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venerdì 4 dicembre 2015

Johann David Passavant, Contributi alla storia delle antiche scuole di pittura in Lombardia (1838)


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Johann David Passavant
Contributi alla storia delle antiche scuole di pittura 

in Lombardia (1838)
A cura di Alfonso Litta

Cinisello Balsamo (Mi), Silvana Editoriale, 2015

(recensione di Giovanni Mazzaferro)


Johann David Passavant, Autoritratto (1818), Francoforte, Städel Museum
Fonte: Wikimedia Commons
Qual è la prima cosa che ho pensato quando ho finito di leggere questo libro? O – meglio - cos’è che mi è venuto in mente mentre lo leggevo e mi ha accompagnato fino all’ultima pagina, tanto che ora non posso far a meno di parlarne?

Semplice: nel caso dei Contributi alla storia delle antiche scuole di pittura in Lombardia di Johann David Passavant la collocazione nella collana Fonti e strumenti per la storia e l’arte di Bergamo è una forzatura che si può spiegare solo con l’opportunità data al curatore di giungere alla pubblicazione (da cogliere al volo!). Lo stesso Passavant dice di voler limitare le sue notizie alle scuole pittoriche di Milano, Treviglio e Lodi, e non considera Bergamo. E attenzione: è vero che si parla di Treviglio, oggi in provincia di Bergamo, ma  va ricordato che, in seguito alla battaglia di Agnadello (1509), proprio Treviglio rimase sotto il controllo di Milano mentre Bergamo fu possedimento veneziano fino alla rivoluzione francese.

D’altra parte, se fossi in Giulio Orazi Bravi e Simone Facchinetti, direttori della collana, non smetterei mai di sfregarmi soddisfatti le mani, semplicemente perché, a mio parere, di opere di questo livello ne escono cinque all’anno. Quando va bene.

Bramantino, Madonna delle torri, Milano, Pinacoteca Ambrosiana. Commento di Passavant alle pp. 39-41
Fonte: Wikimedia Commons


La prima storia della pittura milanese del Rinascimento

Quella proposta da Alfonso Litta (un cognome che dice tutto) è la traduzione italiana degli articoli scritti da Johann David Passavant e comparsi a cadenza grosso modo settimanale sulla rivista Kunst-Blatt fra l’agosto e il settembre 1838. È – di fatto – la prima storia a stampa della pittura milanese nel Rinascimento, se si escludono le note (non particolarmente felici) di Lanzi nella Storia Pittorica. Il problema critico della ricostruzione della scuola pittorica milanese è noto e, per fortuna, vive proprio in questi mesi un ritorno di fiamma anche nell’ambito della letteratura artistica. A differenza di altre realtà come quella bolognese col Malvasia, il Milanese “in senso stretto” non vede emergere una reazione organica alla visione toscano-centrica delle Vite vasariane. Per essere precisi: si parla spessissimo di pittura lombarda e di scuola lombarda, ma lo si fa in maniera “larga”: la Lombardia comprende le terre di pianura includendo l’Emilia coi Carracci e con Guido Reni, con Correggio e Guercino. Su Milano quasi nulla. Milano è Leonardo e, al massimo, i suoi discepoli. In questo contesto, scritti come ad esempio quelli primo-secenteschi di Girolamo Borsieri (di cui è appena uscita l’edizione commentata del ‘Libro di Lettere’ [1]) sono fondamentali per la ricostruzione di un gusto collezionistico, ma anche per penetrare meglio la complessità di un mondo artistico che altrimenti rischierebbe di essere tutta schiacciata sul leonardismo.


