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Gottfried Semper
The Ideal Museum. Practical Art in Metals and Hard Materials
Vienna, Schlebrügge.Editor, 2007
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Gottfried Semper (1803-1879) Fonte: https://de.wikipedia.org/w/index.php?title=Bild:Gottfried-semper.jpg&oldid=7486847 |
Un uomo disperato
Quando, fra l’aprile e l’agosto
del 1852, scrive “Practical Art in Metals
and Hard Materials”, Gottfried Semper è un uomo disperato. Vive a Londra,
ha 46 anni, è esule e ha da mantenere una moglie e sei figli che si trovano a
Dresda. Lì, Semper ha lavorato a lungo e con successo (ha progettato, fra
l’altro, l’Opera House, oggi universalmente conosciuta come Semperoper), ma nel 1849 ha preso parte attivamente a uno degli
ultimi eventi del biennio rivoluzionario, ovvero la rivolta repubblicana
scoppiata proprio a Dresda nel maggio del 1849. Tant’è che ha progettato le
barricate da opporre alle truppe del duca di Sassonia e vi ha combattuto
assieme ad altri illustri personaggi della cultura tedesca, come – ad esempio –
Richard Wagner.
Il coinvolgimento nella rivolta
gli costa l’esilio. Dopo un breve periodo in Francia, Semper scappa in
Inghilterra con la prospettiva di poter progettare un cimitero (sic) che si
rivela presto illusoria; pensa seriamente di attraversare l’oceano e tentare la
sorte in America. La sua fortuna è la prima Esibizione Universale, quella
tenutasi nel 1851 al Crystal Palace. Semper accetta di incaricarsi del layout
delle aree dedicate a Canada, Turchia, Svezia e Danimarca, ma soprattutto
conosce Henry Cole, direttore della “Great Exhibition”, e, subito dopo,
nominato direttore della National School of Design. Sin dal 1837, infatti,
esiste in Gran Bretagna una scuola di Design, che però si dimostra di livello
particolarmente basso, tanto che, sotto l’impulso dell’Esposizione Universale,
il governo decide di rivederne programmi e insegnamenti, fondendola col
Department of Practical Art.
Inutile dire che, saputo
dell’incarico conferito a Cole, Semper spera in una docenza. E senza dubbio
l’incarico che Cole gli conferisce nell’aprile del 1851, ovvero quello di
scrivere un’opera dedicata alla storia della produzione di oggetti in metallo è
volta proprio a permettere a Cole di sostenere la candidatura di Semper (la
società inglese è particolarmente sospettosa nei confronti delle influenze
tedesche, specie dopo che il principe Alberto di Sassonia ha sposato la regina
Vittoria; d’altro canto Alberto appartiene proprio alla dinastia che ha
esiliato Semper: una situazione intricata a dir poco). Semper lavora all’opera
senza sosta, e la realizza in soli tre mesi. L’apprezzamento che ne deriverà
gli consentirà di essere nominato a settembre docente di ornato nell’ambito
della lavorazione dei metalli.
Da quel momento in poi, le cose
miglioreranno decisamente. Semper si trasferirà a Zurigo nel 1855, dove
insegnerà nel locale Politecnico, ma soprattutto diventerà l’architetto di
riferimento della dinastia asburgica in occasione degli interventi urbanistici
sulla Ringstrasse di Vienna. Sarà lui a progettare (senza riuscire a
realizzare, per le forti resistenze di natura ideologica che si opponevano al
progetto) il Kaiserforum, ovvero la
reggia in cui gli Asburgo avrebbero dovuto trasferire la loro residenza [1]; secondo
i suoi progetti furono invece costruiti (in pieno stile neo-rinascimentale) il
museo nazionale di storia dell’arte e quello di scienza naturali, ovvero gli
attuali Kunsthistorisches e Naturhistorisches Museum.
