazione di testi a scopo didattico o come momento di riflessione sul classicismo che tralasciano l’aspetto strettamente tecnico è, peraltro, fenomeno che riguarda anche i Paesi Bassi. Si pensi al De Pictura Veterum di Franciscus Junius (1637), grande trattato di stampo antiquario, e all’Introduzione all’alta scuola della pittura di Samuel van Hoogstraten, pubblicata a Dordrecht nel 1678.   

Fig. 2) Frontespizio del 'Pictoria, sculptoria et quae subalternarum artium', Sloane MS 2052, f. 2r
Fonte: http://britishlibrary.typepad.co.uk/digitisedmanuscripts/2014/07/the-colourful-career-of-sir-theodore-de-mayerne.html

La riscoperta dell’opera e la sua fortuna editoriale

Nulla di sorprendente, dunque, se il manoscritto de Mayerne, dopo la sua morte (1655) finì nel dimenticatoio. Ma proprio le preziosissime informazioni che contiene furono anche la causa della sua riscoperta nel 1847, quando Charles Lock Eastlake vi attinse a piene mani per i suoi Materials for a History of Oil Painting. Siamo a metà del XIX secolo e in Inghilterra si è scatenata la mania (dettata non solo da curiosità intellettuale, ma soprattutto dalla volontà vittoriana di elevare il livello dell’arte nazionale) di recuperare le tecniche operative degli antichi maestri. Eastlake, all’epoca, è segretario della Commission of Fine Arts, che si occupa nel concreto delle decisioni da prendere in merito alla decorazione del nuovo Parlamento inglese, ma, più in generale, della raccolta di informazioni sulle tecniche artistiche proprio per arrivare a determinare quali siano le scelte da operare. È inoltre Keeper (Conservatore) della National Gallery, da cui si dimetterà proprio nel 1847 per le critiche ricevute relativamente al restauro di alcune opere, salvo diventarne direttore qualche anno dopo. Gode della fiducia incondizionata del governo e di fatto, direttamente o per interposta persona (in particolare grazie a Mary Philadelphia Merrifield) disseppellisce manoscritti fondamentali per la storia delle tecniche artistiche, a fresco, a tempera e ad olio.

Tuttavia, perché il pubblico degli appassionati possa leggere il Ms. Sloane 2052 occorre attendere il 1901, quando il testo viene proposto in tedesco dal pittore Ernst Berger (Quellen für Maltechnik wāhrend der Renaissance und Folgezeit (XVI-XVII. Jahrhundert) in Italien, Spanien, den Niederlanden, Deutschland, Frankreich und England nebst dem De Mayerne Manuskript, Monaco, Georg Callwey editore). Nella seconda metà del ventesimo secolo la notorietà del manoscritto è tale da giustificare una traduzione parziale in olandese ad opera di Johannes Alexander Van de Graaf [1] e una (integrale) in francese [2]. Curiosamente (specie se si considera che Eastlake aveva attribuito il merito della scoperta a Robert Henrie jr. e aveva annunciato la volontà dello scopritore di pubblicarne un’edizione critica nel 1847, la prima edizione inglese è tratta su quella di Van de Graaf, è quindi incompleta e viene data alle stampe solo nel 1981 [3]. La prima versione integrale in inglese risale addirittura al 2004 ed è opera di Donald Fels Jr [4]. Nel quadro generale di riscoperta dell’opera e del suo autore va naturalmente inquadrata anche la presente edizione, curata da Simona Rinaldi, esperta di tecniche artistiche di livello internazionale, e pubblicata nel 1995.

 
Fig. 3) Le indicazioni scritte in italiano da de Mayerne sulla tempera dei colori,
 ricevute da Peter Paul Rubens che ne stava dipingendo il ritratto, Sloane MS 2052, f. 150r
Fonte: http://britishlibrary.typepad.co.uk/digitisedmanuscripts/2014/07/the-colourful-career-of-sir-theodore-de-mayerne.html

Fig. 4) Le indicazioni di de Mayerne sull'uso dell'olio ricevute da Antoon van Dyck, Sloane MS 2052, f. 153r
Fonte: http://britishlibrary.typepad.co.uk/digitisedmanuscripts/2014/07/the-colourful-career-of-sir-theodore-de-mayerne.html


