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Francesco Borromini
Opus architectonicum
A cura di Joseph Connors
Milano, Il Polifilo, 1998
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Rome, Facciata dell'Oratorio di San Filippo Neri, di Francesco Borromini Fonte: Wikimedia Commons |
“Francesco Borromini (1599-1667) creò un nuovo stile architettonico, traendo ispirazione da Michelangelo e dall’antichità classica, ma anche dalla natura e dalla matematica. Nel 1637 cominciò a lavorare alla sua prima importante commessa, la Casa dei Filippini. Il suo mecenate, Virgilio Spada, un prete degli Oratoriani che sarebbe diventato il principale amministratore dei progetti di costruzione degli edifici papali sotto Innocenzo X e Alessandro VII, compose un testo (Piena relatione) che descrive dettagliatamente l’Oratorio e la Casa e che illustra sia il processo creativo dell’architetto, sia il ruolo del mecenate nel progetto. Spada raccolse 37 disegni per illustrare la Relatione, ma l’opera non fu pubblicata durante la vita del Borromini.
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Roma, Oratorio di San Filippo Neri, Torre dell'Orologio Fonte: Wikimedia Commons |
In tarda età Borromini si lanciò in un nuovo tentativo di pubblicare i suoi lavori e le sue idee, intrapreso con lo stampatore francese Domenico Barrière e il poligrafo Fioravante Martinelli. Le parole e le immagini create da questi uomini avrebbero dovuto far conoscere a un pubblico più vasto le invenzioni del Borromini, ma l’impresa non si realizzò a causa del suicidio dell’architetto nel 1667.
Alla fine del XVII secolo editori a vocazione commerciale, lavorando insieme con talentuosi giovani incisori come Giovanni Battista Falda e Lievin Cruyl, cercarono di reperire i disegni del Borromini e di pubblicare il suo lavoro. Ma chi operò più tenacemente per svelare i segreti dell’architetto fu un altrimenti ignoto romano dell’inizio del XVIII secolo, Sebastiano Giannini, che nel 1725 pubblicò una versione assai alterata della Piena relatione dello Spada sulla Casa dei Filippini, divenuta nota sotto il titolo latino di Opus architectonicum.
Questa edizione è la trascrizione integrale del manoscritto (Piena relatione) dell’Opus architectonicum, corredato dai disegni originali. L’introduzione, che traccia la storia delle incisioni che illustrano le diverse opere del Borromini, comprendendo le prime pubblicazioni e la grande impresa editoriale dei suoi ultimi anni, è illustrata da molte rare, o uniche, incisioni provenienti da collezioni di Londra, Parigi, Roma e New York.”
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La facciata dell'oratorio di San Filippo Neri in un'incisione del 1720 Fonte: Wikimedia Commons |
[2] Si riporta il testo della recensione all’opera, a firma Marco Carminati, apparsa sul Domenicale del Sole 24 Ore il 29 agosto 1999 (l’articolo è tratto da Biblioteca Multimediale del Sole 24 Ore – Cd Rom Domenica 1983-2003 Vent’anni di idee).
SOLE 24ORE -DOMENICA
L’Opus contro i beceri denigratori
di Marco Carminati
Francesco Borromini morì a Roma la mattina del 2 agosto 1667 in circostanze drammatiche. Da giorni versava in condizioni pietose. Era afflitto da una sorta di “fiera malinconia” con assalti di ipocondria “che si cangiava in oppressioni di petto, in effetti asmatici, in ininterrotta frenesia”. Quanto ai rimedi, medici e preti non trovarono di meglio che segregarlo in casa imponendogli la cura del sonno e piazzandogli alle calcagna un energico servitore. Così intrappolato, Borromini decise di farla finita. Attese la distrazione del servo che appisolatosi aveva lasciato incustodita la spada. Borromini la agguantò e si lasciò cadere sopra. Sopravvisse ancora ventiquattr’ore, lucidissimo. Giusto il tempo di pentirsi e di firmare il verbale con il racconto del suo suicidio.
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Roma, Chiesa di Sant'Ivo alla Sapienza, su progetto di Francesco Borromini Fonte: Wikimedia Commons |
Francesco Borromini morì a Roma la mattina del 2 agosto 1667 in circostanze drammatiche. Da giorni versava in condizioni pietose. Era afflitto da una sorta di “fiera malinconia” con assalti di ipocondria “che si cangiava in oppressioni di petto, in effetti asmatici, in ininterrotta frenesia”. Quanto ai rimedi, medici e preti non trovarono di meglio che segregarlo in casa imponendogli la cura del sonno e piazzandogli alle calcagna un energico servitore. Così intrappolato, Borromini decise di farla finita. Attese la distrazione del servo che appisolatosi aveva lasciato incustodita la spada. Borromini la agguantò e si lasciò cadere sopra. Sopravvisse ancora ventiquattr’ore, lucidissimo. Giusto il tempo di pentirsi e di firmare il verbale con il racconto del suo suicidio.