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Il primo Palazzo dell'Opera costruito a Dresda da Semper nel 1850 Fonte: Wikimedia Commons da D. Syndram, Die Rückkehr des Dresdner Schlosses, edition Sächsische Zeitung, 2006, S. 88 |
Un manoscritto mai pubblicato
Eppure il manoscritto stilato da
Semper nel 1852 (in un inglese non privo di qualche errore, posto che Gottfried
stava scrivendo in una lingua a lui non del tutto familiare) non fu mai
pubblicato. Abbiamo ricordato per sommi capi la carriera di Semper fino a
giungere ai trionfi viennesi perché, in realtà, esiste una relazione tutt’altro
che banale fra l’esperienza londinese e gli anni della capitale austriaca. Il
manoscritto originale fu consegnato a Cole, ma qualcosa andò senz’altro per le
lunghe; solo tre anni dopo, ad esempio, lo scritto finì nelle mani di John
Charles Robinson per la correzione del medesimo. Robinson stilò tutte le sue
postille nella mezza colonna di ogni pagina che l’autore aveva lasciato
volutamente vuota. Tali postille non risparmiavano critiche a Semper non tanto
nel merito, quanto nella sua mancanza di metodicità nelle citazioni
bibliografiche etc. Alle note di Robinson dovevano quindi seguire le correzioni
di Semper. Ma l’architetto tedesco, proprio nel 1855, stava trasferendosi a Zurigo.
Probabile che per questo motivo il tutto si sia interrotto.
Va peraltro detto che – forse
proprio per poter operare le correzioni anche standosene in Svizzera – Semper
aveva chiesto e ottenuto di farsi fare una copia del manoscritto (a giudicare
dalla sistematica storpiatura di tutti i nomi italiani il copista non doveva
avere molta dimestichezza con la nostra lingua).
Nel 1857 apriva a Londra,
sull’onda dell’esperienza della Great Exhibition il South Kensington Museum
(futuro Victoria and Albert), primo museo dedicato alle arti applicate.
L’esperienza inglese interessava particolarmente il professore di Storia
dell’Arte dell’Università di Vienna, quel Rudolf Eitelberger von Edelberg che
fu, di fatto, il primo esponente della cosiddetta “Scuola di Vienna” [2].
Eitelberger proponeva nel 1863 la nascita di un museo che avesse funzione
didattica e permettesse, tramite lo studio dei manufatti antichi, il
miglioramento del livello della produzione delle arti applicate nell’Impero. Si
trattava del Museo Austriaco Reale ed Imperiale per l’arte e l’industria (k.k. Österreichischen Museums für Kunst und Industrie), inaugurato l’anno successivo. Nel
1867 l’architetto Joseph Zitek, corrispondente del museo viennese a Praga, nel
corso di una sua visita a Zurigo, dove insegnava Semper, veniva a sapere della
copia del manoscritto e che a Semper non sarebbe dispiaciuto donarla
all’istituzione austriaca. Zitek informava Eitelberger, che non perdeva un solo
secondo a scrivere a Gottfried per assicurarsi il lavoro. Ci sono molte cose
che non sono chiare: innanzi tutto perché Semper si offrì di donare il trattato:
perché pensava che il nuovo museo austriaco fosse davvero la destinazione
ideale per conservare la sua opera o per ingraziarsi l’establishment viennese in vista della scelta dell’architetto per i
palazzi della Ringstrasse? Né
sappiamo se Eitelberger sapesse che il manoscritto conteneva un “manifesto”
sull’organizzazione del museo ideale che, di fatto, sembrava calzare a pennello
attorno alle sue idee.
Fatto sta che la copia del
manoscritto originale di Semper – che è quella oggetto della presente trascrizione
– si trova oggi custodita presso la biblioteca del MAK (il nome attuale del museo fondato da Eitelberger) con segnatura B.I.1909.