De Mayerne: note biografiche

Turquet de Mayerne (1573-1655) fu uno dei medici più famosi d’Europa. La famiglia era ugonotta (ovvero faceva parte della minoranza calvinista francese) e non è certo un caso se Theodore nacque a Ginevra, in Svizzera, dove il nucleo familiare si era rifugiato in seguito alla strage di San Bartolomeo, ovvero all’assassinio di massa degli Ugonotti avvenuto in Francia l’anno precedente. L’elemento religioso si connota come un elemento di grande importanza nella vita di Theodore; la famiglia (agiata e colta) è di quelle più in vista in ambienti calvinisti. Il padre è un leader religioso; il padrino è Teodoro Beza, successore di Calvino a Ginevra. Ovviamente l’essere ugonotto gli crea non pochi problemi ad essere accettato quando si ripresenta in Francia e inizia a praticare la sua professione di medico curando la ricca clientela delle corti, sulla scorta di una fama che si è costruito con il lavoro e le tesi controverse che sostiene. De Mayerne è un seguace di Paracelso e sostiene un approccio alchemico alla medicina, dove per ‘alchemico’ non s’intende certo la ricerca della trasformazione dei metalli in oro, quanto piuttosto lo studio della ricaduta dei metalli in medicina. Va peraltro detto che Paracelso si era espresso in termini assai duri nei confronti della medicina tradizionale, di stampo ippocratico e galenico, giungendo fino al punto di far letteralmente bruciare ai suoi studenti (insegnava medicina all’Università di Basilea) i testi sacri di Galeno e Avicenna. Una delle principali preoccupazioni di de Mayerne, quando si trasferisce in Francia, è sostenere che i due tipi di medicina, quella tradizionale e quella derivante da Paracelso non sono in effetti in contrasto fra loro, ma semmai complementari. Bandito da quello che oggi si chiamerebbe l’Ordine dei Medici di Francia e visto sempre con sospetto per la professione di fede ugonotta, Theodore accetta nel 1611 l’invito a trasferirsi alla Corte d’Inghilterra dove diventa primo medico del re (in realtà nemmeno lì i primi anni sono esenti da polemiche di ordine professionale). Resterà a Londra fino alla morte.

Su un piano strettamente professionale, de Mayerne si adopera perché in Inghilterra il ruolo dei dottori sia separato e valorizzato rispetto a quello (a cui erano accomunati) degli speziali. Per questo si spende all’interno del Collegio Reale dei Medici, sostiene le tesi della Società dei Farmacisti che vogliono separarsi dai semplici droghieri e fonda la Società dei Distillatori. In realtà, dal nostro punto di vista di lettori interessati al manoscritto sulle tecniche artistiche è chiaro che l’approccio è ancora quello dello speziale tout-court. È sì vero che, prima del 1620, non risulta che Theodore fosse interessato ad argomenti di carattere artistico, ma è altrettanto innegabile che il suo interesse per le tecniche deriva dalla formazione didattica, in cui, sostanzialmente, non si distingueva fra l’approntamento di una medicina e quello di un pigmento [6]. Altrettanto evidente, dalla lettura dell’opera, è che de Mayerne applica il metodo sperimentale ai materiali e alle ricette che riesce a raccogliere da fonti e testimonianze orali. Il manoscritto è ricchissimo di note a margine in cui Theodoree aggiunge le sue considerazioni personali (“l’ho fatto”, “non funziona” e così via, oltre a consigli pratici rivolti al lettore); non mancano le “speculazioni” personali, ovvero supposizioni e possibili migliorie che l’autore aggiunge in calce alle ricette e che ritiene meriterebbero di essere sperimentate, nonché i veri e propri esperimenti e le “invenzioni” da lui prodotte.

Fig. 5) Disegno ad acquerello di un coltello per l'imprimitura, Sloane MS 2052, f. 5r
Fonte: http://britishlibrary.typepad.co.uk/digitisedmanuscripts/2014/07/the-colourful-career-of-sir-theodore-de-mayerne.html
Fig. 6) Disegno di una tavolozza con l'indicazione del posto da assegnare ai vari colori, Sloane MS 2052, f. 90v
Fonte: http://britishlibrary.typepad.co.uk/digitisedmanuscripts/2014/07/the-colourful-career-of-sir-theodore-de-mayerne.html


