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venerdì 24 aprile 2015

Francesco Mazzaferro. Cennino Cennini, Alf Rolfsen e l'arte dell'affresco nella Norvegia del XX secolo

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Francesco Mazzaferro
Cennino Cennini, Alf Rolfsen
e l'arte dell'affresco nella Norvegia del XX secolo



Fig. 1) Il Libro dell'Arte nell'edizione norvegese del 1942. L'illustrazione in copertina è di Terje Strand


La pittura murale come arte nazionale in uno Stato nuovo

“Ad eccezione forse del Messico, non c’è paese [più della Norvegia] che, in tempi recenti, abbia fornito commissioni così numerose e foriere d’ispirazione nelle arti decorative ai propri artefici. La potenzialità dell’arte oggi è così variegata che, nell’arco della sua breve esistenza, la moderna pittura murale norvegese ha praticamente affrontato ogni problema sorto nella decorazione degli ambienti. Anche i primissimi affreschi spaziano dai principi medievali di soppressione della profondità sino alla conquista rinascimentale dello spazio.” Così scrive Jan Askeland in un saggio intitolato “Norvegian painting. An introduction” (Pittura norvegese: un’introduzione), esteso per il Ministero degli Affari Esteri nel 1954: in altre parole, un saggio volto a mostrare in giro per il mondo il meglio della pittura norvegese [1].

Tra il 1920 e il 1950, infatti, la pittura murale (sia nella sua forma classica dell’affresco sia in quella di pittura ad olio su pannelli poi applicati alle pareti in maniera tale da formare un murale) vive la sua età dell’oro in Norvegia (uno degli Stati europei più giovani, indipendente dalla Svezia solo a partire dal 1905), che sta cercando una sua strada per esprimere la propria pittura nazionale.


Fig. 2) I dipinti murali di Edvard Munch nell'Aula Magna dell'Università di Oslo (1909-1916)
Sullo sfondo, Il Sole; sul lato destro Alma Mater e sul sinistro La storia

I murali diventano l’arte nazionale. Il primo ad utilizzarli è Edvard Munch (1863-1944), con le pitture ad olio su pannelli che coprono le pareti dell’Aula Magna dell’Università di Oslo (all’epoca ancora chiamata Christiania). Uno o due generazioni dopo, la cosiddetta ‘Fratellanza dell’Affresco’ (freskobrødrene) fa assurgere l’affresco e la pittura ad olio su parete a genere principale dell’epoca. I membri della Fratellanza vengono qui menzionati in ordine cronologico di nascita: Henrik Sørensen (1882-1962), Axel Revold (1887- 1962), Per Krohg (1889-1965), Alf Rolfsen (1895–1979) e Aage Storstein (1900-1983). Bene chiarire tuttavia che non si tratta di un gruppo artistico ‘formalizzato’ e che spesso solo Krohg, Revold e Rolfsen sono menzionati come membri dell’associazione. Tra gli anni ’20 e ’50 del Novecento, centinaia di edifici pubblici norvegesi (palazzi comunali, biblioteche, scuole, università ed altre istituzioni pubbliche) ospitano i loro affreschi. Sigurd Willoch definisce le pitture murali come parte di una missione “democratica”, attribuita loro dalle istituzioni per far sì che il pubblico potesse fruire al meglio dell’arte negli spazi pubblici [2]; molto più tardi, nel 2008, Roger Jonsen fa riferimento a tali opere come in linea con l’ideologia della Norvegia socialdemocratica. [3] 


Fig. 3) Axel Revold, Tecnica, Scienza e Poesia: affresco nella biblioteca pubblica di Oslo, 1932



La “Fratellanza dell’affresco” e la pittura architettonica

Jan Askeland continua: “Tutti gli affreschi sono eseguiti come “pitture architettoniche”, anche se questo discorso non si applica ai famosi murali di Munch nell’Aula Magna dell’Università di Oslo, dipinti ad olio nel corso della Prima guerra mondiale. Pur nella loro mancanza di progettazione spaziale, essi ben si legano allo stile architettonico classico della sala. Costituiscono non solo il primo esempio completamente moderno di decorazione murale in Norvegia, ma, in generale, sono considerati i precursori della moderna pittura murale norvegese”. 


Fig. 4) Per Krohg, Grand Café Oslo, affresco, 1928

“I pittori a fresco che seguirono Munch si concentrarono quasi completamente sul subordinare i loro dipinti all’architettura degli edifici che erano chiamati a decorare. Nelle parole di uno dei pionieri dell’epoca [n.d.r. il cui nome non è esplicitamente menzionato]: “Questo tipo di pittura è stato accusato di essere troppo intellettuale e studiato in confronto al modo di dipingere impulsivo e basato sull’emozione della generazione precedente, ma il suo futuro consiste proprio nel fatto che è un complemento essenziale rispetto all’architettura e che, in ogni situazione, esprime una determinata idea”. 



Fig. 5) Per Krohg, Vita a Oslo, affresco nel Palazzo comunale di Oslo (1940-1949)

“Del suo primo ciclo a fresco, le decorazioni nella Borsa valori di Bergen, Revold scrisse che il tema comune a tutte le immagini era la bellezza del lavoratore giovane e vigoroso. L’intera serie degli affreschi era pensata come un elogio ben bilanciato del lavoro quotidiano. Con queste parole Revold definiva il programma che l’arte monumentale norvegese avrebbe seguito nei decenni successivi. Nel suo aspetto iconografico, l’affresco norvegese è essenzialmente un’arte narrativa, che declina quasi a mo’ di paradigma vari aspetti della vita nel Nord Europa. La vita e il lavoro del pescatore, della sarta, dell’operaio e di molti altri vengono presentati dall’artista di regola tramite la resa epica delle loro fatiche quotidiane o come inno di lode alla vita quotidiana e all’amore per l’avventura  che ispirano. Cosi, il singolo pescatore, sarto od operaio è davvero un denominatore comune, una tipologia rappresentativa, di tutti i pescatori, sarti e operai norvegesi” [4].

