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L’Accademia di Belle Arti di Venezia
Il Settecento
A cura di Giuseppe Pavanello
3 volumi, Antiga edizioni, 2015
(Recensione di Giovanni Mazzaferro. Parte Prima)
Vai alla recensione ai due volumi sull'Ottocento
Il primo volume della storia dell'Accademia |
Libri che non si scordano
Attendevo l’uscita dei tre volumi
dedicati alla vita dell’Accademia di Venezia nel Settecento con grande
impazienza e qualche timore. Con grande impazienza perché, proprio
dall’archivio storico dell’ente, ho a mia volta di recente pubblicato un manoscritto firmato da Giovanni Edwards O’Kelles, figlio di Pietro, ma che in
realtà è un plagio di scritti (anche inediti) del padre relativi all’Accademia
e volevo capire quanto i due lavori (il mio infinitamente più modesto) si
integrassero fra loro [1]; con qualche timore, perché capita spesso che queste
pubblicazioni (dovrebbero uscire entro il 2016 altri quattro volumi dedicati a
Otto e Novecento) vedano trionfare aspetti celebrativi e si risolvano spesso in
occasioni mancate.
Qui, no. Qui siamo di fronte a un’operazione esemplare,
che merita ogni elogio. Ora, io non voglio mancare di rispetto a nessuno, anche
perché la verità è che pubblicazioni di questo livello se ne vedono pochissime,
ma la vera ricchezza dell’opera sta nel secondo volume (a cura di Ilaria Mariani),
in cui, in cinquecento fittissime pagine e con un lavoro che deve avere
coinvolto diverse persone per parecchi anni, l’Accademia si racconta tramite i
suoi documenti d’archivio. Racconta la vita di tutti i giorni e lo svolgimento
della sua attività istituzionale, e quindi la scuola del nudo, poi accompagnata
da quella di architettura e di prospettiva, nonché le relative premiazioni, ma
anche gli episodi che ne costellano la vita e che offriranno d’ora in poi
decine di spunti agli studiosi. Qualche esempio? Mi piacerebbe sapere qualcosa
di più dell’Accademia delle Scienze che, istituita nel 1763 (cfr. vol. II p.
74), nel 1764 chiede di essere ospitata nel Fonteghetto (ovvero nella sede
dell’Accademia di pittura e scultura); il permesso è concesso il 5 febbraio,
con l’intesa che ci si attenderà dagli ospitati una qualche forma di
riconoscenza e a patto che la cosa sia
accettata anche dal Magistrato dei Riformatori dello Studio di Padova (p. 75);
e probabilmente l’autorizzazione non è mai giunta, posto che dell’Accademia
delle Scienze non sentiremo più parlare. O, ancora, vorrei sapere di più del trattato
““Della cera unita con l’oglio o sia la pittura oglio-cera”, con il vaso della
cera stessa”, frutto di una ricerca di un francese anonimo che l’aveva spedita
agli Accademici per averne un parere. Il verbale della riunione è dell’1
dicembre 1770 (vol. II p. 127).
Ma andiamo con ordine: l’opera copre
il periodo che va dalla nascita dell’Accademia (è istituita nel 1750; nel 1756
ne sono approvati gli statuti) al 1807, anno in cui l’istituto viene rifondato
sotto il Regno Italico e adotta i medesimi statuti previsti dalle altre
accademie del Regno (quelle di Milano e Bologna). È divisa in tre volumi, la
cui curatela generale è di Giuseppe Pavanello. Il primo volume contiene i
saggi; il secondo l’apparato documentario; il terzo la ristampa anastatica (di
rara eleganza) degli Studj di Pittura
di Giambattista Piazzetta. Piazzetta fu il primo Presidente dell’Accademia (dal
1750 al 1753), già titolare di una personale scuola del nudo presso il suo
atelier nonché senza dubbio una delle figure di riferimento del mondo artistico
veneto dell’epoca. Gli Studj di Pittura
furono pubblicati postumi (nel 1760) da Giambattista Albrizzi e, oltre ad avere
il valore dell’omaggio all’artista scomparso, hanno il sapore del libro di
testo, riportando immagini del maestro (soprattutto nudi o singole parti
anatomiche: teste, orecchie, piedi, mani etc) incise al tratto da Francesco
Bartolozzi e in chiaroscuro da Marco Pitteri. A testimonianza della loro
fortuna editoriale basti dire che se ne conoscono ben sette edizioni. Prima
delle incisioni l’Albrizzi fece inserire il testo de Alcuni avvertimenti per lo incamminamento di un giovane nella pittura
(1756) di Giampietro Zanotti, co-fondatore della felsinea Accademia Clementina,
a testimonianza di una sostanziale continuità nella biografia di Piazzetta (che
fu nominato membro onorario della Clementina nel 1727) ma anche nella genesi
dell’Accademia veneziana rispetto a quella bolognese (gli statuti furono
ricavati dall’esame della Clementina).
