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Cennino Cennini: moderno o conservatore?
Un testo critico di Peter Seiler sui rapporti tra Cennini e Giotto
Giotto – das unerreichte Vorbild? Elemente antiker imitatio auctorum-Lehren in Cennino Cenninis Libro dell’Arte
In: Ursula Rombach e Peter Seiler, Imitation als
Transformation: Theorie und Praxis der Antikennachahmung in der frühen Neuzeit,
Petersberg, Imhof Verlag, 2012, 173 pagine, pp. 44-86
(recensione di Francesco Mazzaferro)
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Fig. 1) La locandina del convegno “Imitazione come trasformazione”, curato da Peter Seiler e tenutosi a Berlino nell’aprile 2008 |
Gli studiosi di Cennino Cennini in lingua tedesca hanno spesso dibattuto
sull’artista chiedendosi se debba essere considerato un moderno oppure un
conservatore; se dunque il Libro
dell’Arte vada letto come la testimonianza di una personalità che registra
appieno i cambiamenti tumultuosi del suo tempo, partecipando alla rivoluzione
della cultura umanistica ed annunciando le scoperte del primo rinascimento,
oppure come il manifesto di un autore tradizionalista, che rifiuta
ostinatamente i nuovi sviluppi, rimane ancorato al mondo di Giotto e ritiene
forse che il picco dell’arte sia stato già raggiunto con lui e mai potrà
essere eguagliato. Sono famosi i riferimenti testuali che hanno alimentato la
discussione, contenuti nel primo capitolo del Libro: “Giotto rimutò l’arte
del dipingere di grecho in latino e ridusse al moderno, e ebe l’arte più
compiute ch’avessi mai più nessuno.” La frase si può infatti in due
maniere. Nel primo caso: a partire da Giotto è avvenuta una rivoluzione
nell’arte, che è stata legata alla modernizzazione che egli ha apportato ad
essa ed in particolare al passaggio dall’arte di stile bizantino a quella di
stile occidentale. Nel secondo caso: l’arte di Giotto non è stata più eguagliata da nessuno: la sua è l’unica che sia riuscita ad offrire una sintesi
tra diverse tradizioni, quelle del passato (greche) e quelle locali (latine).
Si tratta, ovviamente, di due letture fra loro molto diverse. Peter Seiler,
docente all’Università Humboldt di Berlino presso l’Istituto di Storia
dell’Arte e dell’Immagine è autore del saggio che stiamo recensendo (‘Giotto – das unerreichte Vorbild? Elemente
antiker imitatio auctorum-Lehren in
Cennino Cenninis Libro dell’Arte’). In esso finisce per rigettarle
entrambe. A suo parere, la tesi ‘modernista’ (che vede il suo maggior
rappresentante in Lionello Venturi, con un suo saggio del 1925 [1]) è del tutto
campata in aria: è il frutto di una lettura completamente decontestualizzata di
una frase, cui si è voluto attribuire significati del tutto improbabili per la
personalità dell’autore. Cennino è certamente un tradizionalista; semmai la
seconda ipotesi potrebbe essere più probabile e in tal caso si potrebbe leggere
il Libro come una celebrazione dell’arte
giottesca, intesa come culmine dell’arte. Ma in definitiva anche questa è una
ricostruzione a posteriori che non
coglie la piena verità. A Cennino Cennini – scrive Seiler - mancano le
categorie critiche per riflettere sull’arte in termini storici e d’evoluzione
dello stile. La conclusione è che molti dei concetti generali utilizzati da
Cennino (‘maniera’, ‘aria’, ‘fantasia’), in cui spesso si vede il primo fiorire
della terminologia artistica del primo rinascimento, debbono essere invece
interpretati in senso diverso, come conferma della natura esclusivamente
tecnico-artigianale (e non teorica) dello scritto di Cennini.
