Pagine

lunedì 23 marzo 2015

Marlene Dumas. 'Sweet Nothings. Notes and Texts'. Londra 2014. Parte Terza


Marlene Dumas
Sweet Nothings. Notes and Texts. Parte Terza

A cura di Mariska van den Berg

Seconda edizione, rivista ed ampliata.
Londra, Koenig Books, 2014

(Recensione di Francesco Mazzaferro) 

[Versione originale: marzo 2015 - nuova versione: aprile 2019]


Fig. 3) Il catalogo della mostra comparativa di Dumas e Bacon al Castello di Rivoli, 1995

Torna alla Parte Prima - Torna alla Parte Seconda

Il ruolo della sessualità – non il nudo, ma la pornografia

Non si può parlare di Marlene Dumas senza affrontare il tema della sessualità, anche sessualità esplicita. Il parallelismo tra pittura e scrittura è anche qui certamente molto importante, in termini per molti versi assai sorprendenti.

I miei lavori migliori sono
esibizioni erotiche di
confusioni mentali
(immischiate di
informazioni irrilevanti)
” [55] 

(da: Gli occhi delle creature notturne, 1985) [55] 

 “Io scrivo perché amo le parole.
O piuttosto, che cosa è più erotico di un corpo con sex-appeal?
Una frase con sex appeal.” 

(da: Perché io scrivo sull’arte ,1992) [56]

L’onnipresenza della sessualità nell’arte di Marlene Dumas ha anche componenti lessicali, difficili da spiegare in italiano. Rifacendosi al celeberrimo saggio del critico d’arte John Berger Ways of Seeing pubblicato nel 1972 (e tradotto Questioni di sguardi in italiano nel 2009), [57] la Dumas si rifà ad una differenza lessicale di difficile traduzione in italiano. In inglese il termine ‘nudo’ si esprime con ‘nude’, termine di origine francese oppure, con ‘naked’, di origine germanica (naakt in olandese, nackt in tedesco). Il primo indica il nudo classico, quello che si studia all’accademia, ed è il termine usato nella storia dell’arte; il secondo è il corpo discinto, nella sua materialità. Il nude è, a parere della Dumas, un concetto pubblico e generale; il naked è un concetto privato ed intimo.  La pittrice è interessata solamente al secondo, la nakedness, la nudità in senso corporeo, personale, non artistico: la propria carne.

Nel 1986 la pittrice ha ancora dubbi:

Al momento la mia arte
è situata tra
la tendenza pornografica
a rivelare ogni cosa
e l’inclinazione erotica
a nascondere di quel che si tratta

(da: Tendenza pornografica, 1986) [58]

È del 1987 il quadro “La particolarità della nudità” (The Particularity of Nakedness).

Alcuni commenti dai miei spettatori sul dipinto La particolarità della nudità: una donna (scrittrice) mi ha detto che era stata molto delusa nel vedere quest’opera; a lei piacevano molto i miei lavori precedenti, più concettuali, ma che quel che stavo producendo era pittura per omosessuali. L’ha chiamata pittura omosessuale?! Diceva che il mio uomo era troppo passivo. Riusciremo mai a superare il dualismo etero/omosessuale? Un uomo (direttore di museo) mi ha detto che il quadro era un fallimento perché era troppo basato su elementi orizzontali. Appena di recente ho visto che John Baldessari ha fatto un lavoro Uomini orizzontali (1984). Ha detto che era l’inverso di un uomo verticale, e dunque la misura di tutte le cose. Era l’alternativa vulnerabile dell’uomo verticale. Mi è piaciuto. Le difficoltà di quest’opera mi hanno fatto pensare alla tematica della rappresentazione dei genitali di Cristo (vi ricordate La sessualità di Cristo [Nota dell’editore: Leo Steinberg, La sessualità di Cristo nell'arte rinascimentale e il suo oblio nell'epoca moderna, Il Saggiatore, 1986], anche se al contrario. La mia immagine era percepita come “non sufficientemente forte”. Entrambi volevano la figura eretta, in un modo o nell’altro.” [59]

Le esitazioni scompaiono, ed i commenti negativi sul ruolo troppo passivo dei nudi spingono ad accentuare l’immagine, ormai ispirata ad immagini del tutto esplicite, tratte dalla produzione dell’industria del sesso. La pornografia diviene la forma ultima di arte figurata.


