Francesco Mazzaferro
I Diari di Paul Klee
[Versione originale: aprile-giugno 2015 - Nuova versione: aprile 2019]
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Fig. 15) L'edizione critica dei Diari del 1988, curata da Wolfgang Kersten |
Klee espressionista (1910-1915)
Una precisazione è
d’obbligo. In nessun passaggio dei Diari Klee
fa esplicita professione di aver aderito all’espressionismo. Del resto,
l’immagine che abbiamo di quel movimento oggi è assai diversa rispetto a quella
che esisteva allora. Si pensi che al Blauer
Reiter, il Cavaliere Azzurro, il
movimento espressionista di Kandinskij, Marc,
Jawlensky, Macke, Münter, Feininger e altri, cui egli partecipò e per il
quale egli è spesso ricordato, Klee dedica nei Diari non più di due paragrafi (905-907) su più di mille, e dunque
solo due pagine su più di trecento, per giunta sostanzialmente trascrizioni da
una contemporanea recensione che egli scrisse per una rivista periodica
svizzera (Die Alpen). Bene, il
passaggio nei Diari menziona
solamente Kandinskij ed ignora tutti gli altri.
Un parallelo con le
memorie di Nolde s’impone: anche Nolde, su un totale di 800 pagine del suo
diario, dedica al movimento Die Brücke
(Il ponte) del 1906 solamente una
pagina e mezza degli scritti. Dunque, gli scritti autobiografici dei maggiori
esponenti dell’epoca sono volti a disegnare percorsi personali, e non
collettivi, di espressione artistica. Paradossalmente saranno la mostra nazista
sulla cosiddetta ’arte degenerata’ a Monaco nel 1937, le aste di ‘arte
degenerata’ provenienti dai musei tedeschi, organizzate a Zurigo e Lucerna nel
giugno 1939 (con cui i nazisti fecero cassa, la cosiddetta ‘Verwertungsaktion’- l’azione per
realizzare soldi - usando il contante acquisito per attaccare militarmente la
Polonia solo qualche mese dopo) e le mostre newyorkesi della seconda metà degli
anni trenta a canonizzare l’idea di un movimento espressionista [139]. Dopo la
guerra, la Germania occidentale troverà nell’idea di quel movimento la base per
la propria rinascita artistica e ne accentuerà tutti gli aspetti unitari.
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Fig. 16) Il bando per le aste di 'Arte degenerata' di Zurigo e Lucerna (in cui furono messe in vendita anche opere di Klee) |
Klee non ha spirito di
gruppo. Scrive di essere divenuto membro dell’associazione Sema di Alfred Kubin nel 1912, ma attribuisce il merito della sua
partecipazione non a se stesso e neppure a Kubin, ma a Wilhelm Michel – critico
d’arte e letterario vicino alla Secessione di Darmstadt – oggi caduto in oblio.
Parla del Moderner Bund di Hans Arp
come del movimento degli espressionisti svizzeri (ma non dice di farne parte).
In termini di appartenenza, si identifica con la Neue Sezession di Monaco del 1914, che in realtà era più
un’associazione commerciale che un movimento artistico, non essendo riuscita a
divenire il movimento unitario dei modernisti monacensi. Dunque, Klee è
espressionista nel senso che l’arte tedesca di quel tempo – gli anni precedenti
la prima guerra mondiale – è considerata la vera e propria epoca di nascita e
fioritura dell’espressionismo tedesco.
In realtà Klee, nei Diari, fa soprattutto riferimento in
termini terminologici alla sua adesione all’impressionismo, anche in epoche in
cui il suo stile non lo è più, e solamente in una fase avanzata (1915) se ne
distanzia in modo esplicito: “È
impressionista, un campo di cui mi restano solo ricordi.“ [140]. Di fatto,
con la partecipazione al Blauer Reiter
(il Cavaliere azzurro) ed al Sonderbund
(la cosiddetta ‘lega separata’ – un’espressione tratta dalla storia svizzera
del 1848 –, con la mostra comune degli espressionisti renani come Macke e degli
espressionisti artisti espulsi dalla Secessione di Berlino (come Nolde) nel
1912 e la collaborazione alla rivista berlinese Der Sturm a partire dal 1914, Klee è entrato a far parte del nucleo duro
degli espressionisti tedeschi (sono eventi che egli comunque non cita nei Diari).
I Diari rivelano, nel 1911, le incertezze di Klee sulla direzione da dare alla propria arte: “Quanto più la mia
produzione procede, tanto meno assume un orientamento determinato. Attualmente
questo fiume si trasforma in qualcosa di nuovo, diventa largo come un lago.
Spero che non sia privo della corrispondente profondità. Ero l’esempio vivente di un
periodo della storia dell’arte, ho teso verso l’impressionismo, e poi sono
andato oltre. Non intendo dire che l’ho superato solo a causa del trascorrere
degli anni. Almeno spero che non sia così. (…) In momenti di lucidità riesco ad
abbracciare con uno sguardo dodici anni di evoluzione interiore del mio io.
Prima convulso, con grandi paraocchi, poi la scomparsa dei paraocchi e dell’io,
e ora, a poco a poco, un io senza paraocchi. È stato un bene non poter
prevedere tutto.” [141] Queste riflessioni retrospettive, incluse come già
detto nel 1911, potrebbero forse essere anche posteriori, addirittura scritte
nel 1920-1921. L’artista vuol raggiungere una piena capacità di comprensione
del fatto artistico: l' “io senza paraocchi”. Lo vuol fare come individuo, non
come membro di un gruppo. E si rallegra che raggiungere questa meta sia un
percorso continuo, progressivo, graduale. Parlando nello stesso paragrafo in
termini positivi di Van Gogh e del suo modo di utilizzare la linea nella
pittura, egli scrive: “La sua linea è
nuova e insieme antichissima. Più che di rivoluzione si tratta di riforma. Che
ci sia una linea che si avvalga dell’impressionismo e al tempo stesso lo
superi, è un fatto che mi elettrizza prodigiosamente. La linea nel senso del
progresso” [142]. Klee e Van Gogh come eroi del gradualismo, della
continuità tra passato e futuro, nonostante entrambi siano considerati oggi
artisti di rottura.