Roma, Cupola di Sant'Ivo alla Sapienza vista dall'interno Fonte: Wikimedia Commons |
È comune convinzione degli studiosi che una delle molle che spinse il sessantottenne Borromini alla fatale decisione fosse la drammatica difficoltà a resistere allo stillicidio delle critiche. Le fabbriche di San Carlino, dei Filippini, di Propaganda Fide, di Sant’Ivo e di San Giovanni in Laterano avevano portato l’architetto alla ribalta romana, ma la complessità dei suoi edifici, l’inedita novità dei disegni e la dirompente libertà delle forme, assieme a estimatori gli avevano procurato un discreto esercito di denigratori. I più benevoli definirono il suo lavoro “estraordinario” anche se “artificioso et capriccioso”. Altri non nascosero l’imbarazzo dinanzi ai suoi “vaghi e bizzarri pensieri” (Pascoli). Bellori arrivò a chiamarlo “gotico” (allora era un insulto) e a definirlo “ignorantissimo corruttore dell’architettura, infamia del nostro secolo”. Bernini, più mellifluo, si limitò a sottolineare il carattere “chimerico” della sua opera.
Borromini schiumava dinnanzi a tanti pregiudizi e a tanto becero conformismo. “Chi va dietro agli altri non gli passa mai avanti” soleva ripetere, rivendicando il primato delle menti creative sulle menti povere. Ma solo in tarda età decise di passare al contrattacco. Doveva dar voce alle proprie idee e costruirsi un’immagine pubblica descrivendo i suoi edifici e corredandoli di incisioni. Non essendo un grande scrittore pensò di farsi aiutare da due amici, il poligrafo Fioravante Martinelli e lo stampatore Francesco Domenico Barrière. Per avviare il lavoro, Borromini poteva contare su alcune relazioni manoscritte già esistenti, in particolare quella Casa dei Filippini e di San Carlino.
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Roma, Facciata della Chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane (di Francesco Borromini) Fonte: Wikimedia Commons |
Il trio Borromini Martinelli Barrière sembrò inizialmente funzionare: furono prodotte bellissime incisioni tratte da disegni e progetti del maestro, e Martinelli prestò la sua penna per scrivere una ricca monografia sul capolavoro di Borromini, la chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza. Tuttavia, proprio a causa del suicidio dell’architetto, la grande impresa editoriale svanì e le tante relationi manoscritte rimasero a pigliar polvere.
Su uno di questi scartafacci è tornata di recente la luce del sole. Si tratta della Piena Relatione della Fabbrica della Casa dei Filippini. Nel testo, Borromini è l’io narrante ma l’autore di questa dettagliatissima e quindi “piena” monografia sulla casa madre dell’Ordine di San Filippo Neri è certamente Virgilio Spada, priore dell’Ordine, grande amico ed estimatore del Borromini e per questo fedele interprete delle sue idee. Questa relazione a quattro mani scritta tra il 1647 e il 1650 e corredata da numerosi disegni fu data alle stampe solo nel 1720-25 a opera di Sebastiano Giannini, che pubblicò due eleganti volumi su Sant’Ivo e sulla Casa dei Filippini. Giannini intitolò i tomi semplicemente Opera e per dare loro un risalto internazionale li tradusse in latino con il titolo di Opus Architectonicum. Inutile dire che oggi tali volumi risultano introvabili ed è dunque particolarmente apprezzabile l’idea delle Edizioni il Polifilo di commemorare il centenario della nascita dando alle stampe la Piena Relatione della Fabbrica secondo il manoscritto di Spada, ma apponendo il titolo latino voluto dal Giannini.
Curata da Joseph Connors - autore di una lunga introduzione sulla storia editoriale di tutta l’opera teorica borrominiana -, la nuova edizione permette di avvicinare agevolmente le vicende storiche ed edilizie del complesso situato nel cuore di Roma. I Filippini erano un ordine molto giovane. Solo alla fine del ‘500 avevano eretto la chiesa di Santa Maria della Vallicella, e con il nuovo secolo era giunto il tempo di edificare anche la Casa Madre. I progetti erano già stati stesi dall’architetto Maruscelli, ma attorno al 1637 intervenne il genio di Borromini a modificare alcuni grandi ambienti (la facciata dell’oratorio, il refettorio ovale etc.) con lo sfarzo dirompente del suo estro sulfureo. Un grigio edificio conventuale divenne così una delle più articolate, funzionali e fantasiose fabbriche barocche: qualcuno, come Virgilio Spada, lo comprese subito e si affrettò a scriverlo. Altri denigrarono, finendo sepolti dalle loro stesse risate.
[5] Vanno ricordate altre due edizioni dell’Opus Architectonicum: quella pubblicata da Edizioni dell’Elefante a cura di Paolo Portoghesi nel 1964 e una seconda, edita da De Rubeis e a cura di Maurizio De Benedictis (1993).
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