È classificata in un fascicolo a cui è stato dato il titolo bilingue di Ideales Museum für Metallotechnik
ausgearbeitet zu London im Jahre 1852 von Gottfried Semper (Ideal Museum for
Metal Arts, devised in London in the year 1852 by Gottfried Semper. Il titolo originale dell’opera è
invece “Practical Art in Metals and hard
Materials, its Technology, History and Styles”. Nel frattempo è
stata reperita anche la copia originale del trattato, ovvero quella scritta da
Semper nel 1852. Si trova conservata (come era logico supporre) presso la
National Art Library del Victoria and Albert Museum, con segnatura 86.FF.64.
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La facciata attuale dell'Opera a Dresda (chiamata Semper Opera in onore di Gottfried Semper) Fonte: Wikimedia Commons: Foto Sebastian Terfloth |
Per una storia dei musei
Il manoscritto di Semper si compone
di una sezione iniziale intitolata “On
Collections, their History and Estates”, che davvero (come sostiene Peter
Noever in una pagina introduttiva) costituisce “il” manifesto di Semper in tema
di museologia. Tutto il resto (stiamo parlando di quasi 200 pagine) potrebbe
sembrare l’arida elencazione di oggetti, manufatti, collezioni che si prestano
a far parte del “museo ideale” o che comunque, sarebbero da tenere in
considerazione nel momento in cui ci si risolvesse alla creazione di un
istituto dedicato ad illustrare al pubblico i prodotti della metallurgia umana.
In realtà, gli spunti di particolare interesse ci sono eccome, e lo vedremo.
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Il progetto del Kaiserforum (la nuova residenza degli Asburgo) presentato a Vienna da Gottfried Semper |
Tutta la trattazione è informata,
comunque, a una profonda conoscenza della materia, che deve aver costituito il
vero grande scoglio che Semper si trovò a dover superare. Le pagine 273-281,
che contengono la bibliografia dell’opera (non esiste un indice analitico, ma
solo leggendo il manoscritto ci si rende conto che sarebbe stato
particolarmente ostico realizzarlo) rendono conto della ricchezza dei materiali
che l’architetto tedesco dovette collazionare in un tempo estremamente breve,
se si tien conto appunto che la redazione dell’opera occupò i mesi dall’aprile
all’agosto del 1852.
Credo sia il caso di notare (non
mi pare che la circostanza sia stata sottolineata) che la sezione sul Museo
ideale contiene al suo interno una storia del collezionismo e dei musei
tutt’altro che banale per l’epoca. Secondo una lettura antropologica che Semper
ha proposto appena un anno prima ne ‘I
quattro elementi dell’architettura. Un contributo all’architettura comparata’
(Die vier Elemente der Baukunst. Ein
Beitrag zur vergleichenden Baukunde, 1851) il collezionismo nasce prima che
la società abbia trovato un suo fondamento architettonico e un’arte di
dimensione monumentale, perché “gli oggetti di valore sembravano più al sicuro
rispetto ai furti se depositati vicino alle sepolture dei capi […]; protetti
dalla venerazione pubblica e dal rispetto per i morti” (p. 46). Intendiamoci,
letta oggi, la storia del collezionismo (specie degli oggetti in metallo)
appare ispirata da un determinismo fuori luogo con forti spunto di pregiudizio
religioso. Ad esempio, per sostenere che nei secoli bui i luoghi in cui
venivano raccolti gli oggetti preziosi erano chiese e monasteri Semper scrive,
a proposito dei barbari: “Come gli antenati dei Greci, nutrivano grande
venerazione per il culto dei morti, e questo sentimento religioso spiega
l’ascendente che la Chiesa Cattolica Romana, con il suo culto dei santi e
l’adorazione delle sacre reliquie, riuscì a conseguire così in fretta sulle
menti di quelle nazioni barbare” (p. 49). Ma un principio è chiaro: la
separatezza fra le Wunderkammern del
1500 [4] e l’idea di museo a lui contemporanea, che è ricondotta alla nascita
delle Accademie (dove come tali si intendono chiaramente gli istituti pubblici
finanziati dai governi, a partire, ovviamente, dall’Accademia francese del 1648):
“L’inizio di questa nuova era nella museologia s’identificò col periodo in cui
cominciarono ad essere fondate le Accademie d’arte”: il museo viene considerato
come supporto didattico per l’insegnamento dell’arte: “le nuove considerazioni
che si facevano in materia di utilità per l’istruzione divennero man mano prevalenti
nell’ambito della Museologia e conseguenza di ciò fu un totale cambiamento
nella composizione e nella gestione delle collezioni. Il problema di quel
periodo fu quello di mettere un qualche ordine e principio sistematico in una
massa indistinta di materiali collezionati e oggetti d’arte. Il principio base
che governò questo tentativo […] corrispose alla generale direzione critica che
la scienza aveva intrapreso nello scorso secolo. Ordine ed evidenza furono
ottenuti separando, classificando e attribuendo nomenclature.” (pp. 53-54). Per
l’epoca, è un’analisi di rara chiarezza.