Diversi fattori – cui
Klee fa riferimento nei Diari -
spiegano la sua graduale transizione allo stile espressionista: (i) la scoperta
di Cezanne nel 1909, che egli identifica immediatamente come “mio maestro par excellence, molto più di
Van Gogh” [143]; (ii) l’incontro con Kubin nel 1910 e l’ingresso nel già
citato gruppo Sema nel 1911, “un’associazione di giovani artisti … con il
proposito … di ridurre pittura, scultura e disegno ai loro elementi primi”
[144]; (iii) il breve viaggio a Parigi nel 1912, durante il quale visita Hofer
e Delaunay (e vede pitture di Picasso,
Braque, Derain, Vlaminck e Matisse); (iv) l’insistenza sull’importanza del
segno, del tratto come elemento costitutivo della composizione, un motivo
ereditato dagli anni precedenti, che egli continua a vedere come centrale nella
sua produzione artistica; (v) il congedo
dalla fase naturalistica ed il ritorno ad elementi concettuali – è ancora
l’eredità dell’Ideenkunst, l’arte
idealista, che ritorna; (vi) l'incontro con Kandinsky e Marc nel 1911 a
Monaco e l’ingresso nel Blaue Reiter
(Cavaliere azzurro) nel 1912; (vii) il dialogo e la cooperazione con molti dei
critici d’arte e commercianti che sostengono l’espressionismo (Michel, Thannhauser,
Walden, Goltz); ed infine (viii) il
passaggio da una pittura tonale ad una cromatica, in occasione del viaggio in
Tunisia del 1914.
Quel che è certo è che Klee non ha più alcun senso
di appartenenza ai circoli dell’antica Secessione monacense, quella fondata nel
1898 nella capitale bavarese, dove gli artisti della Secessione (inclusi i suoi
maestri Knirr e Stuck) sono comunque ancora attivi in quei giorni. “Quando uno di quei selvaggi del salon di
Monaco, o uno di quei pompier [145] appena
arrivati subisce un raptus erotico, compone una 'Adorazione di donna'. Si
vedrà allora un nudo per il quale ha posato una cameriera, una commessa di
negozio o qualcosa di simile, e prostrato dinanzi a lei, anch’egli nudo, il
signor artista pittore. E dire che nella pinacoteca di Monaco è possibile
ammirare il miglior quadro di carattere erotico, il ritratto della moglie di
Rubens, con un cappello di velluto e una collana di perle, più belle di quelle
autentiche. Ritratto di donna all’ennesima potenza. E dire che si troverà
sempre qualcuno che produrrà le croste di cui sopra [146] [147]” Sono parole del 1909. Quell’anno egli
scrive, “La Mostra della Secessione
rifiuta in blocco i miei cinque disegni. [148]” Incomprensione reciproca.
D’altra parte basta un confronto tra lui e l’antico maestro von Stuck – su due
opere entrambe concepite come uno scherzo - per vedere quale sia ormai la
distanza.
Il senso di distacco viene scandito dal già citato articolo del Marzo 1912
sul settimanale svizzero-tedesco “Alpen”,
cui Klee collabora regolarmente come critico d’arte (toni simili si trovano al
paragrafo 907 dei Diari). Ormai i toni sono di aperta contestazione e
scherno. “E come è divenuto tutto
tranquillo qui a Monaco! Il nostro cortese rettore non oserebbe mai nominare
professore un membro della cooperativa degli artisti senza fare in modo che la
sua nomina sia seguita a brevissima distanza dalla nomina di un co-professore della Secessione. La società controlla se stessa, si mantiene immutata. Una
volta perseguitata, poi tollerata, adesso la Secessione abita in modo regale in
bei palazzi. È tempo che qualcosa di nuovo accada!” [149]. Il riferimento è
forse ai palazzi a Monaco di Stuck e Lenbach, abitazioni regali, oggi entrambi
musei [150]. Ma il suo non è un semplice grido modernista, alla Dada: la novità
si deve basare su motivi popolari ed infantili, ma anche su aspetti dell’antico,
sia pur tutti scelti selettivamente, e sullo studio delle altre civiltà: “La novità di quel che oggi proviamo e
creiamo deve essere scoperta nel suo rapporto con tempi e gli stadi precedenti,
l’arte popolare, l’arte dei bambini, da noi il Gotico e l’oriente, l’Africa.”
[151]
Non a caso qualche anno dopo il poeta espressionista Theodor Däubler (1876-
1934) definirà Klee come un “futurista legato alla tradizione” [152]. Dunque
qualcuno che è sempre contemporaneamente legato al futuro ed al passato. Una
definizione che dovette piacere a Klee, se egli la riporta nei Diari. Questo non significa, comunque,
che non vi siano aspetti dell’arte (sia passata sia recente) che Klee rigetta.
Fra di essi la monumentalità: del resto, è un rifiuto che diviene manifesto già
nei giorni del viaggio in Italia, dieci anni prima. Ecco che cosa scrive
dell’arte di suoi due cari amici, lo scultore tedesco Hermann Haller (1880-1950)
ed il pittore tedesco Karl Hofer (1878-1955), di cui abbiamo già recensito i diari: “O si è monumentali sin
dall’inizio o non lo si è mai. Esattamente come per Haller e Hofer, che hanno
sempre voluto essere monumentali e si sono gravati di elementi retrospettivi.