Gaudenzio Ferrari, Particolare dal 'Paradiso accoglie la Vergine': 'Il concerto degli angeli', 1535. Cfr. Passavant, p. 49
Saronno,  Santuario della Beata Vergine dei Miracoli
Fonte: Wikimedia Commons


In realtà si conoscono diversi tentativi, a partire dalla seconda metà del Settecento in poi, per giungere a una storia della pittura milanese (si vedano le pp. XVII-XVIII); tutti falliscono prima che il risultato sia ottenuto. I più noti sono senza dubbio quelli di Antonio Francesco Albuzzi, autore fra 1772 e 1778 di un manoscritto (incompleto) intitolato Memorie per servire alla storia de’ pittori, scultori e architetti milanesi di cui è incorso di stampa (e attesissima) l’edizione critica [2]; gli sforzi di Giuseppe Bossi, i cui interessi per Leonardo erano già sfociati nel suo Cenacolo, ma che non riuscì invece a produrre altro per via della morte prematura; ed ancora quelli di Gaetano Cattaneo, che a sua volta raccolse la sfida ma non riuscì a concluderla. La cosa curiosa di tutti questi tentativi è che la documentazione che li testimoniava andò via via accumulandosi, passando prima dalla scrivania di Albuzzi a quella di Bossi; da Bossi a Cattaneo e, dopo la sua morte, ad Ignazio Fumagalli, i cui eredi la vendettero al conte Gaetano Melzi prima del 1846. Purtroppo, quasi un secolo dopo, l’intera documentazione andò distrutta sotto i bombardamenti del 1943.

Cesare da Sesto, Battesimo di Cristo, Milano, Collezione Gallarati Scotti. Cfr. Passavant p. 64
Fonte: Wikimedia Commons

Ma qualche erudito ebbe modo di consultare le carte. Fra questi Passavant, che ne conosceva l’esistenza ed ebbe modo di vederle grazie alla cortesia di Gaetano Cattaneo. Molto probabilmente Passavant legge i documenti fra il 1834 e il 1835, durante il suo soggiorno più prolungato in Lombardia [3]. Nel 1838 pubblica i Beiträge zur Geschichte der alten Malerschulen in der Lombardei sul Kunst-Blatt. L’eco della pubblicazione non è certo epocale e soprattutto, dopo le citazioni di Eastlake, Kugler e Rio [4] va man mano scemando. La mancanza di attenzione è a mio avviso legata anche ad aspetti di carattere nazionalistico. È appena evidente che nella neonata Italia unita è più facile citare l’opera del Calvi (1859) o quella del garibaldino Cavalcaselle (1871) che rifarsi all’esperienza del tedesco Passavant. L’aspetto più preoccupante è che, fino ad oggi, i Contributi sono rimasti nell’oblio:  si pensi che dal 1987 in poi risultano citati di sfuggita solo in tre occasioni. E qui si apre un problema di metodo da non trascurare.


Boltraffio, Pala Casio, Parigi, Museo del Louvre. Cfr. Passavant p. 80
Fonte: Wikimedia Commons


L’anamnesi critica

È l’occasione, se non altro, per segnalare che Litta esce dalla scuola (inconfondibile) di Giovanni Agosti e che a quest’ultimo si deve una breve presentazione in cui si sottolinea la necessità di ricostruire la fortuna critica delle opere. Di fronte a un dipinto, insomma, non si può e non si deve ricorrere alle informazioni fornite dalla fonte più recente, ma si deve ricostruire l’anamnesi critica dell’opera. Spesso si finisce per scoprire che attribuzioni ritenute recentissime sono in realtà proposte secoli prima; certamente si è in grado di valutare meglio, in una prospettiva storica, il maturare della disciplina. I Contributi di Passavant, ad esempio, costituiscono senza dubbio il felice incontro fra la tradizione manoscritta di cui abbiamo parlato poco fa, le (poche) fonti a stampa, accuratamente studiate (Vasari, Lomazzo, Lanzi e l’Anonimo morelliano [5]) e un metodo che è già da connoisseur, con la ricognizione palmo a palmo del territorio milanese e un metodo descrittivo che è proprio di chiunque abbia cominciato la carriera da pittore dilettante (conoscendo quindi la tecnica) e ricorda per qualche aspetto le osservazioni morelliane. Non c’è nulla di perfetto in Passavant: ancora si crede che i Bramantini siano due, ad esempio; ma ci sono intuizioni preziose, che risultano negli articoli a stampa e (ancor di più, a detta di Agosti e Litta) nei taccuini di Johann David conservati a Francoforte, recentemente studiati da Miriam Laffranchi e in attesa di un’augurabile pubblicazione.


