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lunedì 11 maggio 2015

Bernardo Antonio Vittone, Istruzioni elementari per l'indirizzo dei giovani allo studio dell'architettura civile, 1760

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Bernardo Antonio Vittone
Istruzioni elementari per l'indirizzo dei giovani 
allo studio dell'architettura civile
1760

A cura di Edoardo Piccoli

Roma. Editrice Dedalo, 2008

Chiesa parrocchiale di Grignasco (Novara), progettata da Bernardo Vittone

[1] Aprendo il XVI capitolo (Il contributo italiano nel XVIII secolo) del primo volume del suo Storia delle teorie architettoniche (p. 255), Hanno-Walter Kruft scrive che, senza dubbio, il ruolo giocato in materia dall’Italia del Settecento è secondario, anche se si sente in dovere di ricordare i nomi di Ferdinando Galli Bibiena, Carlo Lodoli, Giovanni Battista Piranesi e Francesco Milizia. Aggiunge poi, poco dopo, che “nell’Italia del XVIII secolo sono numerosi i testi architettonici, per lo più di orientamento vitruviano-classicista. Sono spesso di carattere regionale e conformi al programma di scuole religiose” (pp. 256-257); “alcuni trattati hanno la funzione di manuali scolastici” (p. 257); “ci fu in Italia una vasta letteratura, caratterizzata in parte da un presuntuoso provincialismo, dove si esponevano con notevole prosopopea posizioni male assimilate e ormai logore” (ibidem). Forse per caso forse no, uno dei primi esempi di questo tipo di letteratura ad essere analizzato da Kruft è proprio Bernardo Vittone, autore nel 1760 delle Istruzioni elementari per indirizzo de’ giovani allo studio e sei anni dopo delle Istruzioni diverse concernenti l’officio dell’architetto civile (entrambe stampate a Lugano, a spese dell’autore). La nostra impressione personale è che, specie nella seconda metà del 1700, ci sia stata in Italia una proliferazione di scritti di architettura, dai contenuti e dagli scopi più disparati: dalla riedizione di Vitruvio di Berardo Galiani al manuale pratico rivolto a futuri architetti o ingegneri; di questa proliferazione si ha un quadro sempre più vasto man mano che si vanno ripubblicando testi da secoli finiti nel dimenticatoio (come queste Istruzioni elementari di Vittone o come L’Architetto prattico di Giovanni Biagio Amico) o si editano testi rimasti manoscritti (ad esempio Dell’Architettura civile di Baldassarre Orsini). Senza voler a tutti i costi sopravvalutare un fenomeno che resta comunque spesso slegato di realtà in realtà e si limita altrettanto frequentemente a ripetere formule concepite Oltralpe, si avverte l’esigenza di un nuovo studio complessivo di queste opere, posto che il Comolli da un lato appare troppo “vicino” agli avvenimenti per avere una visione d’insieme e dall’altro La letteratura artistica di Schlosser come i libri di Wittkower e Kruft hanno ormai troppi decenni sulle loro spalle. 

Bernardo Vittone. Progetto per la chiesa della Visitazione della Vergine a S. Elisabetta
in frazione Valinotto a Carignano (Torino)