Marlene Dumas e la scuola di Londra

Non sorprende che l’opera della Dumas sia stata spesso associata ai grandi della scuola di Londra. Si pensi a Francis Bacon (1909-1992), a Lucian Freud (1922-2011) e tra le più giovani a Jenny Saville (1970-). Personalmente, condivido: è un accostamento che traccia una storia lineare dell’arte figurativa in Europa. È da Bacon che è venuto un impulso decisivo a recuperare, nel dopoguerra, la rappresentazione – tragica e disperata – del corpo umano. È da Londra (per la prima volta non da Parigi, che era il luogo della nascita dell’arte astratta, o da New York, patria dell’espressionismo astratto) che è venuto l’impulso più forte in Europa per centrare di nuovo l’arte figurativa sul nudo. È inevitabile che Marlene Dumas a quest’esperienza sia accostata e con essa confrontata.

D’altro lato, non bisogna dimenticare che l’artista – come ricordato nei post precedenti – aveva definito Bacon, nel 1989, come ‘troppo controllato e manierista’ e lo aveva collocato nel gruppo degli artisti per il quale la passione giovanile si era ormai spenta.

Va detto che almeno due elementi legano – almeno concettualmente – i due artisti. Vorrei esaminarli dal punto di vista delle fonti di storia dell’arte, una prospettiva che non è necessariamente quella della mostra comparativa del Castello di Rivoli del 1995. [60]

In primo luogo, con Bacon non si ha solamente la riscoperta della figura umana, ma anche della discussione sull’arte da parte del pittore. Stiles e Pelz scrivono nel loro “Teorie e documenti dell’arte contemporanea. Un libro delle fonti degli scritti degli artisti”: “Tra il 1962 ed il 1979 Bacon ha dato sette interviste al critico d’arte David Sylvester, che [secondo Stephen Spender, che scrive nel 1975] ‘possono aver avuto un’influenza sulla pittura nell’ultimo quarto di secolo come gli scritti critici di Ezra Pound e T.S. Eliot sulla poesia degli anni 1920 e 1930.” [61] Dunque, Stiles e Pelz tracciano, un forte legame tra figurato e poesia anche nel caso di Bacon.

In secondo luogo, Bacon – come la Dumas – fa uso della macchina fotografica e delle immagini di stampa come strumento intermedio tra realtà e pittura, anche se in modo diverso dalla Dumas. Come scrivono Marente Bloemheuvel e Jan Mot: “A partire dai suoi primi importanti lavori degli anni Quaranta sino alla morte, nel 1992, Francis Bacon dipinse gli esseri umani in situazioni di conflitto e violenza. Le sue figure distorte, sezionate, serrate in strutture geometriche soffrono e gridano di dolore. L’opera non ci rivela la causa di questa sofferenza e sembra che la vita stessa ne sia l’origine. Importanti fonti di ispirazione sono per Bacon le fotografie di amici, opere d’arte del passato e immagini tratte dai mass media. Ne sono ben noti esempi i dipinti basati sulle fotografie di Eadweard Mutbridge [nota dell’editore: 1830-1904, un pioniere della fotografia, specializzato nello studio del movimento tramite immagini fotografiche] e quello in cui l’artista usò un fotogramma della bambinaia del film di Eisenstein La corazzata Potemkin. Bacon non traspose mai queste fotografie direttamente sulla tela. ‘Nel mio caso – disse – le fotografie diventano una specie di miscela da cui di tanto in tanto emergono immagini’ “. [62]

Il paragone con Bacon in occasione della mostra al Castello di Rivoli del 1995, è una prova impegnativa per Dumas, che non a caso prende la penna per chiarire le cose. La traduzione è di Lucia Borro: è la versione italiana pubblicata nel catalogo della mostra al Castello di Rivoli. [63] Da un punto di vista lessicale, è una traduzione libera dell’originale (pubblicato in seguito in Sweet Nothings [64]). In particolare, alcune caratteristiche del testo originale (che era più orientato alla poesia che alla prosa) sono state modificate nel testo per il pubblico italiano, forse per evitare un’eccessiva sorpresa.
"Bacon e Dumas
-O del disagio  di essere “accoppiati” " (1995) [65]