Fig. 6) Axel Revold, Affresco alla Borsa valori di Bergen, 1918-1923


Gli affreschi di Axel Revold realizzati alla Borsa Valori di Bergen fra il 1918 e il 1923 sono il primo caso in cui una tecnica molto antica (l’affresco) viene utilizzata sotto la diretta influenza e al servizio dell’arte contemporanea di avanguardia. La reazione, stando a quanto scrive Jan Landro, è entusiastica: “Il pittore Alf Rolfsen non lesinò in complimenti. Egli scrive: “La Borsa Valori ha raggiunto una tale forza coloristica che bisogna tornare indietro alle immagini di artisti come Piero della Francesca per ritrovarne di simile nei dipinti parietali”. Il suo collega Per Krogh è ancora più netto: “la miglior pittura murale dai tempi di Giotto e dell’Orcagna”, e quindi siamo proiettati all’indietro al 1300”. [5] 


Fig. 7) Axel Revold, Affresco alla Borsa valori di Bergen, 1918-1923

In termini stilistici, Krohg e Revold erano stati studenti di Henri Matisse a Parigi, come molti altri pittori norvegesi e scandinavi dell’epoca (l'Académie Matisse si era specializzata nell’ospitare studenti scandinavi e americani): “Gli studenti di Matisse avevano scoperto – scrive Håkon Stenstadvold in “Norvegian paintings” – che l’antico dilemma fra profondità e superficie poteva essere risolto attraverso la sperimentazione cromatica: impararono che non è necessario riprodurre i colori della natura per ottenere forma, luce o profondità, e che un dipinto moderno poteva quindi essere realizzato utilizzando colori peculiari dell’arte originaria della Norvegia.”  [6] 


Fig. 8) Axel Revold, Affresco alla Borsa valori di Bergen, 1918-1923


Lo stesso Matisse, nella sua corrispondenza con Alexander Romm, opera una distinzione fra “peinture architecturale” (pittura architettonica) e “peinture de chevalet” (pittura da cavalletto); definisce la prima come “peinture décorative faisant corps avec l’architecture” (pittura decorativa integrata con l’architettura) (1933), parla di “fonction architecturante de la peinture murale” (funzione architetturale dei dipinti murali) e afferma che “la dimension publique de la peinture architecturale invite à croire à ‘la possibilité d’un art en commun’ (“la dimensione pubblica della pittura architettonica ci invita a credere nella “possibilità di un’arte pubblica”)” (1929). [7] Peraltro l’unica commissione per una “pittura architettonica” ottenuta da Matisse fu solo negli Stati Uniti, con “The Dance II” (La Danza II) alla Barnes Foundation di Philadephia nel 1932. L’opera fu eseguita con la tecnica ad olio su tela applicata alla parete.

Fig. 9) Henri Matisse, La Danza II, 1932


Va da sé che il termine “pittura architettonica” fa riferimento ad istanze estetiche che sono comuni a molti movimenti modernisti dell’epoca: la combinazione di architettura e pittura. Basti pensare a Cezanne e ai cubisti in Francia, ai costruttivisti in Russia e alla pittura metafisica in Italia.


Alf Rolfsen tra modernismo e arte rinascimentale

Fig. 10) Alf Rolfsen, La piantumazione dell'Albero della Vita. Affresco nel Crematorio di Oslo, 1933-1937


In quanto membro della “Fratellanza dell’affresco” Rolfsen si specializza appunto nelle tecniche a fresco e, a differenza ad esempio di Henrik Sörensen, altro pittore che decorò con murali il Comune di Oslo, non realizza dipinti parietali utilizzando le tecniche ad olio. Rolfsen mostra, inoltre, altre specifiche caratteristiche. Anche nelle sue preferenze tra artisti contemporanei, ha un forte interesse per uno stile più classico. L’influsso del cubismo è evidente sin dai primi giorni dei suoi studi accademici fatti a Copenaghen nel 1916 ed è mostrato chiaramente ancora nell’affresco realizzato per il Palazzo del Telegrafo a Oslo nel 1922, il suo primo lavoro di grandi dimensioni (ha appena 27 anni). In quegli anni, comunque, la sua arte vira verso una maggiore influenza classicista, o meglio, come disse nel 1920: “Penso che il cubismo sia una forma di transizione verso una nuova epoca, che si riallaccerà al Rinascimento.” [8] Durante la sua permanenza a Parigi, fra 1919 e 1920, non è allievo di Matisse ma André Derain. Come egli stesso spiega: “Io penso che la Francia abbia tre grandi artisti in questo momento: Matisse, Picasso e Derain. (…) Derain è il meno estremo, e l’artista da cui personalmente ho imparato di più.” [9] Sono gli anni del ritorno all’ordine a Parigi e nell’Europa intera.  


Fig. 11) Alf Rolfsen, Affresco nella Sala dei dispacci del Palazzo del Telegrafo ad Oslo, 1922

In secondo luogo, Rolfsen nutre una passione irresistibile per l’arte murale italiana, a partire da Giotto fino al Rinascimento, arte che integra agli insegnamenti del cubismo, confrontandosi col problema della resa della profondità attraverso la forma classica della prospettiva. Il giovane Rolfsen visita l’Italia fra il 1920 e il 1921, all’età di 25-26 anni, dopo una permanenza pluriennale in Francia. 

