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Francesco Mazzaferro
Cennino Cennini, l’Accademia di Belle Arti di Belgrado
e i due diversi mondi delle traduzioni serbe nel 1950 e nel 1999
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Fig. 1) Il primo volume della traduzione di Cennino Cennini, a cura di Dragoljub Kažić |
IL PROGETTO CENNINI
Questo post fa parte del Progetto Cennini, dedicato allo studio del recepimento del Libro dell'arte a partire dalla prima edizione a stampa, nel 1821. Clicca qui per vedere la lista di tutti i post.
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Ognuno dei nostri paesi racchiude
nella propria identità storica anime diverse, ed è bene che sia così. Nel caso
della Serbia, queste anime possono forse essere identificate con l’attrazione
che due mondi hanno sempre esercitato su di essa: quello francese e quello
russo. Spesso pubblicare i testi della letteratura artistica è stata per gli
studiosi d’arte un’occasione per cercare le origini e persino interrogarsi
sulla legittimità storica dei propri paesi. Nel caso di Cennino Cennini, autore
primigenio della letteratura artistica per la sua collocazione tra medioevo e
rinascimento, le traduzioni dall’italiano in altre lingue sono spesso state il momento in cui varie aree culturali si sono poste il problema dell’origine della loro arte. È il caso anche delle due traduzioni di Cennino Cennini in
serbo, di cui una (quella del 1950) è un esempio dell’attrattiva esercitata dal
mondo culturale francese moderno e l’altra (quella del 1999) testimonia
l’influenza ininterrotta del mondo slavo-bizantino nel corso dei secoli.
Purtroppo, nessuno dei due studi ci fornisce invece una nuova prospettiva su
Cennino stesso e sul Libro dell’arte.
Anche se le due traduzioni di
Cennino Cennini appartengono a epoche diverse e a situazioni storiche molto
differenti, entrambe ruotano intorno al mondo accademico di Belgrado, raccolto
intorno ad una serie di istituzioni che hanno inevitabilmente assunto forme
diverse, ma evidentemente si sono interrogate sulle tecniche artistiche nel
corso dell’intera seconda metà del secolo passato. È all’Accademia delle Belle
Arti (Академија ликовних уметности) di Belgrado che insegna alla fine della
Seconda Guerra Mondiale il pittore e professore Nedeljko Gvozdenović, che
incarica due studenti di tradurre in serbo il Libro dell’Arte di Cennino Cennini; uno dei due studenti, Dragoljub
Kažić, diverrà professore di fotografia in quella stessa istituzione, che nel
1957 si trasforma in Accademia delle Arti della Repubblica Popolare di Serbia
(all’epoca uno degli stati costituenti la Jugoslavia), e poi diviene
l’Università delle Arti di Belgrado nel 1973. Nella stessa istituzione si
laurea nel 1955 Milorad Medić, che lì assume la cattedra di restauro nel 1977 e
prepara una collezione in tre volumi di scritti antichi sulle tecniche
pittoriche con una nuova traduzione di Cennino, pubblicata nel 1999, l’anno
della sua scomparsa. Le traduzioni di Cennino si materializzano tutte negli
stessi ambienti.
Dragoljub Kažić e Ivanka Prikelmayer
La prima traduzione serba è
condotta sull’edizione francese di Cennino del 1911 – quella che conosce
successo globale grazie alla prefazione di Auguste Rénoir – da Dragoljub Kažić
[1] (Драгољуб Кажић) (1922–1999) e Ivanka Prikelmayer (Иванка Прикелмајер) [2] (1921-data
della morte sconosciuta). Si tratta di due giovani ricercatori che lavorano
sicuramente in maniera coordinata. Probabilmente abbiamo a che fare con le
rispettive tesi di laurea, stampate dall’editore universitario Globus come due quaderni (rispettivamente
di 51 e 46 pagine) pubblicati al di fuori di una collana [3]. Kažić traduce i
capitoli 1-38 e li include nel numero 1, che comprende anche un breve testo su
Rembrandt del pittore e critico d’arte francese Eugène Fromentin (1820-76). La
Prikelmayer traduce la seconda parte del trattato di Cennini, pubblicato nel
quaderno numero 2.
