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Giovanni Mazzaferro
Da Brescia (1670) a Città del Messico (1745 ca):
migrazioni culturali all’ombra dell'Arte Maestra di Francesco Lana
Parte Prima: Brescia
Un pittore senza catalogo
Fine Parte Prima
Vai alla Parte Seconda
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Presunto ritratto di Francesco Lana Terzi Fonte: Wikimedia Commons |
Un caso affascinante
Sul gesuita Francesco Lana Terzi
(1631-1687) non si è scritto molto [1]. Quando lo si è fatto se ne è parlato soprattutto
come di uno ‘scienziato’ (con tutti i benefici del caso). Fra le sue opere
dobbiamo ricordarne una che fu stampata nel 1670 a Brescia col titolo ‘Prodromo all’arte maestra’ [2]. Di quel
volume sono state ristampate ripetutamente solo le pagine in cui il gesuita
progetta la costruzione di una “nave volante” (antenata dell’aerostato). Tutto
il resto è finito nel dimenticatoio. In quel “resto” è contenuta anche una sezione
(costituita da quattro capitoli) dedicata alla pittura (una specie di trattato,
dunque), intitolata “L’'Arte Maestra' discorre sopra l’Arte della Pittura,
mostrando il modo di perfezionarla con varie invenzioni e regole pratiche
appartenenti a questa materia” (d’ora in poi, parlando di “Arte Maestra” ci riferiremo solo a questi quattro capitoli; l’intero
scritto sarà invece il “Prodromo”).
Il progetto di 'nave volante' di Francesco Lana Terzi (cfr. edizione Battistini p. 107)
Fonte: Wikimedia Commons
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L’eco dell’Arte Maestra nel mondo della letteratura artistica è nullo. Non ne
parla lo Schlosser né compare in altri repertori. L’unico riferimento viene presentato
da Mary Philadelphia Merrifield negli Original
Treatises da lei pubblicati nel 1849. Merrifield scova una citazione dello
scritto di Lana Terzi in un trattatello minore di Gian Battista Volpato
(pittore veneto di seconda schiera, solo omonimo dell’incisore neoclassico). Fa
anzi uso di tale citazione per stabilire che tale scritto (Il modo da tener nel dipinger) era successivo al 1670 (anno di
edizione del trattato di Lana). Merrifield segnala l’estrema rarità dell’opera,
per cui ritiene di dedicare ad essa alcune righe [3].
In epoca moderna, nel 1977, vede
la luce finalmente la prima edizione annotata del Prodromo all’Arte Maestra, a cura di Andrea Battistini [4]. Vi sono
compresi, naturalmente i capitoli dedicati alla pittura.
Dieci anni dopo (siamo nel 1987) Gianni
Carlo Sciolla pubblica su “Arte Lombarda” un saggio di alcune pagine intitolato
“Una fonte lombarda poco nota dell’età
barocca: 'L’arte della pittura' di Francesco Lana”. In esso vengono
sostanzialmente proposti alcuni dei passaggi più significativi dell’opera [5].
E tuttavia sarò onesto. Non credo
che avrei mai dedicato molta attenzione alle pagine di Lana Terzi se non mi
fossi accorto, del tutto casualmente, della “seconda vita” del trattato del
padre gesuita. Tale seconda vita comporta una migrazione in Messico, o – ad
essere precisi – in quello che all’epoca era il Vicereame della Nuova Spagna.
Nel 2005 Myrna Soto pubblica con
l’Università degli Studi di Città del Messico (UNAM) un libro intitolato “El arte maestra: un tratado de pintura
novohispano”. Si tratta dell’edizione critica di un manoscritto scoperto
nella Biblioteca Nazionale del Messico tra le carte dell’erudito Cayetano de
Cabrera y Quintero. Privo di data e anonimo, ma chiaramente risalente al pieno
XVIII secolo, il trattato costituisce, secondo la studiosa, il primo esempio di
letteratura artistica “locale”, ovvero il primo scritto originale di un artista
del Vicereame della Nuova Spagna sull’arte della pittura.
Un anno dopo, all’interno della
collana Estudios en torno al arte del
Museo de la Basilica de Guadalupe, un’altra ricercatrice, Paula Mues,
ripubblica il trattato, facendo notare che si tratta della traduzione in
castigliano dell’Arte Maestra di
Francesco Lana Terzi. La traduzione fornita nel manoscritto si presenta incompleta;
vi sono alcuni interventi che abbreviano il trattato originale; e soprattutto
ve ne sono altri volti a far scomparire il nome dell’autore (che viene sì
citato, ma come “fonte esterna”, esattamente come Vitruvio, Villalpando etc),
nonché altri che fanno credere che il trattato sia stato scritto “nelle nostre
Indie”. Ma in realtà si tratta del chiaro tentativo di operare un plagio.