Da artista particolarmente colto (proviene da una famiglia di letterati; il padre è un famoso romanziere) ha la tendenza a fissare le sue idee su carta. Quindi, di ritorno in Norvegia, Rolfsen scrive un articolo programmatico nel 1923, intitolato esattamente “Arkitektonisk maleri” (Pittura architettonica), sulla rivista di architettura Byggekunst. Il testo dell’articolo, sfortunatamente, non è reperibile in rete. Ciò che mi è parso di capire, da una serie di fonti a mia disposizione, è che presenta un confronto fra gli affreschi di Raffaello nelle Stanze vaticane e quelli di Michelangelo nella Cappella Sistina, considerandoli due diverse modalità di dialogo fra “pittura e spazio” (samtale mellem billedet og rummet). Rolfsen è influenzato dalle teorie dello storico dell’arte danese Vilhelm Wanscher (1875–1961) in merito all’analisi formale della pittura italiana del Rinascimento; in particolare da una monografia dello stesso, scritta nel 1908, che pone a confronto esattamente gli affreschi di Raffaello e quelli di Michelangelo in Vaticano [10]. 



Fig. 12) Catalogo della retrospettiva dedicata a Rolfsen in occasione del centenario dalla nascita
(Oslo, 1995)

Tornando al discorso della pittura architettonica, Rolfsen attribuisce un’importanza cruciale all’elemento architettonico/strutturalista nell’arte rinascimentale italiana e riconosce un elemento vitale nell’architettura astratta (som livgivende elementer i den abstrakte arkitektur). In origine educato come architetto, il tema della pittura architettonica gli sta particolarmente a cuore. Oltre a lui, peraltro, anche altri pittori modernisti scoprono nel corso dei loro viaggi in Italia un legame speciale fra architettura italiana e aspetti architettonici della pittura e sono ispirati da tale legame una volta tornati nei loro paesi. Nel mondo di lingua tedesca, ad esempio, toni simili possono essere rintracciati nelle memorie di Karl Hofer e di Paul Klee (all’epoca entrambe inedite). Fa impressione che il termine “architettura pittorica” (Живописная архитектоника) sia usato negli stesso giorni in Russia dalla pittrice costruttivista Lyubov Popova (1889 –1924), famosa per l’interesse che nutriva nei confronti della pittura rinascimentale italiana. 


Fig. 13) Lyubov Popova, Architettura pittorica arancione, 1918

Ed infine, Rolfsen è anche autentico cosmopolita e un pittore modernista. Incontra in Italia, ad Assisi, il messicano Diego Riveira (1886-1957). È la comune passione per Giotto che li fa conoscere. Jan Askeland, nel catalogo della mostra retrospettiva del 1995 per i cent’anni dalla nascita [11], cita un passaggio dello stesso Rolfsen. “Io provenivo da Roma, da Raffaello. Lui veniva dal nord, da Uccello, da Piero. Era del tutto esaltato per le sue nuove scoperte dell’arte italiana e – generoso per natura – aveva condiviso con me le sue conoscenze nel corso di una lunga notte.” È il 1921 (Riveira soggiorna in Italia 18 mesi, fra il 1920 e il 1921). Rolfsen, lo stesso anno, firma il suo Manifiesto estridentista [12], assieme a molti altri intellettuali europei. Si possono quindi individuare radici comuni fra la pittura murale in Messico, quella norvegese ed il nostro Rinascimento.


Alf Rolfsen e Cennino Cennini 

Tra le varie tecniche utilizzate dalla 'Fratellanza dell’affresco' per i loro murali, Rolfsen opta per la tecnica rinascimentale dell'affresco.

Non si può quindi essere del tutto sorpresi che nel 1942, mentre si prepara a realizzare gli affreschi per il Municipio di Oslo, Rolfsen firmi l'introduzione di tre pagine della traduzione norvegese del Libro dell’arte, in norvegese "Boka om Kunsten" di Cennino Cennini [13]. Per la prima volta, il testo della sua introduzione (insieme con la nota del traduttore, Trygvve Norum) viene oggi pubblicato in inglese in questo post. La traduzione dal norvegese all’inglese (base della mia traduzione dall’inglese in italiano) è di Alison Philip.

Il traduttore dell'edizione 1942, Trygvve Norum, spiega che "questa traduzione norvegese è stata realizzata su iniziativa di un gruppo di pittori", ma non ci dice purtroppo chi essi siano. Uno di questi è certamente Alf Rolfsen. Un altro potrebbe forse essere colui che realizza la copertina dell'opera, Terje Strand (1896-1966). Gli altri potrebbero benissimo essere alcuni membri della 'Fratellanza dell’affresco' (freskobrødrene). Norum ringrazia anche un pittore danese, Knud Windfeld (1883-1966), che lo ha aiutato nella traduzione: dimenticato come pittore, egli è però ancora oggi noto per i suoi studi sulla chimica dei colori. Non ha prodotto, a mia conoscenza, pitture murali.

Passando alla breve introduzione di Rolfsen, non a caso il testo termina con un riferimento alle parole che Cennino scrive, "nel nome della Santissima Trinità", quando descrive la pittura a muro come "il tipo più incantevole e affascinante di lavoro che vi possa mai essere." Per Rolfsen questo è il principale elemento d’interesse per il Libro dell'Arte: Cennino è una delle fonti storiche sull'arte dell'affresco. 