Il primo volume
Qui di seguito riporto l’indice
dei saggi proposti nel primo volume:
- Giuseppe Pavanello, L’Accademia Veneziana del Settecento;
- Piero Del Negro, L’Accademia di Belle Arti di Venezia dalle origini al 1806;
- Elisabetta Molteni, La sede dell’Accademia: il Fonteghetto della Farina a San Marco;
- Giuseppe Pavanello, “Accademia del Nudo”; Catalogo dei disegni di nudo;
- Denis Ton, I pittori dell’Accademia: tra studio e autopromozione;
- Giuseppe Pavanello, La scultura / Gli scultori;
- Massimo Bisson, La scuola e i concorsi di architettura; Catalogo dei disegni di architettura;
- Debora Tosato, Vicende storiche e fisionomia della raccolta dei ‘saggi’ d’Accademia;
- Alessio Pasian, La scuola del nudo: dagli studi dei pittori alle sale dell’Accademia;
- Loredana Olivato e Sandra Rossi, Conservazione e restauro all’Accademia di Venezia nel Settecento;
- Francesca Stopper, Bibliografia generale e indice dei nomi.
Se c’è un elemento che tiene
insieme tutti i saggi è la ricerca delle situazioni, dei segnali, delle
circostanze che indicano un cambiamento del gusto, e portano al passaggio da
una scuola artistica sostanzialmente fedele al Secolo d’oro veneziano al
trionfo del neoclassicismo. Si tratta di capire, in due parole, come, in
cinquant’anni, si passi da Piazzetta a Canova. Intendiamoci: la stessa ragion
d’essere dell’Accademia (verrebbe dire di qualsiasi Accademia, richiamando
anche il famosissimo libro di Pevsner [2]) è l’introduzione dello studio del
nudo attraverso il disegno. L’ “Accademia” porta geneticamente in sé i germi
della vittoria del disegno sul colore; a Venezia tuttavia questa vittoria si
declina in maniere diverse, proprio per la tradizione secolare del colorismo
lagunare. La cosa bella del volume è che il passaggio dal Settecento “veneto”
al neoclassicismo internazionale è qui indagato grazie a un apparato
iconografico di prim’ordine che ci permette di aver accesso a tutte le prove dei
concorsi dei disegni di nudo conservati in archivio (pp. 140-163) e, parimenti,
dei disegni di architettura (pp. 261-272). I rispettivi saggi di Pavanello e
Bisson, premessi ai due cataloghi, si innervano della forza delle immagini e
rappresentano l’esemplificazione perfetta del fenomeno attraverso le prove dei
migliori studenti dell’Accademia.
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Canaletto, Il Fonteghetto della Farina, Collezione privata Fonte: http://www.gallerieaccademia.it/laccademia-di-belle-arti-di-venezia-1750-2010 |
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Immagine moderna del Fondaco della Farina (ora Capitaneria di Porto) Fonte: http://www.canalgrandevenezia.it/index.php/palazzi-canal-grande/lato-destro/195-fondaco-della-farina |
È banale dire che la nascita
dell’Accademia si inserisce nella moda settecentesca delle Accademie
“pubbliche” che origina dalla nascita di quella parigina del 1648. In questo
senso, la creazione di quella veneziana potrebbe essere considerata avvenire in
data avanzata (e si potrebbe, acriticamente, leggere la cosa come la resistenza
della scuola del “colore” rispetto all’incedere inarrestabile del disegno come
fondamento della pittura). In realtà le
cose non possono essere giudicate così schematicamente: l’esigenza di partire
dal disegno e dalla riproduzione del corpo umano è prioritaria in qualsiasi
forma di educazione, proprio per la facile trasmissibilità dell’insegnamento,
ed indipendentemente dalla disputa fra toscani e veneti che viene fatta
risalire ai tempi del Vasari. In questo senso è di particolare interesse il
saggio di Alessio Pasian, che sonda e richiama le varie testimonianze relative
a “scuole di nudo” operanti presso gli studi dei pittori ben prima
dell’apertura dell’Accademia. Pasian arriva peraltro a presentare un elemento
nuovo e di grande importanza, vale a dire il rogito contratto il 7 marzo 1690
fra il nobiluomo Francesco Cappello e il Collegio dei Pittori (l’organizzazione
che rappresentava gli artisti e che appena otto anni prima si era staccata
dall’Arte dei depintori, dove invece si trovava anche la bassa manovalanza) per
l’affitto di un locale a due piani alle Fondamenta Nove, vicino alla Chiesa dei
Santi Giovanni e Paolo, dove stabilire la sede del Collegio e soprattutto una
scuola del nudo: “si sarà prohibitto à medemi di far in alcun tempo mai nella
detta Salla, et Camere alcuna riddutione [n.d.r. riunione] di donne per far
festa di ballo, ò alcuni trattenimenti di donne, eccetuato che l’accademia de
Corpi humani [n.d.r. c’è da presumere anche di donne] per il loro studio” (p.