Avendo ben chiaro che, in questo caso, si deve parlare di plagio con cognizione
di causa, non senza tener conto che l’Arte
Maestra messicana è uno scritto che, proprio grazie alle modifiche subite,
assume natura diversa rispetto all’originaria stesura bresciana.
Ad ogni modo, il fatto che un
trattato di un gesuita bresciano rimanga nella sostanza del tutto ignoto in
Italia e riemerga attorno al 1745 tradotto in spagnolo e trasformato in
qualcosa di diverso è, secondo me, un elemento di grande fascino. Per questo
motivo cercherò di esaminare e contestualizzare in maniera approfondita prima
l’esemplare bresciano e poi darò conto degli studi messicani dedicati al
manoscritto di Città del Messico. Sarà un’occasione per conoscere anche le
prime manifestazioni legate alla letteratura artistica di un mondo che noi europei siamo abituati a considerare silente per secoli e che invece conosceva già
allora forme di sviluppo delle arti che non replicavano servilmente le tendenze
europee.
Il Prodromo all’Arte Maestra
Francesco Lana Terzi nasce da
famiglia nobile bresciana nel 1631 e comincia la sua trafila per entrare nella
Compagnia di Gesù a 16 anni [6]. La sua formazione si compie al Collegio
romano, è seguita da una serie di esperienze di docenza in molte località
italiane e si conclude nel 1663, quando Lana torna nella natia Brescia, dove, di
fatto, resta fino alla morte (a parte una parentesi ferrarese). Lana fa parte
della schiera dei gesuiti “scienziati”; la sua è una formazione “empirista”,
che nega ovviamente l’esperienza galileiana, ma nel contempo mostra una messa
in discussione dei dogmi aristotelici in nome della “pratica” e del “metodo
sperimentale”. Nel caso specifico la cifra caratteristica del gesuita sempre
essere quella di un “eccesso” di “pratica” a scapito della capacità di
astrazione. Andrea Battistini, che ha curato l’edizione del Prodromo pubblicata da Longanesi nel
1977 e vi ha premesso uno scritto tutt’altro che banale anche con riferimento
agli interessi artistici, cita in merito una lettera di Leibniz del 1708 che
definisce Lana “scrittore egregio allorché discende alla 'fisica speciale', ma
'non altrettanto valido nella speculazione' ” [7]. A voler essere onesti, si
potrebbe replicare che, nel Prodromo,
è lo stesso autore a “rivendicare” l’insufficienza dell’analisi. Nel proemio si
dice infatti che questo scritto va alla stampe ponendo l’accento soprattutto
sugli aspetti pratici della “filosofia naturale” (oggetto dell’indagine di
Lana); siamo di fronte a delle anticipazioni, a un “prodromo”, appunto, cui
farà seguito un trattato assai più completo e vasto progettato dal gesuita:
“per ora tralascio di rendere esattamente le ragioni di queste operazioni,
riservandomi a farlo ordinatamente in ciascuna parte dell’opera già promessa
che, oltre l’isperienze e operazioni pratiche in ogni materia ed in ogni arte,
comprenderà insieme la teorica e speculativa, con l’ordine e forma accennata di
sopra” [8]. Fatto sta che l’opera enciclopedica progettata da Lana vide uscire
solo due volumi prima della sua scomparsa (si tratta dei primi due tomi del Magisterium naturae et artis) senza però
che la carenza d’analisi venisse meno. Battistini nota brillantemente che in
questa sensazione di caos prodotta dal succedersi di “invenzioni” e
“osservazioni pratiche” di natura disparata, c’è un solo elemento che unifica
la trattazione, ed è la “riabilitazione del lavoro manuale e […] la fiducia di
potere migliorare, attraverso la scienza, le condizioni dell’uomo” [9]. Solo
questa prospettiva accomuna la serie di esperimenti e invenzioni presentate nel
Prodromo: insegnare a parlare ai
sordomuti, a scrivere ai ciechi, costruire una “nave volante”, far nascere una pianta
senza che vi sia il seme e così via. In questa prospettiva di miglioramento
rientrano anche le ultime due sezioni, separate dal resto della trattazione,
presentate nel Prodromo: “…pongo per
ultimo le regole pratiche che serviranno a perfezionare due arti appartenenti
ad una sol parte della fisica, cioè alla scienza dell’optica: l’una è l’arte
della pittura, l’altra de’ cannocchiali e microscopi” [10].