Fig. 14) Alf Rolfsen, St. Hallvard [patrono di Oslo], Municipio di Oslo, 1950, affresco

L'artista norvegese identifica peraltro tre ulteriori aspetti nodali dell'opera cenniniana. In primo luogo, Cennino è il simbolo di una conoscenza tecnica dettagliata sui colori da parte dell'artista. "Questa tradizione è andata persa. I colori non sono più estratti dagli artisti dal seno della terra. Quelli che ora producono i colori possono essere tecnologicamente più abili, e i colori che producono possono essere migliori. Ma gli artisti hanno perso la loro intima connessione con i materiali, la conoscenza profonda della loro natura preziosa, delle esigenze che essa pone e dell'ispirazione che fornisce." In secondo luogo, il Libro dell'Arte può insegnare nuove tecniche anche ai pittori contemporanei: "Cennino dà istruzioni precise sulla pittura con tempera e sull’affresco. Queste sembrano spesso bizzarre. Ammetto che sono stato sorpreso di apprendere che il pigmento usato per il ritocco di volti giovani come quello della Vergine deve essere temperato con uova provenienti da galline di città, dal momento che queste sono più adatte a questo scopo che le uova di gallina di paese. Tuttavia, l'esperienza mi ha presto insegnato che i tuorli pallidi sono infatti migliori per il ritocco dei colori pallidi." Infine, il Libro dell'Arte ha un profondo significato etico, e non è semplicemente un libro di ricette: "Un amore umile ma appassionato per il suo mestiere contraddistingue ovunque il lavoro di Cennino. Questo 'Libro dell'Arte' non tratta d’arte, ma della nobile professione che richiede due tirocini di sei anni prima di poter essere interamente assimilata, e che una volta assimilata riempie l'artigiano della gioia più completa e d’un senso d’appagamento ". 


Fig. 15) Alf Rolfsen, La danzatrice spagnola, 1919



Tryggve Norum, il traduttore


Fig. 16) Alf Rolfsen, Gruppo, 1931, olio su tela


Su Tryggve Norum sappiamo che il testo di Cennino Cennini è stato la prima di una lunga serie di traduzioni di classici della letteratura, soprattutto italiana e francese, ma anche inglese e svedese. Dopo il Libro dell'Arte, non ha abbandonato la letteratura artistica, traducendo in norvegese la Vita di Benvenuto Cellini nel 1947 e i Codici di Leonardo nel 1967.  [14]

La nota del traduttore spiega: "Nella mia traduzione ho avuto accesso ai due lavori di Thompson [nota del redattore: in italiano (1932) e in inglese (1933)] e alle opere di Tambroni [in italiano, 1821], Ilg [in tedesco, 1871] e Herringham [in inglese, 1899]." Sorprendentemente, Norum cita, ma non usa per la traduzione, la versione di Renzo Simi del 1913. La nota include anche alcune imprecisioni (per esempio, egli afferma a torto che la lettera di Renoir è inclusa soltanto nell’edizione di Henri Mottez del 1922 e non in quella originale del 1911). 


Fig. 17) Alf Rolfsen, La grande stazione, 1932, olio su tela


Ancora ai giorni nostri, il professor Mogens Henckel tributa (con buona dose di scioviniscmo) sinceri elogi al traduttore. "Di tutte le diverse edizioni e traduzioni che esistono, quella norvegese (anche se forse può non essere la più precisa) è la migliore. Tryggve Norum ha fatto un lavoro fantastico con la traduzione, e ha scelto uno stile di linguaggio in linea con l’epoca in cui il libro è stato scritto, a differenza delle traduzioni in inglese che sono più moderne nel linguaggio." [15] Infatti, nella sua nota Norum spiega: "Cennino è stato un pittore, non uno scrittore. Questo è evidente dal suo linguaggio e dalla sua retorica, che sono spesso goffi e maldestri. Ho cercato di preservare quest’aspetto nella mia traduzione, a meno che così facendo rendessi il testo difficile da comprendere."


Alcune domande senza risposta sulla Norvegia nel 1942

La traduzione in norvegese del Libro dell'Arte di Cennino è pubblicata in un anno terribile per il paese, che era stato occupato militarmente dal Terzo Reich nel 1940. Nel 1942, la Norvegia è governata dal governo fascista collaborazionista di Vidkun Quisling. Nel mese di maggio, è organizzata a Oslo, una mostra sull’arte "buona" e quella "cattiva"con il titolo di "Kunst og ukunst" (Arte e Non-arte) [16], secondo lo stesso schema della mostra organizzata da Himmler nel 1937 a Monaco di Baviera sulla cosiddetta arte degenerata (Entartete Kunst). Nel mese di ottobre 1942, gli 800 ebrei norvegesi vengono rastrellati e avviati nei campi di concentramento nazisti da parte delle autorità norvegesi. È un caso unico in Scandinavia (in Danimarca, sotto la protezione del re, quasi tutti gli ebrei si salvano). Il termine "Quisling" è adottato in tutta l’Europa libera come sinonimo di collaborazionismo con il fascismo e il nazismo. 


Fig. 18) Alf Rolfsen, Fregio sull'occupazione nazista, Municipio di Oslo, 1947-1949

L'introduzione di Rolfsen e la nota di Norum sono entrambe datate ottobre 1942. La pubblicazione della versione norvegese di Cennino Cennini è quindi completata in una fase storica tragica. E' molto probabile che i tedeschi abbiano esercitato - direttamente o indirettamente, tramite le autorità locali - la censura su tutto quel che venisse stampato. La breve introduzione di Alf Rolfsen contiene appunto un riferimento alla Germania. Parlando della differenza tra i pittori (e colori) ai tempi di Cennino e ai suoi tempi, l'artista scrive: "Tanto l'immagine del giovane Cennino che scopre l’esistenza di una venatura d’ocra nel terreno, quanto l’eroe delle favole norvegesi Askeladden, che s’imbatte in un’ascia che abbatte gli alberi di propria iniziativa, hanno associazioni molto diverse da quelle suscitate dalle parole ‘Aktiegesellschaft Farbenindustrie'. "

Di per sé la frase può sembrare di significato oscuro. Per capire meglio sarà necessario osservare che vi sono citati tre personaggi.

