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venerdì 13 novembre 2015

Jusepe Martínez. Discursos practicables del nobilísimo arte de la pintura



Martínez, Jusepe
Discursos practicables del nobilísimo arte de la pintura

A cura di María Elena Manrique Ara
Prefazione di Bonaventura Bassegoda

Madrid, Ediciones Cátedra, 2006


Jusepe Martínez, Autoritratto realizzato dipingendo suo padre, Daniel Martínez, 1630 circa, Museo di Saragozza
Fonte: http://www.museodezaragoza.es/colecciones/barroco/

[1] Testo della quarta di copertina:

“Con i Diálogos de la pintura  di Carducho (1638) e l'Arte de la pintura di Pacheco (1649), questi Discursos del nobilísimo arte de la pintura [n.d.r. Discorsi sulla nobilissima arte della pittura], scritti da Jusepe Martínez attorno all'anno 1675, sono il terzo pilastro della trattatistica spagnola sull'arte del Secolo d'Oro. Con ogni probabilità Jusepe Martínez è il nostro scrittore d'arte del Secolo d'Oro che risulta più comprensibile al lettore odierno. Buona parte delle sue argomentazioni si regge facendo ricordo alla sua lunga esperienza personale e professionale; da qui la ricchezza e la piacevolezza di tanti anedotti che oggi ci interessano particolarmente. 

La presente edizione critica, realizzata da María Elena Manrique Ara, parte dall'enorme fortuna che ha costituito il ritrovamento nel Museo del Prado di un manoscritto apografo con la prima redazione del trattato, il che ha permesso di fissarne definitivamente il testo".


Jusepe Martínez, Santa Cecilia, 1635-1640 circa, Museo di Saragozza
Fonte: Wikimedia Commons


[2] Nella Biblioteca Mazzaferro sono presenti due precedenti edizioni dell’opera; la prima, in forma antologica, è compresa in Francisco Calvo Serraller, Teoría de la Pintura del Siglo de Oro, edita nel 1981 e la seconda, in forma integrale, è stata proposta in versione ampliata da Julián Gállego nel 1988 (ma, come scritto dal curatore nella prefazione, si tratta in pratica di un facsimile di una sua edizione precedente del 1950, arricchita di un indice). 

I Discorsi furono scritti dal Martinez in età avanzata (il pittore morì nel 1682) e rimasero a lungo inediti pur avendo una sua circolazione manoscritta in quegli ambienti eruditi aragonesi di cui il pittore faceva parte e da cui fu profondamente influenzato

La prima edizione dell’opera fu pubblicata a puntate sul Diario Zaragozano solo fra il 1853 ed il 1854. È del 1866 l’edizione successiva, questa volta in unico volume, pubblicata a Madrid da Carderera y Solano. E bisognerà attendere poi la versione di Gallego del 1950 per trovarla ristampata. In tutte le tre edizioni appena citate il testo seguì una copia del manoscritto, fatta eseguire nel 1796 da Juan Antonio Larrea. Come appena detto, l’elemento nuovo, che sta alla base di questa edizione critica dei Discursos di Martínez, è il ritrovamento di un manoscritto, apografo, ma originale, che riporta la prima stesura del trattato. Ora, sicuramente per una nostra mancanza, pur apprezzando davvero la presente edizione critica, non siamo riusciti a trovare segnalata da nessuna parte la segnatura del manoscritto, che comunque risulta custodito al Museo del Prado, a cui risulta essere stato donato in una data imprecisata fra il 1972 e il 1981 da don Gonzalo Manso de Zúñiga. 

Fra qualche riga parleremo delle principali differenze fra manoscritto apografo e copia del 1796. Qui ci corre l’obbligo di ricordare che nel 2008, l’Università di Saragozza ha pubblicato una nuova edizione dell’opera, anch’essa a cura di María Elena Manrique Ara, di cui non conosciamo il contenuto. A p. 113 n. 406 del presente volume la curatrice annuncia di star lavorando per conto del Museo del Prado ad un’edizione facsimilare del manoscritto apografo. È possibile che si tratti della versione pubblicata dall’Università di Saragozza? Stando alle poche righe di presentazione rintracciate su Internet, ci pare improbabile.


