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lunedì 14 dicembre 2015

Paolo Giovio. Dialogo sugli uomini e le donne illustri del nostro tempo




Paolo Giovio
Dialogo sugli uomini e le donne illustri del nostro tempo

A cura di Franco Minonzio

2 volumi
Torino, Nino Aragno, 2011

Ritratto di Vittoria Colonna, Firenze, Galleria degli Uffizi, Serie Gioviana
Fonte: Wikimedia Commons



[1] Il volume I presenta Introduzione, testo critico e traduzione; il II contiene Note, appendice e indici.

Ritratto di Giuliano de' Medici, Firenze, Galleria degli Uffizi, Serie Gioviana
Fonte: Wikimedia Commons

[2] Testo della bandella (del volume I):

“Allontanatosi nel luglio 1527 da Roma, da due mesi esposta al Sacco delle armate imperiali, Paolo Giovio ripara a Ischia, dove è accolto da Vittoria Colonna e dalla sua cerchia. Si è lasciato alla spalle le immagini terribili di una Roma violata e umiliata, ha negli occhi la prigionia di Clemente VII, con il quale ha diviso gli stenti dell’assedio di Castel Sant’Angelo, e tra breve apprenderà che è divenuto ostaggio degli occupanti anche Gian Matteo Giberti, uno degli amici più cari. Ha perduto i beni, ma non gli scritti, perlomeno non le Historiae (benché altrove abbia affermato diversamente): sa che assai peggiore è la sorte toccata a molti. E quando la Colonna lo invita a scrivere, perché non vada perduto il ricordo di quella disfatta dolorosa e angosciante, Giovio stende nel 1528, e quasi sicuramente conclude – in una prima redazione – nel 1529, il Dialogus de viris et foeminis aetate nostra florentibus, in tre libri, dedicato al Giberti e ambientato a Ischia, nell’ultimo scorcio dell’anno precedente, l’atroce 1527. Nella fictio del dialogo, in parte ricalcata su dati biografici certi, Paolo Giovio incontra ad Ischia Alfonso d’Avalos, marchese del Vasto e di Pescara, generale dell’armata di Carlo V, e di lì a poco Giovan Antonio Muscettola, senatore di Napoli. Con loro avvia, lungo l’arco temporale di tre giornate, una riflessione che, muovendo dalla coscienza della gravità della frattura segnata dal Sacco, coinvolge gli aspetti cruciali della crisi italiana (le ragioni della debolezza militare degli stati italiani nel libro I; le ragioni del declino della ricerca letteraria nel libro II; la fragilità dell’universo sociale signorile, compendiato nella bellezza e nella eticità femminile, entrambe evanescenti, nel libro III), componendo un inquieto affresco, dell’aristocrazia, militare e civile, e del ceto intellettuale della penisola.


Ritratto di Giovanni Pico della Mirandola, Firenze, Galleria degli Uffizi, Serie Gioviana
Fonte: Wikimedia Commons

Un perplesso senso del destino – Fato prudentia minor, era il motto scelto da Giovio, con eloquente inversione di un verso virgiliano (Georg. I, 416) – che lo spinge a fermare sulla pagina, grazie ad un calcolato gioco di anacronie, una situazione di incertezza e ambiguità, nella quale esiti alternativi erano ancora aperti, ma ad un contempo la coscienza di quanto, dopo il 1527, fosse contrastata l’autonomia delle corti italiane, soggette a strategie politico-militari ormai decise altrove, fanno di queste pagine di rara intelligenza, un documento imprescindibile della percezione del mutamento storico nel ‘500 italiano. Paolo Giovio, nel latino magnetico e tagliente che gli guadagnò l’ammirazione dei contemporanei, registra il fallimento delle categorie umanistiche, che non hanno retto all’urto della storia, assai meno razionale, assai meno esemplare di quanto si fosse creduto: «il sacco di Roma – scrisse Frances Yates – per opera degli eserciti del nuovo Carlo Magno è stata la risposta terribile della storia ai sogni degli umanisti italiani». E con l’isterilirsi della capacità di “presa” sulla realtà, da parte della cultura dell’umanesimo, Giovio ne percepì genialmente l’inevitabile progressiva marginalizzazione nella società italiana sopravvissuta alla stagione delle “guerre d’Italia”. Questo dialogo, come vide Carlo Dionisotti «scritto da un uomo d’altra tempra e testa che i vari Giraldi e Valeriano, resta un documento fondamentale della storiografia letteraria italiana del Cinquecento».”