Il primo è Cennino, pittore che cerca fisicamente i suoi pigmenti nella natura; infatti, Cennino stesso si dilunga nel suo Libro dell’Arte a scrivere di essersi spesso recato in giro con suo padre alla ricerca dei colori (ad esempio, l’ocra). 

Il secondo luogo, l'eroe dei racconti popolari norvegesi Askeladden [17], una sorta di Cenerentola di sesso maschile, costretto a rimanere a casa a guardare il fuoco (non a caso troviamo un riscontro etimologico nell'inglese ash (cenere): sia Askeladden sia Cenerentola passavano il tempo a rassettare casa accanto al fuoco). In giovane è perseguitato dalle difficoltà ma, alla fine, riesce sempre a superare gli ostacoli e ottiene insperati successi là dove altri falliscono. Nelle sue peripezie trova un utensile magico (una scure) che abbatte gli alberi da sola, senza la necessità di affaticamento umano. 

Il terzo soggetto (il convitato di pietra) è il gigante chimico tedesco IG Farben, uno dei maggiori produttori di colori chimici del mondo a quel tempo. Si deve aggiungere che IG Farben era un gruppo industriale profondamente coinvolto nel regime nazista (notoriamente, produceva il pesticida Zyklon B, utilizzato nelle camere a gas di Auschwitz).


Fig. 19) Alf Rolfsen, Fregio sull'occupazione nazista (Particolare), Municipio di Oslo, 1947-1949

Cosa unisce dunque Cennino, Askelladen e l'IG Farben? Siamo in grado di formulare tre ipotesi.

La prima è che non vi sia alcun significato occulto: l'autore vuole semplicemente mettere a confronto due figure del passato (una storicamente reale, Cennino, e l'altra prodotta dalla fantasia umana, Askeladden) con l’immagine di un gigante chimico del suo tempo, che – per puro caso - è una società tedesca. Prevale semplicemente il senso malinconico della reminiscenza di un passato intatto (i bei tempi antichi).

La seconda interpretazione è metaforica. Esattamente come l'eroe norvegese Askeladden riesce sempre a trovare la vittoria inaspettatamente in tutte le fiabe, anche il popolo norvegese - anche beneficiando dell’umiltà di Cennino – alla fine prevarrà sugli occupanti tedeschi. Si deve ricordare, dopotutto, che Alf Rolfsen dipinse il Fregio sull'occupazione nazista nella sala centrale del municipio di Oslo, tra il 1947 e il 1949, fregio che documenta le sofferenze del popolo norvegese durante la guerra. [18]

La terza interpretazione è più prosaica: al fine di ottenere l'autorizzazione della censura tedesca, Rolfsen è stato costretto a inserire un riferimento ai maggiori produttori tedeschi di colori. O, peggio ancora, ha voluto rendere loro omaggio.


Fig. 20) Alf Rolfsen, Fregio sull'occupazione nazista (particolare). Municipio di Oslo, 1947-1949

Qual è l'interpretazione autentica? Difficilissimo dirlo. La documentazione disponibile mostra quanto quelli fossero momenti di particolare confusione. Abbiamo pochi elementi e spesso fra loro discordanti. 

Il catalogo della mostra tenutasi a Oslo nel 1942 condanna ‘l'impatto perverso’ di Matisse sull'arte nazionale norvegese, ma non include i pittori "freskobrødrene" tra quelli da additare alla pubblica gogna. Anche l’espressionista Edvard Munch (che è ancora vivo e residente nel paese) non rientra nell'arte proibita (e alcuni dei suoi quadri - con un sapore nazionale - vengono visualizzati come 'buon esempio' d'arte), contrariamente a quanto era avvenuto alla mostra del 1937 a Monaco sulla cosiddetta arte degenerata.

Il dizionario biografico norvegese [19] spiega che Alf Rolfsen vinse il concorso per decorare la sala centrale del Municipio di Oslo nel 1938, e che poté iniziare il suo lavoro nel 1943. Il catalogo della mostra di Parigi del 1951 sulle pitture murali norvegesi include un suo schizzo del 1942 per la parete nord del Comune, e dice anche che altridei freskobrødrene  (ad esempio, Aage Storstein) vi avevano lavorato nel 1941, 1942 e 1943.

La documentazione sull’occupazione tedesca, disponibile su internet, contiene l‘informazione che l'illustratore della copertina del Boka om Kunsten, Terje Strand, venne arrestato dalla Gestapo nel 1941 [20]. Tuttavia, nel 1944 poteva lavorare all'illustrazione del dizionario degli artisti norvegesi. [21]  

Nel dicembre dello stesso anno il figlio di Rolfsen – che combatteva con le truppe norvegesi nella marina britannica – perse la vita quando la nave su cui era imbarcato fu silurata da un sommergibile tedesco.


Fig. 21) Alf Rolfsen, Fregio sull'occupazione nazista (particolare), Municipio di Oslo, 1947-1949

Comunque sia stato, Alf Rolfsen negli anni immediatamente successivi alla conclusione della guerra non solo viene scelto per documentare le sofferente dell'occupazione norvegese, ma riceve numerosi riconoscimenti e premi, segno probabilmente che non veniva considerato come affiliato al regime collaborazionista.


