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mercoledì 23 marzo 2016

Francesco Mazzaferro. Cennino Cennini. l'Accademia di Belle Arti di Belgrado e i due diversi mondi delle traduzioni serbe nel 1950 e nel 1999


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Francesco Mazzaferro
Cennino Cennini, l’Accademia di Belle Arti di Belgrado
e i due diversi mondi delle traduzioni serbe nel 1950 e nel 1999



Fig. 1) Il primo volume della traduzione di Cennino Cennini, a cura di Dragoljub Kažić

IL PROGETTO CENNINI

Questo post fa parte del Progetto Cennini, dedicato allo studio del recepimento del Libro dell'arte a partire dalla prima edizione a stampa, nel 1821. Clicca qui per vedere la lista di tutti i post.

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Ognuno dei nostri paesi racchiude nella propria identità storica anime diverse, ed è bene che sia così. Nel caso della Serbia, queste anime possono forse essere identificate con l’attrazione che due mondi hanno sempre esercitato su di essa: quello francese e quello russo. Spesso pubblicare i testi della letteratura artistica è stata per gli studiosi d’arte un’occasione per cercare le origini e persino interrogarsi sulla legittimità storica dei propri paesi. Nel caso di Cennino Cennini, autore primigenio della letteratura artistica per la sua collocazione tra medioevo e rinascimento, le traduzioni dall’italiano in altre lingue sono spesso state il momento in cui varie aree culturali si sono poste il problema dell’origine della loro arte. È il caso anche delle due traduzioni di Cennino Cennini in serbo, di cui una (quella del 1950) è un esempio dell’attrattiva esercitata dal mondo culturale francese moderno e l’altra (quella del 1999) testimonia l’influenza ininterrotta del mondo slavo-bizantino nel corso dei secoli. Purtroppo, nessuno dei due studi ci fornisce invece una nuova prospettiva su Cennino stesso e sul Libro dell’arte.

Anche se le due traduzioni di Cennino Cennini appartengono a epoche diverse e a situazioni storiche molto differenti, entrambe ruotano intorno al mondo accademico di Belgrado, raccolto intorno ad una serie di istituzioni che hanno inevitabilmente assunto forme diverse, ma evidentemente si sono interrogate sulle tecniche artistiche nel corso dell’intera seconda metà del secolo passato. È all’Accademia delle Belle Arti (Академија ликовних уметности) di Belgrado che insegna alla fine della Seconda Guerra Mondiale il pittore e professore Nedeljko Gvozdenović, che incarica due studenti di tradurre in serbo il Libro dell’Arte di Cennino Cennini; uno dei due studenti, Dragoljub Kažić, diverrà professore di fotografia in quella stessa istituzione, che nel 1957 si trasforma in Accademia delle Arti della Repubblica Popolare di Serbia (all’epoca uno degli stati costituenti la Jugoslavia), e poi diviene l’Università delle Arti di Belgrado nel 1973. Nella stessa istituzione si laurea nel 1955 Milorad Medić, che lì assume la cattedra di restauro nel 1977 e prepara una collezione in tre volumi di scritti antichi sulle tecniche pittoriche con una nuova traduzione di Cennino, pubblicata nel 1999, l’anno della sua scomparsa. Le traduzioni di Cennino si materializzano tutte negli stessi ambienti.


Dragoljub Kažić e Ivanka Prikelmayer

La prima traduzione serba è condotta sull’edizione francese di Cennino del 1911 – quella che conosce successo globale grazie alla prefazione di Auguste Rénoir – da Dragoljub Kažić [1] (Драгољуб Кажић) (1922–1999) e Ivanka Prikelmayer (Иванка Прикелмајер) [2] (1921-data della morte sconosciuta). Si tratta di due giovani ricercatori che lavorano sicuramente in maniera coordinata. Probabilmente abbiamo a che fare con le rispettive tesi di laurea, stampate dall’editore universitario Globus come due quaderni (rispettivamente di 51 e 46 pagine) pubblicati al di fuori di una collana [3]. Kažić traduce i capitoli 1-38 e li include nel numero 1, che comprende anche un breve testo su Rembrandt del pittore e critico d’arte francese Eugène Fromentin (1820-76). La Prikelmayer traduce la seconda parte del trattato di Cennini, pubblicato nel quaderno numero 2.

