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venerdì 19 giugno 2015

Ignacy Potocki, Remarks on Architecture [Osservazioni sull'architettura]. A cura di Carolyn C. Guile

English Version

Ignacy Potocki
Remarks on Architecture

[Osservazioni sull'architettura]The Vitruvian tradition in Enlightment Poland

Curato e tradotto da Carolyn C. Guile

The Pennsylvania State University Press, 2015



Il manoscritto trovato a Varsavia

Gli amanti della letteratura, leggendo il nome Potocki, avranno pensato subito a Il manoscritto trovato a Saragozza, romanzo pubblicato (in francese) dal conte polacco Jan Potocki nel 1814. Ignacy Potocki apparteneva alla stessa famiglia magnatizia (con il termine “magnate” si intendono qui i membri dell’alta nobiltà polacca). Molto più prosaicamente il suo manoscritto (“Uwagi o architekturze”) è stato trovato a Varsavia (e non in Spagna) presso l’Archivio Centrale dei Documenti Antichi. Secondo Carolyne C. Guile, ovvero la curatrice, dovrebbe essere stato composto entro il 1786; forse destinato ad una circolazione per pochi intimi, forse alla pubblicazione, non sembra che sia mai stato edito, anche se Guile si affretta a dire che i disastri della II guerra mondiale, e, prima ancora, i furti che il patrimonio archivistico polacco dovette subire ad opera russa, non permettono di escluderne un’avvenuta pubblicazione. Semplicemente, tutte le copie a stampa potrebbero essere state distrutte. Del resto, a corredo del manoscritto vi era sicuramente una serie di disegni che, in circostanze ignote, è stata rimossa, lasciandoci così privi dell’apparato iconografico.

Una cosa è certa: le Osservazioni sull’architettura testimoniano l’interesse di Ignacy Potocki per la materia; un interesse che Ignacy condivise col fratello Stanislaw Kostka e con un gruppo di altri nobili polacchi di fine Settecento. Quella di Guile è la prima edizione a stampa. La curatrice fornisce la trascrizione in polacco dell’opera e la sua traduzione in lingua inglese. Inutile dire che in Italia il trattato di Potocki è totalmente ignoto. Tuttavia, prima di parlare dello scritto, è indispensabile fare una premessa sulla situazione della Polonia in quegli anni.


Alexander Kucharsky (?), Ritratto di Roman Ignacy Potocki, 1783-1784 circa


Il contesto storico

Parlare di Polonia, a fine ‘700, non è del tutto corretto. Bisogna parlare piuttosto della Confederazione Polacco-Lituana; un legame politico fra Polonia e Lituania esisteva, di fatto, dalla fine del 1300 ed era stato appunto formalizzato dall’Unione di Lublino del 1569. Al massimo della sua estensione, nel 1600, il Commonwealth polacco-lituano comprendeva l’attuale Polonia, la Lituania, la Bielorussia e la parte occidentale dell’Ucraina. L’Unione di Lublino aveva instaurato un sistema politico che prevedeva un monarca elettivo e una proto-democrazia controllata dai nobili (secondo il principio della cosiddetta aurea libertas). Il sistema politico degenerò quando le prerogative dei nobili si allargarono con l’assunzione del principio del liberum veto, secondo cui bastava che uno solo dei componenti del Parlamento si opponesse all’approvazione di una legge perché la medesima saltasse. La Confederazione Polacco-Lituana è, nel corso del 1700, un’organizzazione confederale multietnica sostanzialmente paralizzata dal potere di veto di ciascun nobile ed esposta alle mire espansionistiche dei vicini di casa: l’Austria, la Russa, la Prussia. Fra 1772 e 1795 (precisamente, nel 1772, 1793 e 1795), con le cosiddette “Spartizioni” uno degli stati più grandi d’Europa sparisce dalla carta geografica, e i relativi territori passano appunto a far parte dei tre governi sopra menzionati. Di fatto, un suicidio politico. Quando Ignacy scrive il suo trattato, la Prima spartizione (con la perdita di circa un 30% dei territori, la maggior parte dei quali non di lingua polacca) si era già verificata.