Conclusioni

Nel 1920-1950 una scuola nazionale di pittura murale si sviluppa in Norvegia, attorno alla 'Fratellanza dell’affresco' (freskobrødrene); lo stesso era accaduto, nei decenni precedenti, in molti altri paesi, per esempio in Polonia, con la Fratellanza di San Luca (Bractwo św. Łukasza) e in Ungheria, con i diversi gruppi di artisti con sede a Gõdollö, ma anche in Francia, con gli Ateliers d'art sacré promossi in quegli anni di Maurice Denis, e in Germania, con l'arte di Beuron. In forma diversa - e con molteplici equilibri tra vecchio e nuovo - tutte queste esperienze segnano un incontro tra il monumentalismo della tradizione italiana (da Giotto al Rinascimento) e la sperimentazione dell’arte contemporanea (il simbolismo e secessionismo, il postimpressionismo e sincretismo, il cubismo e fauvismo).

Ciò che è comune a tutte le esperienze di cui sopra è l'interesse per Cennino Cennini e il suo Libro dell'Arte, che viene tradotto in quegli anni in tutte le lingue (con edizioni a stampa a disposizione del grande pubblico, con l'eccezione dell'Ungheria, dove la traduzione come sappiamo viene realizzata clandestinamente dopo l’affermazione della dittatura comunista nel paese). Per le complesse vicende della storia, la pubblicazione delle diverse versioni linguistice si verifica nelle più differenti situazioni storiche: in Norvegia durante gli anni dell'occupazione militare e della collaborazione con i nazisti. Una sintesi della fortuna di Cennino è offerta in un recente post di mio fratello Giovanni.

Un ruolo fondamentale nell'interpretazione moderna di Cennino è giocato da alcuni pittori di riferimento, che sono in grado di trasformare le lezioni che traggono dalla lettura del Libro dell’Arte in nuove esperienze visive: Maurice Denis in Francia, Aladár Körösfói-Kriesch in Ungheria, Jan Verkade in Germania, Jan Zamoysky in Polonia. In Norvegia, questo ruolo è interpretato da Alf Rolfsen, un pittore molto colto, con la passione per l'aspetto architettonico della pittura e per la sua traduzione in affreschi monumentali in spazi pubblici. Insieme a Per Krohg, Axel Revold e altri, Rolfsen crea una pittura nazionale che è caratterizzata da una narrazione al pubblico attraverso pittura murale, in luoghi dove servizi pubblici sono forniti ai cittadini (nello stesso modo in cui gli affreschi nelle chiese italiane erano una forma di narrativa rivolta a fedeli). Siamo nella Norvegia laburista e social-democratica, una nazione appena nata, le cui nuove cattedrali sono le biblioteche e le scuole, i municipi e le sale borse, le università e persino i crematori. Si tratta di un paese in cui alla produzione di beni pubblici è assegnato il rango più altro. La pittura murale in uno spazio pubblico è vista come un bene pubblico in se stesso; i dipinti murali hanno – tematicamente - anche lo scopo di celebrare la fornitura di beni pubblici alla comunità.

Dopo gli anni cinquanta, questa ricca tradizione - che aveva portato affreschi norvegesi in tutto il mondo, fino alla sala riunioni del Consiglio di Sicurezza alle Nazioni Unite - sembra improvvisamente esaurirsi. Forse perché il mondo è cambiato: la vera forma di comunicazione al grande pubblico diventa la televisione. Non è più tracciando messaggi su tutte le pareti degli edifici pubblici disponibili che si comunicano e trasmettono messaggi alla società. Il nuovo potente strumento per promuovere una comune identità invade la privacy delle famiglie, ipnotizzandole ogni sera.


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INTRODUZIONE DI ALF ROLFSEN ALLA versione norvegese DEL LIBRO DELL'ARTE (1942)

(Traduzione dal norvegese all’inglese di Alison Philip – traduzione dall’inglese all'italiano di Francesco Mazzaferro)

Cennino Cennini ha lavorato per 12 anni sotto Agnolo Gaddi, che aveva lavorato con il padre, Taddeo, che aveva lavorato sotto Giotto per 24 anni. Nel Libro dell’Arte [n.d.r. Alfsen utilizza il titolo inglese stabilito da Daniel V. Thompson, ovvero The Craftsman’s Handbook] ci permette di diventare partecipi della tradizione delle botteghe medievali.

Cennino era un uomo metodico, e comincia proprio dall'inizio, con la creazione del mondo. Egli ci fa capire che, dopo il Peccato originale, uno dei primi bisogni dell'uomo fu di ottenere materiali con cui disegnare - prendi una pergamena intatta e raschiala fino a quando non sia trasparente; questo ti darà carta da lucido; fai uno stilo con due parti di piombo ed una parte di stagno, ben battuto con un martello. E ci tramanda i suoi insegnamenti sui i colori: come sbriciolare il lapislazzuli in un mortaio e mescolarlo in un impasto composto di resina, mastice e cera, e quindi utilizzare liscivia per produrre il prezioso blu oltremare. Racconta il giorno in cui il padre lo ha portato ai margini del bosco comunale di Colle, nei pressi di Casole, sopra una villa chiamata Dometaria; lì hanno scavato nella terra e trovato venature di molti colori: ocra, sinopia chiara e scura, azzurro-blu e bianco.

Questa tradizione è stata interrotta. I colori non sono più estratti dagli artisti dal seno della terra. Quelli che ora producono colori possono essere tecnicamente più abili, ed i colori che producono possono essere migliori. Ma gli artisti hanno perso la loro intima connessione con i materiali, la conoscenza profonda della loro natura preziosa e delle esigenze che ciò richiede e l'ispirazione che ciò fornisce. Tanto l'immagine del giovane Cennino che scopre la venatura d’ocra, quanto l’eroe delle favole norvegesi Askeladden, che s’imbatte in un’ascia che abbatte gli alberi da sola, hanno associazioni molto diverse da quelle suscitate dalle parole «Aktiengesellschaft Farbenindustrie ' [Nota dell’editore: un vasto conglomerato industriale tedesco che produceva prodotti chimici e specialmente colori].