È difficile per me essere associata a qualcuno,
perché impiego talmente tanto ad ammetterlo pubblicamente
che quando me ne rendo conto, non mi sembra più vero.
Tutti gli artisti volenti o nolenti devono partecipare a mostre collettive. Far parte di una collezione, e/o della storia dell’arte significa essere posti in relazione con altri artisti, per la maggior parte della stessa generazione o con altri del cosiddetto stesso stile ed interesse,
ho fatto mostre collettive,
ho fatto mostre personali,
ma non sono mai stata “accoppiata”
in una mostra.
Non mi piacciono “le coppie” (il che non significa che non le dipinga). È parte inevitabile della nostra cultura. Credo che tutto possa esser messo in relazione,  ma qualche volta si eccede. Alcuni confronti sono così evidenti che sfidano ogni negazione, altri possono risultare più forzati. (…)"

Dumas continua:

“(…) Sicuramente Bacon, se ne avesse avuto la facoltà [n.d.r. era morto tre anni prima], non avrebbe acconsentito a partecipare a questa mostra (come ha fatto la Marlborough Gallery. [n.d.r. si tratta della galleria londinese che gestisce gran parte dell’eredità di Bacon] perché non avrebbe gradito vedere il suo lavoro in relazione al mio. Egli voleva confrontarsi solo grandi artisti (Velázquez e Michelangelo). Io invece mi confronto con chiunque capiti sul mio cammino.

Come ha detto Jan Andriesse: “La differenza tra te e lui è che Bacon ha un gusto discriminante, tu no.

Si tratta dunque di una relazione forzata?

Non esattamente. Non è stata auspicata né da me né da lui, ma organizzata da altri. Ciò nonostante dire sì a questo progetto mi ha fatto sentire (inizialmente) come se tentassi di sedurre o fare delle avances inopportune al Papa, come spinta dall’afrodisiaco della Sua autorità. D’altra parte quale donna della nostra epoca vuole essere associata al Papa alla fine del Ventesimo secolo (come al solito, ero combattuta)?

Bacon, come del resto Picasso, è un artista che merita un po’ di riposo dopo la morte. Entrambi, ognuno a modo proprio, sono talmente usati dai media e talmente noti all’opinione pubblica che ci si dimentica della loro opera. Picasso è semplicemente diventato Mr. Macho e Bacon Mr. Horror. (…)

In tutti i casi, sono rimasta intrappolata tra la mia ammirazione giovanile per Bacon e l’immagine in cui egli si era trasformato. Ero imbarazzata sia per lui che per me stessa. Eppure non conosco nessuno appartenente alla generazione successiva alla seconda guerra mondiale che abbia mai voluto dipingere un ritratto o una figura umana (qualunque fosse la sua intenzione) che abbia potuto fare a meno di guardare Bacon. L’artista olandese Emo Verkerk mi confidò di avere iniziato il suo primo disegno ispirandosi a quella (ormai famosa e classica) intervista di Sylvester a Bacon.” [66]

Segue un gioco – sempre in versi – in cui Dumas elenca prima le ragioni per cui avrebbe dovuto di no a tenere una mostra parallela con bacon, e poi i motivi per cui avrebbe dovuto dire di no Bacon. Il gioco in versi si conclude, sempre nella traduzione di Laura Borro, con alcune frasi in prosa:

Ragioni per dir sì (in ordine casuale).

Alla fine poi non ho saputo resistere alla tentazione. Come se Bacon avesse detto: ‘Un artista non deve aver timore di prendersi in giro.’ O come dico io: ‘una donna non deve aver paura di essere chiamata una poco di buono’.

Bacon e Dumas sono stati accusati di crimini differenti ma simili.

C’è il suo nichilismo e la mia indifferenza.

C’è il nostro interesse comune per Picasso, per il cinema, per la fotografia e per la crudeltà della vita.

C’è la nostra dipendenza dal caso.