Ma costoro non sono delusi né lo saranno mai. Poveri felici”. [153]
Il riferimento ai primitivi non deve essere inteso come un semplice
volgersi al passato. Esprime un tentativo minimalista, di economia dell’uso dei
mezzi. “La natura può permettersi di
essere prodiga in tutto, l’artista deve essere economo fino all’estremo. La
natura è eloquente fino a essere prolissa, l’artista sia di una saggia
discrezione. Inoltre è essenziale non cercare di elaborare una impressione
pittorica definitiva, ma consacrarsi totalmente alla parte in divenire del
dipinto. L’impressione d’insieme si basa su una valutazione di economia, che
consiste nel suddividere l’effetto globale su una gradazione ristretta. Tutto
ciò dipende dalla volontà e dalla disciplina. Dalla disciplina, l’opera nel suo
insieme; dalla volontà, l’opera nelle sue singole parti. Volontà e capacità
sono un tuttuno: chi non sa potere, non sa volere. L’opera giunge così a
compimento a partire dalle sue parti in virtù di una disciplina volta
all’insieme. Se i miei lavori suscitano talvolta un’impressione di
‘primitività’, ciò è dovuto alla disciplina che mi costringe a una gradazione
ridotta. Essa non è altro che economia, dunque una suprema nozione
professionale, l’esatto contrario della primitività reale.” [154] Siamo ancora nel 1909. Sta nascendo
l’idea di una composizione basata sulla contrapposizione di pochi segni: “Unire in una composizione opposti di piccola
entità, ma anche rilevanti, ad esempio contrapporre l’ordine ed il caos in modo
che entrambi, in gruppi fra loro collegati, l’uno accanto all’altro o sopra
all’altro, entrino in una reciproca relazione fra contrari, attraverso cui,
dall’una e dall’altra parte, i caratteri assumano rilievo. Che io sappia
rendere un’idea simile è, nel migliore dei casi, dubbio; nel peggiore, più che
dubbio. Comunque sento il bisogno di tentare. La riuscita verrà.” [155]
Sono anni di sperimentazione. Da un lato, nel 1912 Klee traduce in tedesco
un saggio di Delaunay sulla luce: “Delaunay
mi ha inviato un articolo scritto da lui stesso sul proprio lavoro.” [156]
Dall’altro, sperimenta con i colori fin dal 1910, giocando però su variazioni
impercettibili di tonalità, sia sul rosso cardinale (il caput mortuum) sia sul bianco: “Preparare
un fondo di pittura con il colore polverizzato e acqua alla colla, poi spalmarlo
come un fondo di creta che permette sin dall’inizio di conferire rilievo sia ai
toni chiari sia a quelli scuri. Ad esempio, il caput mortuum. Su uno sfondo
bianco ogni colore chiaro sembra produrre un effetto scuro, e se non si riesce
a dare scacco al bianco non sarà possibile alcun accordo. La relatività dei
colori. Per questo motivo la nascita
dei miei acquarelli neri mi diede tanta gioia. Applicando un primo strato,
usavo moderatamente il bianco per ottenere le luminosità fondamentali. Questo
strato, di un grigio tenuissimo, produce un effetto assolutamente soddisfacente
poiché, nel contrasto, appare scuro. Ora, se applico, con un uso moderato delle
tonalità un po’ meno chiare, un secondo strato sul primo già asciutto,
arricchisco considerevolmente il quadro e ottengo un nuovo stadio coerente. Naturalmente
gli effetti degli stadi precedenti rimangono intatti nel corso
dell’elaborazione. Così procedo per gradi fino alle tonalità più profonde, e
ritengo questo procedimento ‘cronografico’ d’importanza fondamentale per quanto
riguarda la tonalità.” [157]
I Diari narrano improvvisamente
di tentativi d’innovazione nelle tecniche, che vertono tutti su tentativi
compositivi basati sull’incontro – in chiave molto controllata – di tonalità e
cromatismo, di linea e chiaroscuro: “Ancora
una scoperta rivoluzionaria: più importante della natura e del suo studio è
l’accordo con il contenuto della cassetta dei colori. Un giorno dovrò poter
improvvisare liberamente sulla tastiera cromatica formata dalle scodelline dei
colori all’acquarello.” [158] “Tavolozza
limitata: 1. bianco, 2. nero, 3. giallo di Napoli, 4. caput mortuum, 5 e 6
eventualmente del verde (permanente) e del blu oltremare. Fare attenzione ai
grigi! Grigio caldo, nero con giallo di Napoli; grigio freddo; bianco con nero.”
[159] “Nuovo attacco alla fortezza
del quadro. Dapprima la preparazione di un fondo con del bianco stemperato in
olio di lino. Poi colorire leggermente tutta la superficie con grande macchie
di vari colori, che devono fondersi le une con le altre e restare immuni da ogni
intenzione di chiaroscuro. In terzo luogo il disegno, indipendente e come
surrogato della valorizzazione tonale. Infine alcune note basse per prevenire
ogni impressione di mollezza, non troppo scure, piuttosto a colori vivaci. Questo è lo stile di una combinazione tra
disegno e colore, un modo di salvare il mio fondamentale talento grafico,
trasferendolo nel dominio della pittura.” [160]
Tra le sperimentazioni, si afferma il tentativo di usare la tecnica
fotografica del negativo, traducendo la luce come nero: “La luce dal punto di vista grafico. Rendere la luce come movimento
cromatico è già più nuovo. Ora tento di rendere la luce semplicemente come
espressione di energia. Trattando l’energia in nero su un fondo bianco, dovrei
riuscirci. Ricordo al riguardo l’effetto assolutamente razionale del nero come
luce nei negativi fotografici. Accumulare innumerevoli tratti energici su fondo
bianco per esprimere luminosità essenziali. Questo sarebbe in realtà il
negativo.” [161] “La rappresentazione oscura dell’energia
luminosa continua. Questa concezione analoga a quella del negativo fotografico
è senz’altro valida dal punto di vista pittorico, partendo da un fondo bianco.
Ad essa si aggiunge l’esperienza di una struttura il cui ritmo muta secondo una
legge implicita. Per studiarla ricorro all’aiuto di un mezzo meccanico. In
teoria si potrebbe invertire il pantografo, ma è impossibile prevedere la
deformazione che ne risulterebbe. Per ovviare a questa incertezza, procedo nel
modo seguente: traccio un disegno normale su una lastra di vetro, oscuro la
stanza in cui lavoro, accendo una candela, o meglio ancora un lume a petrolio,
che permette di regolare più facilmente la fiamma. Dispongo poi la lastra di
vetro leggermente inclinata tra la fonte luminosa e un foglio di carta posato
sulla tavola. Risultato: sull’immagine normale si ha AB˃BC˃CD, mentre la
proiezione ‘deformata’ dà invece AiBi˂BiCi˂CiDi. Compio poi i tentativi più
diversi variando l’angolo d’inclinazione della lastra di vetro, finché riesco a
ottenere l’alterazione per me più interessante. Ma sono tutte in qualche modo
convincenti, in virtù della legge che le regola. Elaboro numerose composizioni di tal genere,
secondo il principio pseudoimpressionista: ‘Quel che non mi si addice, lo
elimino’.” [162]
Si va così elaborando un linguaggio geroglifico notturno, basato su simboli
e segni. Un linguaggio semiotico che solamente Alfred Kubin, seguace di Klinger e promotore dell’associazione
artistica Sema, è in grado di
decifrare. È lui a rivolgersi a Klee, acquistando da lui (forse unico in quel
tempo) i suoi disegni. “È venuto a
trovarmi Kubin, il mecenate. Si è mostrato così pieno di entusiasmo da
suggestionare anche me. Eravamo veramente entusiasti davanti ai miei disegni!
Entusiasti oltre ogni limite!” [163] Per un artista profondamente
scoraggiato come Klee, è la rinascita: “Febbraio
1911. Sto compilando un catalogo preciso di tutte le opere ancora in mio
possesso.” [164] “Primavera. Un
artista deve essere un’infinità di cose: poeta, naturalista, filosofo. E anche
burocrate. Questo almeno nel mio caso, poiché ho compilato un esatto elenco di
tutta la mia produzione artistica, a partire dall’infanzia. Ho escluso solo i
disegni scolastici, in quanto privi di autonomia creativa.” [165] È Kubin a
presentargli Kandinskij. Incredibile ma vero: abitano a qualche metro di
distanza, hanno studiato negli stessi anni da von Stuck, ma non si conoscono
ancora.