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Tiziano, Polittico Averoldi, 1520-22, Brescia, Collegiata dei Santi Nazaro e Celso Fonte: Wikimedia Commons |
L’Arte Maestra della Pittura
Se quindi ci chiediamo perché
Lana dedichi una sezione del suo trattato alla pittura possiamo darci non una,
ma due risposte: una (di respiro più corto) è perché vuole perfezionare la
scienza dell’ottica; la seconda (assai più ariosa) è che la pittura è
imitazione della natura e posto che oggetto della ricerca di Lana è la
filosofia della natura, saperla rappresentare in maniera corretta, non solo da
un punto di vista “teorico”, ma anche tecnicamente, diventa fondamentale. Fra i
tanti trattatisti del Cinque e del Seicento sono pochissimi quelli che
riservano tanto spazio alla manualità artigianale del mestiere. Del resto
l’unica citazione di Lana (quella di Volpato poi ripresa da Merrifield) è
proprio legata ad aspetti manuali (nella fattispecie, l’uso dei colori a
tempera).
Sempre Battistini, pur
consapevole dell’inquadramento del trattato di Lana nel clima barocco
dell’epoca, fa notare un altro aspetto caratteristico: “Quello che muta… è
l’atteggiamento del critico d’arte verso i pittori. Nel Lana, difatti, il
carattere eccezionale della personalità dei maggiori artisti, divenuto
argomento topico dopo le biografie del Vasari, viene sostituito dall’antieroica
descrizione di una paziente e minuta tecnica pittorica rispondente ai canoni
della semplicità e della regolarità, che sono poi le conseguenze più vistose di
un reale abito scientifico. L’ammirazione non va tanto al genio creativo, al
privilegiato possessore dell’'Idea', quanto alla dimensione artigianale della
pittura, al modesto ma fertile rito consacrato alla preparazione della tela,
all’osservazione delle luci, alla confezione dei colori sulla tavolozza, alle
sapienti proporzioni con cui ottenere le 'tinte e mezze tinte' col 'mescolamento' dei colori fondamentali, sino alla sperimentazione […] di
inusitate tecniche di pittura” [11]
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Alessandro Bonvicino detto il Moretto, Elia svegliato dall'angelo, 1521-1524, Brescia, Chiesa di San Giovanni Evangelista Fonte: Fondazione Zeri Bologna tramite Wikimedia Commons |
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Alessandro Bonvicino detto il Moretto, La caduta della manna, 1521-1524. Brescia, Chiesa di San Giovanni Evangelista Fonte: Fondazione Zeri Bologna tramite Wikimedia Commons |
Fra speculazione teorica e pratica
L’Arte Maestra si divide in quattro capitoli. Di essi il primo,
dedicato all’'invenzione', è quello che presenta caratteri maggiormente
teorico-speculativi. Gli altri, sul 'disegno', il 'colorire' e le 'varie
maniere di dipingere e disegnare' procedono su aspetti sempre più pratici, ma
anche bizzarri. In questo senso si può dire che il trattato di Lana sia
squisitamente barocco: perché oltre a insegnare e dilettare è volto anche a
“stupire” con le sue invenzioni. In questo ambito credo che più della pittura e
del disegno su marmo e su vetro (richiamati sia da Battistini sia da Sciolla
nel suo articolo del 1987) debba far riflettere “l’invenzione di far imagini e
ritratti con penne di uccelli diverse di colore e variamente intrecciate in un
modo poco diverso da quello che si fa con le pietre colorite per lavorare a
mosaico” [12]. La mia impressione personale è che, in questo caso, Lana stia
alludendo a una pratica derivante dal mondo indio del Nuovo Mondo (e non ci
sarebbe nulla di particolarmente strano, essendo un gesuita); pratica
ovviamente considerata bizzarra (e quindi “barocca” per definizione) a Brescia.
Ma quando il trattato del Lana arriva in Messico e viene tradotto in spagnolo,
l’anonimo traduttore, che lascia incompleta gran parte del capitolo IV, segnala
comunque questa pratica con la dicitura “Pintura de Plumas de Nuestras Indias”,
riconoscendola ed appropriandosene [13].
