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Ilaria Bianchi
La politica delle immagini nell'età della Controriforma
Gabriele Paleotti teorico e committente
Bologna. Editrice Compositori, 2008
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La copertina del volume. In copertina: Bartolomeo Cesi, Vergine in Gloria e i santi Benedetto, Giovanni Battista e Francesco, Bologna, San Giacomo Maggiore |
[1] L’opera si sviluppa nell’intreccio fra aspetti teorici e programmi iconografici proposti dal cardinal Gabriele Paleotti da un lato nei suoi scritti, primo fra tutti il Discorso intorno alle immagini sacre e profane del 1582, dall’altro negli episodi di committenza riconducibili al religioso bolognese (quali, ad esempio, la Confessio in San Pietro), in cui il ruolo precettivo del richiedente appare molto accentuato rispetto a quello dell’artista incaricato e proprio per questo di importanza non secondaria per farci comprendere come si sarebbe potuto sviluppare il quarto libro del Discorso, dedicato alla casistica delle immagini, se mai completato (si vedano le note all’edizione critica del Discorso pubblicata dalla Libreria Editrice Vaticana nel 2002). Intendiamoci: il ruolo e la figura del cardinale Paleotti sono già stati ampiamente indagati, a cominciare dalle raccolte antologiche di Paola Barocchi (il Discorso compare sia in Trattati d’Arte del Cinquecento fra Manierismo e Controriforma sia in Scritti d’arte del Cinquecento) per continuare con la Ricerca sulla teorica delle arti figurative nella riforma cattolica di Paolo Prodi e arrivando infine alla già citata edizione critica del Discorso.
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Ludovico Carracci, I Santi Giuseppe, Francesco e due committenti (La "Carraccina"), Cento, Pinacoteca Civica Fonte: Wikimedia Commons |
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Federico Barocci, Annunciazione, Assisi, Santa Maria degli Angeli Fonte: Wikimedia Commons |
[2] Il merito di Ilaria Bianchi è quello di aver condotto ricerche d’archivio, in particolare nell’Archivio privato Isolani (nobile famiglia bolognese) dove, oltre a documenti che sono serviti a ricostruire appunto gli episodi di committenza del cardinale, sono stati rinvenuti altri materiali di particolare interesse. Alcuni di essi restituiscono momenti di confronto con interlocutori ecclesiastici, ma anche con artisti, nel corso della stesura del Discorso intorno alle immagini sacre e profane: è il caso della lettera indirizzata nel 1580 da don Egidio da Matelica al Paleotti in cui si affronta uno dei temi più delicati nei confronti delle posizioni protestanti, ovvero quello delle reliquie; o, ancora, del frammento di lettera (quanto rimane di un testo miracolosamente scampato ad un incendio nella II guerra mondiale) del pittore Prospero Fontana, in cui dalla bocca di un artista emerge la perplessità di chi si confronta tutti i giorni col mercato e si vede in qualche modo “costretto” all’esecuzione di immagini “lascive” per non cadere in miseria; e chiede dunque un intervento a monte, in cui siano i confessori a convincere i potenziali committenti a richiedere solamente la realizzazione di pitture allineate ai precetti della Controriforma.
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Giovan Battista Crespi, detto Il Cerano, Fuga in Egitto, Bristol, City Art Gallery Fonte: Wikimedia Commons |
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Tanzio da Varallo, San Carlo Borromeo comunica gli appestati, Chiesa parrocchiale di Domodossola Fonte: Wikimedia Commons |
[3] La Bianchi rintraccia inoltre alcuni frammenti dal terzo e dal quarto Libro del Discorso. Stando a quanto indicato dal Paleotti nella princeps in italiano del 1582, il Discorso si doveva comporre di cinque libri, di cui solo due vennero pubblicati. Nel 1594, trasferitosi definitivamente il cardinale a Roma, il Discorso venne edito in lingua latina; la nuova versione ebbe subito eco più vasta rispetto alla princeps italiana; l’aspetto linguistico ne è solo uno dei motivi. Il cardinale aveva assunto maggior peso nella gerarchia ecclesiastica e le sue parole godevano dunque di maggiore autorevolezza. Peraltro Paleotti vive in quegli anni uno stato di personale frustrazione (di cui è frutto il De tollendis imaginum dai toni precettivi assai accentuati), in cui lamenta la sostanziale elusione dei principi della Controriforma in materia di immagini nonostante le indicazioni ecclesiastiche. È dunque in questo contesto che, probabilmente, matura la decisione di mettere mano nuovamente al Discorso, completandolo secondo lo schema già proposto nella princeps del 1582. I frammenti che Ilaria Bianchi qui propone (reperiti sempre all’interno dell’Archivio Isolani) dovevano costituire rispettivamente il proemio e il capitolo XVIII del Libro terzo. È probabile, secondo l’autrice, che in realtà lo stato di lavorazione del terzo Libro, che nella sostanza doveva costituire uno spazio dedicato a precetti della morale controriformata, fosse in realtà più avanzato di quanto lei sia riuscita a rintracciare. Del tutto in nuce appare invece, il quarto Libro (quello che, nella sostanza, doveva costituire un repertorio di immagini lascive e non), di cui ci sono pervenuti frammenti “relativi alla raffigurazione del Dio Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, qualcosa sulla più complessa raffigurazione della Trinità, come pure gli appunti tratti dalle fonti, che il teorico intendeva utilizzare per stendere le pagine sulla Trasfigurazione” (p. 221).
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Giulio Cesare Procaccini, Ritratto del Cardinal Federico Borromeo, Milano, Museo Diocesano |
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