E l’accusa che entrambi usiamo immagini di infelicità, orrore gotico, e il sensazionalismo dei soggetti. E per ultimo, ma non meno importante, c’è il problema della sessualità: a lui piacciono gli uomini e anche a me.” [67]

Ecco una dichiarazione della Dumas che chiarisce un elemento fondante dell’arte figurativa del XX secolo: se nel Rinascimento la figura umana ed il nudo erano in funzione della centralità dell’uomo nel creato, se nel Barocco erano in funzione dell’esuberanza felice della vita, la riscoperta del figurativo a partire dalla scuola di Londra ha il solo fine di certificare la sofferenza dell’uomo, le sue incertezze, la sua perdita di centralità. Vi è dunque una continuità tra l’arte di fine secolo dell’Ottocento ed il primo Novecento (caratterizzata da decadenza, simbolismo e deformazione) e la riscoperta a Londra della figura umana nell’arte. Dopo il bagno nell’astrattismo e nel concettualismo, la pittura riscopre la persona non per celebrarne la vittoria sull’astrazione, ma per notificarne il dramma, la miseria, l’immersione in un universo ostile. Nel 1959 Peter Selz ha tenuto al MoMa di New York una delle prime mostre sulla riscoperta dell’uomo nella pittura contemporanea, intitolata “New images of man”, (Le nuove immagini dell’uomo) [68]. Il catalogo è disponibile su internet [69] e vale la pena sfogliarne le pagine. L’introduzione è del filosofo esistenzialista e teologo protestante tedesco Paul Tillich: “Così come l’arte più astratta di questo periodo, queste immagini prendono la situazione umana, la situazione difficile dell’umanità, invece della struttura  formale, come punto di partenza. L’esistenza, e non l’essenza, è il centro di maggior attenzione per loro.” [70]

E sarebbe davvero bello poter percorrere in questi giorni una mostra che allargasse la comparazione Dumas-Bacon della mostra al Castello di Rivoli e illustrasse le varie componenti del figurativo contemporaneo, ovviamente non solo con le pitture della Dumas e della scuola di Londra, ma almeno con le numerose esperienze dell’arte figurativa contemporanea in Europa (la Figuration narrative in Francia, la Transavanguardia in Italia, i Nuovi Selvaggi in Germania Occidentale, la scuola di Lipsia nella Germania orientale e molti altre). E sarebbe ancora più interessante analizzare il rapporto dei maggiori artisti figurativi con fotografia e cinema (si pensi a Gerhard Richter in Germania e Jacques Monory in Francia, artisti che – in modo assai diverso – utilizzarono anch’essi la fotografia come strumento intermedio tra realtà e pittura). Ed infine bisognerebbe considerare il ruolo che per molti di essi (ancora Richter e Monory) la scrittura sull’arte ha avuto nella definizione della loro identità artistica.


Impegno politico

Negli ultimi anni la riflessione sugli avvenimenti di Africa e Medio Oriente si è imposta all’attenzione di Marlene Dumas, in un tentativo di affrontare tutti i termini del problema. Per essere creibile, la pittrice ha dovuto ovviamente discostarsi dal genere del ritratto. È invece rimasta la consuetudine di far uso d’immagini a stampa. Alla pittura di quadri di chiara ispirazione politica è ovviamente corrisposta anche la scrittura di testi sulla necessità di risolvere il conflitto israelo-palestinese, i cui titoli sono eloquenti: “La terza guerra mondiale”(2009), “Contro il muro” (2010), “Contro il muro. Lettera a David”(2010). Si tratta di testi pacifisti, che condivido, ma discuterne il contenuto politico non è al centro di questo articolo. È sufficiente dire che l’origine sudafricana della Dumas ed il rimorso per l’apartheid si trasfigurano sempre in un elemento di solidarietà umana con la parte più debole del conflitto.

Alla difficile emancipazione dell’Africa sono invece dedicati i due quadri dal titolo “La vedova”, entrambi del 2013. È la storia di Pauline Lumumba, che nel 1961 attraversò a seno nudo (in segno di lutto, secondo i costumi locali) la città di Leopoldville (l’attuale Kinshasa) per ottenere invano la salma del marito, primo presidente del Congo belga indipendente, dopo che questi era stato assassinato da ribelli anti-governativi del Katanga e che la sua salma era stata occultata. In una conversazione con Theodora Vischer nel catalogo unico per la mostra allo Stedelijk Museum, la Tate Modern e la fondazione Beyeler, l’autrice racconta di aver visto per la prima volta in Olanda la foto, e di aver già realizzato un’opera basata su di essa nel 1982, in forma di collage.