Al quaderno n. 1 è premessa una
brevissima introduzione, non necessariamente di Kažić, che Marija Rosic ha
tradotto per noi in inglese (per il testo integrale in italiano, si veda la
fine di questo post). In essa si legge: “Il
volume, che in questo numero presenta la prima parte del Trattato di Cennini
sulla pittura e – come supplemento – lo studio di Fromentin di Rembrandt, non
ha la rilevanza di un libro di testo pratico. Sorge dalla necessità di offrire agli studenti dell’Accademia di Belle
Arti la possibilità di allargare la loro cultura artistica.” Anche se si
tratta di un’iniziativa dal chiaro significato didattico, sono passati i giorni
in cui Cennino si studiava nelle accademie al fine di ripristinare l’uso delle
tecniche medievali da parte dei pittori contemporanei, come era avvenuto per esempio in Ungheria nei primi decenni del secolo: perciò si dice chiaramente
fin dall’inizio non è un manuale su
cui gli studenti debbano fare pratica di pittura, ma piuttosto una dispensa ad
uso degli studenti per offrire loro materiali integrativi. Anche se non ho
possibilità di verificarlo, è probabilmente una traduzione senza grandi pretese
filologiche. Non vi è nulla di scientifico (ad esempio non vi sono note),
almeno a prima vista: nella seconda di copertina compare la dicitura: “stampato
come da manoscritto” (штампано као рукопис). Ed è infine forse (come tante cose
legate all’insegnamento universitario) un’iniziativa dai contorni un po’
confusi o, come si legge nell’introduzione, “occasionale”. Si spiega comunque
che “in questo senso, il suo carattere
non può essere ridotto alla mera presentazione di materiale storico e di
traduzioni dal mondo della letteratura”. È una chiara presa di distanza dal
concetto classico di letteratura artistica. E tuttavia si aggiunge: “Il suo significato deve essere esteso per
includere temi ancora oggi attuali, in forma di polemica.” Dunque, per
riassumere: la traduzione non è destinata ad insegnare ai pittori contemporanei
l’uso delle tecniche contenute nel trattato di Cennino, non vuole neppure
concentrarsi sugli aspetti di letteratura artistica, ma vuole offrire
informazioni di cultura generale agli studenti, permettendo loro di avere nuovi
argomenti di dibattito.
Ci si interessa a Cennino come
testimone della scoperta della natura: “Conosciuto
nella storia dell’arte per il suo Trattato, Cennini prese nota di tutte le esperienze tecniche usate nel mondo che
lo precedeva, e perciò il suo libro contiene ogni cosa che la tradizione di
Giotto abbia usato in termine di tecniche e metodi. Ancor più importante, nel
lavoro di Cennino si colgono tutti gli elementi di una nuova comprensione
dell’arte nei confronti della natura, in contrasto rispetto all’arte bizantina
precedente, che probabilmente servì come punto d’avvio. Per questa ragione
sarebbe interessante fare un raffronto con i processi tecnologici usati nella
nostra arte medievale nel periodo in cui la tendenza verso il realismo iniziava
a prender forma.”
Siamo abituati a considerare in
Italia Cennino come colui che scrive che Giotto tradusse l’arte dal greco al
latino, e dunque creò una cesura tra arte occidentale ed orientale. Non deve
invece sorprendere che ci si ponga a Belgrado il problema opposto di accertare
la conformità di Cennino con le tecniche di pittura del mondo pittorico
ortodosso, che gli servirono da base; il riferimento a Cennino come
l’equivalente occidentale del momento in cui l’arte slavo-bizantina scopre
aspetti di realismo è evidentemente importante nella storia dell’arte serba,
dal momento che vi si trovano esempi di affreschi, come nella chiesa di San
Pantaleone a Gorno Nerezi (fig. 2), di accentuata caratterizzazione personale. Lo stesso
interesse alla scoperta del realismo nel mondo iconografico slavo-ortodosso si
trova anche negli studi del bulgaro Emmanuel Moutafov (riferiti tuttavia al
Settecento), in un altro post di questo blog. Comunque, nella prima traduzione
di Cennino del 1950 questo rimane un riferimento fugace di poche righe.
Kažić divenne fotografo d’arte e
grafico famoso, e professore nella stessa università di Belgrado. Della
Prikelmayer non si sa molto, se non che proveniva da una famiglia di farmacisti
della cittadina di Valjevo, che i suoi studi erano stati molto ritardati dalla
guerra, che si era laureata all’Accademia di Belle Arti e che aveva dedicato la
sua intera vita professionale a contribuire "alla redazione collettiva di opere
enciclopediche in materia d’arte" [4].
La scuola pittorica di Belgrado
Kažić si era diplomato all’Accademia di Belle Arti di Belgrado nel 1948 con il Professor Nedeljko Gvozdenović (1902-1988). È dunque su quest’ultimo che bisogna concentrare l’attenzione. Probabile che abbia incaricato i suoi studenti di preparare una traduzione serba di Cennino, insieme a quella di alcune pagine di Eugène Fromentin. Perché? Possiamo formulare solamente delle ipotesi.
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Fig. 5) Nedeljko Gvozdenović, Donna al tavolo, 1938 |
Gvozdenović è tutt’altro che uno sconosciuto: animatore di una corrente pittorica ancor oggi celebre, la Scuola di Belgrado, per il profilo intimista e l’interesse per la pittura di paesaggi, ha altre due caratteristiche che sono perfettamente in linea con la possibile decisione di affidare a due suoi studenti il compito di tradurre Cennino in serbo: l’amore per le tecniche pittoriche tradizionali e quello per le lingue straniere [5]. Presumibilmente, la decisione di tradurre Cennino dal francese è un riflesso dell’importanza della francofonia nella Serbia di quegli anni.
Gvozdenović probabilmente conosce
Cennino dagli anni della gioventù. Si è infatti formato a Monaco di Baviera
negli anni venti, subito dopo la pubblicazione in tedesco del Libro dell’Arte da parte di Jan Verkade, ed a Parigi negli anni trenta, dove Cennino è divenuto
estremamente popolare grazie al successo che il testo aveva raccolto nel mondo
post-impressionista francese (Renoir, Maurice Denis, i Nabis). Dal 1940 Gvozdenović
è professore all’Accademia a Belgrado e dunque forse coltiva l’ambizione di far tradurre dai suoi studenti un testo che ancora non è disponibile nella sua
lingua. Nei primi anni cinquanta è già un pittore noto anche al di
fuori dei confini nazionali, e la Biennale di Venezia lo ospita, insieme ad
altri pittori jugoslavi, nel 1952.