Cennino fornisce precise indicazioni sulla pittura a tempera e a fresco. Queste istruzioni sembrano spesso bizzarre. Ammetto che rimasi sorpreso nell'apprendere che il pigmento usato per il ritocco di volti di giovani come quello della Vergine dovesse essere temperato con uova provenienti da galline di città, dal momento che queste sono più adatte a questo scopo che le uova di galline da paese. Tuttavia, l'esperienza mi ha presto insegnato che tuorli pallidi sono peraltro migliori per ritoccare i colori pallidi.

Altre istruzioni sono meno appetibili, come ad esempio il capitolo in cui Cennino descrive come fare uno stampo della propria persona e produrre da esso una statua in metallo: si dovrebbe fare un impasto di cera e stenderlo su una tavola a una profondità di metà della lunghezza di un braccio, porre il bordo a terra e gettarsi in avanti sulla cera, e quando si è raffreddata, si deve uscire con attenzione dalla cera; poi ci si dovrebbe buttare all'indietro su un impasto di cera fresca; e si dovrebbe quindi unire gli stampi insieme e riempirli con piombo fuso. Non ho provato io stesso, ma si può solo speculare sul risultato.

Un amore umile ma appassionato per il suo mestiere contraddistingue ovunque il lavoro di Cennino. Questo 'Libro dell'Arte' non tratta d’arte, tratta della nobile professione che richiede due tirocini di sei anni prima che possa essere assimilata, e che una volta assimilata riempie l'artigiano della gioia più profonda e di un senso d’appagamento. 'Gioia' è una parola che Cennino utilizza spesso. Gioia e piacere dovrebbero riempire l'uomo che pratica la rara arte dell'incisione su vetro dorato, e giacché è così difficile, il giorno prima che desidera lavorare a tali opere, si dovrebbe tenere sempre la mano appoggiata sul busto, in modo che il braccio sia alleggerito dal sangue e dalla stanchezza. La gioia avvolge il pittore su tavola, la cui arte è così raffinata da costituire l'impiego corretto per un uomo nobile; se si può indossare velluto sulla schiena si può fare quel che si vuole. Ed è la gioia dell'artigiano nel suo mestiere che viene esaltata nel famoso capitolo 67 sugli affreschi: nel nome della Santissima Trinità, io ora ti introduco alla pittura sulle pareti, che è il tipo più incantevole e affascinante di lavoro che mai vi possa essere.

Ottobre 1942
Alf Rolfsen


Nota del traduttore Tryggve Norum
Cennino Cennini e Il Libro dell'Arte


(Traduzione dal norvegese all’inglese di Alison Philip – traduzione dall’inglese di Francesco Mazzaferro)

La data di nascita di Cennino Cennini non è nota, ma se aveva 12 anni quando iniziò l'apprendistato, come scrive nel capitolo CIV, dovrebbe averne avuti circa 24 anni alla morte del suo maestro, Agnolo Gaddi, nel 1396. In ogni caso, egli deve aver completato il suo apprendistato entro quella data. Ci mancano anche molti altri dettagli della sua vita. Secondo due documenti che i fratelli Milanesi trovarono a Padova, Cennino viveva lì nel 1398 nella strada di San Pietro, apparteneva alla corte della famiglia del duca Francesco di Carrara, era sposato con Donna Ricca di Ricca in Cittadella, e suo fratello Matteo era nato a Padova, dove, nello stesso momento, era "trombetto" [n.d.r. aveva la carica di trombettista"] per il Duca. Nessuno dei dipinti di Cennino è sopravvissuto, ma anche se sembra essere stato un buon pittore, il suo più importante contributo alla nostra arte e alla storia della cultura è il suo trattato sulle tecniche di pittura. Alcuni dettagli, come ad esempio il fatto che Cennino rivolga le sue preghiere a S. Antonio di Padova, insieme ad un certo numero di parole in dialetto padovano nell'introduzione, indicano che il libro è stato scritto a Padova. La convinzione generale che Cennino finì i suoi giorni nel carcere di Firenze si basa sulla scritta 'ex stincharum' alla fine della copia Medicea Laurenziana del manoscritto. Tuttavia, dato che tali parole si trovano solo in questa copia, sembra ragionevole credere che fosse il copista ad essere alle Stinche, il carcere dei debitori di Firenze.

Il manoscritto originale del trattato di Cennino non sembra più esistere. In ogni caso, il suo destino è sconosciuto, ma il Vasari scrive che a suo tempo il manoscritto era di proprietà di Giuliano, un orafo di Siena. Né sappiamo quando Cennino scrisse il suo libro. È poco probabile che sia stato scritto prima della morte del suo maestro, Agnolo Gaddi, nel 1396, e la copia più antica a noi conosciuta è stata realizzata nel 1437. Questo esemplare è ora nella Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, e nella presente edizione norvegese è indicato dalla lettera L. Ve n’è anche un altro, molto più recente, nella Biblioteca Riccardiana di Firenze, ma questo probabilmente risale solo al 18° secolo. Esso viene qui identificato con la lettera R. Infine, la biblioteca Vaticana ha una copia di L.

