Carlo Ridolfi
Le maraviglie dell'arte
ovvero le vite degli illustri Pittori Veneti e dello Stato
Roma, Multigrafica, 1965
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Ritratto di Carlo Ridolfi eseguito da Giacomo Piccini e pubblicato ne Le maraviglie dell'arte |
[1] L’edizione originale in due volumi uscì a Venezia nel 1648. Una seconda edizione apparve a Padova nel 1835-1837.
[2] La terza edizione fu pubblicata a Berlino nel 1914 (1° volume) e nel 1924 (2° volume), a cura di Detlev Freiherrn von Hadeln. Le caratteristiche tecniche di questa terza edizione non sono completamente note; certo, si è trattato di un lavoro di grande complessità; basti pensare che i negativi della riproduzione fotografica della prima edizione (quella del 1648) sono stati utilizzati per una nuova impaginazione in cui sono riportate, a piè di pagina, le note scritte dal curatore e composte con i tradizionali sistemi tipografici. Così ottenuto, il lavoro si presenta in due lingue: in tedesco troviamo lo studio del curatore, posto all’inizio dell’opera, le note da lui compilate e distribuite tra le varie pagine del testo, e le tavole di concordanza tra questa edizione e quella del Seicento; in italiano compare invece lo scritto del Ridolfi, che resta, ovviamente, la parte prevalente dell’opera.
[3] L’edizione così ottenuta è stata nel 1965 riprodotta anastaticamente dalla Multigrafica. Si tratta della quarta edizione, dopo quelle del 1648, del 1835-1837 e dopo la berlinese del 1914-1924. Per prevenire banali equivoci, vale la pena ribadire che la ristampa della Multigrafica non va considerata un facsimile del testo veneziano del 1648, ma dell’edizione tedesca realizzata a cavallo della 1° guerra mondiale.
[4] Certamente non entusiastico il giudizio dello Schlosser sull’opera ridolfiana (La letteratura artistica, p. 531). Per lo studioso austriaco, le Vite del Ridolfi sono “scritte in uno stile abbastanza trascurato, ampollose e ricche di aneddoti”; vale la pena segnalare, inoltre, che “trattano unicamente dei pittori (e questo è per Venezia molto significativo) non soltanto veneziani ma anche della terraferma.” Sostanzialmente analogo il giudizio di Luigi Grassi in Teorici e storia della critica d’arte. L’Età Moderna: il Seicento, che tuttavia non si dimentica di segnalare che “le Vite del Ridolfi rappresentano una testimonianza descrittiva sovente diretta di innumerevoli dipinti, e una fonte per gli artisti più vicini al suo tempo, come i due Tintoretto, i Bassano, Palma il Giovane, l’Aliense, eccetera” (p. 38-39). Le Maraviglie ridolfiane non hanno dunque certo goduto della benevolenza della critica; e non vi è dubbio che Ridolfi applichi uno schema ben noto (quello del progresso delle arti già visto nelle Vite vasariane), provvedendo semmai ad adattarlo alla scuola veneta, contrapposta in questo modo a quella toscana. I giudizi critici che Ridolfi esprime non sono certo di particolare lungimiranza (anzi, spesso non se ne trova traccia), ma resta il fatto che l’opera di Ridolfi costituisce un punto di riferimento imprescindibile per tutta la storiografia veneta ad essa successiva.
[5] Per maggiori informazioni su Ridolfi, sulle Maraviglie e sulla loro genesi si veda Lionello Puppi, La fortuna delle Vite [n.d.r. vasariane] nel Veneto dal Ridolfi al Temanza in Il Vasari storiografo e artista (Firenze, Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento, 1976), ed in particolare le pp. 408-427. Nel corso del saggio Puppi rimanda brevemente ad una futura edizione delle Maraviglie da lui curata e all’epoca (ovvero a metà degli anni ’70) di prossima pubblicazione (cfr. p. 412 n. 21). Non ci risulta che questa edizione abbia mai visto la luce.
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