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Fig. 6) Nedeljko Gvozdenović, Ragazza in un interno, 1950 |
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Fig. 7) Nedeljko Gvozdenović, Panorama verde, 1953 |
Mi sia consentito anche di notare come i dipinti di Gvozdenović negli anni Trenta siano fortemente influenzati da Cézanne e negli anni Cinquanta non corrispondano all’ideale del realismo socialista che si andava imponendo nel blocco sovietico (da cui per la verità, la Jugoslavia di Tito era uscita nel 1948), e conservino un’atmosfera intima. Vi è un sapore nostalgico, di chiara derivazione post-impressionista, che spiega l’interesse per il mondo francese e che si mantiene anche nelle opere dei decenni successivi, nonostante il tratto più geometrico. È la Jugoslavia che si nutre delle correnti d’arte del primo Novecento europeo per cercare la propria via.
Kažić: la passione per la scrittura didattica
Dragoljub Kažić non divenne un
pittore di successo, come del resto era accaduto sia a Cennino sia Fromentin,
ma come loro si afferma come pubblicista in fatto di tecniche artistiche. Forse è
questa l’unica eredità che Cennino gli lascia, dato che non vi è alcuna
evidenza che di lui si sia ancora occupato. Dopo esser passato attraverso
diverse esperienze nel campo del design e della grafica (vince numerosi premi
per manifesti e copertine, anche fuori della Jugoslavia) ed essersi dedicato a
temi molto vari (fu co-autore, per esempio, di un insolito saggio sull’arte
contemporanea egiziana del 1964, uscito in inglese ed in arabo, che si può
spiegare con il fatto che la Jugoslavia di Tito fosse alleata dell’Egitto di
Nasser, come promotrice del mondo dei paesi non allineati) [6] Kažić si dedica alla fotografia d’autore
ed assume la cattedra di fotografia, nell’Accademia stessa in cui aveva
studiato, dal 1968 al 1987. In quegli anni pubblica anche numerosi manuali di
fotografia utilizzati in Serbia per molti anni, fin quando la tecnologia
digitale non ha rivoluzionato la tecnica.
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Fig. 10) Dragoljub Kažić, Manifesto per la mostra di Zbirka Urvater, 1959 |
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Fig. 11) Dragoljub Kažić, Tecnica elementare della fotografia, 1973 |
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Fig. 12) Dragoljub Kažić, Tecnica elementare della fotografia, 1987 |
Milorad Medić
La seconda traduzione serba del Libro dell’Arte di Cennino Cennini è
pubblicata nella collezione in tre volumi [7] di “Antichi Manuali di Pittura” (Стари
сликарски приручници), opera principale di Milorad Medić (Милорад Медић)
(1926-1999), usciti rispettivamente nel 1999, nel 2002 e nel 2005 (gli ultimi
due postumi). È una raccolta di testi tra il V Secolo ed il 1700, tutti
presentati al lettore serbo con testo originale a fronte: nel caso di Cennino
il testo italiano a fronte è quello di Franco Brunello (1971) che, ai fini
della traduzione è stato comparato con il testo americano di Thompson (1933).
La collezione è pubblicata dall’Istituto della Repubblica Serba per la
Protezione del Patrimonio Culturale di Belgrado (Републички завод за заштиту
споменика културе – Београд), in una collana che esiste dal 1956.
L’opera, che comprende nel
complesso quasi duemila pagine, è chiaramente scritta al fine di offrire a
restauratori e studiosi di tecniche artistiche le fonti originali che possano
aiutarli a comprendere gli aspetti più tecnici della produzione pittorica. Medić
è stato prima di tutto restauratore. Dopo studi a Belgrado, si specializza a
Bruxelles e a Ravenna (1958-1959). Oltre ad un’intensa attività di restauro in
Jugoslavia presso il Museo nazionale di Belgrado, dirige per molti anni
importanti interventi per preservare mosaici greco-romani in tutta l’area del
Mediterraneo, anche in appoggio ad un programma dell’UNESCO (1968-1985). Non
sorprende dunque che la collezione si apra con un saggio di un centinaio di
pagine dello stesso Medić sulle tecniche, con sezioni importanti su affresco e
mosaico, ed una cronologia degli scritti sulle tecniche artistiche da Plinio il Vecchio fino ai manuali di restauro contemporanei. Vi sono anche molti disegni
per mostrare al lettore come le tecniche venivano eseguite nel corso della
storia.
La vastità dell’opera in tre
volumi, pubblicata in gran parte dopo la morte del curatore, e l’origine dei
testi da aree linguistiche differenti fa pensare che Medić non abbia provveduto
da solo alla traduzione diretta dell’intero corpo, ma che abbia probabilmente
fatto ricorso a risorse nell’ambito dell’Accademia. Nell’introduzione, a
proposito di Cennino, si ringrazia il filologo e filosofo d’estetica Streten
Petrović (Сретен Петровић).