Al quaderno n. 1 è premessa una brevissima introduzione, non necessariamente di Kažić, che Marija Rosic ha tradotto per noi in inglese (per il testo integrale in italiano, si veda la fine di questo post). In essa si legge: “Il volume, che in questo numero presenta la prima parte del Trattato di Cennini sulla pittura e – come supplemento – lo studio di Fromentin di Rembrandt, non ha la rilevanza di un libro di testo pratico. Sorge dalla necessità di offrire agli studenti dell’Accademia di Belle Arti la possibilità di allargare la loro cultura artistica.” Anche se si tratta di un’iniziativa dal chiaro significato didattico, sono passati i giorni in cui Cennino si studiava nelle accademie al fine di ripristinare l’uso delle tecniche medievali da parte dei pittori contemporanei, come era avvenuto per esempio in Ungheria nei primi decenni del secolo: perciò si dice chiaramente fin dall’inizio non è un manuale su cui gli studenti debbano fare pratica di pittura, ma piuttosto una dispensa ad uso degli studenti per offrire loro materiali integrativi. Anche se non ho possibilità di verificarlo, è probabilmente una traduzione senza grandi pretese filologiche. Non vi è nulla di scientifico (ad esempio non vi sono note), almeno a prima vista: nella seconda di copertina compare la dicitura: “stampato come da manoscritto” (штампано као рукопис). Ed è infine forse (come tante cose legate all’insegnamento universitario) un’iniziativa dai contorni un po’ confusi o, come si legge nell’introduzione, “occasionale”. Si spiega comunque che “in questo senso, il suo carattere non può essere ridotto alla mera presentazione di materiale storico e di traduzioni dal mondo della letteratura”. È una chiara presa di distanza dal concetto classico di letteratura artistica. E tuttavia si aggiunge: “Il suo significato deve essere esteso per includere temi ancora oggi attuali, in forma di polemica.” Dunque, per riassumere: la traduzione non è destinata ad insegnare ai pittori contemporanei l’uso delle tecniche contenute nel trattato di Cennino, non vuole neppure concentrarsi sugli aspetti di letteratura artistica, ma vuole offrire informazioni di cultura generale agli studenti, permettendo loro di avere nuovi argomenti di dibattito.

Ci si interessa a Cennino come testimone della scoperta della natura: “Conosciuto nella storia dell’arte per il suo Trattato, Cennini prese nota di tutte le esperienze tecniche usate nel mondo che lo precedeva, e perciò il suo libro contiene ogni cosa che la tradizione di Giotto abbia usato in termine di tecniche e metodi. Ancor più importante, nel lavoro di Cennino si colgono tutti gli elementi di una nuova comprensione dell’arte nei confronti della natura, in contrasto rispetto all’arte bizantina precedente, che probabilmente servì come punto d’avvio. Per questa ragione sarebbe interessante fare un raffronto con i processi tecnologici usati nella nostra arte medievale nel periodo in cui la tendenza verso il realismo iniziava a prender forma.

Fig. 2) Maestro di Nerezi, Pietà, Gorno Nerezi, Chiesa di San Pantaleone, 1164

Siamo abituati a considerare in Italia Cennino come colui che scrive che Giotto tradusse l’arte dal greco al latino, e dunque creò una cesura tra arte occidentale ed orientale. Non deve invece sorprendere che ci si ponga a Belgrado il problema opposto di accertare la conformità di Cennino con le tecniche di pittura del mondo pittorico ortodosso, che gli servirono da base; il riferimento a Cennino come l’equivalente occidentale del momento in cui l’arte slavo-bizantina scopre aspetti di realismo è evidentemente importante nella storia dell’arte serba, dal momento che vi si trovano esempi di affreschi, come nella chiesa di San Pantaleone a Gorno Nerezi (fig. 2), di accentuata caratterizzazione personale. Lo stesso interesse alla scoperta del realismo nel mondo iconografico slavo-ortodosso si trova anche negli studi del bulgaro Emmanuel Moutafov (riferiti tuttavia al Settecento), in un altro post di questo blog. Comunque, nella prima traduzione di Cennino del 1950 questo rimane un riferimento fugace di poche righe.

Kažić divenne fotografo d’arte e grafico famoso, e professore nella stessa università di Belgrado. Della Prikelmayer non si sa molto, se non che proveniva da una famiglia di farmacisti della cittadina di Valjevo, che i suoi studi erano stati molto ritardati dalla guerra, che si era laureata all’Accademia di Belle Arti e che aveva dedicato la sua intera vita professionale a contribuire "alla redazione collettiva di opere enciclopediche in materia d’arte" [4].

Fig. 3) Il secondo volume della traduzione di Cennino Cennini, a cura di Ivanka Prikelmayer

La scuola pittorica di Belgrado

Kažić si era diplomato all’Accademia di Belle Arti di Belgrado nel 1948 con il Professor Nedeljko Gvozdenović (1902-1988). È dunque su quest’ultimo che bisogna concentrare l’attenzione. Probabile che abbia incaricato i suoi studenti di preparare una traduzione serba di Cennino, insieme a quella di alcune pagine di Eugène Fromentin. Perché? Possiamo formulare solamente delle ipotesi.

Fig. 4) Nedeljko Gvozdenović, Natura morta in verde, 1938

Fig. 5) Nedeljko Gvozdenović, Donna al tavolo, 1938

Gvozdenović è tutt’altro che uno sconosciuto: animatore di una corrente pittorica ancor oggi celebre, la Scuola di Belgrado, per il profilo intimista e l’interesse per la pittura di paesaggi, ha altre due caratteristiche che sono perfettamente in linea con la possibile decisione di affidare a due suoi studenti il compito di tradurre Cennino in serbo: l’amore per le tecniche pittoriche tradizionali e quello per le lingue straniere [5]. Presumibilmente, la decisione di tradurre Cennino dal francese è un riflesso dell’importanza della francofonia nella Serbia di quegli anni.