In definitiva, Seiler si pone idealmente nella medesima traiettoria di Albert Ilg (con la sua introduzione alla prima traduzione tedesca pubblicata a
Vienna nel 1871 [2]) che considera Cennini un artista fallito, erede di un’arte
ormai priva di ogni capacità creatrice, e (più di cent’anni dopo) di Rudolf Kuhn a Monaco di Baviera, che non riconosce a Cennino alcuna capacità di essere
un teorico della composizione pittorica, capacità invece attribuita a Leon Battista Alberti [3]. L’altra scuola presente nel mondo tedesco si fonda sui
primi scritti sul tema di Julius von Schlosser, stilati a Vienna nel 1914 e poi
ripresi nella sua Letteratura artistica del 1924; qui Cennini è visto come
l’inventore del moderno linguaggio pittorico. Ad un Cennino antesignano della
modernità aveva creduto anche Jan Verkade, con la sua seconda traduzione
tedesca pubblicata a Strasburgo, all’epoca ancora città tedesca, nel 1916 [4].
Più recentemente, era stata questa la tesi principale del catalogo della mostra su Cennino Cennini, tenutasi a Berlino e curata da Wolf-Dietrich Löhr e Stefan
Weppelmann [5]. La capitale tedesca sembra dunque attualmente ospitare due
scuole di pensiero sul tema.
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Fig. 2) La copertina del volume di Rombach e Seiler, pubblicato nel 2012 |
Il saggio di Seiler, un testo ricco e denso di 43 pagine, pubblicato in
caratteri fittissimi, con quasi trecento note e una vasta bibliografia, ha un
titolo complesso e di difficile traduzione: “Giotto – das unerreichte Vorbild? Elemente antiker imitatio
auctorum-Lehren in Cennino Cenninis Libro
dell’Arte”. Il titolo utilizza uno degli strumenti retorici tipici della lingua
accademica tedesca, in cui spesso il tema principale di uno scritto è posto in
forma interrogativa, per poi esaminare i diversi argomenti a favore o contro
una determinata tesi, e nella maggior parte dei casi per rigettarla. La
traduzione italiana letterale è: “Giotto:
il modello che non è stato eguagliato? Elementi dell’antica dottrina dell’imitatio
auctorum nel Libro dell’arte di Cennino Cennini.”
Peter Seiler è uno dei promotori di un vasto programma di ricerca
interdisciplinare che vede la collaborazione di varie istituzioni, fra cui le
due università di Berlino (Humboldt e Libera università di Berlino), il
Max-Planck-Institut e i Musei di Stato della capitale tedesca. Il titolo del
progetto (avviato nel 2008) è “Le trasformazioni dell’antico”; si tratta di
indagare quanta parte dell’identità di ogni epoca, compresa quella odierna,
dipenda da un processo di imitazione ed al tempo stesso di trasformazione
dell’immagine del passato; a tal fine sono utilizzati strumenti
interdisciplinari, fra cui la storia dell’arte. Il frutto più tangibile del
programma è la pubblicazione, fino ad oggi, di 34 volumi nell’ambito di una
collana che s’intitola appunto “Trasformazioni dell’antico”. [6] Il saggio di
Seiler è contenuto nel volume “Imitatio
als Transformation. Theorie und Praxis der Antikennachahmung in der frühen
Neuzeit” [7], edito da Ursula Rombach e Peter Seiler nel 2012. La
traduzione italiana è “Imitazione come
trasformazione. Teoria e prassi dell’imitazione dell’antico nella prima epoca
moderna”.
Considerando il tema dell’imitazione nella teoria estetica, Seiler
distingue tra ‘imitazione della natura’ ed ‘imitazione degli autori’. Nel primo
caso si imitano le forme direttamente osservabili in natura, nel secondo caso
si imita lo stile di altri autori. Implicitamente, la seconda forma viene
considerata superiore, perché rende possibile all’artista creatore di ‘battere’
la natura.
