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lunedì 25 gennaio 2016

Cennino Cennini: moderno o conservatore? Un testo critico di Peter Seiler sui rapporti tra Cennini e Giotto


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Cennino Cennini: moderno o conservatore?
Un testo critico di Peter Seiler sui rapporti tra Cennini e Giotto

Giotto – das unerreichte Vorbild? Elemente antiker imitatio auctorum-Lehren in Cennino Cenninis Libro dell’Arte

In: Ursula Rombach e Peter Seiler, Imitation als Transformation: Theorie und Praxis der Antikennachahmung in der frühen Neuzeit, Petersberg, Imhof Verlag, 2012, 173 pagine, pp. 44-86

(recensione di Francesco Mazzaferro)


Fig. 1) La locandina del convegno “Imitazione come trasformazione”,
curato da Peter Seiler e tenutosi a Berlino nell’aprile 2008

Questa recensione fa parte del 'Progetto Cennini'

Gli studiosi di Cennino Cennini in lingua tedesca hanno spesso dibattuto sull’artista chiedendosi se debba essere considerato un moderno oppure un conservatore; se dunque il Libro dell’Arte vada letto come la testimonianza di una personalità che registra appieno i cambiamenti tumultuosi del suo tempo, partecipando alla rivoluzione della cultura umanistica ed annunciando le scoperte del primo rinascimento, oppure come il manifesto di un autore tradizionalista, che rifiuta ostinatamente i nuovi sviluppi, rimane ancorato al mondo di Giotto e ritiene forse che il picco dell’arte sia stato già raggiunto con lui e mai potrà essere eguagliato. Sono famosi i riferimenti testuali che hanno alimentato la discussione, contenuti nel primo capitolo del Libro: “Giotto rimutò l’arte del dipingere di grecho in latino e ridusse al moderno, e ebe l’arte più compiute ch’avessi mai più nessuno.” La frase si può infatti in due maniere. Nel primo caso: a partire da Giotto è avvenuta una rivoluzione nell’arte, che è stata legata alla modernizzazione che egli ha apportato ad essa ed in particolare al passaggio dall’arte di stile bizantino a quella di stile occidentale. Nel secondo caso: l’arte di Giotto non è  stata più eguagliata da nessuno: la sua è l’unica che sia riuscita ad offrire una sintesi tra diverse tradizioni, quelle del passato (greche) e quelle locali (latine).

Si tratta, ovviamente, di due letture fra loro molto diverse. Peter Seiler, docente all’Università Humboldt di Berlino presso l’Istituto di Storia dell’Arte e dell’Immagine è autore del saggio che stiamo recensendo (‘Giotto – das unerreichte Vorbild? Elemente antiker imitatio auctorum-Lehren in Cennino Cenninis Libro dell’Arte’). In esso finisce per rigettarle entrambe. A suo parere, la tesi ‘modernista’ (che vede il suo maggior rappresentante in Lionello Venturi, con un suo saggio del 1925 [1]) è del tutto campata in aria: è il frutto di una lettura completamente decontestualizzata di una frase, cui si è voluto attribuire significati del tutto improbabili per la personalità dell’autore. Cennino è certamente un tradizionalista; semmai la seconda ipotesi potrebbe essere più probabile e in tal caso si potrebbe leggere il Libro come una celebrazione dell’arte giottesca, intesa come culmine dell’arte. Ma in definitiva anche questa è una ricostruzione a posteriori che non coglie la piena verità. A Cennino Cennini – scrive Seiler - mancano le categorie critiche per riflettere sull’arte in termini storici e d’evoluzione dello stile. La conclusione è che molti dei concetti generali utilizzati da Cennino (‘maniera’, ‘aria’, ‘fantasia’), in cui spesso si vede il primo fiorire della terminologia artistica del primo rinascimento, debbono essere invece interpretati in senso diverso, come conferma della natura esclusivamente tecnico-artigianale (e non teorica) dello scritto di Cennini.