Vienna, Facciata del Kunsthistorisches Museum, su progetto degli architetti Carl von Hasenauer e Gottfried Semper Fonte: Wikimedia Commons. Foto Andrew Bossi |
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Vienna, Facciata del Naturhistorisches Museum, su progetto degli architetti Carl von Hasenauer e Gottfried Semper Fonte: Wikimedia Commons. Foto Gryffindor |
L’organizzazione del Museo Ideale
Diretta conseguenza della
distinzione fra collezioni vecchie e nuove è che il Museo Ideale di Semper ha
funzioni di istruzione pubblica. Da qui sorge il problema di come organizzarlo.
Tale aspetto prescinde in assoluto dalla tipologia di museo. Qui Semper sta
parlando con riferimento alle collezioni di prodotti metallurgici, ma è appena
evidente che in realtà il discorso è molto più generale. E qui non possiamo non
esaminare l’idea estetica di arte e architettura che permea tutte le opere
teoriche di Semper, a partire dai Quattro
elementi (che abbiamo già citato) per giungere sino a Lo stile nelle arti tecniche e tettoniche del 1860-1863 (Der Stil in den technischen und tektonischen
Künsten). Semper riconduce l’analisi delle forme all’analisi delle funzioni
che gli edifici dovevano svolgere in origine per gli uomini. Queste funzioni
sono sostanzialmente quattro: produzione di calore (il focolare), protezione
dal nemico (la recinzione), dalle intemperie provenienti dall'alto (il tetto) e dal basso (l’alzata di terra).
Da queste funzioni “primitive”, che esistono prima che esista l’architettura,
si sviluppa il tutto; la divisione degli ambienti, ad esempio, prima di essere
assicurata da opere murarie è realizzata tramite l’arte tessile, e ha quindi
un’origine artigianale, legata all’arte dei tappezzieri. Nell’affrontare le
funzioni derivanti dalle necessità primordiali Semper applica anche al museo
ideale la stessa quadripartizione che un anno prima ha esplicitato nei Quattro elementi: 1) produzione dei
tessuti; 2) produzione di ceramiche; 3) lavori in legno; 4) realizzazione di
opere murarie. “La maggior parte dei prodotti artistici e industriali
presentano un carattere misto e sono legate a più di una delle quattro famiglie
in questione [n.d.r. va da sé che la cosa vale anche per i lavori in metallo]. Devono
essere collocate e sistemate nella collezione in maniera tale da costituire le
tappe intermedie fra gli estremi che delimitano la raccolta, formati invece
dagli oggetti che rappresentano le funzioni sopracitate con la massima purezza.
Il progetto di una Collezione, dunque, forma un quadrato, i cui quattro angoli
costituiscono i punti di giunzione con le altre raccolte che, prese insieme, si
completano fra loro” (p. 57). Ogni sezione di un museo deve essere dunque
dedicata a tessuti, carpenteria, arti ceramiche e opere in muratura, con aree
di passaggio graduale e reciproco interscambio negli angoli.
