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lunedì 14 marzo 2016

L'Accademia di Belle Arti di Venezia. Il Settecento. A cura di Giuseppe Pavanello. Parte Prima


English Version

L’Accademia di Belle Arti di Venezia
Il Settecento

A cura di Giuseppe Pavanello

3 volumi, Antiga edizioni, 2015

(Recensione di Giovanni Mazzaferro. Parte Prima)

Vai alla recensione ai due volumi sull'Ottocento

Il primo volume della storia dell'Accademia


Libri che non si scordano

Attendevo l’uscita dei tre volumi dedicati alla vita dell’Accademia di Venezia nel Settecento con grande impazienza e qualche timore. Con grande impazienza perché, proprio dall’archivio storico dell’ente, ho a mia volta di recente pubblicato un manoscritto firmato da Giovanni Edwards O’Kelles, figlio di Pietro, ma che in realtà è un plagio di scritti (anche inediti) del padre relativi all’Accademia e volevo capire quanto i due lavori (il mio infinitamente più modesto) si integrassero fra loro [1]; con qualche timore, perché capita spesso che queste pubblicazioni (dovrebbero uscire entro il 2016 altri quattro volumi dedicati a Otto e Novecento) vedano trionfare aspetti celebrativi e si risolvano spesso in occasioni mancate.

Qui, no.  Qui siamo di fronte a un’operazione esemplare, che merita ogni elogio. Ora, io non voglio mancare di rispetto a nessuno, anche perché la verità è che pubblicazioni di questo livello se ne vedono pochissime, ma la vera ricchezza dell’opera sta nel secondo volume (a cura di Ilaria Mariani), in cui, in cinquecento fittissime pagine e con un lavoro che deve avere coinvolto diverse persone per parecchi anni, l’Accademia si racconta tramite i suoi documenti d’archivio. Racconta la vita di tutti i giorni e lo svolgimento della sua attività istituzionale, e quindi la scuola del nudo, poi accompagnata da quella di architettura e di prospettiva, nonché le relative premiazioni, ma anche gli episodi che ne costellano la vita e che offriranno d’ora in poi decine di spunti agli studiosi. Qualche esempio? Mi piacerebbe sapere qualcosa di più dell’Accademia delle Scienze che, istituita nel 1763 (cfr. vol. II p. 74), nel 1764 chiede di essere ospitata nel Fonteghetto (ovvero nella sede dell’Accademia di pittura e scultura); il permesso è concesso il 5 febbraio, con l’intesa che ci si attenderà dagli ospitati una qualche forma di riconoscenza e  a patto che la cosa sia accettata anche dal Magistrato dei Riformatori dello Studio di Padova (p. 75); e probabilmente l’autorizzazione non è mai giunta, posto che dell’Accademia delle Scienze non sentiremo più parlare. O, ancora, vorrei sapere di più del trattato ““Della cera unita con l’oglio o sia la pittura oglio-cera”, con il vaso della cera stessa”, frutto di una ricerca di un francese anonimo che l’aveva spedita agli Accademici per averne un parere. Il verbale della riunione è dell’1 dicembre 1770 (vol. II p. 127).


Il secondo volume della storia dell'Accademia

Ma andiamo con ordine: l’opera copre il periodo che va dalla nascita dell’Accademia (è istituita nel 1750; nel 1756 ne sono approvati gli statuti) al 1807, anno in cui l’istituto viene rifondato sotto il Regno Italico e adotta i medesimi statuti previsti dalle altre accademie del Regno (quelle di Milano e Bologna). È divisa in tre volumi, la cui curatela generale è di Giuseppe Pavanello. Il primo volume contiene i saggi; il secondo l’apparato documentario; il terzo la ristampa anastatica (di rara eleganza) degli Studj di Pittura di Giambattista Piazzetta. Piazzetta fu il primo Presidente dell’Accademia (dal 1750 al 1753), già titolare di una personale scuola del nudo presso il suo atelier nonché senza dubbio una delle figure di riferimento del mondo artistico veneto dell’epoca. Gli Studj di Pittura furono pubblicati postumi (nel 1760) da Giambattista Albrizzi e, oltre ad avere il valore dell’omaggio all’artista scomparso, hanno il sapore del libro di testo, riportando immagini del maestro (soprattutto nudi o singole parti anatomiche: teste, orecchie, piedi, mani etc) incise al tratto da Francesco Bartolozzi e in chiaroscuro da Marco Pitteri. A testimonianza della loro fortuna editoriale basti dire che se ne conoscono ben sette edizioni. Prima delle incisioni l’Albrizzi fece inserire il testo de Alcuni avvertimenti per lo incamminamento di un giovane nella pittura (1756) di Giampietro Zanotti, co-fondatore della felsinea Accademia Clementina, a testimonianza di una sostanziale continuità nella biografia di Piazzetta (che fu nominato membro onorario della Clementina nel 1727) ma anche nella genesi dell’Accademia veneziana rispetto a quella bolognese (gli statuti furono ricavati dall’esame della Clementina).