In definitiva, Seiler si pone idealmente nella medesima traiettoria di Albert Ilg (con la sua introduzione alla prima traduzione tedesca pubblicata a Vienna nel 1871 [2]) che considera Cennini un artista fallito, erede di un’arte ormai priva di ogni capacità creatrice, e (più di cent’anni dopo) di Rudolf Kuhn a Monaco di Baviera, che non riconosce a Cennino alcuna capacità di essere un teorico della composizione pittorica, capacità invece attribuita a Leon Battista Alberti [3]. L’altra scuola presente nel mondo tedesco si fonda sui primi scritti sul tema di Julius von Schlosser, stilati a Vienna nel 1914 e poi ripresi nella sua Letteratura artistica del 1924; qui Cennini è visto come l’inventore del moderno linguaggio pittorico. Ad un Cennino antesignano della modernità aveva creduto anche Jan Verkade, con la sua seconda traduzione tedesca pubblicata a Strasburgo, all’epoca ancora città tedesca, nel 1916 [4]. Più recentemente, era stata questa la tesi principale del catalogo della mostra su Cennino Cennini, tenutasi a Berlino e curata da Wolf-Dietrich Löhr e Stefan Weppelmann [5]. La capitale tedesca sembra dunque attualmente ospitare due scuole di pensiero sul tema.


Fig. 2) La copertina del volume di Rombach e Seiler, pubblicato nel 2012

Il saggio di Seiler, un testo ricco e denso di 43 pagine, pubblicato in caratteri fittissimi, con quasi trecento note e una vasta bibliografia, ha un titolo complesso e di difficile traduzione: “Giotto – das unerreichte Vorbild? Elemente antiker imitatio auctorum-Lehren in Cennino Cenninis Libro dell’Arte”. Il titolo utilizza uno degli strumenti retorici tipici della lingua accademica tedesca, in cui spesso il tema principale di uno scritto è posto in forma interrogativa, per poi esaminare i diversi argomenti a favore o contro una determinata tesi, e nella maggior parte dei casi per rigettarla. La traduzione italiana letterale è: “Giotto: il modello che non è stato eguagliato? Elementi dell’antica dottrina dell’imitatio auctorum nel Libro dell’arte di Cennino Cennini.”

Peter Seiler è uno dei promotori di un vasto programma di ricerca interdisciplinare che vede la collaborazione di varie istituzioni, fra cui le due università di Berlino (Humboldt e Libera università di Berlino), il Max-Planck-Institut e i Musei di Stato della capitale tedesca. Il titolo del progetto (avviato nel 2008) è “Le trasformazioni dell’antico”; si tratta di indagare quanta parte dell’identità di ogni epoca, compresa quella odierna, dipenda da un processo di imitazione ed al tempo stesso di trasformazione dell’immagine del passato; a tal fine sono utilizzati strumenti interdisciplinari, fra cui la storia dell’arte. Il frutto più tangibile del programma è la pubblicazione, fino ad oggi, di 34 volumi nell’ambito di una collana che s’intitola appunto “Trasformazioni dell’antico”. [6] Il saggio di Seiler è contenuto nel volume “Imitatio als Transformation. Theorie und Praxis der Antikennachahmung in der frühen Neuzeit” [7], edito da Ursula Rombach e Peter Seiler nel 2012. La traduzione italiana è “Imitazione come trasformazione. Teoria e prassi dell’imitazione dell’antico nella prima epoca moderna”.


Il quadro teorico

Considerando il tema dell’imitazione nella teoria estetica, Seiler distingue tra ‘imitazione della natura’ ed ‘imitazione degli autori’. Nel primo caso si imitano le forme direttamente osservabili in natura, nel secondo caso si imita lo stile di altri autori. Implicitamente, la seconda forma viene considerata superiore, perché rende possibile all’artista creatore di ‘battere’ la natura.