Il Rinascimento
C’è un elemento a cui accenniamo
qui e che riguarda anche la sezione iniziale dedicata al museo ideale, ma
soprattutto tutte le pagine dedicate alla rassegna degli oggetti e dei
materiali. Quando Semper elenca i materiali opera quasi sempre una scansione
cronologica che prevede l’esame dei prodotti dell’antichità greca e romana,
quello degli oggetti medievali (e spesso si fa riferimento al “gotico”) nonché
dei prodotti rinascimentali. Il barocco non esiste. È però proprio l’uso del
termine “Rinascimento” che qui vogliamo sottolineare, congiuntamente alla
cronologia ottocentesca in cui ci stiamo muovendo. Tutti sappiamo che
tradizionalmente l’inventore della parola “Rinascimento” è considerato Jacob
Burckhardt, che mette a fuoco il concetto nella Civiltà del Rinascimento in Italia. Il libro, tuttavia, è del 1860
(e il manoscritto di Semper del 1852). In realtà – un po’ come sulla vicenda
dell’invenzione della pittura ad olio ad opera dei van Eyck – la letteratura in
materia è sconfinata. È infatti attribuita al francese Jules Michelet la
primogenitura nell’utilizzo del termine “Rinascimento”; siamo nel 1841. A tale
utilizzo non avrebbe fatto da contraltare uno sviluppo adeguato del concetto. La
supremazia francese ha subito provocato la suscettibilità degli inglesi, tant’è
che l’Oxford English Dictionary cita
utilizzi del termine nel 1837 e nel 1838 [5]. E noi non possiamo certo
trascurare che Semper scriveva in Inghilterra.
Ciò detto, il dato che appare
evidente è che Gottfried usa il termine “Rinascimento” in maniera del tutto moderna
e coerente (per l’epoca). È un dato da non trascurare, e – inevitabilmente – si
sposa bene con le considerazioni stilistiche sull’operato dell’architetto, che
sarà considerato vero e proprio campione del Neo-Rinascimento a discapito del
revival gotico da un lato e delle nostalgie barocche dall’altro. Nel
manoscritto di Semper il Rinascimento ha già pieno diritto di cittadinanza ed è
pronto per conoscere l’enorme fortuna a cui andrà incontro nella seconda metà
del XIX secolo.
NOTE
[1] Si veda in questo blog
Francesco Mazzaferro, Come tenere insieme l’Impero Austro-Ungarico: le dispute architettoniche sullo ‘Stile nazionale’ e il ruolo di Albert Ilg.
[2] Su Rudolf Eitelberger von
Edelberg si vedano in questo blog Francesco Mazzaferro, Come tenere insieme l’Impero Austro-Ungarico… cit.; AndreasDobslaw, Die Wiener »Quellenschriften« und ihr Herausgeber Rudolf Eitelberger von Edelberg, e Alexander Auf der Heyde, Per l’«avvenire dell’arte inItalia»: Pietro Selvatico e l’estetica applicata alle arti del disegno nel secolo XIX.
[3] Oggi l’epigono di quel museo
prende il nome di Museum Angewandte Kunst o
semplicemente MAK. Il volume che stiamo recensendo è sì stato edito dalla casa
editrice viennese Schlebrügge, ma fa parte della collana MAK Studies ed è stato
realizzato grazie al finanziamento del museo. Per inciso, ha vinto il premio
come miglior libro d’arte austriaco del 2007 e se l’è veramente meritato.
[4] Le informazioni fornite sulle
grandi collezioni del 1500 sono molto complete. Ad esempio si cita il trattato
“sull’arte di sistemare le collezioni” scritto da Samuel Quiccheberg nel 1565.
[5] Si veda la voce “Renaissance”
su Wikipedia.en (nota 13).
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