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Girolamo Romanino, Cena in casa del fariseo, 1545 ca., Brescia, Chiesa di San Giovanni Evangelista Fonte: Wikimedia Commons |
Nel suo saggio pubblicato nel 1987
Gianni Carlo Sciolla aggancia saldamente i contenuti dell’Arte Maestra alla tradizione del classicismo francese del 1600
[14], la qual cosa mi sembra assolutamente condivisibile. Il riferimento che
pare cronologicamente più vicino mi sembra essere, in particolare, l’Idée de la perfection de la peinture di Roland Fréart de Chambray, in cui si richiama l’attenzione del lettore su
alcuni aspetti indispensabili per poter valutare un’opera d’arte: l’invenzione,
la proporzione, il colore (non solo i pigmenti, ma anche luci e ombre), i
movimenti e gli affetti, e infine la posizione regolare delle figure. Tutti
aspetti che vengono ricordati da Lana. Semmai terrei presente che il gesuita si
forma al Collegio Romano e che quindi, più che a un contatto diretto coi testi
del classicismo francese, si può pensare alla frequentazione dell’Accademia di
San Luca, dove Bellori ha già tenuto il suo discorso sull’Idea e dove nel 1674 pubblicherà le Vite. Qualche influsso belloriano sembra emergere dai miei
personali cassetti della memoria. La raccomandazione di “fare un piccolo e
rozzo modello di cera”, per dar ordine e proporzione alle figure, nonché per
studiarne i lumi etc mi ricorda molto da vicino il Poussin che, quattro anni
dopo, nelle pagine delle Vite, “formava modelletti di cera di tutte le figure
nelle loro attitudini in bozzette di mezzo palmo, e ne componeva l’istoria o la
favola di rilievo, per vedere gli effetti del lume e dell’ombre de’ corpi”
[15]. Se si tien conto che il capitolo dedicato a Poussin richiama esplicitamente
l’'ombra' e il 'lume', e che anche in Lana sono i precetti riguardanti il
“colorire” quelli che assumono maggior importanza, mi sembra possibile
ipotizzare che il gesuita proponga temi discussi a Roma a metà ‘600.
Ciò detto, in verità, l’impressione
generale che si trae dalla lettura del trattato è di un autore che si richiama
a molti concetti dell’arte senza averli digeriti pienamente. Lana – diciamoci
la verità – pilucca un po’ dappertutto a seconda dei casi: dall’ut pictura poesis di ispirazione oraziana
alla teoria delle proporzioni del corpo umano fornita da Vitruvio; naturalmente
formula la teoria del bello ideale, ma l’accompagna con la raccomandazione di
esercitarsi nel dipingere fiori e frutti, cani, lepri e “simil cose” dal
naturale, e di sperimentare anche la pittura a lume di lucerna, o comunque con
luce proveniente da una sola piccola finestrella anche di giorno, lasciando
intravvedere (solo intravvedere, sia chiaro, perché non si va oltre)
un’inclinazione per quello che Bellori avrebbe chiamato (con tono denigratorio)
realismo caravaggesco [16]. Lana ritiene che il principiante debba cominciare
dal disegno, ma non sembra certo ricalcare le procedure praticate nelle
Accademie quando dice che deve iniziare “dalle cose più facili, cioè doverà
prima imparare a disegnare dalla statue o modelli” [17] (più o meno in tutte le
Accademie il disegno dalla statua non è considerato elementare e non viene
proposto come passo iniziale per l’allievo). Insomma, si colgono contraddizioni
interne che probabilmente non hanno lavorato a favore del successo dell’opera.
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Lattanzio Gambara, Natività di Gesù, 1561-1566, Brescia, Chiesa dei Santi Faustino e Giovita Fonte: Wikimedia Commons |
Curiosamente né Battistini né
Sciolla sembrano porsi una domanda: Lana Terzi, oltre che scienziato, fu anche
pittore? [18] Non esistono certezze in merito. Tuttavia un’osservazione lascia
propendere per il sì: il trattato è scritto, di fatto, utilizzando tre persone
diverse: la terza persona singolare (con scopo prescrittivo: “il pittore
faccia” etc etc); la prima persona plurale (“dissi che doveremo pigliare dal
naturale le parti del nostro disegno”… [19]) e, infine, la prima persona
singolare. È parlando in prima persona singolare che il gesuita dice “a me
piace molto di fare un piccolo e rozzo modello di cera” [20]; “non voglio
tralasciare di dire come io soglio prima di dipingere far varie tinte sopra la
mia tavola” [21]; “passando più oltre, ho ritrovato un modo di dipingere sopra un
marmo e poscia far penetrare i colori” [22]; “a tutte le predette invenzioni io
qui ne aggiongerò una mia di fare che le pitture comparischino delicatissime…
come io ho fatto in alcune mie pitture piccole” [23].