La prima tipologia d’imitazione risale all’osservazione aristotelica che l’arte imita la natura e trova costante riscontro negli scritti di letteratura artistica, ma anche tra filosofi, letterati e poeti, durante tutta l’antichità ed il medioevo. Il tema è ovviamente presente anche in Cennini, in particolare nel capitolo 28, dove si spiega che l’imitazione della natura è la via principale per raggiungere l’eccellenza. Il testo viene citato da Seiler nella versione di Frezzato del 2003: “Attendi ch lla più perfetta ghuida che possa avere e migliore timone, si è la trionfal porta del ritrarre de naturale. E questo avanza tutti gli altri essempri; e ssotto questo chon ardito chuore sempre ti fida, e specialmente chome inchominci ad aver qualche sentimento nel disegniare. Cho˂n˃tinuando ogni dì no manchi disegnar qualche cosa, che non serà sì pocho che non sia assai , e faratti ecciellente pro.

La seconda tipologia (l’imitatio auctorum cui fa riferimento il titolo del saggio di Seiler) identifica il modello da imitare per l’artista (inteso in senso molto ampio) non nell’osservazione diretta della natura, ma nell’opera di artisti (autori) precedenti. Questa seconda tipologia d’imitazione continua ad essere comune nei riferimenti ad opere letterarie (scrittori, poeti, studiosi di retorica fanno continuamente riferimento a testi letterari o filosofici o retorici del mondo greco e latino), ma scompare completamente nel mondo delle belle arti dopo la fine dell’antichità greco-latina. Seiler ricorda che Leon Battista Alberti osserva con stupore questa assenza nel prologo al De Pictura. Riferimenti all’imitazione delle opere d’arte degli antichi, come modello per l’arte contemporanea, non compaiono ancora nella letteratura artistica del 1300, rimangono una rarità nel 1400 (la definizione di Donatello da parte di Cristoforo Landino come ‘grande imitatore degli antichi’) e si diffondono invece nel 1500, come osservato da Erwin Panofsky [8]. L’unica eccezione è forse costituita da Cennino Cennini, ed in particolare dalla sua esortazione ai giovani artisti ad imitare le ‘maniere’ dei migliori maestri, nel capitolo 27 del Libro dell’Arte. Di qui la domanda se Cennino testimoni l’esistenza nel 1300 di una tradizione teorica sull’imitazione delle opere degli artisti, oggi andata persa; oppure se egli sia il primo ad adattare alle belle arti un modello retorico (quello dell’imitatio auctorum) che era rimasto vivo per le opere letterarie o di altro genere; ed infine se per l’apprendista pittore, le opere d’arte che dovevano essere imitate si dovessero limitare a quelle del proprio maestro (qualunque egli fosse), oppure potessero includere anche i lavori di Giotto e dei giotteschi, o addirittura quelli dell’antichità classica.

Ecco il capitolo 27: "Come ti de' ingiegniare di ritrarre e disegniare di meno maestri che può. Pure a tte è di bisognio si seguiti innnazi, acciò che possi seghuitare il viaggio della detta scienza. Tu ài fatto le tue carte tinte; e mestieri disegniare. De' tenere questo modo: avendo prima usato un tempo il disegniare, chome ti dissi di sopra, cioè in tavoletta, affatichati e dilettati di ritrar sempre le miglior cose che trovar puoi, per mano fatte di gran maestri. E sse se' in luogho dove molti buon maestri sieno stati, tanto meglio a tte, ma per chonsiglio io ti do: ghuarda di pigliar sempre il miglior e quello che à maggior fama; e seghuitando di dì in dì , contra la natura sarà che a tte non vengha preso di suo' maniera e di suo' aria, però che se tti muovi a ritrarre oggi di questo maestro, doman di quello, né maniera dell'uno né maniera dell'altro non n'arai, e verrai per forza fantastichetto, per amor che chiaschuna maniera ti stracierà la mente. Ora vo' fare a modo di questo, doman di quello altro, e chosì nessuno n'arai perfetto. Se seghuti l'andar d'uno, pe' chontinovo uxo ben sarà lo intelletto grosso che non ne pigli qualche cibo; poi a tte interverrà che sse punto di fantasia la natura t'arà concieduto, verrai a pigliare huna maniera propria per te, e non potrà essere altro che buona, perché la mano, lo intelletto tuo essendo sempre huso di pigliare fiori, mal saprebbe tòrre spina.''