Il terzo volume della storia dell'Accademia


Il primo volume

Qui di seguito riporto l’indice dei saggi proposti nel primo volume:
  • Giuseppe Pavanello, L’Accademia Veneziana del Settecento;
  • Piero Del Negro, L’Accademia di Belle Arti di Venezia dalle origini al 1806;
  • Elisabetta Molteni, La sede dell’Accademia: il Fonteghetto della Farina a San Marco;
  • Giuseppe Pavanello, “Accademia del Nudo”; Catalogo dei disegni di nudo;
  • Denis Ton, I pittori dell’Accademia: tra studio e autopromozione;
  • Giuseppe Pavanello, La scultura / Gli scultori;
  • Massimo Bisson, La scuola e i concorsi di architettura; Catalogo dei disegni di architettura;
  • Debora Tosato, Vicende storiche e fisionomia della raccolta dei ‘saggi’ d’Accademia;
  • Alessio Pasian, La scuola del nudo: dagli studi dei pittori alle sale dell’Accademia;
  • Loredana Olivato e Sandra Rossi, Conservazione e restauro all’Accademia di Venezia nel Settecento;
  • Francesca Stopper, Bibliografia generale e indice dei nomi.

Se c’è un elemento che tiene insieme tutti i saggi è la ricerca delle situazioni, dei segnali, delle circostanze che indicano un cambiamento del gusto, e portano al passaggio da una scuola artistica sostanzialmente fedele al Secolo d’oro veneziano al trionfo del neoclassicismo. Si tratta di capire, in due parole, come, in cinquant’anni, si passi da Piazzetta a Canova. Intendiamoci: la stessa ragion d’essere dell’Accademia (verrebbe dire di qualsiasi Accademia, richiamando anche il famosissimo libro di Pevsner [2]) è l’introduzione dello studio del nudo attraverso il disegno. L’ “Accademia” porta geneticamente in sé i germi della vittoria del disegno sul colore; a Venezia tuttavia questa vittoria si declina in maniere diverse, proprio per la tradizione secolare del colorismo lagunare. La cosa bella del volume è che il passaggio dal Settecento “veneto” al neoclassicismo internazionale è qui indagato grazie a un apparato iconografico di prim’ordine che ci permette di aver accesso a tutte le prove dei concorsi dei disegni di nudo conservati in archivio (pp. 140-163) e, parimenti, dei disegni di architettura (pp. 261-272). I rispettivi saggi di Pavanello e Bisson, premessi ai due cataloghi, si innervano della forza delle immagini e rappresentano l’esemplificazione perfetta del fenomeno attraverso le prove dei migliori studenti dell’Accademia. 


Canaletto, Il Fonteghetto della Farina, Collezione privata
Fonte: http://www.gallerieaccademia.it/laccademia-di-belle-arti-di-venezia-1750-2010

Immagine moderna del Fondaco della Farina (ora Capitaneria di Porto)
Fonte: http://www.canalgrandevenezia.it/index.php/palazzi-canal-grande/lato-destro/195-fondaco-della-farina