Il fatto che io provenga dal Sudafrica non mi ha aiutato a capire meglio le culture di altre parti dell’Africa. Al contrario: quando crescevo, i bianchi del Sudafrica erano unicamente interessati alla cultura americana o europea. Essi parlavano addirittura di Sudafricani europei e non-europei. Venivo chiamata europea, nonostante la mia generazione non fosse mai stata in Europa. Io, mio padre ed il padre di mio padre eravamo nati in Sudafrica. Il sistema politico ci collocava all’interno di una storia di cui non conoscevamo molto e che non avevamo sperimentato direttamente (…)

Il mio primo impiego di quell’immagine fu per questo collage del 1982. Usai tre donne: la moglie di Mandela, Winnie, la moglie di Malcom X, Betty, e la moglie di Lumumba, Pauline: una sudafricana, un’americana ed una congolese. Quando quest’opera è stata mostrata, sia in America sia in Europa, la gente ha sempre commentato che si trattava dell’apartheid in Sudafrica. Ma in realtà riguardava la storia americana, il passato del Congo e la storia del Sudafrica. Il collage era su tre donne. Erano tutte e tre di colore, ma erano di luoghi diversi. I loro mariti erano stati in prigione quasi per un’eternità, come nel caso di Winnie Mandela, il secondo era stato appena assassinato ed il terzo era stato anch’egli brutalmente ammazzato. Quelle donne avevano dovuto appena subire un’esperienza del tutto traumatica ma – essendo le mogli di tre controversi leader politici, uomini troppo onesti per i loro tempi – era stato chiesto loro di commentare immediatamente la loro tragedia. (…)" [71]

 Ho prodotto prima di tutto il quadro più grande. In questo quadro ho specificatamente posto l’enfasi sul contrasto tra i colori bianco e nero: gli uomini indossano camicie bianchissime che producono questa luce assai chiara, e – dall’altro lato – i pantaloni scuri, le gambe nere. Il resto della pittura è tutto in blu, tonalità bluastre, il suo volto scuro e le loro facce blu-chiaro… Il dipinto più piccolo ha tutti questi verdi artificiali, mentre i bianchi sono più rosati. Nel collage l’immagine è usata come un documento. Non ho cercato di renderla più calda o più impressionistica. Nella pittura, invece, io cerco di rendere l’immagine più toccante attraverso l’uso del colore. Ha un effetto psicologico totalmente differente, a causa del colore e dei pennelli.


Non voglio dire che ogni pittura debba essere ricca di gesti, ma io ne faccio ancora molto uso, cosa che è – per certi aspetti – molto tradizionale. È tradizionale nel senso che – come in Rembrandt e Frans Hals, la scena sembra molto realistica o illusionistica da distanza, ma quando ti avvicini diviene quasi astratta.” [72]

Alla Guerra d’Algeria si riferiscono la Donna d’Algeri del 2001 e il Trofeo del 2013. Anche qui l’immagine di riferimento è ben nota: in segno di scherno due militari francesi mostrano una ragazzina algerina completamente nuda, loro prigioniera. Si tratta, ancora una volta, di un’immagine fotografica dei primi anni 60.

È del 2008 il testo poetico di accompagnamento, contenuto in Sweet Nothings:

“Nord Africa (Donna d’Algeri)

Patria dello spogliarello
Patria della danza dei sette veli.
Patria degli antenati di Abramo,
da cui discendono Ebrei, Mussulmani e Cristiani.
Patria di un Dio che non vuole si riproduca la sua immagine.
Ad Algeri Nelson Mandela ha ricevuto il proprio addestramento militare,
imparando lezioni di tattica militare dalla guerra di liberazione.
Delacroix ha prodotto un dipinto chiamato “Le donne d’Algeri” (1834),
donne che si rilassano in un pacifico harem femminile.
Nel 1954 Picasso ha prodotto uno dei tanti dipinti sensuali
ispirati da questa fonte franco-algerina.
Egli davvero non sapeva quale direzione avrebbe preso quest’orientalismo.
Nel 2000 ho visto una fotografia di una giovane, in piedi nuda
trattenuta da (esibita da) due soldati francesi in posa.
Era stata presa ad Algeri nel 1960.
Ho dipinto la mia Donna d’Algeri nel 2001.”