Secondo Seiler interpretare il capitolo come se prescrivesse una regola, secondo cui si deve imitare un solo maestro, ed in particolare il migliore, facendone un canone esclusivo di riferimento per tutti gli artisti di un’epoca, forza le intenzioni di Cennini. Il paragrafo 27 include infatti un riferimento esplicito che esclude dalla regola chi si trovi in un grande centro artistico (come Firenze o Padova) ed esplicitamente lo esorta (in questo caso) a cercare modelli diversi, identificando le opere migliori dei grandi maestri. Il capitolo 122 include addirittura un invito ad ispirarsi ad altri maestri: “ché puoi ritrarre e vedere delle chose per altri buoni maestri facte, che a tte nonn-è vergognia”. La raccomandazione di evitare un eccessivo eclettismo non è dunque una regola generale, ma sembra invece un puro consiglio didattico destinato soprattutto ai pittori che vivono in centri minori, là dove probabilmente sarebbe stato più difficile trovare modelli alternativi che avessero un valore artistico di riferimento.


Cennino e l’antico

Seiler osserva che il Libro dell’Arte non contiene alcuna citazione di artisti o di opere d’arte del mondo antico (come si è detto, era la regola in quegli anni). Vi sono solamente due citazioni indirette all’arte antica [9], in anni dove la riscoperta dell’antico era motivo fondamentale del nuovo mondo umanista (si pensi all’affermazione di Leon Battista Alberti che, solamente qualche decennio dopo, dichiara di voler basare il suo De Pictura sulle fondamenta dell’antichità). Al contrario, il Libro include frequenti riferimenti religiosi (la trinità, la Vergine Maria, i santi). Seiler ipotizza che ciò possa avere due ragioni. Da un lato, Cennino probabilmente frequentava ambienti molto tradizionali, forse legati ad un mondo ecclesiale che non vedeva di buon occhio il crescente interesse per l’antico mondo pagano. Dall’altro, egli non possedeva un grado d’istruzione sufficiente per fare un uso puntuale di fonti testuali greci e latini. Per queste ragioni Seiler esclude che Cennino abbia letto Orazio, da cui ha origine il paragone tra pittura e poesia, che viene enunciato anche all’inizio del Libro. Tuttavia, Seiler non esclude affatto che, pur non avendo avuto a disposizione testi del mondo antico, Cennino abbia fatto uso di fonti scritte sulle tecniche artistiche e sui colori – probabilmente compendi medievali – che egli avrebbe potuto trovare in monasteri. L’affermazione, contenuta al paragrafo 63, che le conoscenze per comporre l’opera derivino esclusivamente dall’insegnamento presso Agnolo Gaddi e dalle esperienze come pittore non è ritenuta credibile. Seiler ritiene inoltre possibile che in molti casi Cennino abbia anche potuto beneficiare di fonti orali, ancora una volta grazie a contatti con membri di ordini monastici. Molto meno probabili sono, a suo parere, interazioni con ambienti umanistici fiorentini e padovani.