Per ogni testo riprodotto nella
collezione, Medić presenta qualche pagina d’introduzione. Quella al Libro dell’Arte (si veda il testo alla
fine di questo post) offre al lettore serbo un’informazione basata
sull’edizione italiana di Franco Brunello, anch’egli restauratore, che
nell’edizione italiana del 1971 si è concentrato su temi tecnici. Alla luce del
dibattito degli ultimi decenni sulla natura e sulla finalità del Libro dell’arte (Frezzato, Troncelliti,
catalogo della mostra di Berlino nel 2008, Seiler, e da ultimo Broecke)
l’introduzione è forse ormai superata (e presenta alcune inesattezze o
ingenuità sulla cronologia della vita di Cennino), ma sembra utile riportarne
la traduzione italiana, sempre a cura di Marija Rosic, per capire quale fosse
la percezione dello scritto di Cennini da parte del suo traduttore serbo.
Se la preoccupazione di Medić è
quella di aiutare i restauratori ad avere accesso ai testi originali e tradotti
sulle tecniche, è altrettanto vero che i suoi tre volumi intendono soprattutto
ricostruire la letteratura artistica greco-bizantina e slava-ortodossa. Il
primo volume presenta i testi completi di Eraclio, del monaco Teofilo e di
Cennino; il secondo volume include svariate fonti greche e serbe dal 1566 al
1728 (il Primo Codice di Gerusalemme
del 1566, il Typikon del Serbo Nectarius
del 1599, il Libro del Pope Danilo
del 1674, l’Ermeneia della famiglia
Zografski del 1728) [8]; il terzo offre il testo dell’Ermeneia della pittura bizantina di Dionisio da Furnà, un’opera
settecentesca la cui autenticità è stata posta altrove in seri dubbi, ma che è
qui presentata come testo originale. In questa collezione di prevalente origine
greco-bizantina Cennino è incluso come rappresentante di una manualistica che
testimonia il saper fare medievale erede della tradizione bizantina. Dunque qui
la lettura di Cennino è tutta in linea di continuità con altre fonti dell’arte
medievalistiche o con opere sulla pittura che possono essere caratterizzate
come eredi della tradizione pittorica greca e slava. È una chiave di lettura
che esiste in altri paesi dell’area (la Russia, la Grecia stessa, la Romania),
ed ha una tradizione che data almeno alla fine dell’Ottocento. Si pensi ai Старинные
руководства по технике живописи (il titolo russo ha chiaramente ispirato quello
serbo) ovvero i Manuali antichi sulla
tecnica pittorica, pubblicati in Russia da Piotr Yakovlevich Ageev (Петр
Яковлевич Агеев) nel 1887 e presentati nel Bollettino dell’Accademia Imperiale
di Belle Arti (Вестник изящных искусств) [9] di Pietroburgo, in tre numeri del
bollettino; vi era contenuta fra l’altro la prima traduzione parziale russa di
Cennino (condotta da quella tedesca di Ilg). Anche Ageev era un restauratore.
L’anno precedente aveva pubblicato nello stesso bollettino uno studio
intitolato “Introduzione tecnica alla
pittura: Sui colori antichi e sulla pittura di icone russe” (Технические
заметки по живописи. Краски старых и русских иконописцев).
Belgrado, 1950-1999
Tra le due traduzioni di Cennino
scorre la storia delle diverse esperienze politiche e sociali della Serbia,
dalla fondazione alla dissoluzione della Jugoslavia. Le due traduzioni sono
concepite nello stesso quadro accademico, ma testimoniano interessi professionali
e sensibilità culturali diverse. Dal punto di vista professionale, è chiaro che
la traduzione del 1950 vuole promuovere una discussione sull’arte ed esclude
ogni finalità di insegnamento sulle tecniche pittoriche di Cennino, che è
invece al centro della seconda versione del 1990. Si tratta, per molti versi,
di una tendenza generale negli ultimi decenni: Cennino è sempre più divenuto
testo d’interesse per restauratori e sempre meno materia del contendere
estetico per artisti contemporanei. Dal punto di vista culturale, la traduzione
del 1950 testimonia dell’interesse del mondo accademico serbo per il mondo
francese, mentre quella del 1999 richiama l’interesse di quegli stessi ambienti
per il mondo slavo ed ortodosso. Sono temi che bisogna toccare con molta
discrezione, anche considerando il rischio di una loro strumentalizzazione
politica. Non vi è un’influenza buona ed una cattiva. Ripeto quel che ho
scritto all’inizio di questo articolo: ognuno dei nostri paesi riflette anime
differenti, ed è bene che sia così.
Mi si permetta comunque di
avanzare, in chiave del tutto intuitiva, un tentativo d’interpretazione
generale di questa breve storia delle traduzioni cenniniane nel mondo
accademico di Belgrado. La traduzione di Kažić e Prikelmayer è parte dell’attività
didattica dell’Accademia di Belgrado nei primi anni dell’esperienza jugoslava.