Gvozdenović probabilmente conosce Cennino dagli anni della gioventù. Si è infatti formato a Monaco di Baviera negli anni venti, subito dopo la pubblicazione in tedesco del Libro dell’Arte da parte di Jan Verkade, ed a Parigi negli anni trenta, dove Cennino è divenuto estremamente popolare grazie al successo che il testo aveva raccolto nel mondo post-impressionista francese (Renoir, Maurice Denis, i Nabis). Dal 1940 Gvozdenović è professore all’Accademia a Belgrado e dunque forse coltiva l’ambizione di far tradurre dai suoi studenti un testo che ancora non è disponibile nella sua lingua. Nei primi anni cinquanta è già un pittore noto anche al di fuori dei confini nazionali, e la Biennale di Venezia lo ospita, insieme ad altri pittori jugoslavi, nel 1952.

Fig. 6) Nedeljko Gvozdenović, Ragazza in un interno, 1950

Fig. 7) Nedeljko Gvozdenović, Panorama verde, 1953

Mi sia consentito anche di notare come i dipinti di Gvozdenović negli anni Trenta siano fortemente influenzati da Cézanne e negli anni Cinquanta non corrispondano all’ideale del realismo socialista che si andava imponendo nel blocco sovietico (da cui per la verità, la Jugoslavia di Tito era uscita nel 1948), e conservino un’atmosfera intima. Vi è un sapore nostalgico, di chiara derivazione post-impressionista, che spiega l’interesse per il mondo francese e che si mantiene anche nelle opere dei decenni successivi, nonostante il tratto più geometrico. È la Jugoslavia che si nutre delle correnti d’arte del primo Novecento europeo per cercare la propria via.

Fig. 8) Nedeljko Gvozdenović, Vista del Danubio, 1957
Fig. 9) Nedeljko Gvozdenović, Atelier, 1960

Kažić: la passione per la scrittura didattica

Dragoljub Kažić non divenne un pittore di successo, come del resto era accaduto sia a Cennino sia Fromentin, ma come loro si afferma come pubblicista in fatto di tecniche artistiche. Forse è questa l’unica eredità che Cennino gli lascia, dato che non vi è alcuna evidenza che di lui si sia ancora occupato. Dopo esser passato attraverso diverse esperienze nel campo del design e della grafica (vince numerosi premi per manifesti e copertine, anche fuori della Jugoslavia) ed essersi dedicato a temi molto vari (fu co-autore, per esempio, di un insolito saggio sull’arte contemporanea egiziana del 1964, uscito in inglese ed in arabo, che si può spiegare con il fatto che la Jugoslavia di Tito fosse alleata dell’Egitto di Nasser, come promotrice del mondo dei paesi non allineati) [6] Kažić si dedica alla fotografia d’autore ed assume la cattedra di fotografia, nell’Accademia stessa in cui aveva studiato, dal 1968 al 1987. In quegli anni pubblica anche numerosi manuali di fotografia utilizzati in Serbia per molti anni, fin quando la tecnologia digitale non ha rivoluzionato la tecnica.

Fig. 10) Dragoljub Kažić, Manifesto per la mostra di Zbirka Urvater, 1959

Fig. 11) Dragoljub Kažić, Tecnica elementare della fotografia, 1973

Fig. 12) Dragoljub Kažić, Tecnica elementare della fotografia, 1987


Milorad Medić

La seconda traduzione serba del Libro dell’Arte di Cennino Cennini è pubblicata nella collezione in tre volumi [7] di “Antichi Manuali di Pittura” (Стари сликарски приручници), opera principale di Milorad Medić (Милорад Медић) (1926-1999), usciti rispettivamente nel 1999, nel 2002 e nel 2005 (gli ultimi due postumi). È una raccolta di testi tra il V Secolo ed il 1700, tutti presentati al lettore serbo con testo originale a fronte: nel caso di Cennino il testo italiano a fronte è quello di Franco Brunello (1971) che, ai fini della traduzione è stato comparato con il testo americano di Thompson (1933). La collezione è pubblicata dall’Istituto della Repubblica Serba per la Protezione del Patrimonio Culturale di Belgrado (Републички завод за заштиту споменика културе – Београд), in una collana che esiste dal 1956.

L’opera, che comprende nel complesso quasi duemila pagine, è chiaramente scritta al fine di offrire a restauratori e studiosi di tecniche artistiche le fonti originali che possano aiutarli a comprendere gli aspetti più tecnici della produzione pittorica. Medić è stato prima di tutto restauratore. Dopo studi a Belgrado, si specializza a Bruxelles e a Ravenna (1958-1959). Oltre ad un’intensa attività di restauro in Jugoslavia presso il Museo nazionale di Belgrado, dirige per molti anni importanti interventi per preservare mosaici greco-romani in tutta l’area del Mediterraneo, anche in appoggio ad un programma dell’UNESCO (1968-1985). Non sorprende dunque che la collezione si apra con un saggio di un centinaio di pagine dello stesso Medić sulle tecniche, con sezioni importanti su affresco e mosaico, ed una cronologia degli scritti sulle tecniche artistiche da Plinio il Vecchio fino ai manuali di restauro contemporanei. Vi sono anche molti disegni per mostrare al lettore come le tecniche venivano eseguite nel corso della storia.