Fig. 3) Giotto, Compianto sul Cristo morto - Cappella degli Scrovegni, 1303-1305

Fig. 4) Cennino Cennini, Nascita di Maria, Museo Comunale, Colle Val d’Elsa
Fonte: Museo Bozar, Bruxelles, http://www.bozar.be/dbfiles/pfile/201410/pfile254528_activity14090.jpg

Cennino e Giotto

I riferimenti culturali all’età di Giotto sono invece assai frequenti. Giotto nasce cent’anni prima di Cennino, ed è a Padova probabilmente cent’anni prima di lui. Dunque l’età di Giotto rappresenta per Cennino un passato ormai lontano, ma comunque sufficientemente autorevole da sollecitare soggezione e rispetto, e dunque anche giustificare imitazione. Significa dunque che Cennino inaugura un nuovo paradigma, raccomandando agli artisti d’imitare non più gli antichi ma sempre e solo Giotto?

Il rapporto tra Cennino e Giotto è al centro del saggio dello studioso berlinese. È risaputo che Cennino proclama con molta fierezza la sua appartenenza ad una scuola d’arte che origina da Giotto ed è continuata da Taddeo ed Agnolo Gaddi. Già le prime righe del testo spiegano che il Libro è stato “fatto e composto … a rriverenza … di Giotto, di Taddeo e d’Agnolo”. Seguono le già citate righe sul ruolo di Giotto, da cui origina la questione se Cennino consideri Giotto il punto di partenza di un processo di modernizzazione dell’arte, oppure il culmine non più raggiunto dell’arte stessa. 

Tuttavia Seiler vuole mettere in evidenza alcuni aspetti critici. Egli nota, in primo luogo, che nella letteratura del suo tempo era ovvio che gli autori di trattati di retorica o di poesia invitassero gli allievi a misurarsi direttamente con le opere dei maggiori esponenti di quelle discipline (si pensi al ruolo che viene ascritto a Cicerone come modello per la retorica). In nessuna parte del Libro, al contrario, si richiede che l’apprendista pittore debba imparare disegno o pittura attraverso la copia di opere di Giotto; egli non invita neppure i pittori che hanno terminato il loro apprendistato ed operano ormai indipendentemente a misurarsi con i suoi capolavori. Il riferimento a Giotto nelle prime pagine del Libro non intende dunque elevarlo a nuovo canone artistico, ma ha piuttosto l’obiettivo di utilizzarne la fama al fine di avvalorare le pagine di Cennino come ultima manifestazione della sua scuola, a cent’anni dal passaggio dell’artista nei luoghi dove il trattato veniva composto.

Anche il riferimento all’arte greca e quella latina deve essere riletto alla luce delle coordinate cenniniane. All’autore del Libro manca l’idea che gli artisti possano sviluppare un sistema estetico proprio, nel senso moderno di uno stile; considera la pittura come un’attività manuale complessa, che richiede la padronanza di competenze differenti, ma non come la manifestazione di un’idea indipendente d’arte. Dunque, Cennini non può far riferimento all’arte greca ed a quella latina come a due stili differenti, giustificati da rispettivi sistemi estetici opposti tra loro (quello ieratico dell’arte bizantina e quello naturalista dell’arte occidentale). L’espressione “rimutò l’arte del dipingere di grecho in latino e ridusse al moderno” va dunque letta diversamente, anche facendo riferimento a simili espressioni in Ghiberti e Boccaccio, senza dare un senso peggiorativo alla tradizione, greca o bizantina che fosse. Giotto viene lodato come colui che ha trasmesso il saper fare tradizionale (greco) agli artisti dei suoi giorni (latino), al tempo stesso aggiornandolo.   


Cennino e la sua epoca

Il tema può essere discusso in due connotazioni diverse. La prima è il rapporto tra Cennino e l’arte del suo tempo. La seconda è quella della relazione tra Cennino e gli intellettuali del suo tempo, ovvero gli umanisti.