307). L’affitto, assai alto (100 ducati) si sarebbe dovuto pagare con le
contribuzioni che si sarebbero ricavate dai giovani iscritti alla scuola. Il
primo tentativo di organizzare una scuola di disegno al di fuori degli studi
dei singoli pittori è, dunque, un’iniziativa privata, e proviene da coloro che
si considerano legittimi e diretti discendenti del sistema corporativo in
vigore sin dal Medio Evo. In proposito mi permetto di segnalare che
la ricerca documentaria ha finalmente confermato quanto scritto da Pietro
Edwards e poi riportato dal figlio nel Repertorio
Generale delle Venete Belle Arti. Trascrivo testualmente: “In tal guisa
[n.d.r. i pittori] cercarono di dar forma entro al Collegio medesimo, ad
un’Accademia di disegno a spese private. La prima apertura di quest’Accademia
seguì l’anno 1684; e siccome il Collegio non aveva residenza sua propria,
perciò si aprì nella Casa del Cavalier Liberi, Priore, o sia Presidente di
quello, e indi, nel 1689, fu a questo fine presa a pigione una Casa sopra le
cosiddette Fondamenta nuove, allora risarcita da un incendio, che cent’anni
dopo si rinnovò nella fabbrica stessa; e si fermò “che sieno fissate regole per
l’Accademia del disegno, istituita nel nostro Collegio”; ma poco più avanti
veniamo a sapere che “né si poté sostenere il dispendio della Casa
dell’Accademia sulle fondamenta nuove; se ne sospese per qualche tempo la
scuola” [3].
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Giambattista Tiepolo, Istituzione del Rosario, Venezia, Soffitto di Santa Maria del Rosario o dei Gesuati Fonte: Wikimedia Commons |
L’Accademia vs il Collegio dei Pittori
Quando nel 1724 il Senato decide
di finanziare un’Accademia la prospettiva cambia radicalmente. In realtà, la
decisione avrà effetto pratico solo nel 1750 con l’assegnazione della sede al
Fondaco della Farina. Il cambiamento radicale è che l’Accademia diventa
pubblica, e soprattutto che viene creata come organismo completamente autonomo
rispetto al Collegio dei Pittori e a quello (aggiuntosi in un secondo momento)
degli Scultori. Entrambi non hanno alcun controllo sull’Istituto. La cosa,
stando a Pietro Edwards – che, lo ricordiamo, fu fiero partigiano del Collegio
– non fu particolarmente gradita ai Pittori che, - sempre secondo lui - fra 1750 e 1755, avevano speso 1984 ducati loro per l’allestimento dell’Accademia
[4] per poi ritrovarsi a dover pagare un tributo (simbolico) all’Accademia
stessa (20 ducati all’anno) per poter tenere le riunioni del Collegio nel
palazzo di cui avevano finanziato la ristrutturazione. Non è il caso qui di
stare a ricordare tutte le polemiche degli anni a seguire. Basta tenere un dato
a mente: la nascita dell’Accademia pubblica vuol dire rottura col sistema
corporativo. Lo ricorda molto bene Piero Del Negro nel suo saggio L’Accademia di Belle Arti di Venezia dalle
origini al 1806 (p. 75). Si verifica “l’abbandono di una logica incentrata
sui ‘corpi’ professionali a favore di un discorso culturale ‘globale’,
relativo, cioè, a tutte e tre le belle arti”. Ed è esattamente quello che il
Collegio non vuole, legato invece a una gestione del tutto monopolistica
dell’arte, dall’ammissione degli studenti, alla nomina dei membri
dell’Accademia, al controllo esclusivo sull’esercizio della professione. È
questo il motivo del contendere, che sarà ricco di episodi gustosi (come la
rivolta del 1774 a cui partecipa anche Antonio Canova ed appoggiata dal
Collegio) ampiamente descritti nel volume. L’appoggio del Collegio è probabile
vendetta per il tentativo, perpetrato tre anni prima dall’Accademia, di privare
il Collegio dei 130 ducati annui che rappresentano la sua fonte principale di
sostentamento, derivanti dalla “custodia” dei quadri di Palazzo Ducale (p. 87).