La vastità dell’opera in tre volumi, pubblicata in gran parte dopo la morte del curatore, e l’origine dei testi da aree linguistiche differenti fa pensare che Medić non abbia provveduto da solo alla traduzione diretta dell’intero corpo, ma che abbia probabilmente fatto ricorso a risorse nell’ambito dell’Accademia. Nell’introduzione, a proposito di Cennino, si ringrazia il filologo e filosofo d’estetica Streten Petrović (Сретен Петровић).


Fig. 13) Il primo volume della raccolta Antichi Manuali di Pittura (1999), a cura di Milorad Medić

Per ogni testo riprodotto nella collezione, Medić presenta qualche pagina d’introduzione. Quella al Libro dell’Arte (si veda il testo alla fine di questo post) offre al lettore serbo un’informazione basata sull’edizione italiana di Franco Brunello, anch’egli restauratore, che nell’edizione italiana del 1971 si è concentrato su temi tecnici. Alla luce del dibattito degli ultimi decenni sulla natura e sulla finalità del Libro dell’arte (Frezzato, Troncelliti, catalogo della mostra di Berlino nel 2008, Seiler, e da ultimo Broecke) l’introduzione è forse ormai superata (e presenta alcune inesattezze o ingenuità sulla cronologia della vita di Cennino), ma sembra utile riportarne la traduzione italiana, sempre a cura di Marija Rosic, per capire quale fosse la percezione dello scritto di Cennini da parte del suo traduttore serbo.

Se la preoccupazione di Medić è quella di aiutare i restauratori ad avere accesso ai testi originali e tradotti sulle tecniche, è altrettanto vero che i suoi tre volumi intendono soprattutto ricostruire la letteratura artistica greco-bizantina e slava-ortodossa. Il primo volume presenta i testi completi di Eraclio, del monaco Teofilo e di Cennino; il secondo volume include svariate fonti greche e serbe dal 1566 al 1728 (il Primo Codice di Gerusalemme del 1566, il Typikon del Serbo Nectarius del 1599, il Libro del Pope Danilo del 1674, l’Ermeneia della famiglia Zografski del 1728) [8]; il terzo offre il testo dell’Ermeneia della pittura bizantina di Dionisio da Furnà, un’opera settecentesca la cui autenticità è stata posta altrove in seri dubbi, ma che è qui presentata come testo originale. In questa collezione di prevalente origine greco-bizantina Cennino è incluso come rappresentante di una manualistica che testimonia il saper fare medievale erede della tradizione bizantina. Dunque qui la lettura di Cennino è tutta in linea di continuità con altre fonti dell’arte medievalistiche o con opere sulla pittura che possono essere caratterizzate come eredi della tradizione pittorica greca e slava. È una chiave di lettura che esiste in altri paesi dell’area (la Russia, la Grecia stessa, la Romania), ed ha una tradizione che data almeno alla fine dell’Ottocento. Si pensi ai Старинные руководства по технике живописи (il titolo russo ha chiaramente ispirato quello serbo) ovvero i Manuali antichi sulla tecnica pittorica, pubblicati in Russia da Piotr Yakovlevich Ageev (Петр Яковлевич Агеев) nel 1887 e presentati nel Bollettino dell’Accademia Imperiale di Belle Arti (Вестник изящных искусств) [9] di Pietroburgo, in tre numeri del bollettino; vi era contenuta fra l’altro la prima traduzione parziale russa di Cennino (condotta da quella tedesca di Ilg). Anche Ageev era un restauratore. L’anno precedente aveva pubblicato nello stesso bollettino uno studio intitolato “Introduzione tecnica alla pittura: Sui colori antichi e sulla pittura di icone russe” (Технические заметки по живописи. Краски старых и русских иконописцев).


Fig. 14) Il Bollettino dell’Accademia di Belle Arti di San Petersburgo, Tomo V, 1887

Belgrado, 1950-1999

Tra le due traduzioni di Cennino scorre la storia delle diverse esperienze politiche e sociali della Serbia, dalla fondazione alla dissoluzione della Jugoslavia. Le due traduzioni sono concepite nello stesso quadro accademico, ma testimoniano interessi professionali e sensibilità culturali diverse. Dal punto di vista professionale, è chiaro che la traduzione del 1950 vuole promuovere una discussione sull’arte ed esclude ogni finalità di insegnamento sulle tecniche pittoriche di Cennino, che è invece al centro della seconda versione del 1990. Si tratta, per molti versi, di una tendenza generale negli ultimi decenni: Cennino è sempre più divenuto testo d’interesse per restauratori e sempre meno materia del contendere estetico per artisti contemporanei. Dal punto di vista culturale, la traduzione del 1950 testimonia dell’interesse del mondo accademico serbo per il mondo francese, mentre quella del 1999 richiama l’interesse di quegli stessi ambienti per il mondo slavo ed ortodosso. Sono temi che bisogna toccare con molta discrezione, anche considerando il rischio di una loro strumentalizzazione politica. Non vi è un’influenza buona ed una cattiva. Ripeto quel che ho scritto all’inizio di questo articolo: ognuno dei nostri paesi riflette anime differenti, ed è bene che sia così.