La prima tipologia d’imitazione risale all’osservazione aristotelica che
l’arte imita la natura e trova costante riscontro negli scritti di letteratura
artistica, ma anche tra filosofi, letterati e poeti, durante tutta l’antichità
ed il medioevo. Il tema è ovviamente presente anche in Cennini, in particolare
nel capitolo 28, dove si spiega che l’imitazione della natura è la via
principale per raggiungere l’eccellenza. Il testo viene citato da Seiler nella
versione di Frezzato del 2003: “Attendi ch lla più perfetta ghuida che possa
avere e migliore timone, si è la trionfal porta del ritrarre de naturale. E
questo avanza tutti gli altri essempri; e ssotto questo chon ardito chuore
sempre ti fida, e specialmente chome inchominci ad aver qualche sentimento nel
disegniare. Cho˂n˃tinuando ogni dì no manchi disegnar qualche cosa, che non
serà sì pocho che non sia assai , e faratti ecciellente pro.”
La seconda tipologia (l’imitatio
auctorum cui fa riferimento il titolo del saggio di Seiler) identifica il
modello da imitare per l’artista (inteso in senso molto ampio) non
nell’osservazione diretta della natura, ma nell’opera di artisti (autori)
precedenti. Questa seconda tipologia d’imitazione continua ad essere comune nei
riferimenti ad opere letterarie (scrittori, poeti, studiosi di retorica fanno
continuamente riferimento a testi letterari o filosofici o retorici del mondo
greco e latino), ma scompare completamente nel mondo delle belle arti dopo la
fine dell’antichità greco-latina. Seiler ricorda che Leon Battista Alberti
osserva con stupore questa assenza nel prologo al De Pictura. Riferimenti all’imitazione delle opere d’arte degli
antichi, come modello per l’arte contemporanea, non compaiono ancora nella
letteratura artistica del 1300, rimangono una rarità nel 1400 (la definizione
di Donatello da parte di Cristoforo Landino come ‘grande imitatore degli
antichi’) e si diffondono invece nel 1500, come osservato da Erwin Panofsky
[8]. L’unica eccezione è forse costituita da Cennino Cennini, ed in particolare
dalla sua esortazione ai giovani artisti ad imitare le ‘maniere’ dei migliori
maestri, nel capitolo 27 del Libro
dell’Arte. Di qui la domanda se Cennino testimoni l’esistenza nel 1300 di una
tradizione teorica sull’imitazione delle opere degli artisti, oggi andata
persa; oppure se egli sia il primo ad adattare alle belle arti un modello
retorico (quello dell’imitatio auctorum)
che era rimasto vivo per le opere letterarie o di altro genere; ed infine se
per l’apprendista pittore, le opere d’arte che dovevano essere imitate si
dovessero limitare a quelle del proprio maestro (qualunque egli fosse), oppure
potessero includere anche i lavori di Giotto e dei giotteschi, o addirittura
quelli dell’antichità classica.
Ecco il capitolo 27: "Come ti de' ingiegniare di ritrarre e disegniare di
meno maestri che può. Pure a tte è di bisognio si seguiti innnazi, acciò che
possi seghuitare il viaggio della detta scienza. Tu ài fatto le tue carte
tinte; e mestieri disegniare. De' tenere questo modo: avendo prima usato un
tempo il disegniare, chome ti dissi di sopra, cioè in tavoletta, affatichati e
dilettati di ritrar sempre le miglior cose che trovar puoi, per mano fatte di
gran maestri. E sse se' in luogho dove molti buon maestri sieno stati, tanto
meglio a tte, ma per chonsiglio io ti do: ghuarda di pigliar sempre il miglior
e quello che à maggior fama; e seghuitando di dì in dì ,
contra la natura sarà che a tte non vengha preso di suo' maniera e di suo'
aria, però che se tti muovi a ritrarre oggi di questo maestro, doman di quello,
né maniera dell'uno né maniera dell'altro non n'arai, e verrai per forza
fantastichetto, per amor che chiaschuna maniera ti stracierà la mente. Ora vo'
fare a modo di questo, doman di quello altro, e chosì nessuno n'arai perfetto.