Quindi, a meno che Lana non
millanti un’attività artistica pregressa (e la conoscenza degli aspetti tecnici
lo rende fortemente improbabile), il gesuita è stato anche pittore.
Probabilmente un pittore a livello amatoriale. Sicuramente un pittore senza
catalogo. Il suo nome non compare in nessun repertorio di artisti e, a maggior
ragione, non vi è un sol quadro che noi gli si possa attribuire. A questo
proposito non possiamo continuare a ignorare il fatto che Lana proveniva da una
famiglia nobile di committenti e collezionisti d’arte, che, a fine secolo,
erano proprietari di una delle più significative raccolte di dipinti a Brescia.
In via del tutto ipotetica non posso escludere che fra i quadri che Giulio
Antonio Averoldi descrive parlando della collezione Lana Terzi nel suo “Le scelte pitture di Brescia additate al
forestiere” [24], pubblicate nel 1700, non vi sia anche una qualche opera
del gesuita. Circa la metà delle tele citate non hanno l’attribuzione
dell’autore. E tuttavia lo si ripete: si tratta di una pura congettura.
Se poi andiamo a vedere le
citazioni di opere o artisti contenute nell’opera, appare evidente che, per
quanto riguarda il “colorire” i riferimenti sono i veneti Tiziano, Veronese e
Tintoretto; di nessuno di loro, peraltro, è citata una sola opera. Si fa
riferimento invece al Pantheon, ai mosaici in San Pietro disegnati dal Cavalier
d’Arpino, e a figure minori che comunque sembrano avere contatti col mondo
romano. La circostanza sembra normale, posto che Lana studiò a lungo a Roma.
Francesco Paglia, Assunta, 1675 circa, Brescia, Chiesa di San Giovanni Evangelista
Fonte: Wikimedia Commons
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Il vero mistero dell’opera è la
citazione estesa del “mio Clemente” che compare nel capitolo quarto quando si
parla del modo di dipingere “a bòtte”, ovvero imprimendo colpi col pennello
alla tela. Un modo di dipingere che Lana ritiene tipico dei grandi coloristi
veneti (appunto Tiziano, Veronese, Tintoretto) e adatto soprattutto per
lavorare velocemente su grandi superfici. Ciò detto, l’autore aggiunge: “In
questo si mostra eccellente il mio Clemente, uomo non solo nella pittura, ma
anche nella scoltura, nella poesia, nell’istoria pratichissimo, e fornito di
tutte quelle belle arti che possono in alcun modo giovare al pittore. Questo
ingegnosissimo maestro dell’arte pratica un modo di dipingere veramente
mirabile, poiché forma una figura o ritratto non solo con pochissimi colpi di
pennello, ma in modo tale che più della metà della tela resta con la sola
imprimitura, senza esservi posto sopra colore alcuno, facendo che essa
imprimitura serva per l’ombre e per le parti oscure del ritratto. Ed io ho
veduto un ritratto, che egli ha formato di se medesimo, il quale mirato contro
il lume, si vede trasparire la tela per ogni parte dove non vi è posto sopra
colore, ma solo una leggiera imprimitura, il che rende grande maraviglia” [25].
Chi è Clemente? Sciolla non parla di questa parte del trattato; Battistini
snocciola tre ipotesi: Prospero Sogari (1516-1584) detto il Clemente, scultore
e architetto reggiano, ma non pittore; Clemente Bocciardo detto il Clementone
(1620-1658) e il gesuita Rutilio Clementi, architetto di Perugia attivo attorno
al 1630. Dei tre, il secondo sembra il candidato più credibile, specie se si
considera che è noto a Brescia: il solito Averoldi ne cita un quadro in Santa
Maria delle Grazie raffigurante proprio Ignazio da Loyola, fondatore dei
Gesuiti [26] “in cui spicca gran vivacità di colore”. Ciò detto, ammetto che
non mi considero soddisfatto: leggendo e rileggendo il passaggio l’uso del
presente mi ha reso persuaso che Clemente fosse vivo mentre Lana scriveva
(mentre Clementone era morto nel 1658, più di dieci anni prima) e che “il mio
Clemente” indicasse un’amicizia fraterna, o addirittura un rapporto di
discepolato di cui non sappiamo nulla. Se ammettiamo che Lana Terzi sia un
pittore senza catalogo, dobbiamo insomma essere disposti anche ad accettare
l’idea che vi possa essere un Clemente i cui meriti siano stati in realtà assai
più contenuti di quanto non ci assicuri l’autore dell’Arte Maestra e che, semplicemente, non sia passato alla storia. Una
figura da recuperare, insomma; così come da recuperare è l’attenzione nei
confronti del trattato, specie alla luce della sua seconda vita nel Vice-Reame
della Nuova Spagna.