Il manoscritto

Dal suo osservatorio di medico del re, de Mayerne è interlocutore privilegiato del mondo degli artisti che frequentano la corte e non esita a raccoglierne le testimonianze in merito alle tecniche da loro adottate. Theodore si occupa della salute di Giacomo I e Carlo I. Se da un punto di vista politico si tratta di anni non certo facili, che sfociano nel 1642 con lo scoppio della rivoluzione e nel 1649 con la decapitazione di Carlo I (Mayerne si defila man mano e si ritira di fatto a vita privata, non rimanendo coinvolto nella deposizione di Carlo), in termini culturali i due Stuart aprono all’arte del continente e ospitano a corte pittori (soprattutto olandesi) come Paul Van Somer, Abraham van Blijenberch, Daniel Mytens e il miniaturista Cornelius Jonson. Nel 1632 (dopo una prima sfortunata parentesi risalente a dodici anni prima) arriva a corte e ne diviene pittore ufficiale Antoon Van Dyck, il cui successo è enorme. Non mancano – sia pure in posizione di rincalzo – pittori italiani come Orazio Gentileschi (chiamato nel 1626 quando il re si infatua dei dipinti di stile caravaggesco) e la figlia Artemisia. Fra 1629 e 1630 staziona a Londra anche Rubens, impegnato in missione diplomatica fra Spagna e Inghilterra. Gli artisti che de Mayerne cita nel suo manoscritto sono più di cinquanta. Non manca, a dire il vero, il riferimento a fonti scritte. L’opera si apre con l’invito a prendere in considerazione le argomentazioni tecniche proposte nel 1584 da Raffaello Borghini all’interno de Il Riposo; a titolo di esempio citiamo anche un estratto che nella presente edizione compare alle pp. 156-157 e che proviene dalla Somma de Secreti universali in ogni materia di Timoteo Rosselli.

Complessivamente il manoscritto si compone di 170 carte fronte/retro scritte per la maggior parte in francese, ma con ricette riportate in italiano, inglese, tedesco e olandese. Quasi tutti i documenti trascritti da de Mayerne sono datati, per cui si può appunto si può dire che il materiale copre gli anni fra il 1620 e il 1646. Quasi sempre a scrivere è Theodore, ma il fatto che a proporre i testi in inglese sia la mano di un assistente del medico ginevrino, John Colladon, induce a ritenere che la sua padronanza della lingua non fosse di grandissimo livello.

Il titolo dell’opera è Pittura, scultura e delle arti minori [7]. A dire il vero il manoscritto è consacrato alla pittura e, sia pure in parte nettamente inferiore, alle arti minori, come, ad esempio, al lavoro del cuoio o al restauro della carta. Il ruolo della scultura è del tutto marginale. Le pagine di maggior impatto sono, ovviamente, quelle illustrate. Di grande fascino, ad esempio, sono i fogli dall’80r. all’81 v. in cui è proposta la “Vera presentazione dei colori più comuni”; per ogni colore è proposta la denominazione latina e quella tedesco-fiamminga, ma si può senz’altro ricordare anche la carta 5r., in cui compare l’immagine acquarellata di un coltello da imprimitura (fig. 5) e la 90v. ove sono schizzati due disegni di tavolozze (fig. 6).

Fig. 7) 'Vera sperimentazione dei colori più comuni', Sloane MS 2052, f. 80v
Fonte: http://britishlibrary.typepad.co.uk/digitisedmanuscripts/2014/07/the-colourful-career-of-sir-theodore-de-mayerne.html

Fig. 8) 'Vera sperimentazione dei colori più comuni', Sloane MS 2052, f. 81v
Fonte: http://britishlibrary.typepad.co.uk/digitisedmanuscripts/2014/07/the-colourful-career-of-sir-theodore-de-mayerne.html

Va ricordato, inoltre, che sin dalla metà degli anni ’60, si conosce un secondo manoscritto de Mayerne, anch’esso conservato presso la British Library: si tratta dello Sloane 1990. Anche quest’ultimo è composto da 170 carte e anch’esso presenta una struttura simile al primo. Tuttavia ne sappiamo pochissimo. Il manoscritto è, ad oggi, inedito e solo singole ricette – che sembrano essere diverse da quelle dello Sloane 2052 – vengono citate a riscontro del “fratello” più famoso. Stando a quanto scritto nelle note di presentazione del ms. 1990 “il suo contenuto richiama il già ben noto manoscritto de Mayerne “Pictoria, sculptoria et quae subalternarum artium” (manoscritto Sloane 2052) anch’esso nella British Library… Tuttavia vi sono anche sezioni sulle arti applicate come pittura e disegno, incisione, scultura, lavori su vetro, smalti, ceramica, lavorazioni del metallo e tintura che danno interessanti informazioni sui metodi seguiti in questi campi nel XVII secolo” [8]. Simona Rinaldi aggiunge che i primi 130 fogli del Ms. 1990 appaiono vergati da de Mayerne, e risalgono agli anni fra il 1623 e il 1644, mentre gli ultimi 40 sono di mano di John Colladon e sono relativi al biennio 1674-1675 (quando Theodore era morto da vent’anni).