Se seghuti l'andar d'uno, pe' chontinovo uxo ben sarà lo intelletto grosso che
non ne pigli qualche cibo; poi a tte interverrà che sse punto di fantasia la
natura t'arà concieduto, verrai a pigliare huna maniera propria per te, e non
potrà essere altro che buona, perché la mano, lo intelletto tuo essendo sempre
huso di pigliare fiori, mal saprebbe tòrre spina .''
Secondo Seiler interpretare il capitolo come se prescrivesse una regola,
secondo cui si deve imitare un solo maestro, ed in particolare il migliore,
facendone un canone esclusivo di riferimento per tutti gli artisti di un’epoca,
forza le intenzioni di Cennini. Il paragrafo 27 include infatti un riferimento
esplicito che esclude dalla regola chi si trovi in un grande centro artistico
(come Firenze o Padova) ed esplicitamente lo esorta (in questo caso) a cercare
modelli diversi, identificando le opere migliori dei grandi maestri. Il
capitolo 122 include addirittura un invito ad ispirarsi ad altri maestri: “ché
puoi ritrarre e vedere delle chose per altri buoni maestri facte, che a tte
nonn-è vergognia”. La raccomandazione di evitare un eccessivo eclettismo non è
dunque una regola generale, ma sembra invece un puro consiglio didattico destinato
soprattutto ai pittori che vivono in centri minori, là dove probabilmente
sarebbe stato più difficile trovare modelli alternativi che avessero un valore
artistico di riferimento.
Seiler osserva che il Libro dell’Arte
non contiene alcuna citazione di artisti o di opere d’arte del mondo antico
(come si è detto, era la regola in quegli anni). Vi sono solamente due
citazioni indirette all’arte antica [9], in anni dove la riscoperta dell’antico
era motivo fondamentale del nuovo mondo umanista (si pensi all’affermazione di
Leon Battista Alberti che, solamente qualche decennio dopo, dichiara di voler
basare il suo De Pictura sulle
fondamenta dell’antichità). Al contrario, il Libro include frequenti riferimenti religiosi (la trinità, la Vergine
Maria, i santi). Seiler ipotizza che ciò possa avere due ragioni. Da un lato,
Cennino probabilmente frequentava ambienti molto tradizionali, forse legati ad
un mondo ecclesiale che non vedeva di buon occhio il crescente interesse per
l’antico mondo pagano. Dall’altro, egli non possedeva un grado d’istruzione
sufficiente per fare un uso puntuale di fonti testuali greci e latini. Per
queste ragioni Seiler esclude che Cennino abbia letto Orazio, da cui ha origine
il paragone tra pittura e poesia, che viene enunciato anche all’inizio del Libro. Tuttavia, Seiler non esclude
affatto che, pur non avendo avuto a disposizione testi del mondo antico,
Cennino abbia fatto uso di fonti scritte sulle tecniche artistiche e sui colori
– probabilmente compendi medievali – che egli avrebbe potuto trovare in
monasteri. L’affermazione, contenuta al paragrafo 63, che le conoscenze per
comporre l’opera derivino esclusivamente dall’insegnamento presso Agnolo Gaddi
e dalle esperienze come pittore non è ritenuta credibile. Seiler ritiene
inoltre possibile che in molti casi Cennino abbia anche potuto beneficiare di
fonti orali, ancora una volta grazie a contatti con membri di ordini monastici.
Molto meno probabili sono, a suo parere, interazioni con ambienti umanistici
fiorentini e padovani.
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Fig. 3) Giotto, Compianto sul Cristo morto - Cappella degli Scrovegni, 1303-1305 |
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Fig. 4) Cennino Cennini, Nascita di Maria, Museo Comunale, Colle Val d’Elsa Fonte: Museo Bozar, Bruxelles, http://www.bozar.be/dbfiles/pfile/201410/pfile254528_activity14090.jpg |
I riferimenti culturali all’età di Giotto sono invece assai frequenti.