Un tentativo sventato (Edwards se ne attribuisce il merito) proprio nel 1774.
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Giovan Battista Piazzetta, Giovane mendicante, Art Institute of Chicago Fonte: Wikimedia Commons |
Intendiamoci, in un mondo fatto
di molte bassezze, non mancano anche le voci illuminate, come quella di Andrea
Memmo che, ad inizio 1760, propone un suo trattato che darà alle stampe vent’anni
dopo col titolo “Piano generale per una Accademia sopra le belle arti del
disegno” (io ne ignoravo totalmente l’esistenza). “Memmo anticipò nel
“trattato” taluni sviluppi ottocenteschi dell’Accademia tra i quali il pieno
superamento dell’idea che dovesse essere una sorta di bottega “collettiva”
degli artisti, nella quale addestrare i garzoni, e la sua conseguente trasformazione
in un’istituzione scolastica affatto indipendente dai due Collegi. Tra l’altro
il Piano prevedeva sei “scuole” […] per gli aspiranti pittori e scultori […] e
quattro per gli aspiranti architetti […] Inoltre l’Accademia doveva essere
arricchita da una biblioteca e da una raccolta di statue, gessi, quadri,
medaglie, avori ecc., vale a dire da collezioni a fini didattici, che gli
statuti non avevano previsto” (p. 81). Tutte proposte destinate a non essere
accolte da una Repubblica priva di fondi economici sufficienti (ogni anni la
Repubblica dava all’Accademia 480 ducati che bastavano appena per le spese vive
e l’organizzazione dei concorsi; tutte le cariche erano praticamente esercitate
gratis; i maestri cambiavano ogni anno).
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Giambattista Pittoni, Annunciazione, 1758, Venezia, Gallerie dell'Accademia Fonte: Wikimedia Commons |
L’Accademia come strumento diplomatico e di autopromozione
A partire dal 1771 è data
possibilità all’Accademia di nominare membri onorari. L’indice completo di
coloro che furono nominati Accademici d’Onore è consultabile nel secondo volume
a p. 531. È appena evidente che il ricorso alla loro nomina risponde a vari
scopi: coinvolgere in ambito veneziano da un lato artisti rimasti fuori per un
qualsiasi motivo dall’istituzione, ma soprattutto nobili, collezionisti ed
esponenti del ceto politico per poter godere di protezioni (e donazioni)
maggiori; ma esiste anche (ed è sempre maggiore quando cade la Repubblica) la
necessità di ingraziarsi il dominatore di turno; ed infine (ma non ultimo per
importanza) vi è lo sforzo di tessere legami con artisti, specialmente
stranieri, che godono di particolare fama o si trovano in città per qualche
giorno. Non sono affatto rare le “riduzioni” (ovvero le riunioni) convocate ad hoc per omaggiare del diploma
accademico questo o quel politico, questo o quell’artista in visita a Venezia.
Nulla di straordinario. Sappiamo benissimo che spesso venivano organizzare
regate apposite sul Canal Grande per compiacere gli ospiti illustri e ricevere
in cambio generose donazioni.