Mettere ordine senza stravolgere un manoscritto

Il vero limite dell’opera (ma anche la sua specificità) è che è disordinata e procede per stratificazioni successive. Sicuramente, la scansione degli argomenti non è per materia; semmai l’ordine è quello con cui de Mayerne incontra gli artisti. Simona Rinaldi giunge a ipotizzare (posto che comunque il manoscritto comprende tutta una serie di rimandi perfettamente fruibili dal lettore) che le prime venti carte “assolvessero in realtà ad una funzione di sommario, riassumendo gli argomenti trattati all’interno del corpo del manoscritto. Da questo punto di vista i primi fogli sarebbero stati dunque scritti in un fase successiva a quella di redazione del nucleo originario di partenza, stesa a partire dal 1620” (p. 5).

Ciò detto, il vero compito dell’interprete (ed è il caso della Rinaldi) è quello di cercare di presentare i contenuti del manoscritto per nuclei in un saggio introduttivo, ferma restando la proposizione del manoscritto così come si presenta. Con riferimento alle tecniche pittoriche, ad esempio, la curatrice estrapola considerazioni riguardanti rispettivamente supporti, strati preparatori, pellicola pittorica (compresi i pigmenti), leganti e siccativi, dorature, vernici, pennelli e tavolozze. In generale, non manca di far presente come l’attenzione di de Mayerne non sia rivolta tanto ai procedimenti di creazione dei materiali (ad esempio dei pigmenti): a quelle date l’acquisto dei colori da commercianti è ormai un dato acquisito. Nel caso delle pellicole pittoriche, ad esempio, “l’attenzione appare dunque maggiormente rivolta all’effetto finale, ovvero ai modi di miscelare e stratificare i materiali coloranti per ottenere il risultato cromatico desiderato, come se de Mayerne abbia voluto carpire ai pittori il segreto… della composizione delle tinte” (p. 32). Non manca poi la sottolineatura delle tendenze di fondo, specie se differenti rispetto alla pittura italiana. Così si segnala, con riferimento ai supporti, che la pittura a fresco è praticamente assente; ma anche che, nei processi di imprimitura, il gesso (tipico delle preparazioni italiane) è sostituito dalla creta (un’abitudine di derivazione nordica, specie tedesco-fiamminga); dall’esame di leganti e siccativi (quindi, fondamentalmente, dell’olio) dalle molte ricette proposte emerge “la chiara consapevolezza dei pittori circa i pregi e i difetti di ciascun tipo d’olio, da cui derivano le diverse soluzioni proposte variabili a seconda della loro personale scala di priorità, se cioè richiedevano che l’olio con cui dipingere fosse innanzitutto incolore e trasparente, e poi anche siccativo” (p. 47) o viceversa.


Il restauro ai tempi di de Mayerne [9]