Ma questa, come sappiamo è un’altra
storia.
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NOTE
[1] La relativa voce su Wikipedia
contiene un errore madornale. Vi si sostiene che Lana fosse sordomuto.
Probabilmente solo perché espose una sua ‘invenzione’ in cui indicava come si
poteva insegnare a parlare a chi, sordo dalla nascita, non sapesse farlo. Ora,
basta leggere le pagine scritte in quell’occasione per capire che l’autore non
era sordomuto. Se qualche dubbio non fosse sorto, bisognerebbe chiedersi come
abbia fatto a insegnare in varie cattedre universitarie italiane; e con la
stessa logica si dovrebbe dire che era non vedente, posto che redasse anche
alcune pagine sulla possibilità di insegnare a scrivere a un cieco. Vedi
https://it.wikipedia.org/wiki/Francesco_Lana_de_Terzi
(voce consultata il 9 dicembre 2015).
[2] Il titolo completo è
“Prodromo ovvero saggio di alcune inventioni nuove premesso all’Arte maestra,
Opera che prepara il P. Francesco Lana bresciano della Compagnia di Gesù per
mostrare li più reconditi principij della Naturale Filosofia, riconosciuti con
accurata Teorica nelle più segnalate inventioni, ed isperienze sin’hora
ritrovate da gli scrittori di questa materia e altre nuove dell’autore
medesimo. Dedicato alla Sacra Maestà Cesarea del Imperatore Leopoldo I”
(Brescia, Stamperia Rizzardi, 1670)
[3] Si veda in questo blog
Luciano Mazzaferro, Gli
‘Original Treatises’ di Mary Philadelphia Merrifield. Parte II. Il manoscritto
Volpato e l’edizione ‘pirata’ di Bassano del Grappa. La nota dedicata all’Arte Maestra di Lana è alle pagine
746-747 dell’opera cartacea della Merrifield.
[4] Francesco Lana Terzi. Prodromo all’Arte Maestra. A cura di
Andrea Battistini, Milano, Longanesi, 1978.
[5] Gianni Carlo Sciolla, Una fonte lombarda poco nota dell’età
barocca: «L’arte della pittura» di Francesco Lana in Arte Lombarda 1987, Milano, Edizioni Vita e Pensiero.
[6] Si veda Dizionario
Biografico degli Italiani, ad vocem,
a cura di Cesare Preti, vol 63 (2004).
[7] Francesco Lana Terzi. Prodromo… cit., p. 11.
[8] Idem,
p. 61.
[9] Ibidem,
p. 12.
[10] Ibidem,
p. 61.
[11] Ibidem, p. 22.
[12] Ibidem, p. 263.
[13] El Arte Maestra: traducción novohispana de un tratado pictórico
italiano. Estudio introductorio y notas de Paula Mues Orts, Guadalupe,
Museo de la Basilica de Guadalupe, 2006, p. 109.
[14] Vedi nota 5.
[15] Giovan Pietro Bellori, Le vite de’ pittori scultori e architetti
moderni, Torino, Einaudi, 1976, p. 452.
[16] Francesco Lana Terzi. Prodromo… cit., pp. 254-255
[17] Idem, p. 238.
[18] Il tema viene invece
affrontato almeno da Paula Mues nella sua edizione messicana (non so dir nulla per quanto riguarda l'edizione Soto).
[19] Francesco Lana Terzi. Prodromo… cit., p. 237.
[20] Idem, p. 236.
[21] idem, p. 248.
[22] idem, p. 263-264.
[23] Idem, p. 265.
[24] Si veda Nota de’ Quadri di Pittura, con il nome de gl’Autori suoi, s’attrovano
nelle Stanze in casa del Conte Pietro de Terzio Lana, pp. 243-248 in Giulio
Antonio Averoldi, Le scelte pitture di Brescia additate al
forestiere, Brescia, Stamperia Rizzardi, 1700.
[25] Francesco Lana Terzi. Prodromo… cit., p. 261.
[26] Giulio Antonio Averoldi, Le scelte pitture di Brescia additate al
forestiere, cit., p. 15.
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