La Chiesa della Visitazione della Vergine a S. Elisabetta in località Valinotto


[2] L’opera teorica di Bernardo Vittone, ad esempio, è faticosamente inquadrata dentro a questa o quella tendenza; non bisogna dimenticare innanzi tutto che Vittone curò (nel 1737 e non nel 1739, come scrive Kruft) l’edizione postuma dell’Architettura civile di Guarino Guarini; se si considera che, per ammissione dello stesso Vittone, la redazione delle Istruzioni (almeno di quelle elementari, ovvero della prima delle sue due opere) cominciò in età sostanzialmente coeva, ci si stupisce per prima cosa che il Guarini sia citato del tutto marginalmente (si veda l’indice analitico moderno alla fine del II volume); in realtà già Nino Carboneri propendeva nella sua introduzione al trattato del Guarini pubblicato da Il Polifilo per un intervento del Vittone da circoscriversi “ad un certa “ripulitura”, cioè a ritocchi puramente estrinseci, e al compito necessario di “riunire in un volume” il manoscritto rimasto in disordine” (p. XXI). Tutto ciò premesso resta il fatto che, ad esempio, Kruft scrive che Vittone “manifesta, soprattutto nelle sue affermazioni sull’ornamentazione, una tendenza classicista (p. 258), mentre il curatore della presente ristampa anastatica, ovvero Edoardo Piccoli, evidenzia che, nelle Istruzioni, “l’ornamento ha un ruolo fondamentale. Vittone infatti non crede in bellezze geometriche perfette , né in un linguaggio in sé risolutivo (neppure quello degli ordini, da lui definiti una «pratica»), e affida un ruolo primario proprio alla decorazione, considerandola il principale strumento per rendere bella l’architettura, ma anche per arricchirla di forme e simboli e segni allusivi a una precisa funzione o committenza... Su questo punto Vittone sembra essere consapevole di porsi in conflitto con altre teorie a lui contemporanee... Certo Laugier e Lodoli non sarebbero stati d’accordo...” (pp. XX-XXI). Allo stesso modo non si capisce (o, meglio, si dibatte) se gli scritti di Vittone si debbano iscrivere in un circuito culturale di respiro spiccatamente locale (ovvero piemontese) o se invece l’ambizione fosse quella di redigere testi di valenza più ampia (le vicende dell’edizione delle Istruzioni e la scelta in particolare di una famiglia di editori/stampatori come gli Agnelli, che operavano a Lugano, ma distribuivano specialmente in Lombardia sembrerebbe avvalorare questa seconda ipotesi – cfr. nell’introduzione le pp. XLV-XLVII). Ben venga dunque questa ristampa anastatica, che permette di tornare a confrontarsi direttamente col testo, senza preventivi condizionamenti.

Bernardo Vittone, Interno della Chiesa di Santa Chiara a Bra (Cuneo)

[3] L’aspetto forse più evidente nelle Istruzioni – e che giustamente il curatore pone in evidenza – è che l’opera (originariamente in due volumi: il primo contenente il testo, suddiviso in tre Libri, e il secondo 101 (o meglio 102) tavole illustrative a corredo), sin dal titolo, dichiara di non voler essere un trattato, ma un volume con evidenti caratteri didascalici: un libro di testo, diremmo oggi, insomma (se i libri di testo, oggigiorno, non riscuotessero più o meno la stessa simpatia delle mine anti-uomo); ma un corso di studi “da annoverare tra gli esiti più sofisticati di una didattica settecentesca che supera il filtro elitario delle accademie per aprirsi a un pubblico più vasto, al limite anonimo” (p. LI), in cui le difficoltà sono graduate (partendo appunto da un livello elementare di acquisizione di abilità matematiche nel libro I, per proseguire (libro II) addentrandosi nella materia attraverso una presentazione degli ordini architettonici che sostanzialmente ricalca Vignola (a suo modo “libro di testo” per antonomasia per secoli) fino al terzo Libro in cui Vittone vuole rendere “la multiforme attività del progettare” (p. XXIV). “Più che un manuale dell’architetto, quindi, uno dei primi manuali per diventarlo. Gli studi più recenti hanno messo in luce l’importanza e la durata della carriera di insegnante di Vittone: nel suo studio e al Collegio delle province [n.d.r. sabaude], Vittone ha formato decine di architetti e misuratori, ha fornito le basi di geometria e algebra e l’abc degli ordini a futuri funzionari. Questa carriera parallela alla parabola professionale di progettista e costruttore consente di ipotizzare per le 622 pagine delle Istruzioni elementari una vera e propria funzione di libro di testo: a un allievo che può veramente essere giovane e inesperto Vittone offre una progressione di argomenti e materie, suddivisi in una struttura semplice, ancorché suscettibile di diversi livelli di lettura” (p. XVI). Ciò che rende diverso il manuale di Vittone rispetto ad altri coevi è proprio il suo pragmatismo, ovvero il fatto – come s’è già detto – che nasca per un pubblico borghese e fuori dal mondo, spesso asfittico, delle accademie.

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