(2008) [73]

Marlene Dumas e l’Italia

Si è parlato, all’inizio di questa serie di post su Marlene Dumas, delle sue mostre in Italia, al Castello di Rivoli (1995), alla Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia (2003), alla Galleria Civica Montevergini di Siracusa (2004), ed alla Fondazione Stelline a Milano (2012). A queste mostre debbono essere aggiunte le presenze regolari alla Biennale di Venezia (1995, 2003, 2005).

L’omaggio che la pittrice ha fatto all’Italia è di triplice natura. In primo luogo, alcune importanti opere sono state mostrate per la prima volta in Italia: fra quelle incluse nei post in questo blog, ricordo per esempio la serie dei cadaveri nel 2003, Lucy nel 2004, e Pasolini, Mamma Roma e l’Omaggio a Michelangelo nel 2012. Molte altre potrebbero essere elencate.

In secondo luogo, per queste mostre la Dumas ha anche sempre preparato nuovi testi. La mostra di Venezia è stata da lei intitolata “Suspect” ed ha avuto come tema la morte. Sia la morte della fiducia nelle opere d’arte sia la morte dell’uomo. Ecco due poesie composte per l’occasione, nella traduzione di Enza Sicuri, per il catalogo della mostra.

"Suspect

Guardare immagini non avvicina alla realtà.
Induce in tentazione.
Il problema non è la morte di un mezzo.
È che tutti i media sono sospetti.
Non si attacca il soggetto degli artisti,
si processano le loro intenzioni.
Ora che sappiamo che le immagini possono significare qualunque cosa, da parte di chiunque, non ci fidiamo più di nessuno, tanto meno di noi stessi. [74]

La stanza dei disegni
Non siamo Dio o dei. Tutto ciò che otteniamo,
lo otteniamo a posteriori (dopo il fatto).
Un’immagine morta non è mai altrettanto morta
quanto una persona morta." [75]

Infine, vi sono testi della Dumas sull’ispirazione che ha tratto dall’arte italiana, in particolare alla mostra della Fondazione Stelline a Milano, nel 2012, intitolata “Sorte”. Le “stelline” erano le orfane, ed il palazzo che ha ospitato la mostra era l’orfanotrofio: un’occasione per la Dumas per confrontarsi con la sorte, intensa nel senso antico del ‘fato’ (il nome inglese della mostra è appunto ‘Fate’). Il testo italiano è sempre nella traduzione di Enza Sicuri.

"Written in the stars

Sorte è una parola triste. Destino è un po’ meglio.
La Libertà è incastrata tra le due.
Più invecchi. Più ti muovi verso le ultime possibilità.
A Milano è conservato il Cenacolo di Leonardo da Vinci e anche la scultura a cui Michelangelo ha lavorato prima di morire, la Pietá Rondanini, l’ultima sua lotta con un soggetto che non è riuscito a completare. Nel 1993 ho realizzato un’opera dal titolo The image as a Burden (L’immagine come fardello), una metafora, una sorta di Pietà con l’artista che porta il peso del proprio soggetto. L’anno scorso ho dipinto dei crocifissi ispirati alle sculture religiose gotiche. In realtà, l’ispirazione derivava piuttosto dalle idee e dalle immagini di queste sculture, non dagli oggetti in sé. E dalle ultime parole di Cristo sulla croce: “E, verso l’ora nona, Gesù gridó a gran voce: Elí, Elí, lamà sabactàni? Cioè: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt. 27,46).


Questo mi fa venire in mente un altro artista legato a Milano, Maurizio Cattelan (Padova, 1960), che comprende molto bene il rapporto tra una scultura e l’immagine di una scultura. La sua controversa opera sul Papa colpito da un meteorite si intitola La nona ora (1999). Spesso i lavori di Cattelan sembrano cercare una qualche formula magica per cambiare la sorte avversa o aiutarci a sfuggire il fatalismo … o la prigione che l’arte può diventare. [...]