Nel 1913 il viaggio di Klee lo porta alla composizione astratta. “Un’autentica dichiarazione d’amore per
l’arte, è questo il senso di ciò che ho fatto nel 1913. Astrazione da questo
mondo, più un gioco che uno sfacelo delle cose di quaggiù. Qualcosa di
intermedio. L’innamorato ha smesso di mangiare e di bere. ” [166]. Due anni prima Kandinskij ha pubblicato il
suo saggio “Sullo spirituale nell’arte”,
che è il primo manifesto a teorizzare l’arte astratta nel mondo di lingua
tedesca.
A questo punto – dopo aver raggiunto un nuovo equilibrio compositivo basato
sul valore simbolico del segno – Klee decide che è ormai venuto il momento di
introdurre il colore come elemento della composizione artistica. E lo fa con la
luce accecante della Tunisia, nel corso di un breve viaggio che intraprende con
August Macke e Louis Moilliet. Si rende conto che questo è un passaggio
importante per la sua attività di creatore: “Il disegno, in quanto esprime il movimento della mano che lo registra,
così come io lo pratico abitualmente, è così diverso dall’uso del tono e del
colore che si potrebbe praticare quest’arte nell’oscurità, nella notte più
profonda. Mentre il tono (movimento del chiaro verso lo scuro) presuppone un
po’ di luce, e il colore ne presuppone molta.” [167]
È in Tunisia che il colore diviene parte di una composizione che sposa
l’elemento architettonico (lo aveva scoperto in Italia nel 1901-1902) con
quello tonale (i chiaroscuri soffusi, imparati da Knirr, che gli avevano fatto
amare Leonardo). È una fusione di generi del tutto spirituale. “Tunisi. La testa ancora invasa dalle
impressioni notturne. Arte-Natura-IO. Mi sono messo subito all’opera e ho
dipinto all’acquarello nel rione arabo. Affrontare la sintesi tra
l’architettura della città e quella del dipinto. Non ancora allo stato puro, ma
tentativo colmo d’incanto in cui si mescolano l’atmosfera e l’euforia del
viaggio; cose riguardanti il mio io. Solo più tardi diverrà più obiettivo,
quando i magici vapori si saranno dissolti.” [168] “La
sera è di una bellezza indicibile. E se non bastasse si leva la luna piena.
Louis mi incita a dipingerla. Gli rispondo che sarebbe tutt’al più un
esercizio. È naturale che di fronte a una simile natura io sia impotente. Eppure
so qualcosa che prima ignoravo. Ora conosco il cammino da percorrere fra la mia
impotenza e la natura. È un problema interiore che dovrò affrontare negli anni
a venire. Non provo sconforto. Non si deve aver fretta se si esige molto da se
stessi. Questa sera è profondamente inscritta in me, per sempre. Il sorgere
della bionda luna del Nord, pallido riflesso di questa, mi esorterà in futuro,
mi esorterà per sempre. Sarà la mia sposa; il mio altro io. Sarà lo stimolo a
ritrovarmi. Io sono la luna del Sud, al suo sorgere.” [169] “Abbandono il lavoro. L’ambiente mi penetra
con tanta dolcezza che, anche senza sforzarmi, un senso di sicurezza sempre più
mi pervade. Il colore mi possiede. Non ho bisogno di tentare di afferrarlo. Mi
possiede per sempre, lo so. Ecco il senso di quest’ora felice: il colore e io
siamo una cosa sola. Io sono pittore.” (926 o)
Se la scoperta del colore in Tunisia è rivoluzionaria, essa è subito
attenuata al ritorno in Europa dall’esigenza di assicurare equilibri formali.
“Ogni volta che, nel creare, dallo
stadio della genesi sorge un nuovo tipo d’opera e raggiungo quasi la meta,
subito l’intensità si perde assai e devo cercare altre vie. Produttiva è in
effetti la via, l’essenziale è il divenire che prevale sull’essere.” [170]
Infatti, l’esperienza tunisina non segna il passaggio al paesaggismo. Al centro
della creazione di Klee rimane il problema della forma e dell’equilibrio
compositivo. “La genesi come movimento
formale è l’essenza dell’opera. All’inizio il motivo, introduzione di energia,
sperma. Opere, creazione di forme in senso materiale: archetipi femminili.
Opere, sperma che plasma: archetipi maschili. Il mio disegno appartiene al
maschile.” [171] “La generazione
della forma è di gran lunga inferiore alla determinazione della forma. L’ultimo
risultato di entrambe è la forma. Cammini conducono alla meta. Dall’azione alla
perfezione. Dal propriamente vivente al condizionato. All’inizio l’impulso
energetico, essenzialmente virile. Poi la crescita carnale dell’ovulo. Oppure:
il lampo folgorante, poi il nembo carico di pioggia. Quando lo spirito è più
puro? All’inizio. Qui, l’opera in divenire. Là, l’opera in essere.” [172]
Klee costruttivista – 1915-1918 e
gli anni immediatamente seguenti
Si può caratterizzare la fase costruttivista di Klee come quella che
affianca alla centralità della linea come segno simbolico – la caratteristica
comune a tutte le sue fasi artistiche - la
costruzione del quadro [173], come ulteriore pilastro dell’attività creatrice.
È un’espansione del mondo estetico dell’artista che si avvia già in Tunisia,
dove Klee cerca la sintesi tra “l’architettura delle città” e “l’architettura
del quadro” [174]. Scrive Cathrin
Klingsöhr-Leroy sugli acquarelli tunisini: “Dietro
sovrapposizioni e sfumature di colore fluido, si percepisce una struttura di
base, che si basa su una griglia orizzontale e verticale. Mentre i cubisti
hanno l’obiettivo della decostruzione delle forme plastiche (…), Klee oppone
loro composizioni che – seguendo la serie delle finestre di Delaunay – si
sviluppano in senso formale sulla superficie, acquistando però plasticità e
profondità grazie all’iterazione e al chiaroscuro dei colori.” [175]
Può sembrare strano che questa nota – tutta incentrata su una pubblicazione
autobiografica che si conclude, in termini narrativi, con la sconfitta militare
dell’esercito tedesco nel Novembre 1918 – affronti il tema di Paul Klee
costruttivista. Il costruttivismo si sviluppa in Russia solamente a partire
dagli anni della rivoluzione sovietica e
si diffonde nella Repubblica di Weimar anche grazie a Klee stesso ed al suo
insegnamento alla Bauhaus. È dunque un movimento del dopoguerra. In realtà,
però, sappiamo dall’analisi filologica
dei Diari che i testi sono
finalizzati e rivisti in una fase successiva, e che la decisione di non
pubblicarli – quando ormai erano pronti – è del 1920-1921. Fino ad allora Klee
li scrive e riscrive, aggiungendo o tagliando parti alla loro architettura.