È banale dire che la nascita dell’Accademia si inserisce nella moda settecentesca delle Accademie “pubbliche” che origina dalla nascita di quella parigina del 1648. In questo senso, la creazione di quella veneziana potrebbe essere considerata avvenire in data avanzata (e si potrebbe, acriticamente, leggere la cosa come la resistenza della scuola del “colore” rispetto all’incedere inarrestabile del disegno come fondamento della pittura).  In realtà le cose non possono essere giudicate così schematicamente: l’esigenza di partire dal disegno e dalla riproduzione del corpo umano è prioritaria in qualsiasi forma di educazione, proprio per la facile trasmissibilità dell’insegnamento, ed indipendentemente dalla disputa fra toscani e veneti che viene fatta risalire ai tempi del Vasari. In questo senso è di particolare interesse il saggio di Alessio Pasian, che sonda e richiama le varie testimonianze relative a “scuole di nudo” operanti presso gli studi dei pittori ben prima dell’apertura dell’Accademia. Pasian arriva peraltro a presentare un elemento nuovo e di grande importanza, vale a dire il rogito contratto il 7 marzo 1690 fra il nobiluomo Francesco Cappello e il Collegio dei Pittori (l’organizzazione che rappresentava gli artisti e che appena otto anni prima si era staccata dall’Arte dei depintori, dove invece si trovava anche la bassa manovalanza) per l’affitto di un locale a due piani alle Fondamenta Nove, vicino alla Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo, dove stabilire la sede del Collegio e soprattutto una scuola del nudo: “si sarà prohibitto à medemi di far in alcun tempo mai nella detta Salla, et Camere alcuna riddutione [n.d.r. riunione] di donne per far festa di ballo, ò alcuni trattenimenti di donne, eccetuato che l’accademia de Corpi humani [n.d.r. c’è da presumere anche di donne] per il loro studio” (p. 307). L’affitto, assai alto (100 ducati) si sarebbe dovuto pagare con le contribuzioni che si sarebbero ricavate dai giovani iscritti alla scuola. Il primo tentativo di organizzare una scuola di disegno al di fuori degli studi dei singoli pittori è, dunque, un’iniziativa privata, e proviene da coloro che si considerano legittimi e diretti discendenti del sistema corporativo in vigore sin dal Medio Evo. In proposito mi permetto di segnalare che la ricerca documentaria ha finalmente confermato quanto scritto da Pietro Edwards e poi riportato dal figlio nel Repertorio Generale delle Venete Belle Arti. Trascrivo testualmente: “In tal guisa [n.d.r. i pittori] cercarono di dar forma entro al Collegio medesimo, ad un’Accademia di disegno a spese private. La prima apertura di quest’Accademia seguì l’anno 1684; e siccome il Collegio non aveva residenza sua propria, perciò si aprì nella Casa del Cavalier Liberi, Priore, o sia Presidente di quello, e indi, nel 1689, fu a questo fine presa a pigione una Casa sopra le cosiddette Fondamenta nuove, allora risarcita da un incendio, che cent’anni dopo si rinnovò nella fabbrica stessa; e si fermò “che sieno fissate regole per l’Accademia del disegno, istituita nel nostro Collegio”; ma poco più avanti veniamo a sapere che “né si poté sostenere il dispendio della Casa dell’Accademia sulle fondamenta nuove; se ne sospese per qualche tempo la scuola” [3].


Giambattista Tiepolo, Istituzione del Rosario, Venezia, Soffitto di Santa Maria del Rosario o dei Gesuati
Fonte: Wikimedia Commons 


L’Accademia vs il Collegio dei Pittori

Quando nel 1724 il Senato decide di finanziare un’Accademia la prospettiva cambia radicalmente. In realtà, la decisione avrà effetto pratico solo nel 1750 con l’assegnazione della sede al Fondaco della Farina. Il cambiamento radicale è che l’Accademia diventa pubblica, e soprattutto che viene creata come organismo completamente autonomo rispetto al Collegio dei Pittori e a quello (aggiuntosi in un secondo momento) degli Scultori. Entrambi non hanno alcun controllo sull’Istituto. La cosa, stando a Pietro Edwards – che, lo ricordiamo, fu fiero partigiano del Collegio – non fu particolarmente gradita ai Pittori che, - sempre secondo lui - fra 1750 e 1755, avevano speso 1984 ducati loro per l’allestimento dell’Accademia [4] per poi ritrovarsi a dover pagare un tributo (simbolico) all’Accademia stessa (20 ducati all’anno) per poter tenere le riunioni del Collegio nel palazzo di cui avevano finanziato la ristrutturazione. Non è il caso qui di stare a ricordare tutte le polemiche degli anni a seguire. Basta tenere un dato a mente: la nascita dell’Accademia pubblica vuol dire rottura col sistema corporativo. Lo ricorda molto bene Piero Del Negro nel suo saggio L’Accademia di Belle Arti di Venezia dalle origini al 1806 (p. 75). Si verifica “l’abbandono di una logica incentrata sui ‘corpi’ professionali a favore di un discorso culturale ‘globale’, relativo, cioè, a tutte e tre le belle arti”. Ed è esattamente quello che il Collegio non vuole, legato invece a una gestione del tutto monopolistica dell’arte, dall’ammissione degli studenti, alla nomina dei membri dell’Accademia, al controllo esclusivo sull’esercizio della professione. È questo il motivo del contendere, che sarà ricco di episodi gustosi (come la rivolta del 1774 a cui partecipa anche Antonio Canova ed appoggiata dal Collegio) ampiamente descritti nel volume. L’appoggio del Collegio è probabile vendetta per il tentativo, perpetrato tre anni prima dall’Accademia, di privare il Collegio dei 130 ducati annui che rappresentano la sua fonte principale di sostentamento, derivanti dalla “custodia” dei quadri di Palazzo Ducale (p. 87). Un tentativo sventato (Edwards se ne attribuisce il merito) proprio nel 1774.