Nel tentativo di combinare la Pietà incompiuta di Michelangelo e le orfane delle Stelline, sono arrivata a tre classici del cinema italiano in bianco e nero: Il Vangelo secondo Matteo (1964) e Mamma Roma (1962) di Pier Paolo Pasolini e La ciociara (1960) di Vittorio de Sica.

Ho passato intere notti a cercare di dipingere un ritratto di Sophia Loren che piange per la violenza subita dalla figlia ne La Ciociara. Non ha funzionato (una volta lei stessa ha detto, sebbene in tutt’altro contesto: “Se non hai mai pianto non puoi avere dei begli occhi”). Ho anche tentato di dipingere la madre di Pasolini nel Vangelo secondo Matteo, dove aveva il ruolo di Maria da vecchia, ma anche questo non ha funzionato.

Alla fine, il mio modello è diventata Anna Magnani nella parte di Mamma Roma, che grida tutto il dolore di una madre che ha perso suo figlio. Per lo più raffigurazioni della Pietà hanno a che fare con il lutto e l’accettazione del dolore. La dolente Pietà Rondanini è una madre che cerca di sollevare il corpo del figlio nel tentativo di resuscitarlo dalla morte, non volendo accettare l’inaccettabile.” [76]


Conclusioni

Scrivendo sul catalogo della mostra itinerante tra Amsterdam, Londra e Basilea, Marlene Dumas apre le sue riflessioni con la frase “Io non sono una pensatrice lineare”. [77]
È qui tutto il fascino, ma anche tutta la difficoltà del suo tentativo di scrivere d’arte e di se stessa come artista, senza ricorrere ad alcuno degli strumenti consueti (i trattati, i saggi, le interviste, le lettere) della letteratura artistica, ma facendo uso di un mezzo inconsueto per i nostri tempi: la poesia, come strumento di narrazione sull’arte.
Viene subito a pensare all’età barocca, quando poemi d’arte in rima non erano infrequenti. Anche la scelta del metodo pittorico, tutto incentrato, con l’eccezione della produzione politica, su un solo genere (il ritratto) e su un solo metodo (l’appropriazione dalla fotografia), sembra ricalcare un gusto ricercato e singolare.
Se l’attitudine è barocca, lo stile è di un espressionismo intimista, ispirato ad un minimalismo sia dei mezzi pittorici sia di quelli verbali.
Vi è una chiara corrispondenza tra l’uso della lingua (la poesia) e quello della pittura (il ritratto): Sweet nothings si avvia nel 1982 quando l’artista – sotto l’influsso dell’arte americana – sceglie di abbandonare l’espressionismo astratto e si affida al figurativo.
Pur a fronte dell’uso di strumenti inconsueti di narrazione, l’intenzione della Dumas di utilizzare la lingua scritta come elemento indispensabile all’artista per sottrarsi al controllo esterno della critica è fermissima. Dunque, per sua stessa ammissione, non una pensatrice lineare, ma una pensatrice autonoma, che vuol poter scrivere di se stessa.
Due sono le ragioni per le quali far stabile uso della lingua è fondamentale. Primo, l’opera d’arte non contiene da sola un messaggio completo ed univoco che possa auto-rivelarsi. Infatti, pur sempre inspirata dalle immagini di stampa o delle fotografie, la pittura si emancipa da quest’ultime, acquisendo nuovi significati che richiedono chiarimento. Secondo, scegliendo lo strumento linguistico preferito, ogni artista può selezionare il proprio linguaggio e stile di comunicazione, anche in conformità a quello artistico.
Gli anni Ottanta si confermano un periodo di recupero della centralità della letteratura artistica, basata sul binomio bi-direzionale tra parola da un lato e arte figurata dall’altro, lungo una tradizione aperta da Bacon negli anni 1950-1960 ed ancora oggi vivissima. Nel momento in cui si riscoprono la pittura e la figura umana, si riscopre anche la centralità, per l’artista moderno, della capacità di scrivere (o discutere) sull’arte.
Nasce così non solamente un nuovo episodio dell’arte figurativa, ma in parallelo un nuovo episodio di diffusione della letteratura artistica. Il nuovo ciclo dell’arte figurativa ha per oggetto il dramma profondo della condizione umana; in piena sincronia la letteratura artistica non ha la forma rassicurante del saggio ma quello interrogante della poesia.
Non è un caso che l’arte astratta, ispirata da una profondissima spiritualità (il testo fondamentale è “La spiritualità nell'arte” di Kandinskij, del 1910), abbia avuto il suo culmine degli anni della ricostruzione postbellica, anni di grande energia e quasi illimitata fiducia nel progresso, mentre il figurativo si sia imposto nei decenni in cui emergevano i limiti dello sviluppo economico e le difficoltà della governabilità globale.
Oggi domina il figurativo, ma è il segno non di un recupero di fiducia, ma di nuova crisi.