Sul primo aspetto, Seiler si chiede se le affermazioni di Cennino sull’ “arte compiuta” di Giotto  (e addirittura sull’ arte più compiuta che nessuno abbia mai più avuto) vogliano addirittura indicare che i pittori si debbano rifare all’epoca di Giotto ma non ai giotteschi che lo hanno seguito e di cui Cennino è stato diretto allievo. Non mancano infatti nel Libro accenti critici nei confronti di Taddeo Gaddi, il primo degli allievi di Giotto, il cui figlio Agnolo (ovvero il suo maestro) è invece ‘molto più vagho e fresco’, come si legge nel capitolo 67. Vi sarebbe insomma una presa di distanza critica rispetto all’arte dei decenni immediatamente precedenti. Del resto, Cennino non può aver ignorato che molti autori della sua epoca avevano implicitamente o esplicitamente espresso critiche sull’arte dei giotteschi. In particolare Filippo Villani (che pur aveva tessuto le lodi di Taddeo) li paragonava a rigagnoli (rivuli) rispetto al ruolo di Giotto, che era stata la fonte (fons) di una nuova arte capace d’imitare la natura. Il Sacchetti, nella sua Novella 136, dà addirittura la parola a Taddeo Gaddi per fargli dire che l’arte è in pieno decadimento dall’epoca di Giotto: “Per certo assai valenti dipintori sono stati e che hanno dipinto per forma ch’è impossibile a natura umana poterlo fare; ma questa arte è venuta e viene mancando tutto dì.”

E tuttavia anche in questo caso Seiler esita ad attribuire a Cennino una capacità critica di storico dell’arte. E ritiene che in fondo Cennino voglia semplicemente difendere la tradizione giottesca, senza menzionare in alcuna forma altre correnti artistiche e senza porre in discussione la capacità dei giotteschi di raggiungere i risultati estetici del maestro, come pura forma di legittimazione del proprio sapere. 

Va detto comunque, a questo proposito, che uno studioso come Miklos Boskovits era giunto alla conclusione che Cennino fosse un innovatore in senso‘espressionista’ del giottismo classico, di cui non sarebbe stato più seguace. Ciò dimostra quanto, nel caso di Cennino, l’interpretazione di alcuni capitoli chiave del Libro dell’Arte sia legata a criteri interpretativi personali e possa dare risultati del tutto differenti.

Molto si è discusso sul secondo tema, ovvero se Cennino abbia fatto parte dei circoli umanistici di Firenze e Padova. Ai rapporti tra Cennino e gli umanisti di Firenze è dedicato un bellissimo saggio di Wolf-Dietrich Löhr nel catalogo della mostra di Berlino [10], che giunge alla conclusione che Cennino era pittore colto, e che era giunto a Padova essendo già parte dei circoli umanistici fiorentini. Nella sua recentissima nuova versione inglese del Libro dell’Arte, Lara Broecke sostiene che Cennino era completamente immerso in quell’ambiente negli anni della sua presenza alla corte dei Carrara, a cavallo tra 1300 e 1400, al punto da concepire l’opera come un tentativo autopromozionale, volto sostanzialmente a misurarsi con le altre personalità di quell’ambiente [11].

Come ho già avuto modo di notare, Seiler ha un’opinione assai diversa. Il suo scritto giunge infatti alla conclusione che i paralleli tra il pittore toscano e gli intellettuali della sua epoca sono molto azzardati. Cennino era cresciuto nell’ambiente dei Gaddi, e dunque non solamente nel cuore della cultura artistica toscana, ma anche in ambienti molto vicini a Filippo Villani. Villani aveva infatti tessuto, come già detto, le lodi di Taddeo Gaddi. È inoltre provato che Angelo Gaddi, nipote di Taddeo, possedesse una copia manoscritta del Liber de origine civitatis. Seiler osserva che, nonostante riferimenti occasionali a Villani, “è sorprendente che le affermazioni di Villani non trovino un’eco più marcata” nel Libro. “La distanza critica di Cennini dagli ambienti umanistici ne offre la spiegazione più ovvia.”