Mi si permetta comunque di avanzare, in chiave del tutto intuitiva, un tentativo d’interpretazione generale di questa breve storia delle traduzioni cenniniane nel mondo accademico di Belgrado. La traduzione di Kažić e Prikelmayer è parte dell’attività didattica dell’Accademia di Belgrado nei primi anni dell’esperienza jugoslava. Sono probabilmente fasi di grande entusiasmo e di sperimentazione, ma anche di ricerca di continuità con il mondo pittorico europeo del primo Novecento, cui la Serbia apparteneva negli anni precedenti il conflitto mondiale. Cennino viene probabilmente scelto dal leader della scuola pittorica di Belgrado, Nedeljko Gvozdenović, non per un interesse diretto nei confronti delle tecniche dei primitivi ma soprattutto perché nella prima parte del secolo le sue pagine erano divenute punto di riferimento della pittura simbolista e post-impressionista in Francia, Germania ed in molte altre regioni europee (in Europa centro-orientale, in Scandinavia).

La collezione di Medić compare invece quando l’idea di una casa comune a tutti gli slavi del sud (la Jugoslavia) è ormai implosa sotto il peso di un decennio di crisi economico-finanziaria e una sanguinosa guerra civile, e la Serbia è alla ricerca di una propria identità differente da quella dei decenni precedenti. Cennino vi appare come un autore che appartiene al mondo dei primitivi, e forse come una testimonianza di un antico momento originario unico dell’arte medievale (nonostante Cennino proclami il suo maestro, Giotto, come colui che ha tradotto l’arte dal greco al latino). Mentre negli anni Cinquanta il riferimento della Jugoslavia è alla Francia post-impressionista ed al mondo europeo moderno – sia pur in una combinazione tra innovazione e tradizione – negli anni Novanta le coordinate della Serbia si richiamano invece alla tradizione slava-ortodossa e ad un’epoca molto più antica, in un’evidente ricerca d’identità legata alla spiritualità orientale.

Fig. 15) Il terzo volume della raccolta Antichi Manuali di Pittura del 2005, a cura di Milorad Medić


SI PUBBLICANO QUI DI SEGUITO LE VERSIONI ITALIANE DI FRANCESCO MAZZAFERRO DI DUE TRADUZIONI DAL SERBO ALL'INGLESE EFFETTUATE DA MARIJA ROSIC 

INTRODUZIONE AL TRATTATO SULLA PITTURA DI CENNINO CENNINI (1950)

Il volume, che in questo numero presenta la prima parte del Trattato sulla pittura di Cennini e – come supplemento – lo studio di Fromentin su Rembrandt, non ha la rilevanza di un libro di testo pratico. Sorge dalla necessità di offrire agli studenti dell’Accademia di Belle Arti la possibilità di allargare la loro cultura artistica. Quindi la sua pubblicazione occasionale offre aspetti diversi. In questo senso, il suo carattere non può essere ridotto a una mera presentazione di materiale storico e di traduzioni dalla letteratura mondiale, ma piuttosto deve essere esteso per includere questioni di cui ci occupiamo ancora oggi, sotto forma di polemica.


Cennino Cennini, il cui Trattato della Pittura sarà pubblicato nei primi due numeri, appartiene ad un gruppo di pittori che si sono sviluppati sotto l'influenza di Giotto, come suoi seguaci.

Cennini prese nota di tutte le esperienze tecniche usate nel mondo che lo precedeva, e perciò il suo libro contiene ogni cosa che la tradizione di Giotto abbia usato in termini di tecniche e di metodi. Ancor più importante, nel lavoro di Cennino si colgono tutti gli elementi di una nuova comprensione dell’arte nei confronti della natura, in contrasto rispetto all’arte bizantina precedente, che probabilmente servì come punto d’avvio. Per questa ragione sarebbe interessante far un raffronto con i processi tecnologici usati nella nostra arte medievale nel periodo in cui la tendenza verso il realismo iniziava a prender forma.



INTRODUZIONE AL LIBRO DELL’ARTE DI CENNINO CENNINI (1999)      

Il Libro dell'Arte di Cennini è conservato in tre manoscritti. Due di essi sono conservati a Firenze - uno sotto il nome di Laurenziano 78.P.23, mentre l'altro è conosciuto come il Riccardiano MS 2190. Il terzo è in Vaticano ed è indicato come Ottoboniano MS 2974.

Il manoscritto più antico è il Laurenziano. Esso ha origine dai primi anni del XV secolo, ma non è certo che sia stato scritto da Cennini [10]. Tuttavia, si ritiene che sia autentico. [Nota dell’editore: quest’affermazione oggi non raccoglie più consenso]. Alcune pagine sono mancanti. Il Riccardiano ha origine a partire dalla seconda metà del XVI secolo, è più completo e meglio organizzato; l’Ottoboniano è una copia molto più tarda e parziale del Laurenziano (del XVIII secolo). Molte delle istruzioni contenute in altri codici sono in esso mancanti.