Marco d'Oggiono. Pala dei tre Arcangeli, Milano, Pinacoteca di Brera. Cfr. Passavant p. 91
Fonte: Wikimedia Commons


Passavant

Passavant (nato a Francoforte da una famiglia di commercianti) pubblica i suoi articoli sul Kunst-Blatt a 51 anni; sta vivendo anni che segneranno il resto della sua esistenza. Non approda prestissimo al mondo dell’arte, e quando lo fa, a Parigi, entra nello studio di un pittore neoclassico come David. L’incontro che lo folgora è quello coi pittori Nazareni tedeschi a Roma. In Italia soggiorna per anni, viaggiando instancabilmente e accantonando presto l’attività artistica per quella pubblicistica; dopo l’Italia è la volta dell'Inghilterra e del Belgio. Una delle sue opere di maggior successo (il Viaggio in Inghilterra e in Belgio), stampato a Francoforte nel 1833, per gli scherzi del destino viene tradotto in inglese tre anni dopo da Elizabeth Rigby, che diverrà la futura Lady Eastlake [6]. Fra 1834 e 1835 Passavant è a Milano. È in questo periodo che affronta su un piano sistematico lo studio della pittura milanese di fine Quattrocento e del Cinquecento. Non è affatto detto che si tratti esclusivamente di un impegno erudito. Negli stessi anni Johann David ricopre il ruolo di agente per conto dello Städel Museum di Francoforte, ed ha il compito di acquistare opere ritenute interessanti per la collezione museale. Nel 1838 escono – come detto – i Contributi sul Kunst-Blatt, ma, in termini editoriali, il capolavoro di Passavant è costituito dalla celeberrima monografia su Raffaello (Rafael von Urbino und sein Vater Giovanni Santi) pubblicata in tre volumi fra 1839 (i primi due) e 1858 e tradotta in francese, in inglese e in italiano. Nel 1840 diventa direttore dello Städel Museum e mantiene l’incarico fino alla morte (1861), entrando nel novero dei grandi direttori museali e conoscitori quali Gustav Waagen a Berlino e Charles Eastlake alla National Gallery a Londra.


Bernardino Luini. Santa Caterina condotta alla tomba. Milano, Pinacoteca di Brera.
Affresco staccato proveniente da Villa La Pelucca di Sesto San Giovanni. Cfr. Passavant p. 116
Fonte: http://www.lombardiabeniculturali.it/


Gli artisti

Ogni articolo si fonda sull’analisi dell’opera di tre o quattro artisti al massimo. Se ne fornisce un riassunto (incompleto, nel senso che vengono tralasciati i nomi appena citati):
  • Articolo I: Leonardo da Besozzo e Vincenzo Foppa
  • Articolo II: Vincenzo Civerchio, Bernardino Buttinone, Bernardo Zenale
  • Articolo III: Bramante, Bramantino, Andrea Solario, Gaudenzio Ferrari
  • Articolo IV: il Bergognone e Cesare da Sesto
  • Articolo V: Gian Antonio Boltraffio e Francesco Melzi
  • Articolo VI: Marco d’Oggiono e il Salaino
  • Articolo VII: Bernardino Luini
  • Articolo VIII: Albertino e Martino Piazza
  • Articolo IX: Callisto Piazza

Si è detto che il metodo di lavoro di Passavant passa dall’analisi delle fonti al riscontro sul campo, attraverso l’analisi dell’opera secondo aspetti che ricordano (e anticipano) quelli morelliani. Va aggiunto che, come nel caso di tutti i grandi conoscitori, il merito di determinate attribuzioni sta proprio nella possibilità di aver girato mezza Europa e di poter confrontare opere viste di persona. Johann David cita dalle collezioni francesi, inglesi tedesche, con la stessa disinvoltura con cui si occupa delle chiese parrocchiali di Lodi, stabilendo nessi che a chiunque altro sarebbero sfuggiti. Un caso a titolo di esempio: Passavant attribuisce a Marco d’Oggiono un dipinto conservato a Berlino e catalogato come di ambito vicino a Gaudenzio Ferrari sulla base del fatto che “si accorda molto nello stile con un’Assunzione di Maria del nostro Maestro [Oggiono], che si trova nella Pinacoteca di Brera (p. 95).