Giovan Battista Piazzetta, Giovane mendicante, Art Institute of Chicago
Fonte: Wikimedia Commons

Intendiamoci, in un mondo fatto di molte bassezze, non mancano anche le voci illuminate, come quella di Andrea Memmo che, ad inizio 1760, propone un suo trattato che darà alle stampe vent’anni dopo col titolo “Piano generale per una Accademia sopra le belle arti del disegno” (io ne ignoravo totalmente l’esistenza). “Memmo anticipò nel “trattato” taluni sviluppi ottocenteschi dell’Accademia tra i quali il pieno superamento dell’idea che dovesse essere una sorta di bottega “collettiva” degli artisti, nella quale addestrare i garzoni, e la sua conseguente trasformazione in un’istituzione scolastica affatto indipendente dai due Collegi. Tra l’altro il Piano prevedeva sei “scuole” […] per gli aspiranti pittori e scultori […] e quattro per gli aspiranti architetti […] Inoltre l’Accademia doveva essere arricchita da una biblioteca e da una raccolta di statue, gessi, quadri, medaglie, avori ecc., vale a dire da collezioni a fini didattici, che gli statuti non avevano previsto” (p. 81). Tutte proposte destinate a non essere accolte da una Repubblica priva di fondi economici sufficienti (ogni anni la Repubblica dava all’Accademia 480 ducati che bastavano appena per le spese vive e l’organizzazione dei concorsi; tutte le cariche erano praticamente esercitate gratis; i maestri cambiavano ogni anno).

Giambattista Pittoni, Annunciazione, 1758, Venezia, Gallerie dell'Accademia
Fonte: Wikimedia Commons

L’Accademia come strumento diplomatico e di autopromozione

A partire dal 1771 è data possibilità all’Accademia di nominare membri onorari. L’indice completo di coloro che furono nominati Accademici d’Onore è consultabile nel secondo volume a p. 531. È appena evidente che il ricorso alla loro nomina risponde a vari scopi: coinvolgere in ambito veneziano da un lato artisti rimasti fuori per un qualsiasi motivo dall’istituzione, ma soprattutto nobili, collezionisti ed esponenti del ceto politico per poter godere di protezioni (e donazioni) maggiori; ma esiste anche (ed è sempre maggiore quando cade la Repubblica) la necessità di ingraziarsi il dominatore di turno; ed infine (ma non ultimo per importanza) vi è lo sforzo di tessere legami con artisti, specialmente stranieri, che godono di particolare fama o si trovano in città per qualche giorno. Non sono affatto rare le “riduzioni” (ovvero le riunioni) convocate ad hoc per omaggiare del diploma accademico questo o quel politico, questo o quell’artista in visita a Venezia. Nulla di straordinario. Sappiamo benissimo che spesso venivano organizzare regate apposite sul Canal Grande per compiacere gli ospiti illustri e ricevere in cambio generose donazioni.


Alessandro Longhi, Allegoria della Pittura e del Merito, 1761, Venezia, Gallerie dell'Accademia
Fonte: Wikimedia Commons