Non è, infine, del tutto inutile ricordare che in anni recenti, l’attenzione degli interpreti si è rivolta al manoscritto Sloane con particolare riferimento alle pratiche di restauro. Spieghiamoci meglio: i procedimenti illustrati da de Mayerne sono ovviamente utilissimi ai restauratori a noi contemporanei per lo studio delle opere di quell’epoca. All’interno dell’opera del medico di Ginevra, anche qui in maniera non sistematica, sono presenti tuttavia riferimenti che ci permettono di capire quali fossero le soluzioni praticate all’epoca per il recupero delle opere minacciate di rovina. Il riferimento più famoso è ovviamente quello contenuto alla carta 14v., sotto il paragrafo “Speculazione sulla pulitura dei quadri di Re Carlo portati dall’Italia a Londra in un vascello carico di uva di Corinto dove stavano molti barili di mercurio sublimato, il cui vapore provocato dal calore dell’uva, annerì come inchiostro tutti i quadri sia a olio che a tempera”. Ci si richiama infatti a un episodio celebre: nel 1627 Nicholas Lanier, anche grazie alla mediazione del mercante Daniel Nijs, riuscì a concludere l’acquisto di buona parte della collezione mantovana dei dipinti Gonzaga. Parte di questi dipinti fu imbarcata su una nave carica di uva e (per motivi non del tutto chiaro) all’arrivo a Londra le opere si presentarono drammaticamente annerite. Sappiamo che il compito di (cercare di) pulirle fu assegnato a Jerome Lanier, cugino di Nicholas e che il tentativo fu giudicato riuscito solo per i dipinti ad olio e non invece per quelli a tempera. La “speculazione” di de Mayerne è un brano in cui Theodore, alla luce delle sue conoscenze, propone un metodo differente che, se seguito, si sarebbe, a suo dire, rivelato più produttivo. Ma non si tratta dell’unico riferimento alla conservazione dei materiali. In un testo del 2004 Gudrun Bischoff ha segnalato note relative al restauro con riferimento a nove diversi argomenti [10]: riordino della tela, riparazione di cadute dell’imprimitura e/o del colore, conservazione degli strati di colore, pulizia della superficie pittorica, rimozione delle vernici, restauro delle vernici che hanno assunto una colorazione tendente al blu, riparazione di un buco in una tavola di legno e ritocco delle pitture. Tutti argomenti che sono affrontati da Ulrike Kern nel suo recente contributo apparso su The Burlington Magazine e che dimostrano come lo studio delle carte di Theodore de Mayerne continui a riservarci grandi sorprese.


NOTE

[1] Het de Mayerne Manuscript als Bron Voor de Schildertechniek van de Barok: British Museum, Sloane 2052, a cura di Johannes Alexander van de Graaf (Mijdrecht, Drukkerij, 1958).

[2] Pictoria, Sculptoria et quae Subalternarum Artium: Le Manuscrit de Turquet de Mayerne, a cura di Marcel Faidutti e Camille Versini (Lyon, Audin Imprimeurs, l’edizione è genericamente indicata su Internet come degli anni ’60; la citazione della British Library è manifestamente sbagliata e indica l’anno 1981, ovvero quello della prima traduzione parziale inglese; Simona Rinaldi la indica come risalente al 1965-1967).

[3] L’edizione compare all’interno di Mansfield Kirby Talley, Portrait painting in England: studies in the technical literature before 1700, Londra, Paul Mellon Center for Studies in British Art, 1981.

[4] Lost Secrets of Flemish Painting: Including the First Complete English Translation of the de Mayerne Manuscript, B.M. Sloane 2052, a cura di Donald C. Fels (Floyd, VA, Alchemist Inc., 2004).

[5] Queste note sono redatte attingendo anche a Ulrike Kern, Theodoree de Mayerne, the King’s black paintings and seventeenth-century methods of restoring and conserving paintings in The Burlington Magazine, October 2015 - CLVII, pp. 700-708. De Mayerne in realtà si chiamava di cognome Turquet, ma non si fece mai chiamare con il nome famigliare perché lo riteneva plebeo.

[6] Va detto, per correttezza, che esiste chi sostiene che prima del 1620 Theodoree non avesse veramente alcun interesse per il mondo artistico e che tale interesse per le tecniche fosse derivato dalla sua scoperta, avvenuta nel 1618, di una traduzione parziale operata dal padre del Proemio alle Vite vasariane (dove, appunto, sono contenute le pagine di natura tecnica del pittore aretino). Cfr. Ulrike Kern, Theodoree de Mayerne… cit. n. 3.

[7] In realtà Ulrike Kern (cit., n. 2) fa presente che de Mayerne sembra aver cambiato il titolo almeno due volte. Nella sostanza, individua nell’opera almeno tre titolazioni, di cui Pittura scultura e delle arti minori sarebbe cronologicamente la seconda.

[8] Si cita dall’abstract di A.E. Werner, A New de Mayerne Manuscript pubblicato in Studies on Conservation, Volume 9, Numero 4, pp. 130-134, 1964. La scheda è consultabile sull’internet all’indirizzo https://www.iiconservation.org/node/201.

[9] I contenuti di questo paragrafo sono relativi alla lettura di Ulrike Kern, Theodoree de Mayerne… cit.

[10] Gudrun Bischoff, Das de Mayerne-Manuskript. Die Rezepte der Werkstoffe, Maltechniken und Gemālderestaurierung, Monaco, 2004.


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