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Alessandro Longhi, Allegoria della Pittura e del Merito, 1761, Venezia, Gallerie dell'Accademia Fonte: Wikimedia Commons |
Personalmente credo che non
sfugga alla regola anche il caso di Giuseppe Fossati, che curiosamente non mi
sembra sottolineato nel volume. Fra le tante belle sorprese di quest’opera
compare, infatti, anche la riproduzione fotografica dell’Orazione recitata il 21 settembre 1774 in occasione della prima
distribuzione dei Premi in sede all’Accademia. L’orazione, dai toni
smaccatamente encomiastici – ed altrimenti non poteva essere – fu appunto letta
da Giuseppe Fossati. Su Giuseppe Fossati, che in realtà, “da grande”, fu
avvocato, ma soprattutto letterato vorrei solo ricordare quanto di lui scrisse
l’Abate Meneghelli negli Elogii di alcuni
illustri italiani [5]. Niente di strano che se ne parli bene: era morto nel
1812. L’abate scrive che Giuseppe era stato a lungo incerto se darsi agli studi
di legge o alle belle arti, essendo “nato da un padre che portava un occhio
fino e sicuro nell’arti del disegno”; a dimostrazione di ciò stavano appunto le
Orazioni tenute in Accademia per la distribuzione dei premi nel 1774 e nel
1775. La premiazione del 1774 è universalmente ricordata come la più pomposa e riuscita
nella storia dell’Accademia per numero e qualità dei presenti. C’è solo un
piccolo particolare, che appunto, qui non si fa presente (una piccola pecca in
un’opera di queste dimensioni è davvero un’inezia). Per Meneghelli, e per tutte
le altre fonti, Giuseppe era nato nel 1759; aveva cioè 15 anni. Probabile,
quindi, che l’orazione non l’avesse scritta lui. Quando poi si legge che il
padre di Giuseppe era David Antonio Fossati, ricco commerciante d’arte e fra i
primissimi ad essere nominati Accademici d’onore nel 1771 [6], che l’orazione
fu stampata “in 470 copie, venti delle quali “in pelle ed oro” riservate alle
autorità” e spedite in mezza Europa (p. 86) e che le spese di stampa furono
interamente sostenute dal padre, si comincia a capire che queste occasioni
erano situazioni in cui l’Accademia dava visibilità in cambio di denaro. Per
inciso, Giuseppe fu nominato accademico d’onore nell’ottobre dell’anno
successivo, in occasione della sua seconda orazione: aveva 16 anni.
***
Temo di aver stancato il lettore
e non voglio abusare della sua pazienza. Mi riservo di proporre due
considerazioni personali nella seconda parte di questa recensione, che sarà
pubblicata fra qualche giorno.
Fine della Parte Prima
NOTE
[1] Giovanni Mazzaferro, Le Belle Arti a Venezia nei manoscritti diPietro e Giovanni Edwards, Firenze, Goware, 2015 e Giovanni Mazzaferro, Fra Repubblica, Napoleone e Impero
Austriaco: Pietro Edwards Ispettore Generale alle Belle Arti di Venezia in Annuario Accademia di Belle Arti, 2015,
in corso di stampa. Segnalo solo che Le
Belle Arti a Venezia… contiene anche in Appendice III l’Antichità dell’Unione dei Pittori in Vinezia,
manoscritto di Pietro Edwards più volte citato a partire da Elena Bassi, ma
fino ad ora inedito. Lo faccio presente perché il manoscritto, che Bassi data
come successivo al 1792, viene invece fatto risalire da Piero Del Negro al 1783
circa. Il testo in realtà, è composto di due parti. La prima (a giudicare dal
raffronto col plagio del figlio) è del 1794; la seconda è a sua volta la
trascrizione di un testo di Pietro originato a metà anni ’80 (e quindi la data
dell’83 è del tutto credibile, ma con riferimento solo alla sezione finale). Si
veda in particolare Le Belle Arti a
Venezia… p. 233, nota 431.
[2] Nikolaus Pevsner, Academies of Art. Past
and Present, Cambridge 1940. In italiano: Nikolaus Pevsner, Le Accademie d’arte. Torino, Einaudi,
1982.
[3] Giovanni Mazzaferro, Le Belle Arti a Venezia… cit., p. 79-80.
[4] idem…, p. 81.
[5] Antonio Meneghelli, Elogio di alcuni illustri italiani,
Venezia, Tipografia di Alvisopoli, 1816, vol. II, pp. 78-79.
[6] Si veda Il collezionismo d’arte a Venezia. Il Settecento, a cura di Linda
Borean e Stefania Mason, Venezia, Marsilio, 2009, pp. 268-269.
Thank you for the wonderful work you are doing-- keeping the social and restoration history of Venice in the public eye and academic community. I would be very grateful for ongoing communication on these matters and in particular your response to my dissertation from University of Washington (2000) "Necessity Introduced These Arts: Pietro Edwards and the Restoration of the Public Pictures of Venice 1718-1819" It has not been yet acknowledged in Venetian circles --perhaps because it is first extensive research on Edwards in English--although I was a Getty Scholar on Edwards and have given papers including in the British Museum publication. Thank you! I look forward to being part of the history of conservation community in Venice! (My dissertation link on worldcat: Pietro Edwards and the restoration of the public pictures of Venice, 1778-1819 : necessity introduced these arts
RispondiEliminaby Elizabeth Jane. Darrow
Thesis/dissertation 2000
Publication: 2000.
OCLC Number: 45818459
Database: WorldCat)
Dear Elizabeth, thank you so much! I probably made a mistake because I answered your former note and you probably didn't receive it. I'm obviously interested in reading your dissertation. Could you kindly write me using the e-mail letteraturaartistica@hotmail.com? Thanks. Giovanni Mazzaferro
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