Gli anni della prima guerra mondiale sono un periodo di grande riflessione
teorica e di rinnovamento dello stile per Klee. Già nel 1918 egli prepara la
prima versione della sua Schöpferische
Konfession, la Confessione creatrice,
un breve ma fondamentale scritto programmatico che viene pubblicato nel 1920.
Dunque si tratta di testi contemporanei. La Confessione
creatrice si apre con l’affermazione: Kunst
gibt nicht das Sichtbare wieder, sondern macht sichtbar. Ovvero: “l'arte non ripete le cose visibili, ma rende
visibile” [176]. Ecco come questa frase famosissima viene spiegata nel
breve saggio di Klee, qui riprodotto nella traduzione italiana del 1959 di Francesco
Saba Sardi (utilizzata in tutte le pubblicazioni italiane successive): “In passato si rappresentavano cose visibili
sulla terra, cose che volentieri si vedevano o si sarebbe desiderato vedere,
oggi la relatività delle cose visibili è resa manifesta, e con ciò si dà
espressione al convincimento che, rispetto all’universo, il visibile sostituisca
solo un esempio isolato e che esistano, latenti, ben più numerose verità. Il
significato delle cose si moltiplica e si amplia, spesso apparentemente
contraddicendo l’esperienza razionale dello ieri. Ci si sforza di rendere
essenziale il fortuito.“ [177] “L’arte
è una simulazione della creazione. Essa è sempre un esempio, come il terrestre
è un esempio cosmico. La liberazione degli elementi, il loro raggruppamento in
sottoclassi composte, lo smembramento e la ricomposizione in un tutto da più
parti contemporaneamente, la polifonia figurativa, il raggiungimento della
quiete mediante la composizione dei movimenti: sono tutti alti problemi
formali, fondamentali per la conoscenza della forma, ma non ancora arte della
cerchia superna. Nella cerchia superna, dietro la pluralità delle interpretazioni
possibili, resta pur sempre un ultimo segreto – e la luce dell’intelletto
miseramente impallidisce.” [178] “L’essenza
della grafica induce spesso e giustamente all’astrazione. Nella grafica
albergano i fantasmi e le fiabe dell’immaginazione e nello stesso tempo si
rivelano con grande precisione. Quanto più il lavoro grafico, vale a dire
quanto maggiore l’importanza attribuita agli elementi formali sui quali si basa
la rappresentazione grafica, tanto più difettosa la disposizione a
rappresentare realisticamente gli oggetti visibili. Gli elementi formali della
grafica sono: punti, energie lineari, piane e spaziali. Un elemento piano che
non si compone di elementi secondari è ad esempio un’energia, [con o] senza
modulazioni, tracciata con una matita a mina grossa. Un elemento spaziale è ad
esempio una macchia vaporosa e nebulosa, fatta [per lo più] a pieno pennello,
con varie gradazioni d’intensità.” [179]
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Fig. 17) L'edizione italiana della Confessione creatrice (2004) |
I Diari sembrano essere scritti
per far sì che le tesi della Confessione
creatrice siano viste come il naturale punto di arrivo di vent’anni di
attività artistica: il testo dei Diari fa
della costruzione, dell’uso semiotico della linea in un linguaggio dei segni,
della ricerca di equilibrio tra opposti (in modo da includere sia elementi
astratti sia elementi figurativi), e della rappresentazione del mondo
trascendente il tema della vita di Klee. È anche l’immagine che Klee propaga di
sé nel 1920, producendo materiali biografici per gli autori delle prime tre
biografie su di lui: Heinrich von Weederkop (Paul Klee, 1920, pubblicato nella
serie tascabile Junge Kunst – Giovane Arte – che spiega in termini
nuovi l’arte contemporanea al pubblico della neonata Repubblica di Weimar),
Leopold Zahn (Paul Klee. Leben / Kunst /
Geist – Paul Klee. Vita / Arte / Spirito, 1920) e Wilhelm Hausenstein,
nell’inedita forma di romanzo-saggio critico (Kairuan. Eine Geschichte vom Maler Klee - Kairuan. Una storia sul
pittore Klee – ultimato nel 1920 ma pubblicato nel 1921). È anche
l’immagine che – vent’anni dopo – il critico americano Clement Greenberg
consacra ad un anno dalla morte dell'artista, nel 1941, creando il mito di Klee
come fonte di riferimento per tutta l’astrazione minimalista americana degli
anni cinquanta e per la successiva arte concettuale: “Di solito, Klee non crea un’unità di disegno mediante un vasto schema
che l’occhio colga istantaneamente; era questo il modo italiano,
rinascimentale, in cui il disegno tradisce
sempre una certa parentela con la pittura murale e l’architettura. La
sensibilità di Klee, se è lecita la distinzione, è ornamentale più che
decorativa, analitica piuttosto che sintetica: egli produce per
intensificazione, se non per estensione o proiezione; la sua non è addizione, ma
al contrario, divisione, sminuzzamento. Lavora in piccoli formati, nella
tradizione dei miniatori in codice. I suoi quadri sono fatti per essere
posseduti privatamente, pe essere appesi a pareti prossime, intime. Data la sua
piccolezza, il quadro richiede un esame ravvicinato, concentra l’attenzione
visiva in una zona ristretta entro la quale l’occhio può viaggiare con minimo sforzo attraverso le intricate
complicazioni del particolare. L’occhio tuttavia non opera una sintesi
istantanea: in Klee il disegno è per così dire, temporale, o musicale.