Giotto nasce cent’anni prima di Cennino, ed è a Padova probabilmente cent’anni
prima di lui. Dunque l’età di Giotto rappresenta per Cennino un passato ormai
lontano, ma comunque sufficientemente autorevole da sollecitare soggezione e
rispetto, e dunque anche giustificare imitazione. Significa dunque che Cennino
inaugura un nuovo paradigma, raccomandando agli artisti d’imitare non più gli
antichi ma sempre e solo Giotto?
Il rapporto tra Cennino e Giotto è al centro del saggio dello studioso
berlinese. È risaputo che Cennino proclama con molta fierezza la sua
appartenenza ad una scuola d’arte che origina da Giotto ed è continuata da
Taddeo ed Agnolo Gaddi. Già le prime righe del testo spiegano che il Libro è stato “fatto e composto … a
rriverenza … di Giotto, di Taddeo e d’Agnolo”. Seguono le già citate righe sul
ruolo di Giotto, da cui origina la questione se Cennino consideri Giotto il
punto di partenza di un processo di modernizzazione dell’arte, oppure il
culmine non più raggiunto dell’arte stessa.
Tuttavia Seiler vuole mettere in evidenza alcuni aspetti critici. Egli
nota, in primo luogo, che nella letteratura del suo tempo era ovvio che gli
autori di trattati di retorica o di poesia invitassero gli allievi a misurarsi
direttamente con le opere dei maggiori esponenti di quelle discipline (si pensi
al ruolo che viene ascritto a Cicerone come modello per la retorica). In
nessuna parte del Libro, al
contrario, si richiede che l’apprendista pittore debba imparare disegno o
pittura attraverso la copia di opere di Giotto; egli non invita neppure i
pittori che hanno terminato il loro apprendistato ed operano ormai
indipendentemente a misurarsi con i suoi capolavori. Il riferimento a Giotto
nelle prime pagine del Libro non
intende dunque elevarlo a nuovo canone artistico, ma ha piuttosto l’obiettivo
di utilizzarne la fama al fine di avvalorare le pagine di Cennino come ultima
manifestazione della sua scuola, a cent’anni dal passaggio dell’artista nei
luoghi dove il trattato veniva composto.
Anche il riferimento all’arte greca e quella latina deve essere riletto
alla luce delle coordinate cenniniane. All’autore del Libro manca l’idea che gli artisti possano sviluppare un sistema
estetico proprio, nel senso moderno di uno stile; considera la pittura come
un’attività manuale complessa, che richiede la padronanza di competenze
differenti, ma non come la manifestazione di un’idea indipendente d’arte.
Dunque, Cennini non può far riferimento all’arte greca ed a quella latina come
a due stili differenti, giustificati da rispettivi sistemi estetici opposti tra
loro (quello ieratico dell’arte bizantina e quello naturalista dell’arte
occidentale). L’espressione “rimutò l’arte del dipingere di grecho in latino e
ridusse al moderno” va dunque letta diversamente, anche facendo riferimento a
simili espressioni in Ghiberti e Boccaccio, senza dare un senso peggiorativo
alla tradizione, greca o bizantina che fosse. Giotto viene lodato come colui
che ha trasmesso il saper fare tradizionale (greco) agli artisti dei suoi
giorni (latino), al tempo stesso aggiornandolo.
Il tema può essere discusso in due connotazioni diverse. La prima è il
rapporto tra Cennino e l’arte del suo tempo. La seconda è quella della
relazione tra Cennino e gli intellettuali del suo tempo, ovvero gli umanisti.