Ritratto di Federico Zuccari, Firenze, Galleria degli Uffizi, Serie Gioviana
Fonte: Wikimedia Commons

[3] Testo della bandella (del volume II):

“Fondata su una nuova collazione dei tre manoscritti del XVI secolo, di proprietà della Società Storica Comense (Fondo Aliati, 28.1, parzialmente autografo di Giovio, e Fondo Aliati, 28.2, con varianti autografe gioviane) e della Biblioteca Comunale di Como (1.6.16, con varianti autografe gioviane), la presente edizione critica propone il testo del Dialogus in una forma profondamente rinnovata rispetto all’editio princeps (1984), che pure offrì per la prima volta il dialogo in veste integrale (compreso il libro II, già edito da Girolamo Tiraboschi sulla base di una copia trasmessagli da Giovan Battista Giovio): la presente edizione ne ha emendato gli errori, di lettura ma non solo, ha proposto inedite congetture fondate su nuove interpretazioni di punti problematici, e di fronte a codici pesantemente segnati da addizioni, sostituzioni e cancellazioni, un fitto intarsio di varianti, per lo più autografe, marginali e interlineari, ha offerto un nuovo apparato critico, ispirato a criteri che ambiscono ad una piena leggibilità. Se nuovo è il testo critico, inedita è la traduzione (finora del Dialogus erano stati pubblicati, in una lingua moderna, solo brevi lacerti): il commento, d’altro canto, non ha fruito della magnanimità di precursori con i quali confrontarsi, salvo – ancora – relativamente a brevi passi antologizzati, e l’introduzione (della cui ampiezza l’autore rispettosamente chiede venia) aspira a fornire alcune chiavi d’accesso, che si ritengono non denegabili, ad una comprensione storica del Dialogus.”


Ritratto di Cristoforo Colombo, Firenze, Galleria degli Uffizi, Serie Gioviana
Fonte: Wikimedia Commons

[4] Franco Minonzio ha curato anche l’edizione critica degli Elogia gioviani, pubblicata nei Millenni Einaudi nel 2006.


Ritratto di Caterina de' Medici, Firenze, Galleria degli Uffizi, Serie Gioviana
Fonte: Wikimedia Commons

[5] Il Libro II del Dialogus fu pubblicato dal Tiraboschi all’interno della sua Storia della letteratura italiana, con il titolo Fragmentum trium dialogorum. Paola Barocchi ne propose alcuni frammenti nei suoi Scritti d’arte del Cinquecento. Sonia Maffei non solo ha preso gli stessi frammenti e li ha ripubblicati (sia pur separatamente) nel 1999; ma, fruendo dell’edizione latina integrale pubblicata nel frattempo da Ernesto Travi, ha scelto anche estratti dal I e dal III libro, quali esempi di letteratura ecfrastica (Napoli e le ville reali, Gli scogli delle regine, Lamento sull’Italia).

Tuttavia, per un inquadramento del Dialogus nell’ambito della critica artistica di Paolo Giovio si veda Barbara Agosti, Paolo Giovio. Uno storico lombardo nella cultura artistica del Cinquecento (in particolare le pp. 42-48). Con un’avvertenza: Barbara Agosti non è certo tenera con le tesi sostenute da Minonzio negli Elogia e qui ribadite nell’Introduzione da Minonzio stesso proprio con riferimento all’Agosti (pp. CLI-CLXI); ma è senza dubbio colei che di Giovio ha svelato alcuni aspetti legati alla storiografia artistica che a nostro avviso erano colpevolmente sottovalutati.

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