Sono probabilmente fasi di grande entusiasmo e di sperimentazione, ma anche di
ricerca di continuità con il mondo pittorico europeo del primo Novecento, cui
la Serbia apparteneva negli anni precedenti il conflitto mondiale. Cennino
viene probabilmente scelto dal leader della scuola pittorica di Belgrado, Nedeljko
Gvozdenović, non per un interesse diretto nei confronti delle tecniche dei
primitivi ma soprattutto perché nella prima parte del secolo le sue pagine
erano divenute punto di riferimento della pittura simbolista e
post-impressionista in Francia, Germania ed in molte altre regioni europee (in
Europa centro-orientale, in Scandinavia).
La collezione di Medić compare
invece quando l’idea di una casa comune a tutti gli slavi del sud (la
Jugoslavia) è ormai implosa sotto il peso di un decennio di crisi
economico-finanziaria e una sanguinosa guerra civile, e la Serbia è alla
ricerca di una propria identità differente da quella dei decenni precedenti.
Cennino vi appare come un autore che appartiene al mondo dei primitivi, e forse
come una testimonianza di un antico momento originario unico dell’arte
medievale (nonostante Cennino proclami il suo maestro, Giotto, come colui che
ha tradotto l’arte dal greco al latino). Mentre negli anni Cinquanta il
riferimento della Jugoslavia è alla Francia post-impressionista ed al mondo
europeo moderno – sia pur in una combinazione tra innovazione e tradizione –
negli anni Novanta le coordinate della Serbia si richiamano invece alla
tradizione slava-ortodossa e ad un’epoca molto più antica, in un’evidente
ricerca d’identità legata alla spiritualità orientale.
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Fig. 15) Il terzo volume della raccolta Antichi Manuali di Pittura del 2005, a cura di Milorad Medić |
SI PUBBLICANO QUI DI SEGUITO LE
VERSIONI ITALIANE DI FRANCESCO MAZZAFERRO DI DUE TRADUZIONI DAL SERBO ALL'INGLESE EFFETTUATE DA MARIJA ROSIC
INTRODUZIONE AL TRATTATO SULLA
PITTURA DI CENNINO CENNINI (1950)
Il volume, che in questo numero presenta la prima parte del Trattato sulla pittura di Cennini e – come supplemento – lo studio di Fromentin su Rembrandt, non ha la rilevanza di un libro di testo pratico. Sorge dalla necessità di offrire agli studenti dell’Accademia di Belle Arti la possibilità di allargare la loro cultura artistica. Quindi la sua pubblicazione occasionale offre aspetti diversi. In questo senso, il suo carattere non può essere ridotto a una mera presentazione di materiale storico e di traduzioni dalla letteratura mondiale, ma piuttosto deve essere esteso per includere questioni di cui ci occupiamo ancora oggi, sotto forma di polemica.
Il volume, che in questo numero presenta la prima parte del Trattato sulla pittura di Cennini e – come supplemento – lo studio di Fromentin su Rembrandt, non ha la rilevanza di un libro di testo pratico. Sorge dalla necessità di offrire agli studenti dell’Accademia di Belle Arti la possibilità di allargare la loro cultura artistica. Quindi la sua pubblicazione occasionale offre aspetti diversi. In questo senso, il suo carattere non può essere ridotto a una mera presentazione di materiale storico e di traduzioni dalla letteratura mondiale, ma piuttosto deve essere esteso per includere questioni di cui ci occupiamo ancora oggi, sotto forma di polemica.
Cennino Cennini, il cui Trattato della Pittura sarà pubblicato
nei primi due numeri, appartiene ad un gruppo di pittori che si sono sviluppati
sotto l'influenza di Giotto, come suoi seguaci.
Cennini prese nota di tutte le
esperienze tecniche usate nel mondo che lo precedeva, e perciò il suo libro
contiene ogni cosa che la tradizione di Giotto abbia usato in termini di
tecniche e di metodi. Ancor più importante, nel lavoro di Cennino si colgono
tutti gli elementi di una nuova comprensione dell’arte nei confronti della
natura, in contrasto rispetto all’arte bizantina precedente, che probabilmente
servì come punto d’avvio. Per questa ragione sarebbe interessante far un
raffronto con i processi tecnologici usati nella nostra arte medievale nel
periodo in cui la tendenza verso il realismo iniziava a prender forma.
INTRODUZIONE AL LIBRO DELL’ARTE DI CENNINO CENNINI (1999)
Il Libro dell'Arte di Cennini è conservato
in tre manoscritti. Due di essi sono conservati a Firenze - uno sotto il nome
di Laurenziano 78.P.23, mentre l'altro è conosciuto come il Riccardiano MS
2190. Il terzo è in Vaticano ed è indicato come Ottoboniano MS 2974.
Il manoscritto più
antico è il Laurenziano. Esso ha origine dai primi anni del XV secolo, ma non è
certo che sia stato scritto da Cennini [10]. Tuttavia, si ritiene che sia
autentico. [Nota dell’editore: quest’affermazione oggi non raccoglie più
consenso]. Alcune pagine sono mancanti. Il Riccardiano ha origine a partire
dalla seconda metà del XVI secolo, è più completo e meglio organizzato; l’Ottoboniano
è una copia molto più tarda e parziale del Laurenziano (del XVIII secolo).