Ignacy fa parte di una porzione della nobiltà magnatizia polacca che comprende come, di fronte all’inesorabile declino, occorra riformare il sistema (mantenendo tuttavia il controllo politico dello stesso). Tradizionalmente questi anni si definiscono come quelli dell’Illuminismo polacco. Ignacy ne è un protagonista, prima col suo impegno civile, volto alla riforma del sistema educativo, di cui senza dubbio alcuno le Osservazioni sull’architettura fanno parte; poi con l’impegno politico, che lo portano ad essere uno dei principali estensori della costituzione del 3 maggio 1791, che instaura una monarchia costituzionale che ha vita brevissima.

Lo stemma della famiglia Potocki



Ignacy Potocki

Come quasi tutti i membri dell’alta nobiltà polacca, Potocki ha un’educazione europea. Nato nel 1750, nel 1765 si trasferisce in Italia, dove frequenta il Collegio Nazareno, e dove rimane fino al 1769. Ma la sua educazione “europea” lo porta a vivere per lunghi periodi anche in Francia. Visita inoltre la Germania e la Gran Bretagna e non torna in patria prima del 1771. Sul piano politico resta conquistato dalla monarchia costituzionale inglese (e sarà questo l’esempio a cui si ispirerà nella Costituzione del 1791); su quello delle idee dall’illuminismo e dal razionalismo francesi (è sua una traduzione polacca dello Spirito delle Leggi di Montesquieu). L’interesse per l’architettura è, naturalmente, qualcosa che nasce in Italia; ci sono giunti fortunosamente alcuni suoi disegni architettonici del periodo italiano. Interesse che condivide con il fratello Stanislaw Kostka. Siamo in pieno clima neoclassico-winckelmaniano. Basti qui ricordare che Stanislaw finanziò alcuni scavi archeologici a Nola attorno al 1785, e soprattutto che fu autore della prima storia dell’arte in polacco; un’opera (pubblicata nel 1815) in cui già il titolo designava una precisa scelta di campo: Sulla storia dell’arte degli antichi, ovvero il Winckelmann polacco.

Tornato in Polonia, Ignacy fu membro quasi per vent’anni (dal 1773 al 1791) della Commissione Nazionale per l’educazione (di fatto, il primo ministero dell’istruzione della storia); e nell’ambito della Commissione fondò e presiedette la Società per i libri di testo elementari. Due scelte che rispecchiano in maniera evidente quale fu l’impegno di Ignacy per una riforma del sistema educativo polacco (di fatto lasciato in mano ai Gesuiti e agli Scolopi fino a qualche anno prima), nella convinzione illuministica che fosse proprio dall’educazione scolastica che potessero derivare i maggiori benefici per una nazione; specie in un paese in cui si parlavano lingue diverse e in cui, di fatto, la sola nobiltà usava il francese come koiné. È convinzione della curatrice – da evidenze interne del manoscritto – che le Osservazioni siano state estese nell’ambito di questo ventennio di intenso lavoro a favore della riforma didattica; e, in particolare, prima del 1786. [1]

Anton Graff, Ritratto di Stanislaw Kostka Potocki, 1785



Le Osservazioni sull’architettura

Le Osservazioni sono un testo di natura didattica, in cui Potocki si rivolge ai nobili polacchi e li esorta allo studio dell’architettura. Si tratta dunque di uno scritto stilato da un nobile per i nobili, nella convinzione che l’esercizio di un’architettura corretta possa essere di grande giovamento per la Polonia. E qui dobbiamo subito fare una precisazione: è chiaro che Ignacy si muove dentro coordinate culturali che sono quelle del neoclassicismo europeo; così come è chiarissima l’influenza che su di lui esercitano autori francesi come Marc-Antoine Laugier con il suo razionalismo architettonico. Laugier ritiene che architettura e teoria dell’architettura nascano dalla natura, e che possano (anzi, debbano) essere guidate in tutto e per tutto dalla ragione. In questo senso Potocki aderisce a una visione della storia dell’architettura che è quella di una disciplina che ha conosciuto un forte declino a causa del barocco e del rococò e che solo in quegli anni si sta risvegliando sull’onda del ritrovato classicismo. Credo che possa essere intuitivo come questa visione si possa abbinare bene con la storia della Polonia in quegli anni; una confederazione che ha appena conosciuto la prima delle tre Spartizioni e che ha bisogno urgente ed estremo di riformarsi e di rinascere. In questo senso ritengo che si possa parlare da un lato di adesione di Potocki ad un filone ideale europeo e dall’altro di un “patriottismo” nazionale (che non sempre è condiviso dal resto della nobiltà; non dimentichiamo che la confederazione si era ridotta in condizioni di estrema debolezza proprio per via degli eccessivi privilegi della nobiltà, che col diritto di veto badava più al proprio interesse che a quello del bene pubblico).