Il catalogo berlinese del 2008 si sofferma inoltre sui rapporti tra Cennino e l’umanista Pier Paolo Vergerio, anche sulla base di una tradizione di studi al riguardo. Il tema è importante, perché sia Vergerio sia Cennino operavano in quegli anni a Padova, anche se non vi è alcuna prova che si conoscessero. In effetti, alcuni studiosi [12] - spiega ancora Seiler - hanno tracciato un parallelo tra il già citato capitolo 27 del Libro dell’arte e il passo di una lettera di Vergerio a Lodovico Buzzacarino del 1396. In entrambi i testi, gli autori consigliano i giovani a identificare un unico maestro e a seguirne l’opera; nella lettera di Vergerio vi è un riferimento esplicito a Giotto per la pittura. Sulla base del parallelo, si può credere che, alla corte di Padova, Giotto fosse ormai universalmente assunto a unica fonte da imitare in quegli anni. Si tratterebbe dunque della prima forma di imitatio auctorum nella storia dell’arte dei tempi moderni.

Quest’interpretazione sembra eccessiva allo studioso berlinese. Vergerio – spiega Seiler – aveva semplicemente inteso contraddire Seneca, il quale aveva sposato, nelle Lettere morali, una tesi eclettica e aveva proposto che i poeti traessero spunto dal maggior numero possibile di fonti letterarie, così come un’ape raccoglie il nettare posandosi su qualsiasi fiore. Vergerio invece aveva raccomandato di adeguarsi sempre a Cicerone per la retorica e, per l’arte, di studiare le immagini dei migliori artisti, ma poi di seguire sempre e solo l’esempio di Giotto. Sia Seneca sia Vergerio e Cennino fanno riferimento alla medesima similitudine dell’ape.

Seiler non è però convinto che le similitudini tra i passaggi di Cennino e Vergerio rivelino una comune intenzione. Come già spiegato, nessun passo del Libro dell’arte contiene un’esortazione specifica ad imitare le opere di Giotto, mentre Cennino invita gli allievi ad imitare i loro maestri, qualunque essi siano; inoltre, Vergerio possedeva conoscenze assai limitate in campo artistico, ed i suoi riferimenti a Giotto erano puramente retorici, dal momento che egli aveva adattato al più famoso pittore dell’epoca le stesse affermazioni che Cicerone aveva fatto, a suo tempo, a riguardo di Lisippo. 

Fig. 5) Il saggio di Peter Seiler, disponibile anche sull’archivio elettronico dell’Università di Heidelberg (http://archiv.ub.uni-heidelberg.de/artdok/3181/1/Seiler_Giotto_das_unerreichte_Vorbild_2012.pdf)


Alcune importanti implicazioni per la lettura di Cennino

È ovvio che le considerazioni di cui sopra hanno per Seiler importanti conseguenze ai fini dell’interpretazione concettuale del testo. Si fa riferimento in particolare ai termini ed alle categorie che più hanno sollecitato l’attenzione degli studiosi cenniniani negli ultimi centocinquant’anni.

Maniera
Spesso si legge il capitolo 27 come se Cennino affermasse che solamente affidandosi all’imitazione dello stile del maestro durante il suo lungo tirocinio l’allievo pittore possa sviluppare un proprio stile personale. Seiler ritiene che si tratti di un fraintendimento. In realtà, secondo lo studioso tedesco, ‘maniera’ non è quello che Dante descrive come ‘lo bello stile che m’ha fatto onore’ e ancor meno la ‘bella maniera’ di Vasari. “La maniera acquisita è invece in primo luogo una modalità di lavoro che viene conseguita attraverso la copiatura continua di essempri.” Caratteristica della maniera è in particolare il fatto che possa essere descritta, consistendo dunque di elementi di natura tecnica che possono essere assorbiti da una ripetizione continua ed incessante.