Avvertiamo elementi che debbono essere sentiti in ordine di successione, e
tuttavia simultaneamente. Il fattore principale è la linea. Raramente la linea
di Klee sembra raccogliere una forma e segnare con decisione un contorno: né,
di regola, varia in lunghezza o in forza di colore lungo una stessa
traiettoria. In altre parole, ha scarso significato plastico, per cui è
difficile dire se sia pesante o scarna, sciolta o rigida, sinuosa o spigolosa:
è tutte queste cose e nessuna. Il più delle volte è rude, scarabocchiata. Altre
volte è leggiera come una piuma. Ma forse, meglio degli aggettivi, a
descriverla possono servire i verbi. La linea di Klee indica, conduce,
allaccia, congiunge. L’unità si attua per mezzo di relazioni ed armonie che
giocano attraverso aree neutre la cui presenza è più una presunzione che un
fatto. Poiché la linea, e anche il colore, sono come elementi disincarnati che
non aderiscono ai corpi e alle superfici, poiché v’è assenza di peso e di massa,
i quadri di Klee tendono talvolta – quando il movimento oscillante, vacillante,
vibrante che dovrebbe tenerli insieme viene a mancare – a sfasciarsi
riducendosi a semplici raggruppamenti di notazioni pittoriche.“ [180]
Anche qui vale l’avvertenza che Klee non si proclama formalmente costruttivista nei Diari. La definizione costruttivista del pensiero di Klee è legata alla sua attività didattica alla Bauhaus, che si avvia nel 1921. Tuttavia, in una serie di passaggi nei Diari, egli pone la costruzione del quadro e l’elemento costruttivo-formale non solamente al centro della sua riflessione estetica, ma anche – in senso più largo – esistenziale. Così egli afferma che la costruzione astratta è per lui un metodo superiore – anzi l’unico metodo – della rappresentazione della realtà. Per raffigurare il mondo visibile bisogna dunque potersi allontanare da esso, uscire dall’universo delle apparenze ed entrare in una nuova realtà fenomenica. Il suo è un costruttivismo estetico-formale, legato all’idea dell’astrazione, simboleggiato dall’archetipo che vi siano due mondi: uno reale, l’altro cristallino. La metafora “io cristallo” è al centro del pensiero di Klee.
Come dimostrato in un’imponente monografia di Regine Prange su “Das Kristalline als Kunstsymbol. Zur
Reflexion des Abstrakten in Kunst und Kunsttheorie der Moderne” [181] (Il cristallino come simbolo artistico. Sulla
riflessione dell’astratto nell’arte e nella teoria artistica della modernità)
quella del mondo cristallino è un’immagine tipica della cultura tedesca di fine
Ottocento, che ha origine negli scritti estetici di Gottfried Semper
(1803-1879), Adolf von Hildebrand (1847-1921), Theodor Lipps (1851-1914), Alois
Riegl (1858-1905) e Bruno Taut (1880-1938). È però il critico d’arte svizzero
Wilhelm Worringer (1881-1965), con il saggio “Abstraktion und Einfühlung” [182] (Astrazione ed empatia) del 1907,
a fare del ‘cristallino’ (das Kristalline)
ovvero della ‘regolarità o necessità astratta’ (abstrakte Gesetzmässikeit unf Notwendigkeit) una delle immagini
interpretative della storia dell’arte. Il mondo cristallino, a suo parere,
s’impone storicamente nell’epoca dell’antico Egitto, nel mondo tardo romano e
bizantino e nell’età del gotico.
Worringer contrappone al cosiddetto ‘bisogno di empatia’ (Einfühlungsbedürfnis), lo stato
psicologico che è alla base dell’arte figurativa greco-romana e rinascimentale
(la bellezza come imitazione della natura), la ‘necessità di astrazione’ (Abstraktionsdrang) come forma di
protezione da un terrore intrinseco per la realtà visibile, cui ogni uomo è
esposto. La ‘necessità di astrazione’ è l’urgenza di trovare protezione (Ruhepunkt) da arbitrarietà e apparente
casualità (Willkürlichkeit und scheinbare
Zufälligkeit) delle cose terrene e di trarre felicità e soddisfazione (Beglückung und Befriedigung) in valore
assoluto attraverso l’astrazione dalle forme di questo mondo. Per gli artisti
che abitano questo mondo astratto, non è la natura ad essere l’origine delle
cose, ma lo stesso io soggettivo dell’artista. L’artista astratto è un creatore
del mondo.
Il pittore cristallino non evita tuttavia la riproduzione della natura in
quanto tale: “Come … rivendicazione della
necessità di astrazione definiamo la necessità di mettere in relazione la
riproduzione del modello naturale con gli elementi della più pura astrazione,
ovvero della regolarità geometrico-cristallina, in modo da attribuire a tale
modello il marchio dell’eternità e di sottrarlo a temporaneità ed arbitrarietà.“
[183]. La riproduzione della natura avviene dunque secondo riferimenti che sono
definiti come “anorganici”, ovvero regolati da leggi del mondo inanimato, e
dunque tramite metodi ‘cristallini’. Il critico d’arte svizzero non è comunque
il primo teorico dell’arte astratta contemporanea. Worringer si arresta
all’ornamentale ed al giapponismo di fine Ottocento. Occorrerà aspettare tre
anni, con Lo spirituale nell’arte di
Kandinkij del 1911, per trovare una teoria dell’arte astratta contemporanea nel
mondo tedesco.
Klee espande il mondo concettuale di Worringer. In primo luogo, egli
s’immedesima a pieno con il mondo cristallino, divenendo – come creatore – la
sua origine. Scrive perciò di sé come una drusa, una combinazione di cristalli;
oppure come di un non-nato, di un essere che vive al di là del mondo visibile;
e dunque di un già morto o di un immortale. In secondo luogo, allontanandosi
dall’idea della semplice regolarità geometrica egli procede verso quella più
complessa della costruzione, basata sull’uso di componenti figurativi, di un
nuovo linguaggio dei segni significativi per l’immagine. In terzo luogo, egli
assegna a tale costruzione l’unica capacità di catturare il mondo trascendente,
in realtà l’unico mondo esistente. Diviene l’eroe di un mondo non empatico,
freddo, superiore a quello mortale, e si pone dunque in netta discontinuità con
il mondo espressionista, che fa dell’esaltazione quasi patologica dei propri
sentimenti, dell’eccitazione del confronto con il mondo reale il proprio quadro
affettivo.
Nei Diari le citazioni di Klee
sul mondo cristallino si concentrano intorno al 1915, un anno di guerra,
l’ultimo prima che sia arruolato, e sembrerebbero significare una fuga dal
mondo terrorizzante della guerra. “Il mio
cuore, che batteva per questo mondo, è come colpito a morte. Come se alle cose
di quaggiù mi legassero soltanto ricordi… Potrà nascere in me il tipo
cristallino?” [184] “Si abbandona il
mondo per andare a costruire in una regione al di là, che può esistere intatta.
Astrazione. Il freddo romanticismo di
questo stile senza pathos è inaudito. Quanto più il mondo è spaventoso (come
oggi), tanto più astratta è l’arte, mentre un mondo felice produce un’arte
legata al reale. L’oggi è la transizione dall’ieri al presente. Nel grande
serbatoio delle forme giacciono rovine a cui teniamo ancora, almeno in parte.