Sul primo aspetto, Seiler si chiede se le affermazioni di Cennino sull’
“arte compiuta” di Giotto (e addirittura
sull’ arte più compiuta che nessuno abbia
mai più avuto) vogliano addirittura indicare che i pittori si debbano
rifare all’epoca di Giotto ma non ai giotteschi che lo hanno seguito e di cui
Cennino è stato diretto allievo. Non mancano infatti nel Libro accenti critici nei confronti di Taddeo Gaddi, il primo degli
allievi di Giotto, il cui figlio Agnolo (ovvero il suo maestro) è invece ‘molto
più vagho e fresco’, come si legge nel capitolo 67. Vi sarebbe insomma una
presa di distanza critica rispetto all’arte dei decenni immediatamente
precedenti. Del resto, Cennino non può aver ignorato che molti autori della sua
epoca avevano implicitamente o esplicitamente espresso critiche sull’arte dei
giotteschi. In particolare Filippo Villani (che pur aveva tessuto le lodi di
Taddeo) li paragonava a rigagnoli (rivuli)
rispetto al ruolo di Giotto, che era stata la fonte (fons) di una nuova arte capace d’imitare la natura. Il Sacchetti,
nella sua Novella 136, dà addirittura la parola a Taddeo Gaddi per fargli dire
che l’arte è in pieno decadimento dall’epoca di Giotto: “Per certo assai
valenti dipintori sono stati e che hanno dipinto per forma ch’è impossibile a
natura umana poterlo fare; ma questa arte è venuta e viene mancando tutto dì.”
E tuttavia anche in questo caso Seiler esita ad attribuire a Cennino una
capacità critica di storico dell’arte. E ritiene che in fondo Cennino voglia
semplicemente difendere la tradizione giottesca, senza menzionare in alcuna
forma altre correnti artistiche e senza porre in discussione la capacità dei
giotteschi di raggiungere i risultati estetici del maestro, come pura forma di
legittimazione del proprio sapere.
Va detto comunque, a questo proposito, che uno studioso come Miklos Boskovits era giunto alla conclusione che Cennino fosse un innovatore in senso‘espressionista’ del giottismo classico, di cui non sarebbe stato più seguace.
Ciò dimostra quanto, nel caso di Cennino, l’interpretazione di alcuni capitoli
chiave del Libro dell’Arte sia legata
a criteri interpretativi personali e possa dare risultati del tutto differenti.
Molto si è discusso sul secondo tema, ovvero se Cennino abbia fatto parte
dei circoli umanistici di Firenze e Padova. Ai rapporti tra Cennino e gli
umanisti di Firenze è dedicato un bellissimo saggio di Wolf-Dietrich Löhr nel catalogo della mostra di Berlino [10], che giunge alla conclusione che Cennino
era pittore colto, e che era giunto a Padova essendo già parte dei circoli
umanistici fiorentini. Nella sua recentissima nuova versione inglese del Libro dell’Arte, Lara Broecke sostiene
che Cennino era completamente immerso in quell’ambiente negli anni della sua
presenza alla corte dei Carrara, a cavallo tra 1300 e 1400, al punto da
concepire l’opera come un tentativo autopromozionale, volto sostanzialmente a
misurarsi con le altre personalità di quell’ambiente [11].
Come ho già avuto modo di notare, Seiler ha un’opinione assai diversa. Il
suo scritto giunge infatti alla conclusione che i paralleli tra il pittore
toscano e gli intellettuali della sua epoca sono molto azzardati. Cennino era
cresciuto nell’ambiente dei Gaddi, e dunque non solamente nel cuore della
cultura artistica toscana, ma anche in ambienti molto vicini a Filippo Villani.
Villani aveva infatti tessuto, come già detto, le lodi di Taddeo Gaddi. È
inoltre provato che Angelo Gaddi, nipote di Taddeo, possedesse una copia
manoscritta del Liber de origine civitatis.
Seiler osserva che, nonostante riferimenti occasionali a Villani, “è
sorprendente che le affermazioni di Villani non trovino un’eco più marcata” nel
Libro. “La distanza critica di
Cennini dagli ambienti umanistici ne offre la spiegazione più ovvia.”