Molte delle istruzioni contenute in altri codici sono in esso mancanti.
Sappiamo di
cinque edizioni italiane del Libro
dell'arte di Cennini, stampate nel periodo 1821-1971 e pubblicate con
titoli tra loro diversi [11]. La prima edizione del 1821 si basa sull’incompleto
Codex Ottobonianus, che è stato ritrovato da monsignor Angelo Mai. Fu preparato
per la pubblicazione di Giuseppe Tambroni, ma la sua versione ha raccolto
critiche. Eppure, Tambroni merita credito per la pubblicazione della seconda
edizione nel 1859, che è stata preparata dai fratelli Gaetano e Carlo Milanesi
in base ai manoscritti Laurenziano e Riccardiano. La terza edizione è stata
preparata da Renzo Simi non più tardi del 1913, correggendo alcuni errori dei
precedenti autori. Una nuova versione della sua edizione apparve durante la
seconda guerra mondiale, nel 1943.
Il lavoro di
Cennini è stato tradotto in diverse lingue [12]. La prima edizione tambroniana,
del 1821, ha avuto molto presto due traduzioni, in inglese (1844), e in
francese (1858). Poi è apparsa un’edizione tedesca. Vi sono anche due edizioni
in russo, datate 1889 e 1932, e una in lingua polacca del 1934. Nel nostro
paese, il trattato di Cennini è stato tradotto dalla versione francese. È stato
stampato da un manoscritto intitolato Cennino Cennini, Trattato della pittura, per le esigenze degli studenti dell'Accademia
di Belle Arti, in due volumi, nel 1950 [13].
Non si sa in
realtà quando il trattato di Cennini sia stato scritto. L'anno 1437, cui si fa
riferimento nel Codice Laurenziano, sembra essere troppo tardivo, se i fratelli
Milanesi e A. Ilg sono corretti nelle loro affermazioni che Cennini nacque nel
1372. Se fosse stato vero, avrebbe scritto il suo trattato all'età di sessantacinque
anni. Tambroni, invece, sostiene che allora Cennini avrebbe potuto aver avuto
ottant’anni, perché la sua ipotesi è che Cennini sia nato intorno al 1360. Tuttavia,
nessuna di queste ipotesi può essere verificata. Oggi sappiamo solo quello che
Cennini personalmente scrisse di se stesso, ciò che è menzionato dal Vasari nei
suoi scritti sulla vita di Agnolo Gaddi, e quel che si è potuto verificare
sulla base di due documenti esaminati dai fratelli Milanesi.
Già nel primo
capitolo del suo libro, Cennini scrive che era nato a Colle di Val d'Elsa e che
per dodici anni, come giovane apprendista intento a studiare l'arte della
pittura, ricevette lezioni da Agnolo di Firenze, figlio di Taddeo; il suo maestro aveva
imparato quest’arte da Taddeo, suo padre, che era stato battezzato come artista
da Giotto ed era stato suo discepolo per ventiquattro anni [14].
Nella sua
descrizione della vita di Agnolo Gaddi, pittore fiorentino, Vasari ha scritto
quanto segue nella seconda edizione del suo libro nel 1568: "Cennini,
figlio di Drea Cennini, di Colle di Valdelsa, ha studiato pittura sotto lo
stesso Agnolo; essendo molto appassionato di arte, ha scritto di sua mano, in
un libro, le indicazioni per la pittura in affresco e in tempera, con colla e
con le gomme, anche il modo di dipingere e miniare, e i diversi modi di lavorare
in oro; il quale libro è nelle mani di Giuliano, un orafo di Siena, un maestro
eccellente e amico delle arti. E all'inizio del suo libro, tratta della natura
dei colori minerali così come di quelli preparati da terre, come gli è stato
insegnato da Agnolo suo maestro, desideroso (poiché forse non è riuscito a
imparare a dipingere perfettamente) di conoscere almeno i diversi tipi di colori, tempere, colle, e gesso; ed anche quali siano i colori da evitare, perché
pregiudizievoli quando mescolati con altri; e molte altre informazioni inoltre,
di cui non è necessario parlare; tutte queste cose essendo ormai ben
conosciute, anche se nel suo tempo erano considerati grandi segreti, ed erano note
solo a poche persone. Non dobbiamo dimenticare che egli non menziona (e forse
non erano in uso) alcuni colori preparati con terre, come il colore delle terre
rosse scure, il cinabro, e alcuni verdi vitrei. Il color terra d’ombra, che è
una terra, si è ritrovato dopo il suo tempo. Allo stesso modo il giallo santo,
gli smalti, utilizzati sia in olio e fresco, e alcuni gialli e verdi vetrosi,
che non erano noti ai pittori di quell'età. Egli tratta anche di pittura a
mosaico, dell’uso dei colori ad olio per rendere fondi di rosso, azzurri, verde ...”
[15]
Stando ai
documenti rinvenuti e pubblicati dai fratelli Milanesi, è possibile concludere
che verso la fine del secolo, Cennini si trasferisce a Padova, dove egli
apparteneva alla famiglia del "gran signore di Francesco Carrara",
come pittore di di corte. Da tale unico affidabile documento sulla vita di
Cennini è noto che in data 13 agosto 1398 egli si trovava a Padova, dove
probabilmente era giunto qualche tempo prima, e che viveva nella strada di San
Pietro, con la moglie Donna Ricca, figlia di ser Francesco Valaruchino della
Ricca di Cittadella. Ciò è confermato da un altro documento del 19 agosto dello
stesso anno [16].