Note

[55] Dumas, Marlene – Sweet Nothings. Notes and Texts, Seconda edizione, rivista e ampliata, Londra, 2014. La citazione è a p. 27

[56] Dumas, Marlene – Sweet Nothings. Notes and Texts, (citato), 2014 p. 11

[57] Berger, John - Ways of Seeing, 1972), tr. Maria Nadotti, Questioni di sguardi, Torino: Bollati Boringhieri, 2009

[58] Dumas, Marlene – Sweet Nothings. Notes and Texts, (citato), 2014 p. 33

[59] Dumas, Marlene – Sweet Nothings. Notes and Texts, (citato), 2014 p. 65

[60] Marlene Dumas Francis Bacon, Castello di Rivoli, Milano, Edizioni Charta, 1995, pp. 199. La mostra si è tenuta dal 5 giugno al 1 ottobre 1995. Si era precedentemente tenuta anche alla Malmö Konsthall, tra il 18 marzo ed il 14 maggio.

[61] Stilles Kristine e Selz Peter, Theories and Documents of Contemporary Art. A Sourcebook of Artists’ Writings, Second Edition, Revised and Expanded, Berkeley and Los Angeles, University of California Press, 2012. La citazione é a pagina 192.

[62] Marlene Dumas Francis Bacon, Castello di Rivoli, (citato) p. 13

[63] Marlene Dumas Francis Bacon, Castello di Rivoli, (citato) p. 13

[64] Dumas, Marlene – Sweet Nothings. Notes and Texts, (citato), 2014 pp. 176-177

[65] Marlene Dumas Francis Bacon, Castello di Rivoli, (citato) pp. 27-33

[66] Marlene Dumas Francis Bacon, Castello di Rivoli, (citato) p. 29

[67] Marlene Dumas. The Image as Burden, Londra, Tate Publishing, 196 pagine. Il testo é alle pagine 178-179

[68] Selz, Peter - New Images of Man, New York, Museum of Modern Art Publications, 1959, 160 pagine. La mostra si è tenuta tra il 30 settembre ed il 29 novembre.


[70] Anche in Stiles Kristine e Selz Peter, Theories and documents (citato), p. 192

[71] Marlene Dumas. The Image as Burden (citato), p.169

[72] Marlene Dumas. The Image as Burden (citato), pp. 169-170

[73] Dumas, Marlene – Sweet Nothings. Notes and Texts, (citato), p. 152

[74] Marlene Dumas, Suspect, a cura di Gianni Romano, Ginevra-Milano, Skira, 2003. La citazione è a pagina 35 (in italiano ed in inglese). Il testo inglese è anche pubblicato in Dumas, Marlene – Sweet Nothings. Notes and Texts, (citato), p. 134.

[75] Marlene Dumas, Suspect, (citato), p. 80 Il testo inglese è anche pubblicato in Dumas, Marlene – Sweet Nothings. Notes and Texts, (citato), p. 134.

[76] Marlene Dumas. Sorte, a cura di Giorgio Verzotti, Milano, Silvana Editoriale, 2012, 120 pagine. La mostra si è tenuta tra il 13 marzo ed il 17 giugno 2012 alla Fondazione Stelline di Milano.


[77] Marlene Dumas. The Image as Burden,  (citato), p. 11

Nessun commento:

Posta un commento