Sappiamo di cinque edizioni italiane del Libro dell'arte di Cennini, stampate nel periodo 1821-1971 e pubblicate con titoli tra loro diversi [11]. La prima edizione del 1821 si basa sull’incompleto Codex Ottobonianus, che è stato ritrovato da monsignor Angelo Mai. Fu preparato per la pubblicazione di Giuseppe Tambroni, ma la sua versione ha raccolto critiche. Eppure, Tambroni merita credito per la pubblicazione della seconda edizione nel 1859, che è stata preparata dai fratelli Gaetano e Carlo Milanesi in base ai manoscritti Laurenziano e Riccardiano. La terza edizione è stata preparata da Renzo Simi non più tardi del 1913, correggendo alcuni errori dei precedenti autori. Una nuova versione della sua edizione apparve durante la seconda guerra mondiale, nel 1943.

Il lavoro di Cennini è stato tradotto in diverse lingue [12]. La prima edizione tambroniana, del 1821, ha avuto molto presto due traduzioni, in inglese (1844), e in francese (1858). Poi è apparsa un’edizione tedesca. Vi sono anche due edizioni in russo, datate 1889 e 1932, e una in lingua polacca del 1934. Nel nostro paese, il trattato di Cennini è stato tradotto dalla versione francese. È stato stampato da un manoscritto intitolato Cennino Cennini, Trattato della pittura, per le esigenze degli studenti dell'Accademia di Belle Arti, in due volumi, nel 1950 [13].

Non si sa in realtà quando il trattato di Cennini sia stato scritto. L'anno 1437, cui si fa riferimento nel Codice Laurenziano, sembra essere troppo tardivo, se i fratelli Milanesi e A. Ilg sono corretti nelle loro affermazioni che Cennini nacque nel 1372. Se fosse stato vero, avrebbe scritto il suo trattato all'età di sessantacinque anni. Tambroni, invece, sostiene che allora Cennini avrebbe potuto aver avuto ottant’anni, perché la sua ipotesi è che Cennini sia nato intorno al 1360. Tuttavia, nessuna di queste ipotesi può essere verificata. Oggi sappiamo solo quello che Cennini personalmente scrisse di se stesso, ciò che è menzionato dal Vasari nei suoi scritti sulla vita di Agnolo Gaddi, e quel che si è potuto verificare sulla base di due documenti esaminati dai fratelli Milanesi.

Già nel primo capitolo del suo libro, Cennini scrive che era nato a Colle di Val d'Elsa e che per dodici anni, come giovane apprendista intento a studiare l'arte della pittura, ricevette lezioni da Agnolo di Firenze, figlio di Taddeo; il suo maestro aveva imparato quest’arte da Taddeo, suo padre, che era stato battezzato come artista da Giotto ed era stato suo discepolo per ventiquattro anni [14].

Nella sua descrizione della vita di Agnolo Gaddi, pittore fiorentino, Vasari ha scritto quanto segue nella seconda edizione del suo libro nel 1568: "Cennini, figlio di Drea Cennini, di Colle di Valdelsa, ha studiato pittura sotto lo stesso Agnolo; essendo molto appassionato di arte, ha scritto di sua mano, in un libro, le indicazioni per la pittura in affresco e in tempera, con colla e con le gomme, anche il modo di dipingere e miniare, e i diversi modi di lavorare in oro; il quale libro è nelle mani di Giuliano, un orafo di Siena, un maestro eccellente e amico delle arti. E all'inizio del suo libro, tratta della natura dei colori minerali così come di quelli preparati da terre, come gli è stato insegnato da Agnolo suo maestro, desideroso (poiché forse non è riuscito a imparare a dipingere perfettamente) di conoscere almeno i diversi tipi di colori, tempere, colle, e gesso; ed anche quali siano i colori da evitare, perché pregiudizievoli quando mescolati con altri; e molte altre informazioni inoltre, di cui non è necessario parlare; tutte queste cose essendo ormai ben conosciute, anche se nel suo tempo erano considerati grandi segreti, ed erano note solo a poche persone. Non dobbiamo dimenticare che egli non menziona (e forse non erano in uso) alcuni colori preparati con terre, come il colore delle terre rosse scure, il cinabro, e alcuni verdi vitrei. Il color terra d’ombra, che è una terra, si è ritrovato dopo il suo tempo. Allo stesso modo il giallo santo, gli smalti, utilizzati sia in olio e fresco, e alcuni gialli e verdi vetrosi, che non erano noti ai pittori di quell'età. Egli tratta anche di pittura a mosaico, dell’uso dei colori ad olio per rendere fondi di rosso, azzurri, verde ...” [15]

Stando ai documenti rinvenuti e pubblicati dai fratelli Milanesi, è possibile concludere che verso la fine del secolo, Cennini si trasferisce a Padova, dove egli apparteneva alla famiglia del "gran signore di Francesco Carrara", come pittore di di corte. Da tale unico affidabile documento sulla vita di Cennini è noto che in data 13 agosto 1398 egli si trovava a Padova, dove probabilmente era giunto qualche tempo prima, e che viveva nella strada di San Pietro, con la moglie Donna Ricca, figlia di ser Francesco Valaruchino della Ricca di Cittadella. Ciò è confermato da un altro documento del 19 agosto dello stesso anno [16].