Personalmente credo che non sfugga alla regola anche il caso di Giuseppe Fossati, che curiosamente non mi sembra sottolineato nel volume. Fra le tante belle sorprese di quest’opera compare, infatti, anche la riproduzione fotografica dell’Orazione recitata il 21 settembre 1774 in occasione della prima distribuzione dei Premi in sede all’Accademia. L’orazione, dai toni smaccatamente encomiastici – ed altrimenti non poteva essere – fu appunto letta da Giuseppe Fossati. Su Giuseppe Fossati, che in realtà, “da grande”, fu avvocato, ma soprattutto letterato vorrei solo ricordare quanto di lui scrisse l’Abate Meneghelli negli Elogii di alcuni illustri italiani [5]. Niente di strano che se ne parli bene: era morto nel 1812. L’abate scrive che Giuseppe era stato a lungo incerto se darsi agli studi di legge o alle belle arti, essendo “nato da un padre che portava un occhio fino e sicuro nell’arti del disegno”; a dimostrazione di ciò stavano appunto le Orazioni tenute in Accademia per la distribuzione dei premi nel 1774 e nel 1775. La premiazione del 1774 è universalmente ricordata come la più pomposa e riuscita nella storia dell’Accademia per numero e qualità dei presenti. C’è solo un piccolo particolare, che appunto, qui non si fa presente (una piccola pecca in un’opera di queste dimensioni è davvero un’inezia). Per Meneghelli, e per tutte le altre fonti, Giuseppe era nato nel 1759; aveva cioè 15 anni. Probabile, quindi, che l’orazione non l’avesse scritta lui. Quando poi si legge che il padre di Giuseppe era David Antonio Fossati, ricco commerciante d’arte e fra i primissimi ad essere nominati Accademici d’onore nel 1771 [6], che l’orazione fu stampata “in 470 copie, venti delle quali “in pelle ed oro” riservate alle autorità” e spedite in mezza Europa (p. 86) e che le spese di stampa furono interamente sostenute dal padre, si comincia a capire che queste occasioni erano situazioni in cui l’Accademia dava visibilità in cambio di denaro. Per inciso, Giuseppe fu nominato accademico d’onore nell’ottobre dell’anno successivo, in occasione della sua seconda orazione: aveva 16 anni.

***

Temo di aver stancato il lettore e non voglio abusare della sua pazienza. Mi riservo di proporre due considerazioni personali nella seconda parte di questa recensione, che sarà pubblicata fra qualche giorno.

Fine della Parte Prima


NOTE

[1] Giovanni Mazzaferro, Le Belle Arti a Venezia nei manoscritti diPietro e Giovanni Edwards, Firenze, Goware, 2015 e Giovanni Mazzaferro, Fra Repubblica, Napoleone e Impero Austriaco: Pietro Edwards Ispettore Generale alle Belle Arti di Venezia in Annuario Accademia di Belle Arti, 2015, in corso di stampa. Segnalo solo che Le Belle Arti a Venezia… contiene anche in Appendice III l’Antichità dell’Unione dei Pittori in Vinezia, manoscritto di Pietro Edwards più volte citato a partire da Elena Bassi, ma fino ad ora inedito. Lo faccio presente perché il manoscritto, che Bassi data come successivo al 1792, viene invece fatto risalire da Piero Del Negro al 1783 circa. Il testo in realtà, è composto di due parti. La prima (a giudicare dal raffronto col plagio del figlio) è del 1794; la seconda è a sua volta la trascrizione di un testo di Pietro originato a metà anni ’80 (e quindi la data dell’83 è del tutto credibile, ma con riferimento solo alla sezione finale). Si veda in particolare Le Belle Arti a Venezia… p. 233, nota 431.

[2] Nikolaus Pevsner, Academies of Art. Past and Present, Cambridge 1940. In italiano: Nikolaus Pevsner, Le Accademie d’arte. Torino, Einaudi, 1982.

[3] Giovanni Mazzaferro, Le Belle Arti a Venezia… cit., p. 79-80.

[4] idem…, p. 81.

[5] Antonio Meneghelli, Elogio di alcuni illustri italiani, Venezia, Tipografia di Alvisopoli, 1816, vol. II, pp. 78-79.

[6] Si veda Il collezionismo d’arte a Venezia. Il Settecento, a cura di Linda Borean e Stefania Mason, Venezia, Marsilio, 2009, pp. 268-269. 

2 commenti:

  1. Thank you for the wonderful work you are doing-- keeping the social and restoration history of Venice in the public eye and academic community. I would be very grateful for ongoing communication on these matters and in particular your response to my dissertation from University of Washington (2000) "Necessity Introduced These Arts: Pietro Edwards and the Restoration of the Public Pictures of Venice 1718-1819" It has not been yet acknowledged in Venetian circles --perhaps because it is first extensive research on Edwards in English--although I was a Getty Scholar on Edwards and have given papers including in the British Museum publication. Thank you! I look forward to being part of the history of conservation community in Venice! (My dissertation link on worldcat: Pietro Edwards and the restoration of the public pictures of Venice, 1778-1819 : necessity introduced these arts
    by Elizabeth Jane. Darrow
    Thesis/dissertation 2000
    Publication: 2000.
    OCLC Number: 45818459
    Database: WorldCat)

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    1. Dear Elizabeth, thank you so much! I probably made a mistake because I answered your former note and you probably didn't receive it. I'm obviously interested in reading your dissertation. Could you kindly write me using the e-mail letteraturaartistica@hotmail.com? Thanks. Giovanni Mazzaferro

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