L’architettura, per Ignacy, non è una disciplina tecnica, ma una branca diretta della filosofia (illuministica). In questo senso non è lasciata al giudizio dei soli architetti, ma anzi deve essere indirizzata da quello di un pubblico più ampio (quello dei committenti nobili) nel cui novero ovviamente l’autore si iscrive. Si tratta di una materia che coinvolge direttamente il bene pubblico e la responsabilità civile. È un compito preciso della nobiltà investire i propri denari nella realizzazione di opere pubbliche (e non solo di palazzi privati): in chiese, ospedali, scuole, bagni pubblici necessari per l’igiene. In maniera molto illuminista scrive Ignacy: “se i ricchi imparassero a gestire con maggior diligenza i loro denari, sono certo che l’indolenza, la povertà e i vizi si trasformerebbero ovunque in industriosità, autosufficienza finanziaria, energia e lavoro” (p. 17). La sfera degli interventi per liberare l’architettura dagli eccessi del barocco e del rococò porta l’autore a ragionare in termini proto-urbanistici, come quando propone che, per motivi estetici, vengano create commissioni al massimo di due o tre architetti che regolamentino l’aspetto esterno delle facciate dei palazzi, facendo l’esempio virtuoso della città di Torino. Le sue sono – in fondo – preoccupazioni non molto dissimili da quelle che poteva avere l’architetto napoletano Vincenzo Marulli quando pubblicava, nel 1808, il trattato Su l’architettura e la nettezza delle città, a testimonianza di quanto fosse universale la lingua parlata dal neoclassico.  

Le Osservazioni presentano una prefazione e sei capitoli che trattano rispettivamente delle tipologie architettoniche, della bellezza, dei benefici che porta l’architettura, degli ornamenti, della comodità e, infine, delle conoscenze che sono richieste all’architetto.


Vitruvio e le specificità polacche

Il sottotitolo dell’opera (The Vitruvian tradition in Enlightment Poland) cita la tradizione vitruviana. È fuori di dubbio che Vitruvio, per chiunque si interessi di architettura, sia un punto di riferimento. Tuttavia non bisogna pensare che quello di Potocki sia uno scritto anacronistico. La fase in cui Vitruvio è considerato canone assoluto a cui fare riferimento è ampiamente superata [2] e sono pienamente assimilate le lezioni di Perrault sulla distinzione fra bellezza positiva e bellezza arbitraria, e sulla variazione delle proporzioni a seconda del gusto dei tempi. Vitruvio, per quanto grande egli fosse, è un uomo fallace; non l’autore di una Bibbia laica. Sotto questo punto di vista, ancora una volta, Potocki dimostra di essere perfettamente al corrente (evidentemente tramite i suoi viaggi, ma più in generale grazie alla trattatistica) dei dibattiti più recenti.

La messa in discussione di Vitruvio (sia pur nella piena consapevolezza della sua importanza) crea tuttavia qualche problema all’autrice. Non saremmo onesti se tralasciassimo di dire che, da un punto di vista metodologico, Guile si dichiara interessata soprattutto a due aspetti, per molti versi fra loro connessi:
  • capire come circolino e vengano percepite le idee in una regione di confine per la civiltà occidentale; è cioè più importante considerare l’architettura da un punto di vista della storia delle idee o tener conto degli aspetti geografici e dei confini; ogni nazione sviluppa una “sua” teoria dell’architettura? Se sì, qual è quella della confederazione polacco-lituana?
  • capire se il modello di trasmissione della cultura dal centro alla periferia possa essere applicabile nel caso polacco o debba essere rivisto.