Si può
presumere che Cennini scriva le sue note già all’epoca del suo apprendistato
con Agnolo Gaddi a Firenze, e che finisca il suo trattato, ovvero Il libro dell'Arte a Padova, dove
trascorre un periodo di tempo prolungato, già alla fine del secolo. F. Brunello
è convinto che Cennini abbia completato il suo Libro dell'Arte allora ed in quel luogo, in quella città veneta già
ben nota per il suo enciclopedismo scientifico, perché il trattato è scritto in
dialetto veneto.
Nella prima
parte del trattato, dopo le osservazioni introduttive, iniziano i capitoli su
come e in quale sequenza disegnare su pannelli, come disegnare con gli stili,
come organizzare la luce e le ombre, come disegnare su pergamena, e su tela, come
disegnare utilizzando uno "stiletto" cavo, come disegnare con una
penna. Cennini in particolare ha descritto come “tingere” la carta e come
disegnare su di essa, come preparare la carta trasparente e, infine, come
imparare il disegno da grandi maestri. Egli non manca di avvertire che la
natura dovrebbe venire prima e che in genere si deve vivere con sobrietà.
Nella seconda
parte, Cennini scrive di macinazione dei pigmenti, di diversi tipi di colore
nero, su sinopia, cinabrese, minio, amatito, sangue di drago, lacca, ocra,
giallorino (giallo napoletano), orpimento, zafferano, pigmenti verdi, bianco di
Sangiovanni, biacca, ultramarino e azzurro della magna (blu tedesco). Negli
ultimi quattro capitoli Cennini parla di come fare e conservare i pennelli.
La terza parte
del trattato di Cennini si occupa di pittura a fresco. Vi si sofferma a lungo
sul metodo al fresco, in particolare sul modo di dipingere il volto, la figura
umana, e i vestiti (panneggi). Spiega come dipingere con la tempera su muro (a
secco), come dipingere le montagne, gli alberi, l’erba, il fogliame, gli edifici
e come preparare i colori per tale pittura.
Nella quarta
parte, Cennini spiega come dipingere ad olio su pareti, e come dipingere su
pannelli di legno e ferro; come preparare l’olio per la tempera e per la
campitura e come farlo asciugare al sole. In una sezione separata si descrive
come macinare e utilizzare i colori ad olio, come dorare stagno e fare
ornamenti, e separatamente come fare e dorare le aureole dei santi in rilievo.
La quinta parte
del Trattato contiene solo nove capitoli, che parlano di come produrre vari
tipi di colla. Questa sezione del libro, tra l'altro, si presenta come una
introduzione alla sesta parte, soprattutto a causa del capitolo 104, che parla
del tempo necessario per imparare a dipingere e di come lo studio della natura,
attraverso la formazione continua, si possa trasformare in una buona esperienza
.
La sesta parte
del trattato di Cennini è l'ultima e la più ampia, sia per la complessità sia
per il contenuto vario e ricco. Essa contiene, in primo luogo, paragrafi sulla
preparazione di pannelli di legno per la pittura e la posa d’intonaco su di
essi. Poi spiega come disegnare su di essi, e come lavorare in rilievo o
apporre preziosi ornamenti di pietra, e fornisce istruzioni su come effettuare
calchi per rilievo sul muro e su pannelli. Egli descrive in particolare come
utilizzare il tronco dell’albero e come dorare pannelli. Offre informazioni su
pietre adatte per la brunitura dell'oro e sul processo di brunitura stesso, e
poi su come decorare le aureole (diademi), come rappresentare una veste d'oro e
imitare tessuti in velluto, in lana o di seta su parete o su tavola. Descrive
anche come dipingere figure. Cennini parla in particolare dell’uso di aglio, vernice
e verniciatura di immagini, circa l'uso di albume d'uovo, su miniature, circa
la posa d’oro su carta, su come decorare stoffe in vari colori, su come fare
baldacchini, stendardi, bardature per cavalli, creste e manti per i tornei e
gli ornamenti su elmi, su come ornare casse o forzieri, realizzare pitture su
vetro e mosaici, su come porre rimedio all'umidità di una parete, su dove la
pittura debba essere realizzata, su come prendere i calchi del corpo e del
viso, ecc,
Cennini
probabilmente termina la stesura del suo trattato sulla pittura a Padova, dove,
in realtà, egli è menzionato nei suddetti documenti risalenti al 1398.
Abbiamo preparato una traduzione del
Libro dell'Arte di Cennini come è
stato predisposto nella sua più recente edizione italiana (F. Brunello, Vicenza
1971), integrandola e controllandola con l'ultima edizione degli Stati Uniti
[17].
NOTE
NOTE
[1] Ченини, Ченино - Трактат о сликарству, Фромантен, Рембрант,
штампано као рукопис, прев. Драгољуб Кажић, Глобус, НРС, 1950.