La pittura, nell'Italia del Rinascimento, aveva le sue radici nell'arte bizantina, e Cennino ci presenta l'esperienza di secoli, dall'arte degli antichi greci a quella di Giotto e dei contemporanei di Cennino Il Manuale dell'Artigiano [nd.r. viene proposto il titolo proposto da Thompson nel 1933: The Craftsman's Handbook] è parte di una tradizione che risale a Teofrasto, il primo greco a discutere le tecniche dell'arte. La tradizione è stata continuata da Vitruvio, sotto l'imperatore Augusto, e da Plinio il Vecchio (23 d.C.- 79 d.C.). Vi è anche una serie di manoscritti medievali sull'argomento. Ma Cennino fu la prima figura rinascimentale a scrivere su l'arte della pittura. Il suo lavoro è molto diverso da quello dei suoi predecessori, e ha una portata molto più ampia delle raccolte di ricette dei monaci. Il Manuale dell'Artigiano rappresenta una scuola, ed è scritto da un artista: quindi da un uomo che è stato in grado di mettere le lezioni in pratica. Il libro è anche un interessante documento di storia della cultura; mostra la costruzione meticolosa, e l'umiltà di fronte a tale grande compito, considerati i requisiti principali per un pittore. Queste qualità del trattato di Cennino fecero poi grande effetto su Renoir.

Cennino era un pittore, non uno scrittore. Questo è evidente dal suo linguaggio e dalla sua retorica, che sono spesso goffi e maldestri. Ho cercato di preservare quest’aspetto nella mia traduzione, a meno che che così facendo rendessi il testo difficile da capire.

Ci sono quattro edizioni italiane del trattato di Cennino. La prima è stata di Tambroni nel 1821, sulla base di una copia del 18° secolo di L. L'edizione del 1859 di Carlo e Gaetano Milanesi si basa sia su L e R. L’edizione di Renzo Simi del 1913 si basa principalmente su L. L'ultima edizione è quella dell’americano Daniel V. Thompson Jr., che è stato pubblicata nel 1932. Tre traduzioni sono state effettuate dall'edizione Milanesi del 1859: due in tedesco, da Albert Ilg (Vienna 1871) e Willibrord Verkade (Strasburgo 1916), e una in inglese, da Christiana J. Herringham (Londra 1899). In precedenza il libro era stato tradotto in inglese dalla Merrifield (Londra 1844) e in francese da un allievo di Ingres, Victor Mottez (Parigi 1858). Una nuova traduzione completa è stata pubblicata da suo figlio, Henri Mottez (Parigi 1911), e ristampata nel 1922 con una prefazione di Renoir. Infine, Thompson ha pubblicato una traduzione inglese basata sulla sua edizione italiana (New Haven 1936).
Per la mia traduzione ho avuto accesso alle due opere di Thompson e alle opere di Tambroni, Ilg e Herringham.

Questa traduzione norvegese è stata realizzata su iniziativa di un gruppo di pittori. In particolare vorrei ringraziare Knud Windfeld per i suoi utili consigli e informazioni, e mia moglie per il suo aiuto con il manoscritto.


Oslo, Ottobre 1942

Tryggve Norum


NOTE


[1] Askeland, Jan – Norwegian Painting. An introduction (La pittura norvegese. Un’introduzione), 1954, Oslo, Ministero degli Affari Esteri, 80 pagine. Citazione da p. 56

[2] L’art mural norvégien. 1920-1950 Esquisses – Projets et cartons de fresques (L’arte murale norvegese. 1920-1950  Schizzi – Progetti e cartoni degli affreschi). Mostra la Museo Nazionale di Arte Moderna, Parigi, Aprile 1951


[4] Askeland, Jan – Norwegian Painting (citato), p. 58


[6] Norwegian Paintings. With an introduction by Håkon Stenstasvold (Pitture norvegesi. Con un’introduzione di by Håkon Stenstasvold), 1951, Oslo, Dreyer Publishers, 120 pagine. Citazione da p. 9.

[7] Alliez Éric e Bonne Jean-Claude, Matisse en Amerique, in: Multitudes, 2005/1 (n. 20), Pp. 33 – 45. Si vedano anche: http://www.cairn.info/zen.php?ID_ARTICLE=MULT_020_0033  Matisse, Henri - Matisse on art (Matisse sull’arte), a cura di Jack Flam, 1995, University of California Press, e https://books.google.de/books?id=xm-4k5Xs9DcC&pg=PA115&lpg=PA115&dq=architectural+painting+Matisse&source=bl&ots=xhK0zJld8i&sig=aYbmTaJUJkBv5SFsRKZWP4cM550&hl=it&sa=X&ei=qv0wVfmrHIf7auDmgLAK&ved=0CCwQ6AEwAg#v=onepage&q=architectural%20painting%20Matisse&f=false


[9] Alf Rolfsen 100 År Jubileum (anniversario dei 100 anni), Mostra al Kunstnerforbundet, 22 giugno – 13 agosto 1995

[10] Wanscher, Vilhelm - Rafael og Michelangelo: Deres Arbejder i Vatikanet og det sixtinske Kapel beskrevne, Aarhus, Kbh. og Christ, 1908

[11] Alf Rolfsen 100 År Jubileum (citato).  

[12] https://artemex.files.wordpress.com/2010/12/lectura-3-manifiesto-estridentista.pdf

[13] Cennini, Cennino – Boka om Kunsten. Il libro dell’arte. Versione norvegese con nota introduttiva e note a piè di pagina di Tryggve Norum, 1942, Oslo, pubblicato da Johan Grundt Tanum, 177 pagine.

[14] Tra gli autori moderni italiani, ha tradotto Vittorini, Moravia, Pavese, Arpino e l’intera serie di Don Camillo di Guareschi.


[18] https://wiki.uio.no/hf/ifikk/kun1000/index.php/Okkupasjonsfrisen

[19] https://nbl.snl.no/Alf_Rolfsen



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