Offrono materia all’astrazione. Un campo di falsi elementi per formare impuri
cristalli. Così stanno oggi le cose. Ma poi: la drusa ha sanguinato. Credevo di
morire, guerra e morte. Potevo dunque morire, io, che sono un cristallo?” [185] “Forme cristalline che, in definitiva, una
lava patetica non può distruggere.” [186]
Non è però vero che l’astrazione sia semplicemente una fuga, il prodotto
del pessimismo della ragione. Si tratta piuttosto del risultato di uno stato
psicologico. Al mondo delle costruzioni estetiche concettuali al di là della
realtà visibile Klee contrappone – come Worringer – il mondo dell’empatia,
assegnando ad esso alcuni dei suoi più cari amici: ad esempio, Franz Marc e
Alfred Kubin. Di Marc, appena caduto in battaglia, dice: “Marc è più umano, ama con più calore, con maggiore intensità. Si china
con umanità verso gli animali. Li innalza a sé. Rifiuta di dissolversi nel
tutto, per potersi considerare alla stessa stregua non solo degli animali, ma
anche delle piante e delle pietre. In Marc l’idea di ciò che è terreno prevale
sull’idea del cosmo (non dico che non avrebbe potuto evolversi in tal senso: ma
allora perché è morto?) In lui predomina il faustiano, il non risolto. Sempre dubbioso, si domanda: è vero? Ovunque
vede l’eresia. Non ha la silenziosa fiducia della fede. Spesso negli ultimi
tempi ho temuto che divenisse completamente diverso da me.” [187] E di
Kubin scrive: “Un terzo caso è Kubin.
Fuggiva questo mondo perché fisicamente non ce la faceva più. Rimase bloccato a
mezza strada, provava nostalgia del mondo adamantino, ma non riusciva a
liberarsi dalla melma tenace della realtà fenomenica. La sua arte rappresenta
questo mondo come avvelenato, riflette l’annientamento. (…) Kubin è vivo a
metà, pieno di vitalità distruttiva.” [188]
Su di sé, invece, Klee ha toni molto diversi: “Io cerco soltanto di relazionarmi a Dio, e se sono in armonia con Dio
non voglio supporre che gli altri non siano in armonia con me; questo è affar
loro. (…) Il mio ardore somiglia più a quello dei morti o dei non nati. (…)
L’arte è una creazione, il suo valore rimane immutato. Il senso appassionato
dell’umano probabilmente manca alla mia arte. Io non amo di un terreno amore né
gli animali né la totalità degli esseri. Non mi chino sin a loro, né gli elevo
a me. Mi fondo piuttosto nel tutto e così mi pongo su un piano di fraternità
con il prossimo, con tutto quanto di terreno mi circonda. In me l’idea del
terrestre cede di fronte all’idea dell’universale. Il mio amore è lontano e
religioso. Ogni tendenza faustiana mi è estranea. Contemplo il creato da un punto
remoto, primigenio, a partire dal quale presuppongo formule che abbracciano
l’uomo, l’animale, il vegetale, il minerale, gli elementi, l’insieme delle
forze operanti nell’essere. Mille problemi ammutoliscono, come se fossero
risolti. Non vi è per me né verità né errore. Infinite sono le possibilità, e
la fede in loro vive, in me, creatrice. Sono calore? O gelo? Non è più il caso
di porsi simili domande quando si è andati oltre l’incandescenza. E poiché non
sono molti quelli che vi giungono, rari sono coloro che l’avvertono. Non v’è
sentimento, per quanto nobile, che mi accomuni ai più. L’uomo della mia opera
non è specie, è punto cosmico. Il mio occhio terreno vede troppo lontano e così
le cose più belle gli sfuggono. ‘Non è in grado di vedere neppure le cose più
belle’ dicono spesso di me. Arte è sinonimo di creazione. Neppure Dio si è
curato dell’attualità contingente.” [189]
L’astrazione è
soprattutto un rifiuto dell’elemento temporale della realtà, un desiderio di
vera e propria cristallizzazione degli avvenimenti, che vengono percepiti come
falsi: “Riflessioni alla finestra aperta della tesoreria [nota dell’editore: della caserma]. Tutto il transitorio è solo un simbolo.
Quel che vediamo è una proposta, una possibilità, un espediente. La verità si
cela invisibile alla base di tutte le cose. (…) Il semplice movimento ci sembra
banale. L’elemento temporale va eliminato. Ieri e oggi come simultaneità. La
polifonia nella musica può rispondere in una certa misura a questa esigenza.
(…) Se nella musica l’elemento temporale
potesse venir superato da un movimento a ritroso che penetrasse sino alla
coscienza, sarebbe concepibile una seconda fioritura. (…) La pittura polifonica
supera in tal senso la musica, in cui il temporale è più dello spaziale. Il
concetto di simultaneità vi si manifesta con maggiore ricchezza.” [190]
Ecco che cosa scrive Michele Dantini su una pittura concepita in forma di
costruzione polifonica:
“L’acquarello La cittá del sogno appartiene a una serie di immagini composte
come fughe: offre il primo esempio di composizione figurativa eseguita,
all’inizio degli anni ’20, in analogia con un’arte temporale. Klee svolge e
interpreta le singole serie tonali come voci di una polifonia. (…) Scomposta in
momenti e accolta all’interno di un’unica composizione, la durata di un
processo organico, di un atto percettivo o di un fenomeno meteorologico diviene
tema di un ciclo figurativo. Il punto di vista rimane frontale: Klee non è
interessato a frammentare l’oggetto e non presuppone … un osservatore dinamico
che entri nel quadro e ne percorra le differenti dimensioni. Sembra preferire
un osservatore abbandonato, al cui sguardo offrire il film, fotogramma per
fotogramma, di una fioritura notturna, di una fruttificazione improvvisa, di
una periferia addormentata, del cadere di un lampo, del formarsi di una nube.
La ricerca di simultaneità, potremmo dire, si risolve in una tecnica di
narrazione seriale e in uno stile a rilievo: l’effetto di profondità degli
acquarelli è ottenuto per disposizione di piani paralleli e trasparenti.“
[191]
Il diario come costruzione
retrospettiva di un’identità: un Klee costruttivista fin dai primi giorni?
Ben prima degli anni
1915-1918, i Diari sono cosparsi di
riferimenti ai temi della costruzione formale del dipinto, fin dai giorni del
viaggio in Italia. “L’essermi occupato della forma in sé (senza
tecnica), come esige il modellato, non è stato inutile, e ha costituito una
buona preparazione per il viaggio in Italia. Laggiù ho compreso – io ero
vicinissimo all’arte astratta – il carattere architettonico dell’arte
figurativa (oggi direi il costruttivo). [192]” È ovvio che questo passaggio risale all’ultima stesura dei Diari, ed
è scritto nella piena consapevolezza del risultato ultimo dell’evoluzione
artistica di Klee.
Lo stesso si può dire di
numerose altre pagine dei Diari, dove si trovano riferimenti retrospettivi ad
una legge comune dello spazio, propria sia della natura sia della pittura: “Il mio iniziale disorientamento di fronte
alla natura si spiega col fatto che si comincia con lo scorgerne soltanto le
ultime ramificazioni, senza poter raggiungere i rami né risalire alla radice.