Aria
Anche il termine aria, che si trova una sola volta nel Libro dell’Arte (appunto nel capitolo 27) non può essere inteso nel senso moderno come stile, nel senso della caratteristica individuale di un’artista. Si tratta tuttavia, secondo Seiler, di quegli aspetti della routine di un pittore “che non possono essere descritti con concetti e regole” ma possono comunque essere acquisiti attraverso l’imitazione. Uno studio comparato dell’uso del termine presso molti altri autori del Trecento e Quattrocento identifica l’aria con la facilità d’esecuzione.

Fantasia
L’impiego da parte di Cennini del termine fantasia come uno dei fondamenti dell’arte – insieme ad ‘intelletto’ e ‘operazione di mano’ – è stato spesso visto come la prova che l’autore non ha solamente una concezione tecnica dell’arte, ma fa anche i primi passi verso la consapevolezza che l’artista ha il ruolo di creatore e come tale può rivaleggiare con la natura e può addirittura batterla, a condizione che sappia sviluppare le sue capacità e sviluppare uno stile orientato al bello. Il tema della fantasia in Cennino è al centro dei già citati studi di Boskovits e del catalogo della mostra berlinese su Cennino del 2008. Anche in questo caso Seiler è scettico: sono altri gli autori che impiegano il termine in senso moderno. Dante aveva già parlato, a questo proposito, di alta fantasia, mentre Alberti avrebbe scritto dell’artista come alter deus, un secondo dio che possiede la sua medesima capacità di creazione. Cennini invece farebbe riferimento alla fantasia semplicemente come predisposizione naturale a far pieno uso delle doti personali, come si ricava dal capitolo 1 (“Quel poco saper che gli a Iddio dato”).   


NOTE

[1] Venturi Lionello, La critica d’arte alla fine del Trecento (Filippo Villani e Cennino Cennini), in: L’arte. Rivista di storia dell’arte medievale e moderna 28/4, 1925, pp. 233-244. See: http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/arte1925/0261?sid=4e7a93ea0aae0979cfd48cee654f4b71.


[5] Si veda: Francesco Mazzaferro, Cennino Cennini a Berlino. Recensione a: Fantasia ed operazione di mano: Cennino Cennini e la tradizione della pittura toscana da Giotto a Lorenzo Monaco.

[6] Per una lista delle pubblicazioni, si veda: http://www.sfb-antike.de/index.php?id=248&L=6.

[7] Rombach, Ursula e Seiler, Peter, Imitation als Transformation: Theorie und Praxis der Antikennachahmung in der frühen Neuzeit, Petersberg, Imhof Verlag, 2012, 173 pagine.

[8] Panofsy, Erwin, Die Renaissancen der europäischen Kunst, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1960.

[9] Un riferimento ad una ‘porta di trionfo’ al capitolo 28 ed alla qualità dei nudi nella scultura antica al capitolo 185.

[10] Löhr, Wolf-Dietrich – Handwerk und Denkwerk des Malers. Kontexte für Cenninis Theorie der Praxis (Lavoro di mano e attivitá intellettuale del pittore. Contesti per la teoria della prassi di Cennini), in “Fantasie und Handwerk – Cennino Cennini und die Tradition der toskanischen Malerei von Giotto bis Lorenzo Monaco", (“Fantasia ed operazione di mano. Cennino Cennini e la tradizione della pittura toscana da Giotto a Lorenzo Monaco”), Monaco, Hirmer, 2008, 334 pagine. Il saggio è alle pagine 153-176.

[11] Si veda in questo blog Lara Broecke. Cennino Cennini's 'Il libro dell'arte'. A New English translation and commentary with Italian transcription

[12] Bolland, Andrea – Art and Humanism in Early Renaissance Padua: Cennini, Vergerio and Petrarch, in: Renaissance Quarterly, 1996, pp. 469-487; Kemp, Martin, Der Blick hinter die Bilder. Text und Kunst in der italienischen Renissance, Köln, 1977.

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