Il catalogo berlinese del 2008 si sofferma inoltre sui rapporti tra Cennino e l’umanista Pier Paolo Vergerio, anche sulla base di una tradizione di studi
al riguardo. Il tema è importante, perché sia Vergerio sia Cennino operavano in
quegli anni a Padova, anche se non vi è alcuna prova che si conoscessero. In
effetti, alcuni studiosi [12] - spiega ancora Seiler - hanno tracciato un
parallelo tra il già citato capitolo 27 del Libro
dell’arte e il passo di una lettera di Vergerio a Lodovico Buzzacarino del
1396. In entrambi i testi, gli autori consigliano i giovani a identificare un
unico maestro e a seguirne l’opera; nella lettera di Vergerio vi è un
riferimento esplicito a Giotto per la pittura. Sulla base del parallelo, si può
credere che, alla corte di Padova, Giotto fosse ormai universalmente assunto a
unica fonte da imitare in quegli anni. Si tratterebbe dunque della prima forma
di imitatio auctorum nella storia
dell’arte dei tempi moderni.
Quest’interpretazione sembra eccessiva allo studioso berlinese. Vergerio –
spiega Seiler – aveva semplicemente inteso contraddire Seneca, il quale aveva
sposato, nelle Lettere morali, una
tesi eclettica e aveva proposto che i poeti traessero spunto dal maggior numero
possibile di fonti letterarie, così come un’ape raccoglie il nettare posandosi
su qualsiasi fiore. Vergerio invece aveva raccomandato di adeguarsi sempre a
Cicerone per la retorica e, per l’arte, di studiare le immagini dei migliori
artisti, ma poi di seguire sempre e solo l’esempio di Giotto. Sia Seneca sia
Vergerio e Cennino fanno riferimento alla medesima similitudine dell’ape.
Seiler non è però convinto che le similitudini tra i passaggi di Cennino e
Vergerio rivelino una comune intenzione. Come già spiegato, nessun passo del Libro dell’arte contiene un’esortazione
specifica ad imitare le opere di Giotto, mentre Cennino invita gli allievi ad
imitare i loro maestri, qualunque essi siano; inoltre, Vergerio possedeva
conoscenze assai limitate in campo artistico, ed i suoi riferimenti a Giotto
erano puramente retorici, dal momento che egli aveva adattato al più famoso
pittore dell’epoca le stesse affermazioni che Cicerone aveva fatto, a suo
tempo, a riguardo di Lisippo.
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Fig. 5) Il saggio di Peter Seiler, disponibile anche sull’archivio elettronico dell’Università di Heidelberg (http://archiv.ub.uni-heidelberg.de/artdok/3181/1/Seiler_Giotto_das_unerreichte_Vorbild_2012.pdf) |
È ovvio che le considerazioni di cui sopra hanno per Seiler importanti conseguenze ai fini dell’interpretazione concettuale del testo. Si fa riferimento in particolare ai termini ed alle categorie che più hanno sollecitato l’attenzione degli studiosi cenniniani negli ultimi centocinquant’anni.
Maniera
Spesso si legge il capitolo 27 come se Cennino affermasse che solamente
affidandosi all’imitazione dello stile del maestro durante il suo lungo
tirocinio l’allievo pittore possa sviluppare un proprio stile personale. Seiler
ritiene che si tratti di un fraintendimento. In realtà, secondo lo studioso
tedesco, ‘maniera’ non è quello che Dante descrive come ‘lo bello stile che
m’ha fatto onore’ e ancor meno la ‘bella maniera’ di Vasari. “La maniera
acquisita è invece in primo luogo una modalità di lavoro che viene conseguita
attraverso la copiatura continua di essempri.”
Caratteristica della maniera è in particolare il fatto che possa essere
descritta, consistendo dunque di elementi di natura tecnica che possono essere
assorbiti da una ripetizione continua ed incessante.
Aria
Anche il termine aria, che si trova una sola volta nel Libro dell’Arte (appunto nel capitolo 27) non può essere inteso nel
senso moderno come stile, nel senso della caratteristica individuale di
un’artista. Si tratta tuttavia, secondo Seiler, di quegli aspetti della routine
di un pittore “che non possono essere descritti con concetti e regole” ma
possono comunque essere acquisiti attraverso l’imitazione. Uno studio comparato
dell’uso del termine presso molti altri autori del Trecento e Quattrocento
identifica l’aria con la facilità d’esecuzione.