Ma una volta che uno se ne sia reso conto, può riconoscere anche nella più
lontana fogliolina la manifestazione dell’unica legge che regola il tutto, e
trarne vantaggio.” [193] “La legge
che governa lo spazio, questo dovrebbe essere il titolo appropriato di uno dei
miei futuri quadri.“ [194] (681) “Come
l’uomo, anche il quadro ha scheletro, ha muscoli, ha pelle. Si può così parlare
di una sua specifica anatomia. Un quadro il cui soggetto sia un ‘uomo nudo’ non
può essere dipinto secondo l’anatomia umana, ma secondo quella del quadro. Per
prima cosa si erige un’impalcatura per l’opera da dipingere. Di quanto si possa
allontanarsi da essa, è facoltativo. Iniziando dall’impalcatura si può produrre
un effetto pittorico più profondo di quello possibile partendo dalla sola
superficie.” [195]
Si può credere che egli sia stato un costruttivista ante litteram? La risposta dipende da quel che successe nel
1920-1921, l’anno della stesura definitiva dei Diari e della decisione di abbandonarne la pubblicazione.
Fine della Parte Quarta
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NOTE
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NOTE
[139] Si veda Langfeld, Gregor – German
Art in New York. The Canonization of Modern Art Between 1904 and 1957 (L’arte
tedesca a New York. La canonizzazione
dell’arte moderna tra 1904 e 1957), University
of Chicago Press, 2015. In forma di articolo: How the Museum of Modern Art in New York canonised German
Expressionism (Come il Museo d’arte moderna di New York ha canonizzato
l’espressionismo tedesco):
[140] Tutti i testi
dei Diari sono tratti dall’edizione
italiana del 2012. Klee Paul – Diari 1898-1918. Traduzione di Angelica Tizzo.
Con un uno scritto di Elena Pontiggia, Milano, Abscondita, 2012, pp. 389.
Citazione dal paragrafo 959.
[141] Klee Paul –
Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 899
[142] Klee Paul –
Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 899
[143] Klee Paul –
Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 857
[144] Dantini,
Michele - Klee, Milano, Jaca Books, 1999, pp. 224. Citazione a pagina 57.
[145] Il termine
tedesco é “Kitscher”. Alfredo Foelkel salta il termine nel 1960. La traduzione
di Angelica Tizzo nel 2012 si riferisce forse a quella francese di Pierre
Klossowski del 1959 (“ces pompiéristes”) che si riferisce alla cosiddetta ‘art
pompier’. Forse era piú semplice far riferimento al concetto di Kitsch.
[146] La traduzione
dell’ultima frase da parte di Angelica Tizzo é molto libera. Il testo di
Alfredo Foelkel nel 1960 è più vicino all’originale: “Figura di donna
sublimata. E senza conoscere questa o quella, si può sempre dar mostra di
simili rime d’evasione”
[147] Klee Paul –
Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 849
[148] Klee Paul –
Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 853
[149] Paul Klee. Das Frühwerk 1883-1922 (I primi lavori
1888-1922), Monaco, Städtische Galerie im Lenbachhaus, 1979, 599 pagine. Citazione
a pagina 9
[151] Paul Klee. Das Frühwerk 1883-1922 (I primi lavori
1888-1922), Monaco, Städtische Galerie im Lenbachhaus, 1979, 599 pagine. Citazione
a pagina 9
[152] Klee Paul –
Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 955
[153] Klee Paul –
Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 912
[154] Klee Paul –
Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 857
[155] Klee Paul –
Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 921
[156] Klee Paul –
Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 914
[157] Klee Paul –
Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 871
[158] Klee Paul –
Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 873
[159] Klee Paul –
Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 878
[160] Klee Paul –
Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 875
[161] Klee Paul –
Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 885
[162] Klee Paul –
Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 892
[163] Klee Paul –
Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 888
[164] Klee Paul –
Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 890
[165] Klee Paul –
Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 895
[166] Klee Paul –
Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 923
[167] Klee Paul –
Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 928
[168] Klee Paul –
Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 926 f
[169] Klee Paul –
Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 926 k
[170] Klee Paul –
Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 928
[171] Klee Paul –
Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 943
[172] Klee Paul –
Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 944
[173] Dantini,
Michele - Klee, (citato), p. 53
[174] Dantini, Michele
- Klee, (citato), p. 75
[175] Klingsöhr-Leroy – Cathrin, Paul
Klee, Monaco, 2012, Klinkhardt und Biermann, pp. 71. Citazione a pagina 17.
[176] Klee, Paul –
Confessione creatrice ed altri scritti, Traduzione di Francesco Saba Sardi,
Milano, 2004, Abscondita, pp. 86. Citazione a pagina 13
[177] Klee, Paul – Confessione
creatrice (citato), p.18.
[178] Klee, Paul –
Confessione creatrice (citato), p. 20
[179] Klee, Paul –
Confessione creatrice (citato), p. 13
[180] Il “Saggio su
Klee” di Clement Greenberg é pubblicato in italiano nel volume: “Paul Klee.
Preistoria del visibile. Milano, Silvana editoriale, 1996”. La citazione é a
pagina 15.
[181] Il testo è
disponibile a: http://publikationen.ub.uni-frankfurt.de/files/78/kristalline.pdf
[182] Worringer, Wilhelm - Abstraktion und Einfühlung. Ein Beitrag zur
Stilpsychologie, Leipzig Weimar, Kiepenheuer Verlag, 1907. L’ho letto nell’edizione monacense dell’editore
Piper del 1918 (sei veda anche: https://archive.org/details/abstraktionundei00worruoft). È un testo di larghissimo successo. La più
recente edizione tedesca è del 2007. Esistono traduzioni in bulgaro, catalano,
ceco, giapponese, inglese, italiano, spagnolo e turco. La traduzione italiana è
del 2008: Astrazione e empatia: un
contributo alla psicologia dello stile, a cura di Andrea Pinotti. Torino,
Einaudi, 2008.
[183] Worringer,
Wilhelm – Abstraktion (citato), p.
56. La traduzione italiana è mia.
[184] Klee Paul –
Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 950
[185] Klee Paul –
Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 951
[186] Klee Paul –
Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 953
[187] Klee Paul –
Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 1008
[188] Klee Paul –
Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 958
[189] Klee Paul –
Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 1008
[190] Klee Paul –
Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 1081
[191] Dantini,
Michele - Klee, (citato),82-83
[192] Klee Paul –
Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 429
[193] Klee Paul –
Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 536
[194] Klee Paul –
Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 681
[195] Klee Paul –
Diari 1898-1918, 2012 (citato), paragrafo 840
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