Jusepe Martínez, San Tommaso apostolo, 1630 circa, Museo di Belle Arti di Budapest
Fonte: Wikimedia Commons

[3] L’esame del manoscritto apografo ha permesso naturalmente di fissare con certezza il testo originale dell’opera. Su questo testo la curatrice è intervenuta secondo criteri che sono spiegati alle pp. 113-115. Resta una grande differenza rispetto alle versioni precedenti: queste ultime sono organizzate in ventuno capitoli (o, più precisamente, tratados), mentre ora sappiamo che la scansione originale era in nove capitoli, con quello finale (Del historiar con propiedad) che per ampiezza supera abbondantemente la somma di pagine degli altri otto. Lo scritto, insomma, si caratterizza per questa grande asimmetria fra gli otto tratados iniziali e quello finale. La scansione originaria, naturalmente, è stata ripristinata. In merito scrive la curatrice: “Le sue grandi dimensioni [n.d.r. del capitolo finale] furono probabilmente il motivo che pesò al momento di prendere questa decisione [n.d.r. ovvero di dividere il trattato in 21 e non 9 capitoli] e facilitò la frammentazione in base alla quale Martínez avrebbe raggruppato le sue biografie dei pittori per scuole regionali, riservando per il finale le vite degli scultori.  Tuttavia, a nostro modo di vedere, ciò tradisce le sue intenzioni. E' molto significativo che abbia intitolato i suoi capitoli con la denominazione di «tratados». Ciò vuol dire che per lui veniva prima l'esposizione delle idee e della loro utilità morale; l'elemento concettuale e ideologico sovrastava quello letterario. Così, dedicando ad esse capitoli in esclusiva, Martínez va esponendo le sue tesi sul disegno [n.d.r. trattato I] e sulle discipline necessarie per eseguirlo in maniera corretta: la simmetria [n.d.r. II], l'anatomia [n.d.r. III] e la prospettiva [n.d.r. IV]. Si occupa inoltre dell'architettura e della sua utilità per il pittore [n.d.r. V]. Si raccomanda di rispettare il precetto estetico dell'unità d'azione [n.d.r. VI] e si occupa anche del colorito [n.d.r. VII] e delle «attitudini» delle figure, ossia del modo in cui si esprimono gli "affetti" [n.d.r. VIII]. Lascia per il finale ciò che considera più importante e ciò su cui - crediamo - ritenga di poter fornire un apporto personale, dato che in precedenza ha citato bibliografia relativa a quelle materie che già sono a disposizione dello studioso. Si tratta della questione di  «historiar con propiedad» [n.d.r. raccontare storie con proprietà], ossia di come realizzare dipinti che arrechino onore e stima ai loro artefici e che siano degni di essere apprezzati dal pubblico, posto che il principale obiettivo dei Discorsi  è difendere e propugnare una considerazione più positiva della «nobilísimo arte de la pintura», come recita il titolo. L'inclusione di biografie d'artisti spagnoli e non, inframmezzate a queste considerazioni, risponde a motivazioni secondarie rispetto a questo argomento principale” (pp. 114-115).

Jusepe Martínez, Apparizione della Vergine a un infermo, Madrid, Museo del Prado
Fonte: Wikimedia Commons

[4] L’edizione critica, puntualmente annotata e con un eccellente indice finale dei nomi, è preceduta da due capitoli in cui la curatrice si sofferma sulla teorica del pittore aragonese. Nel primo – scrive l’autrice – “analizzeremo il peso delle dottrine retoriche e poetiche nei Discursos, concentrando l’attenzione su tutti i debiti che essi hanno contratto nei confronti dell’opera letteraria e del pensiero di Baltasar Gracián. La loro ricezione si manifesta innanzi tutto come il legame fra etica ed estetica, autentica pietra angolare sopra la quale è costruito tutto l’edificio teorico dei Discursos, e in alcuni concetti base della teoria dell’arte di Jusepe Martínez, che andremo a esaminare in questo capitolo. Vedremo come «genio», «ingenio», «concepto», «elección» o «prudencia» trovino significato nell’ambito della teoria di Gracián, poiché... è costui il primo ad attribuire alla maggior parte di questi concetti lo status di oggetto di riflessione teorica. Nella sua Agudeza y arte de ingenio en que se explican todos los modos y diferencias de conceptos, li analizza e li definisce in una maniera che prima lettori e scrittori condividevano solo implicitamente. Questo sistema, che si fonda sulle fondamenta dell’antica Retorica e si sovrappone ad essa, costituisce anche la nervatura teorica del nostro trattato.... E tuttavia le affinità con Gracián e con altri scrittori contemporanei non finiscono qui. Non dimenticheremo perciò di parlare nel capitolo seguente, dedicato alla considerazione della storia e al suo uso nei Discursos, dell’influenza del pensiero di Gracián sulla concezione e il metodo storiografico dei Discursos, così come nella filosofia del pittore” (pp. 17-18).

[5] Schlosser, a cui nella sua Letteratura artistica sfugge l’edizione pubblicata sul Diario Zaragozano, ha parole di elogio nei confronti del Martinez: “questi, che aveva attinto le sue convinzioni teoriche a Roma, nell’ambiente dei Bolognesi, di Guido e del Domenichino, resta però sempre un autentico spagnuolo, onesto, serio e valente...” (p. 640).

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