Fantasia
L’impiego da parte di Cennini del termine fantasia come uno dei fondamenti
dell’arte – insieme ad ‘intelletto’ e ‘operazione di mano’ – è stato spesso
visto come la prova che l’autore non ha solamente una concezione tecnica
dell’arte, ma fa anche i primi passi verso la consapevolezza che l’artista ha
il ruolo di creatore e come tale può rivaleggiare con la natura e può
addirittura batterla, a condizione che sappia sviluppare le sue capacità e
sviluppare uno stile orientato al bello. Il tema della fantasia in Cennino è al
centro dei già citati studi di Boskovits e del catalogo della mostra berlinese
su Cennino del 2008. Anche in questo caso Seiler è scettico: sono altri gli
autori che impiegano il termine in senso moderno. Dante aveva già parlato, a
questo proposito, di alta fantasia,
mentre Alberti avrebbe scritto dell’artista come alter deus, un secondo dio che possiede la sua medesima capacità di
creazione. Cennini invece farebbe riferimento alla fantasia semplicemente come
predisposizione naturale a far pieno uso delle doti personali, come si ricava
dal capitolo 1 (“Quel poco saper che gli
a Iddio dato”).
NOTE
[1] Venturi Lionello, La critica
d’arte alla fine del Trecento (Filippo Villani e Cennino Cennini), in: L’arte. Rivista di storia dell’arte
medievale e moderna 28/4, 1925, pp. 233-244. See: http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/arte1925/0261?sid=4e7a93ea0aae0979cfd48cee654f4b71.
[2] Si veda: Francesco Mazzaferro, Albert Ilg e Julius von Schlosser: duemodi diversi di interpretare Cennino Cennini nell'Austria-Ungheria del 1871 edel 1914.
[3] Si veda: Francesco Mazzaferro, Cennino Cennini e Leon Battista Alberti: variazioni sul concetto di composizione pittorica.
[4] Si veda: Francesco Mazzaferro, Jan Verkade, Cennino Cennini e la ricerca dell'arte spirituale durante la Prima guerra mondiale
[5] Si veda: Francesco Mazzaferro, Cennino Cennini a Berlino. Recensione a:
Fantasia ed operazione di mano: Cennino Cennini e la tradizione della pittura
toscana da Giotto a Lorenzo Monaco.
[7] Rombach,
Ursula e Seiler, Peter, Imitation als
Transformation: Theorie und Praxis der Antikennachahmung in der frühen Neuzeit,
Petersberg, Imhof Verlag, 2012, 173 pagine.
[8] Panofsy,
Erwin, Die Renaissancen der europäischen
Kunst, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1960.
[9] Un riferimento ad una ‘porta di trionfo’ al capitolo 28 ed alla qualità
dei nudi nella scultura antica al capitolo 185.
[10] Löhr,
Wolf-Dietrich – Handwerk und Denkwerk des
Malers. Kontexte für Cenninis Theorie der Praxis (Lavoro
di mano e attivitá intellettuale del
pittore. Contesti per la teoria della prassi di Cennini), in “Fantasie und
Handwerk – Cennino Cennini und die Tradition der toskanischen Malerei von
Giotto bis Lorenzo Monaco", (“Fantasia ed operazione di mano. Cennino
Cennini e la tradizione della pittura toscana da Giotto a Lorenzo Monaco”),
Monaco, Hirmer, 2008, 334 pagine. Il saggio è alle pagine 153-176.
[11] Si veda in questo blog Lara Broecke. Cennino Cennini's 'Il libro dell'arte'. A New English translation and commentary with Italian transcription
[11] Si veda in questo blog Lara Broecke. Cennino Cennini's 'Il libro dell'arte'. A New English translation and commentary with Italian transcription
[12]
Bolland, Andrea – Art and Humanism in
Early Renaissance Padua: Cennini, Vergerio and Petrarch, in: Renaissance
Quarterly, 1996, pp. 469-487; Kemp, Martin, Der
Blick hinter die Bilder. Text und Kunst in der italienischen Renissance,
Köln, 1977.
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