Si può presumere che Cennini scriva le sue note già all’epoca del suo apprendistato con Agnolo Gaddi a Firenze, e che finisca il suo trattato, ovvero Il libro dell'Arte a Padova, dove trascorre un periodo di tempo prolungato, già alla fine del secolo. F. Brunello è convinto che Cennini abbia completato il suo Libro dell'Arte allora ed in quel luogo, in quella città veneta già ben nota per il suo enciclopedismo scientifico, perché il trattato è scritto in dialetto veneto.

Nella prima parte del trattato, dopo le osservazioni introduttive, iniziano i capitoli su come e in quale sequenza disegnare su pannelli, come disegnare con gli stili, come organizzare la luce e le ombre, come disegnare su pergamena, e su tela, come disegnare utilizzando uno "stiletto" cavo, come disegnare con una penna. Cennini in particolare ha descritto come “tingere” la carta e come disegnare su di essa, come preparare la carta trasparente e, infine, come imparare il disegno da grandi maestri. Egli non manca di avvertire che la natura dovrebbe venire prima e che in genere si deve vivere con sobrietà.

Nella seconda parte, Cennini scrive di macinazione dei pigmenti, di diversi tipi di colore nero, su sinopia, cinabrese, minio, amatito, sangue di drago, lacca, ocra, giallorino (giallo napoletano), orpimento, zafferano, pigmenti verdi, bianco di Sangiovanni, biacca, ultramarino e azzurro della magna (blu tedesco). Negli ultimi quattro capitoli Cennini parla di come fare e conservare i pennelli.

La terza parte del trattato di Cennini si occupa di pittura a fresco. Vi si sofferma a lungo sul metodo al fresco, in particolare sul modo di dipingere il volto, la figura umana, e i vestiti (panneggi). Spiega come dipingere con la tempera su muro (a secco), come dipingere le montagne, gli alberi, l’erba, il fogliame, gli edifici e come preparare i colori per tale pittura.

Nella quarta parte, Cennini spiega come dipingere ad olio su pareti, e come dipingere su pannelli di legno e ferro; come preparare l’olio per la tempera e per la campitura e come farlo asciugare al sole. In una sezione separata si descrive come macinare e utilizzare i colori ad olio, come dorare stagno e fare ornamenti, e separatamente come fare e dorare le aureole dei santi in rilievo.

La quinta parte del Trattato contiene solo nove capitoli, che parlano di come produrre vari tipi di colla. Questa sezione del libro, tra l'altro, si presenta come una introduzione alla sesta parte, soprattutto a causa del capitolo 104, che parla del tempo necessario per imparare a dipingere e di come lo studio della natura, attraverso la formazione continua, si possa trasformare in una buona esperienza .

La sesta parte del trattato di Cennini è l'ultima e la più ampia, sia per la complessità sia per il contenuto vario e ricco. Essa contiene, in primo luogo, paragrafi sulla preparazione di pannelli di legno per la pittura e la posa d’intonaco su di essi. Poi spiega come disegnare su di essi, e come lavorare in rilievo o apporre preziosi ornamenti di pietra, e fornisce istruzioni su come effettuare calchi per rilievo sul muro e su pannelli. Egli descrive in particolare come utilizzare il tronco dell’albero e come dorare pannelli. Offre informazioni su pietre adatte per la brunitura dell'oro e sul processo di brunitura stesso, e poi su come decorare le aureole (diademi), come rappresentare una veste d'oro e imitare tessuti in velluto, in lana o di seta su parete o su tavola. Descrive anche come dipingere figure. Cennini parla in particolare dell’uso di aglio, vernice e verniciatura di immagini, circa l'uso di albume d'uovo, su miniature, circa la posa d’oro su carta, su come decorare stoffe in vari colori, su come fare baldacchini, stendardi, bardature per cavalli, creste e manti per i tornei e gli ornamenti su elmi, su come ornare casse o forzieri, realizzare pitture su vetro e mosaici, su come porre rimedio all'umidità di una parete, su dove la pittura debba essere realizzata, su come prendere i calchi del corpo e del viso, ecc,

Cennini probabilmente termina la stesura del suo trattato sulla pittura a Padova, dove, in realtà, egli è menzionato nei suddetti documenti risalenti al 1398.

Abbiamo preparato una traduzione del Libro dell'Arte di Cennini come è stato predisposto nella sua più recente edizione italiana (F. Brunello, Vicenza 1971), integrandola e controllandola con l'ultima edizione degli Stati Uniti [17].


NOTE

[1] Ченини, Ченино - Трактат о сликарству, Фромантен, Рембрант, штампано као рукопис, прев. Драгољуб Кажић, Глобус, НРС, 1950.