[2] Ченини, Ченино - Трактат о сликарству, штампано као
рукопис, прев. Иванка Прикелмајер, Глобус, НРС, 1950.
[3] Vorrei qui ringraziare Milica Arambašić, della
Biblioteca dell’Accademia delle Scienze e delle Arti di Belgrado, Aleksandra
Pavlovic, della Biblioteca "Svetozar Markovic" di Belgrado e
Alessandro Schiariti di Biblioteca “SalaBorsa” di Bologna per avermi procurato
copia elettronica dei due volumetti dell’editore Globus.
[4] Si veda: http://www.rastko.rs/rastko/delo/14085
[5] Si veda: Accademia delle scienze e delle arti:
Nedeljko Gvozdenović.
[6]
Hamed, Said, Kažić, Dragoljub - Contemporary art in Egypt, Cairo, Ministry of
Culture & National Guidance, 1964.
[7] Медић, Милорад - Стари сликарски приручници, I, Издавачка делатност Републичког завода за заштиту споменика културе, Београд, 1999, 2002 e 2005.
[8] Prvi
jerusalimski rukopis,1566. Tipik Nektarija srbina, 1599. Knjiga popa
Danila, 1674. Erminija porodice Zografski, 1728.
[9] Il testo a commento di Cennino nella collezione di Medić
riporta l’anno 1889.
[10] Il codice, molto probabilmente, fu copiato da un prigioniero della prigione cosiddetta delle Stinche, che datò la copia al 31 luglio 1437. Tambroni suppose che il prigioniero in questione fosse lo stesso Cennini, che sarebbe stato all'epoca un povero vecchio di ottant'anni in stato di indigenza.
[11] G. Tambroni, Di Cennino
Cennini Trattato della pittura, messo in luce per la prima volta con annotazioni
del Cavaliere Giuseppe Tambroni, ed. Salviucci, Roma 1821.
▪ G. e C. Milanesi, Il libro dell'arte o
Trattato della pittura, di Cennino Cennini da Colle Valdelsa di nuovo publicato,
con molte correzioni e coll'aggiunta di piu capitoli tratti dai codici
fiorentini, per cura di Gaetano e Carlo Milanesi, ed. Le Monnier, Firenze,
1859.
▪ R. Simi, Cennino Cennini da Colle Valdelsa,
Il Libro dell'Arte, edizione riveduta e corretta sui codici per cura di Renzo
Simi, ed. Carabba, Lanciano 1913.
▪ New edition R. Simi 1913, ed. Marzocco,
Firenze 1943.
▪ F. Brunello, Cennino Cennini, Il Libro
dell'Arte, commentato e annotato da Franco Brunello, con una introduzione di
Licisco Magagnato, ed. Neri
Pozza, Vicenza, 1971.
[12] ▪ P. M. Merrifield, A Treatise on Painting
written by Cennino Cennini in the Year 1437, ecc., London 1844 (traduzione inglese dell'edizione Tambroni).
▪
V. Mottez, Le livre de l'art ou Traite de la peinture par Cennino Cennini. Paris-Lille 1858 (traduzione francese dell'edizione Tambroni).
▪ A.
Ilg, Das Buch von der Kunst oder Tractat der Malerei des Cennino Cennini, ecc.,
Wien 1871 (traduzione tedesca con commenti e note).
▪ C.Herringham, The Book of the Art of Cennino Cennini, a contemporary practical
treatise on quattrocento painting, London 1899 (nuova edizione inglese commentata).
▪ H.
Mottez (Henri, figlio di Victor, pubblicò la seconda edizione francese con un'introduzione di Auguste Renoir, aggiungendo 17 capitoli mancanti nella prima traduzione francese del 1858), Chartres 1911; ristampato a Parigi 1922.
▪ W.
Verkade, Des Cennino Cennini Handbuchlein der Kunst, Strasbourg 1916 (seconda edizione tedesca con ampio commentario).
▪ D. V.
Thompson, Cennino d'Andrea Cennini da Colle di Val d'Elsa, Il Libro dell'Arte,
New Haven 1933 (prima edizione americana, con commentario); la seconda edizione, intitolata The Craftsman’s Handbook, è stata pubblicata da Dover, New York 1954.
[13] Il primo volume Cennino Cennini, Treatise on Painting 1, Belgrade 1950, ossia le parti I, II e III dell'opera, sono state tradotte da Dragoljub Kažić, e il secondo (Cennino Cennini, Treatise on
Painting 2), Belgrade 1951, ossia le parti IV, V e VI, da Ivanka Prikelmajer.
[14] Si vedano anche i capitoli XLV e LXVII.
[15] Vasari, Жизнеописание,
I, 397-398; F. Brunello, op. cit., 212. Si veda anche. per la traduzione
italiana del passo, Vasari, Le Vite, Il
Testo II, a cura di Rosanna Bettarini e Paola Barocchi, Firenze, Sansoni,
1967, pp. 248-249.
[16] F. Brunello, op. cit., 212-213.
[17] Cennino d'Andrea Cennini, The Craftsman's
Handbook, the Italian „Il Libro dell'Arte“, translated by Daniel V. Thompson,
Jr., ed. Dover Publ. Inc., New York 1954.
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