Albertino Piazza da Lodi, Polittico Berinzaghi, Lodi, Chiesa dell'Incoronata. Cfr. Passavant p. 142
Fonte: http://www.atlantedellarteitaliana.it/artwork-3522.html

Il commento

Non saremmo completi, tuttavia, se omettessimo di dire che il grande pregio della presente edizione è costituito dalla ricchezza del commento in nota. Si vede che siamo di fronte a un lavoro durato anni. Tornando al discorso dell’anamnesi critica di un’opera, si capisce cosa vuol dire praticarla per ogni opera, in maniera rigorosa e certosina, operando citazioni sempre puntuali. Naturalmente, nel caso di Litta l’anamnesi riguarda le eventuali attribuzioni precedenti dei quadri e le vicende successive che possono aver confermato o rivoluzionato le tesi di Passavant. La verità è che questo libro, per la ricchezza del lavoro svolto (e nella misura in cui viene trattata l’attività artistica di un determinato pittore) stabilisce (o, meglio, ribadisce) uno standard, che è quello che andrebbe impiegato ogni qual volta ci si trovi a dover presentare al pubblico un testo storicizzato. Lo stabilisce anche in termini di gruppi di lavoro. Fermo restando che siamo di fronte a un’opera di Litta, stupisce la ricchezza degli scambi di informazioni con altri storici dell’arte, impegnati su temi analoghi; l’impressione è che si sia di fronte a un team particolarmente affiatato. I Contributi di Passavant, fino a qualche anno, erano conservati in Italia in un unico esemplare; oggi è possibile consultarli su Internet. Ma non posso che ribadire quanto scritto da Giovanni Previtali nella sua introduzione alle Vite del Bellori (Previtali all’epoca parlava della differenza fra ristampe anastatiche ed edizioni commentate) [7]: abbiamo bisogno di commenti, di persone che si sbilancino e presentino ai lettori un’interpretazione (che non necessariamente sarà quella giusta) di uno scritto e fornisca loro i dati per decodificarlo. Credo, in tutta onestà, che sia quanto Alfonso Litta ha realizzato con il massimo profitto nella sua edizione dei Contributi di Passavant.  


NOTE

[1] Si veda in questo blog la recensione a Paolo Vanoli. Il 'libro di lettere' di Girolamo Borsieri: arte antica e moderna nella Lombardia di primo Seicento, Milano, Ledizioni LediPublishing, 2015.

[2] Antonio Francesco Albuzzi, Memorie per servire alla storia de’ pittori, scultori e architetti milanesi (a cura di Stefano Bruzzese), Milano, Officina Libraria. Uscita prevista dicembre 2015.

[3] Per completezza, segnalo che una decina d’anni dopo (nel 1846) Mary Philadelphia Merrifield consulta il manoscritto Albuzzi in mano al Conte Melzi e cita la circostanza due volte nei suoi ‘Original Treatises’. Si veda in questo blog Giovanni Mazzaferro. Mary Philadelphia Merrifield in Italia. Parte I: Piemonte e Lombardia, nota 20.

[4] Per le citazioni ottocentesche si vedano le pp. XIX e XX.

[5] All’epoca non era ancora noto che il manoscritto noto come Anonimo morelliano, perché scoperto alla Biblioteca Marciana di Venezia dall’abate Morelli fosse opera di Marcantonio Michiel.

[6] Eastlake e sua moglie ancora non si conoscevano. Passavant frequentò spesso il salotto Eastlake dopo il loro matrimonio. Lady Eastlake non sembra nutrire per lui particolare simpatia. Cfr. in questo blog la recensione a Susanna Avery-Quash e Julie Sheldon, Art for the Nation. The Eastlakes and the Victorian Art World.

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