[2] Ченини, Ченино - Трактат о сликарству, штампано као рукопис, прев. Иванка Прикелмајер, Глобус, НРС, 1950.

[3] Vorrei qui ringraziare Milica Arambašić, della Biblioteca dell’Accademia delle Scienze e delle Arti di Belgrado, Aleksandra Pavlovic, della Biblioteca "Svetozar Markovic" di Belgrado e Alessandro Schiariti di Biblioteca “SalaBorsa” di Bologna per avermi procurato copia elettronica dei due volumetti dell’editore Globus.


[5] Si veda: Accademia delle scienze e delle arti: Nedeljko Gvozdenović.

[6] Hamed, Said, Kažić, Dragoljub - Contemporary art in Egypt, Cairo, Ministry of Culture & National Guidance, 1964.

[7] Медић, Милорад - Стари сликарски приручници, I, Издавачка делатност Републичког завода за заштиту споменика културе, Београд, 1999, 2002 e 2005.

[8] Prvi jerusalimski rukopis,1566. Tipik Nektarija srbina, 1599. Knjiga popa Danila, 1674. Erminija porodice Zografski, 1728.

[9] Il testo a commento di Cennino nella collezione di Medić riporta l’anno 1889.

[10] Il codice, molto probabilmente, fu copiato da un prigioniero della prigione cosiddetta delle Stinche, che datò la copia al 31 luglio 1437. Tambroni suppose che il prigioniero in questione fosse lo stesso Cennini, che sarebbe stato all'epoca un povero vecchio di ottant'anni in stato di indigenza. 

[11] G. Tambroni, Di Cennino Cennini Trattato della pittura, messo in luce per la prima volta con annotazioni del Cavaliere Giuseppe Tambroni, ed. Salviucci, Roma 1821.
    ▪ G. e C. Milanesi, Il libro dell'arte o Trattato della pittura, di Cennino Cennini da Colle Valdelsa di nuovo publicato, con molte correzioni e coll'aggiunta di piu capitoli tratti dai codici fiorentini, per cura di Gaetano e Carlo Milanesi, ed. Le Monnier, Firenze, 1859.
    ▪ R. Simi, Cennino Cennini da Colle Valdelsa, Il Libro dell'Arte, edizione riveduta e corretta sui codici per cura di Renzo Simi, ed. Carabba, Lanciano 1913.
    ▪ New edition R. Simi 1913, ed. Marzocco, Firenze 1943.
    ▪ F. Brunello, Cennino Cennini, Il Libro dell'Arte, commentato e annotato da Franco Brunello, con una introduzione di Licisco Magagnato, ed. Neri Pozza, Vicenza, 1971.

[12] ▪ P. M. Merrifield, A Treatise on Painting written by Cennino Cennini in the Year 1437, ecc., London 1844 (traduzione inglese dell'edizione Tambroni).
   ▪ V. Mottez, Le livre de l'art ou Traite de la peinture par Cennino Cennini. Paris-Lille 1858 (traduzione francese dell'edizione Tambroni).
   ▪ A. Ilg, Das Buch von der Kunst oder Tractat der Malerei des Cennino Cennini, ecc., Wien 1871 (traduzione tedesca con commenti e note).
   ▪ C.Herringham, The Book of the Art of Cennino Cennini, a contemporary practical treatise on quattrocento painting, London 1899 (nuova edizione inglese commentata).
  ▪ H. Mottez (Henri, figlio di Victor, pubblicò la seconda edizione francese con un'introduzione di Auguste Renoir, aggiungendo 17 capitoli mancanti nella prima traduzione francese del 1858), Chartres 1911; ristampato a  Parigi 1922.
  ▪ W. Verkade, Des Cennino Cennini Handbuchlein der Kunst, Strasbourg 1916 (seconda edizione tedesca con ampio commentario).
  ▪ D. V. Thompson, Cennino d'Andrea Cennini da Colle di Val d'Elsa, Il Libro dell'Arte, New Haven 1933 (prima edizione americana, con commentario); la seconda edizione, intitolata The Craftsman’s Handbook, è stata pubblicata da Dover, New York 1954.

[13] Il primo volume Cennino Cennini, Treatise on Painting 1, Belgrade 1950, ossia le parti I, II e III dell'opera, sono state tradotte da Dragoljub Kažić, e il secondo (Cennino Cennini, Treatise on Painting 2), Belgrade 1951, ossia le parti IV, V e VI, da Ivanka Prikelmajer.

[14] Si vedano anche i capitoli XLV e LXVII.

[15] Vasari, Жизнеописание, I, 397-398; F. Brunello, op. cit., 212. Si veda anche. per la traduzione italiana del passo, Vasari, Le Vite, Il Testo II, a cura di Rosanna Bettarini e Paola Barocchi, Firenze, Sansoni, 1967, pp. 248-249.

[16] F. Brunello, op. cit., 212-213.

[17] Cennino d'Andrea Cennini, The Craftsman's Handbook, the Italian „Il Libro dell'Arte“, translated by Daniel V. Thompson, Jr., ed. Dover Publ. Inc., New York 1954.


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