Ad essere onesti, non sembra che a questi interrogativi vengano fornite sempre risposte chiare, probabilmente perché il materiale manoscritto è stato praticamente annientato dalla vicissitudine storiche della Polonia.

Appare evidente, come già detto, che le idee di Potocki siano quelle dell’Illuminismo europeo. Appare altrettanto chiaro che, pur appartenendo ad un’elite e peraltro rappresentandone solo una parte, Ignacy non rappresenti solo se stesso, ma un gruppo di persone di cultura che vedono nell’adesione ai principi dell’illuminismo e nell’appartenenza ad una civiltà europea con comuni radici greco-romane un elemento identitario. Poi è chiaro che esistono le specificità; la prima di queste – l’abbiamo già vista – è quella politica. Ma anche in architettura si avverte l’esigenza di adattare la tradizione vitruviana all’esistente e alle esigenze locali.  

A questo proposito la curatrice segnala come già nel 1659 fosse comparso un primo trattato di sapore vitruviano, di autore anonimo (forse di Lukasz Opaliński) intitolato Breve studio per la costruzione di case padronali, palazzi e castelli secondo il cielo e i modi polacchi. Anche Potocki è attento a conciliare le disposizioni di Vitruvio con quelle del “cielo polacco”, e prende in considerazione, ad esempio, le diverse condizioni climatiche. Allo stesso modo viene presa in considerazione (e non condannata) la consuetudine di costruire i tetti delle case in legno e non in mattone (pur avendo ben presente i rischi di incendi). E tuttavia, in senso lato, non si può dire che questo tipo di discorso sia stato “solo” polacco. Lo abbiamo già incontrato ad esempio, nei Paesi Bassi, dove ad essere rielaborato è soprattutto il trattato di Scamozzi, e con le medesime preoccupazioni. Se cioè il tentativo è quello di separare un linguaggio “vitruviano” da un altro di derivazione “squisitamente polacco” non possiamo escludere che ci si trovi semplicemente di fronte all’esigenza di conciliare necessità di natura pratica emerse storicamente in tutta Europa.

Per quanto riguarda la circolazione e la trasmissione delle prescrizioni architettoniche, è difficile parlare di un percorso che segue inesorabilmente il tragitto dal centro alla periferia. Innanzi tutto, non sappiamo esattamente dove stia il centro. Per Potocki si trova, formalmente, a Roma. Ma poi, come abbiamo visto, il linguaggio architettonico di Ignacy è fortemente contaminato dagli influssi francesi. Assistiamo peraltro a un proliferare di centri, che corrispondono alle fioriture (o al declino) delle grandi monarchie europee. Possiamo giudicare la Polonia come regione di confine, certamente; ma senza dimenticare che più a oriente San Pietroburgo era una città architettonicamente italiana; o che lo stesso Potocki cita una realtà come la Svezia e il Palazzo reale di Stoccolma realizzato da Nicodemus Tessin il Giovane.

Alla fine, il principale merito del libro è il ricordarci che anche la Polonia, a fine 1700, è partecipe, pur tra mille traversie di carattere politico, del gusto neoclassico, che si afferma come vera lingua universale delle arti in Europa. E ricordarci che anche la Polonia ne fa culturalmente parte a pieno titolo non è un male per nessuno. 


NOTE

[1] Pur essendone convinta, non esistendo tuttavia una prova certa della datazione, Guile non esclude che la redazione possa essere avvenuta negli anni della vecchiaia, dopo il 1800. Ma l’ipotesi che prospetta per prima ci sembra convincente.


[2] Si veda in proposito l’imprescindibile Pier Nicola Pagliara, Vitruvio da testo a canone in Memoria dell’antico nell’arte italiana III, Torino, Einaudi. 

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